Sulle modifiche alla manovra s’infiamma lo scontro Zingaretti-Renzi

Il leader del Pd a testa bassa contro l'ex premier: «Polemizzare su un impianto condiviso da tutti è un'operazione di basso livello». Intanto nel governo si lavora al rinvio della plastic tax.

L’ultima critica alla manovra è arrivata da Confindustria, che non ha apprezzato troppo le misure contro l’evasione fiscale, perché rischiano «di fornire risposte semplici e demagogiche». Il nuovo terreno si è aperto proprio mentre il governo stava provando a mettere un tappo alle polemiche sulla plastic tax, lavorando all’ipotesi di tagliarla del 50%, e sulla tassa per le auto aziendali: per quest’ultima sul tavolo c’è la possibilità di dimezzare o addirittura azzerare i rincari. Tutti interventi che non sono a costo zero: la plastic tax vale un miliardo nel 2020 e 1,7 miliardi nel 2021. Mentre la stretta sulle tasse aziendali varrebbe 332 milioni di euro nel 2020 e salirebbe fino al 2022, quando raggiungerebbe i 378 milioni. Insomma, con la revisione di questi interventi, il governo dovrebbe mettersi di nuovo alla ricerca di quasi un miliardo e mezzo solo per il prossimo anno.

L’AFFONDO DI ZINGARETTI CONTRO IL LEADER DI ITALIA VIVA

Intanto, il segretario del Pd Nicola Zingaretti cambia registro e alza il tono contro Matteo Renzi: «Giusto che tutti portino il contributo in un’alleanza. Aprire una polemica su una manovra sottoscritta da tutti è un’operazione di basso livello che gli italiani giudicheranno» Con gli approdi del decreto fiscale e della manovra nelle aule del parlamento, l’esecutivo ha cominciato a mettere a punto le posizioni. Difenderà a oltranza le norme anti-evasione e non farà concessioni agli alleati né sul taglio del cuneo fiscale né su quota cento. Mentre sulla stretta per le auto aziendali e sulla plastic tax i margini di movimento ci sono tutti: i tavoli di confronto sono infatti ancora aperti. Anche sulla stretta anti abusi per gli appalti ci sono aperture. L‘Ance, vale a dire i costruttori, ha sollevato dubbi al dl fisco, chiedendo la cancellazione di un disposizione «iniqua» sulle ritenute per appalti e subappalti che, stima, costerebbe alle sole imprese edili 250 milioni di euro all’anno. «Siamo pronti a dialogare con le associazioni di categoria e con il parlamento per migliorare la norma», ha risposto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri.

IL M5S APRE ALLE MODIFICHE SULLA PLASTIC TAX

Che poi è un po’ l’atteggiamento del governo sulla tassa per le auto aziendali. Inizialmente valeva per tutte, indiscriminatamente, poi è stata modulata, lasciandola com’era per quelle green, portandola dal 30% al 60% per i veicoli meno inquinanti e al 100% per quelle molto inquinanti. Sulla plastica, l’esecutivo starebbe studiando la possibilità far scendere la tassa sugli imballaggi da un euro al chilo a una cifra oscillante fra i 40 e i 60 centesimi. Potrebbe anche restringere la gamma dei prodotti su cui applicarla o rinviare a luglio, invece che ad aprile, l’entrata in vigore della norma. L’ipotesi di discutere sul contenuto della plastic tax non sembra ostacolata dal Movimento 5 stelle: «C’è stata un’apertura e riteniamo che questo orientamento sia da mantenere», ha detto il sottosegretario a Palazzo Chigi, Riccardo Fraccaro.

LA LEGGE DI BILANCIO AL BANCO DI PROVA DEL PARLAMENTO

La linea del Conte bis è questa: l’impianto della manovra non cambia, su alcune misure si può discutere, ma alla fine i conti devono tornare. Il ministro Gualtieri guarda con attenzione al passaggio parlamentare, confidando che in Aula si possano trovare accordi che migliorino gli aspetti più discussi del provvedimento: «Lo considero fisiologico e positivo», ha detto. La legge di Bilancio vale 30 miliardi: il solo stop all’aumento dell’Iva ne costa 23. E c’è un ricorso al deficit per oltre 16 miliardi. Un impianto che lascia prudente il commissario designato agli Affari economici dell’Ue, Paolo Gentiloni: «L’Italia» – ha detto – «ha bisogno ancora di disciplina di bilancio, mi spiace ma è così». Dalla lotta all’evasione fiscale, inizialmente il governo pensava di poter recuperare 7 miliardi. Ora la stima, seppur «prudente», ha spiegato Gualtieri, è di 3 miliardi. Uno dei punti qualificanti è la spinta ai pagamenti digitali. Il governo, ha spiegato Gualtieri, sta lavorando a un protocollo di intesa con le banche «per la riduzione delle commissioni e l’eliminazione totale sotto una certa» cifra. Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il consiglio regionale della Lombardia dice no alla commissione Segre

Proposta dal Pd per contrastare intolleranza, razzismo e antisemitismo su modello di quella del Senato, è stata respinta con 42 no e 30 sì. Contrari Lega, Fdi, Forza Italia e tutto il centrodestra.

Il Consiglio regionale della Lombardia ha respinto con 42 No e 30 Sì la proposta del Pd di istituire una commissione consiliare speciale «per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza» sul modello di quella approvata in Senato su proposta della senatrice a vita Liliana Segre. Contrari Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, il gruppo Misto e gli altri esponenti del centrodestra, favorevoli Pd, M5S e gli altri consiglieri di opposizione.

RESTA L’INVITO PER UNA VISITA NEL GIORNO DELLA MEMORIA

La richiesta era stata inserita su proposta del consigliere Pd Pietro Bussolati tra i punti della mozione urgente presentata da Monica Forte del Movimento 5 Stelle, che è stata votata per parti separate. Gli altri punti sono stati approvati da tutte le forze politiche tranne Fratelli d’Italia e Viviana Beccalossi del Gruppo Misto, ma con alcune modifiche richieste dalla maggioranza. In sintesi il testo definitivo votato dall’Aula impegna la giunta regionale a invitare la senatrice Segre a una visita istituzionale in Consiglio regionale, «con l’auspicio – aggiunto da Forza Italia – che tale visita avvenga in una data vicina al giorno della memoria». Inoltre, a «manifestare a Liliana Segre la stima e la profonda solidarietà per le ignobili aggressioni di cui è stata oggetto e il nostro profondo rispetto per la sua storia personale sulla quale non è tollerabile alcuna forma di negazionismo e sottovalutazione». Su richiesta della Lega, infine, nelle premesse è stato posto un accenno di condanna alle contestazioni subite dalla Brigata Ebraica nel corso del corteo del 25 Aprile a Milano

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Ora l’ambasciatore Sondland inguaia Trump sull’impeachment

Il diplomatico ha precisato che disse ai vertici ucraini che gli aiuti militari Usa erano subordinati a un annuncio sull'avvio di indagini contro i Biden.

L’ambasciatore Usa alla Ue Gordon Sondland ha cambiato la sua testimonianza nell’indagine di impeachment alla Camera precisando che disse a Kiev che gli aiuti militari Usa erano subordinati ad una dichiarazione pubblica sull’avvio di indagini contro i Biden. Una rettifica che compromette la posizione di Donald Trump, il quale ha sempre negato qualsiasi do ut des.

A sinistra il presidente Usa Donald Trump, al centro l’ ambasciatore Usa presso l’Ue Gordon Sondland, a destra la first lady Melania Trump.
La testimonianza di Sondland è stata diffusa dalla commissione intelligence della Camera assieme a quella di un altro diplomatico: l’inviato Usa in Ucraina Kurt Volker. Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

A Roma un rapinatore è stato ucciso nell’assalto a una tabaccheria

Nel corso del conflitto a fuoco sono rimasti feriti il titolare del bar e un secondo malvivente. Sul posto polizia e 118.

Ancora una rapina finita in tragedia. Stavolta è Roma a essere teatro di un episodio di criminalità sfociato nel sangue. Un rapinatore è infatti rimasto ucciso nell’assalto a un bar- tabaccheria di via Antonio Ciamarra, in zona Cinecittà. Ferito, oltre al secondo rapinatore, anche il titolare del bar, raggiunto da un colpo di pistola alla gamba. Si tratta di un cittadino cinese che è stato soccorso e trasportato in ospedale. Sul posto sono intervenuti i poliziotti del commissariato Romanina e il 118.

GLI SPARI AL TERMINE DI UNA COLLUTTAZIONE

Da una primissima ricostruzione della polizia, ci sarebbe stata una colluttazione tra il tabaccaio e rapinatori durante la quale sarebbero partiti partiti dei colpi: uno ha ferito tabaccaio e un altro ha ucciso il rapinatore. Il complice è stato fermato dalla polizia. All’esterno del locale è stato trovato uno scooter lasciato acceso che i due probabilmente avrebbero utilizzato per la fuga.

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Ocasio-Cortez come Trump: deve patteggiare per aver bloccato un follower

Le deputata democratica costretta a scusarsi con un ex parlamentare che le aveva fatto causa per violazione del primo emendamento. Decisiva una precedente sentenza analoga contro il presidente.

La giovane pasionaria della sinistra Alexandria Ocasio-Cortez e il presidente Donald Trump sono diametralmente opposti, fatta eccezione per la loro provenienza da New York e per la loro presenza costante sui social. E proprio su Twitter, il mezzo preferito dal tycoon, scivola la deputata star dei democratici.

CAUSA PER VIOLAZIONE DEL PRIMO EMENDAMENTO

Aoc, così com’è conosciuta, è stata costretta a chiedere scusa a uno dei follower che ha bloccato e che le ha fatto causa per violazione del primo emendamento sulla libertà di espressione. L’ex parlamentare democratico e fondatore di American against anti-semitism Dov Hikind ha presentato un’azione legale contro Ocasio-Cortez in luglio dopo che la deputata lo aveva bloccato su Twitter e aveva rivendicato con orgoglio il diritto di farlo.

IL BLOCCO DOPO GLI ATTACCHI IN SERIE RICEVUTI

Un blocco deciso da Aoc dopo i ripetuti attacchi, simili a «molestie», ricevuti da Hikind colpevole di aver superato il limite con le violente critiche al paragone fatto da Ocasio-Cortez fra i centri di detenzione al confine con il Messico e i campi di concentramento. Ma il blocco ha scatenato l’ira di Hikind che ha fatto causa alla parlamentare sventolando una precedente sentenza contro Trump, in base alla quale il presidente ha violato la costituzione bloccando follower su Twitter perché lo criticavano o si prendevano gioco di lui. Così come altri politici, incluso Trump, anche Ocasio-Cortez aveva inizialmente rivendicato che l’account @AOC era privato e quindi fuori dal controllo del governo a differenza di quello ufficiale @RepAOC.

OCASIO-CORTEZ COSTRETTA AL PATTEGGIAMENTO

La sentenza contro Trump non ha lasciato spazio a Ocasio-Cortez, costretta a patteggiare la causa e scusarsi pubblicamente con Hikind. «Ho rivisto la mia decisione di bloccare Dov Hikind dal mio account Twitter. Hikind ha il diritto garantito dal primo emendamento di esprimere le sue idee e non essere bloccato per farlo», ha detto Ocasio-Cortez. »Guardando indietro è stato sbagliato» bloccarlo, «chiedo scusa».

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Striscione di Forza Nuova vicino all’evento con Liliana Segre

Il messaggio di critiche al sindaco di Milano Sala e agli antifascisti esposto non lontano dal teatro in cui era presente anche la senatrice a vita.

«Sala ordina, l’antifa agisce, il popolo subisce», è lo striscione a firma del partito di estrema destra Forza Nuova, comparso questa mattina davanti alla sede del Municipio 6 di Milano, non molto distante dal teatro di via Fezzan in cui è in corso un incontro a cui partecipa, tra gli altri, anche la senatrice a vita Liliana Segre. Ad annunciarlo dal palco dell’Ecoteatro è stato il presidente del Municipio 6 Santo Minniti, poco prima dell’inizio dell’incontro L’etica della responsabilità: dalla memoria all’universalità dei diritti. Per la segretaria metropolitana del Pd, Silvia Roggiani, si tratta di una «provocazione inaccettabile e intollerabile di fronte ai cancelli del Municipio 6. L’oltraggio dei neofascisti di Forza Nuova è indegno, perché offende tutti noi e la memoria antifascista di Milano, città medaglia d’Oro alla Resistenza. A chi nutriva ancora dubbi, ecco le prove. I fascisti cercano di tornare a galla e lo fanno colpendo Liliana Segre».

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Francia, quote per i migranti economici e nuovi limiti per l’accesso alle cure

Previsti 33mila visti di lavoro l'anno con gli stranieri"professionali" reclutati «in base alle necessità». Il 6 novembre l'annuncio della riforma che include anche restrizioni per ottenere le cure mediche di basei.

Le riforme che il governo di Parigi è pronto ad annunciare il 6 novembre faranno discutere e potrebbero far piovere su monsieur le président Emmanuel Macron nuove critiche. Un sistema di quote per facilitare l’immigrazione economica e regole più severe per l’accesso degli stranieri all‘assistenza sanitaria gratuita: questi i nuovi imminenti provvedimenti della Francia, mentre parte la corsa per le elezioni comunali di primavera con il solito testa a testa tra il partito En Marche dell’attuale presidente e il Rassemblement National di Marine Le Pen.

MIGRANTI RECLUTATI «IN BASE ALLE NECESSITÀ»

In attesa di conoscere i dettagli delle nuove disposizioni, che verranno annunciate il 6 novembre dal premier Edouard Philippe, la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, ha confermato l’introduzione di un sistema annuale di “quote“, anticipato il 5 novembre dai media. Un dispositivo che dovrebbe entrare in vigore già dall’estate, per assumere a seconda dei bisogni di manodopera. «Sarà la Francia a reclutare rispetto alle sue necessità. È un nuovo approccio, un po’ come in Canada e in Australia», ha dichiarato la fedelissima di Macron, aggiungendo che «l’idea è avere numeri precisi, oppure delle quote».

PREVISTI CIRCA 33 MILA VISTI DI LAVORO L’ANNO

Pénicaud ha aggiunto che questa sorta di immigrazione à la carte sarà «abbastanza modesta nei numeri», circa 33 mila persone all’anno. L’immigrato «professionale» disporrà di un «visto di lavoro per una durata determinata e un lavoro determinato», ha precisato.

CRITICHE DA SINISTRA

La sinistra però attacca, accusando il presidente di sfruttare elettoralmente il dramma migratorio, mentre la destra si trova spiazzata da quello che sarebbe potuto diventare un suo cavallo di battaglia. Nella cosiddetta ‘patrie des droits de l’Homme‘ le quote sui migranti suscitano critiche, anche impietose, da parte della società civile. Per la prima pagina di Le Monde il vignettista Plantu ha disegnato una nave battente bandiera francese che accosta un’imbarcazione di fortuna carica di migranti. Un funzionario si sporge dal parapetto rivolgendosi allo sfortunato equipaggio di esiliati: «Abbiamo bisogno di due idraulici e di tre addetti alle macchine fresatrici. Per gli altri ripassate domani…».

RESTRIZIONI PER L’ACCESSO ALLA SANITÀ PUBBLICA

Insieme con le regole per «adattarsi in tempo reale ai bisogni delle nostre imprese» facilitando l’immigrazione economica, saranno messe a punto e migliorate le norme per la concessione dei visti, con l’istituzione di una commissione incaricata di migliorare le relazioni fra consolati e prefetture. Nella ventina di provvedimenti che verranno annunciati il 6 novembre dopo il consiglio dei ministri c’è anche l’inasprimento di alcune regole e controlli per l’accesso di richiedenti asilo e immigrati irregolari alle cure della sanità pubblica. Philippe ha insistito sulla «necessità di lottare contro frodi ed abusi», come auspicato da Macron.

TRE MESI DI ATTESA PER LA PROTEZIONE MEDICA DI BASE

Il capo dello Stato si è detto determinato a «risolvere rapidamente» la questione di «coloro che vengono con un visto turistico, restano tre mesi e poi hanno diritto all’Ame» (l’aiuto medico di Stato, accordato agli stranieri in situazione irregolare, ndr). Nonostante le proteste delle correnti più a sinistra del partito di maggioranza – La République en Marche – e di molte associazioni, il governo instaurerà un trimestre di attesa per l’accesso alla Protezione universale malattia, l’assistenza di base destinata «a tutti coloro che lavorano o risiedono in Francia in modo stabile e regolare». Finora, il diritto scattava appena depositata la richiesta.

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Come il governo pensa di modificare la flat tax nella manovra

In vista dell'esame parlamentare tra la maggioranza spunta l'ipotesi di un dimezzamento. Si valuta anche l'ipotesi si posticipare a luglio il via alla norma previsto per aprile.

Dimezzare la tassa sulla plastica: è questa una delle ipotesi su cui sta lavorando il governo in vista dell’esame parlamentare della manovra. Attualmente è prevista una tassa di un euro al chilogrammo e, secondo quanto si è appreso, si starebbe lavorando sia per restringere la gamma dei prodotti coinvolti sia sull’entità del prelievo e si starebbero facendo simulazioni su tre “scalettature” tra i 60 e i 40 centesimi al chilo. Si valuta anche l’ipotesi di rinviare a luglio l’entrata in vigore della norma, che ad ora scatterebbe a partire dal primo aprile.

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L’ex Ilva è la punta dell’iceberg della crisi dell’acciaio europeo

Non solo l'impianto di Taranto: la produzione in Italia nel 2019 subirà un calo del 4,1% e in Ue del 3,1%. La minaccia arriva da Cina e Usa, ma anche da Turchia e India.

L’industria europea dell’acciaio arranca, sotto il pressing di competitor come la Cina e gli Stati Uniti, ma anche la Turchia e l’India. E il caso del tracollo dell’ex Ilva di Taranto non è che la punta dell’iceberg di una crisi che accusa il colpo delle manovre sui dazi e del rallentamento dell’economia mondiale che ha innescato la brusca frenata di un mercato cruciale per la crescita e lo sviluppo come quello dell’automobile. Per l’Italia, la produzione di acciaio dell’intero 2019 è vista in calo del 4,1%, contro un ribasso medio per i Paesi dell’Unione europea pari al 3,1%.

LE MINACCE DALLA CINA E DAGLI USA

E se la Cina rappresenta una minaccia soprattutto in termini di dumping sui prezzi e boom produttivo – nei primi otto mesi il gigante asiatico ha già incassato un aumento della produzione del 9% – va detto che la produzione statunitense continua a crescere. Dal rapporto dell’American Iron and Steel Institute (Aisi) emerge che la settimana scorsa, la produzione di acciaio grezzo degli Stati Uniti è stata di 1.888.000 tonnellate, in aumento dell’1,2% rispetto alla settimana precedente e dello 0,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel dettaglio, spiega l’Aisi «la produzione aggiornata dall’inizio dell’anno fino al 2 novembre è stata di 81.599.000 tonnellate ed è perciò aumentata del 2,5% rispetto alle 79.581.000 tonnellate nette registrate nello stesso periodo dell’anno scorso».

CALO DEI CONSUMI DELL’ACCIAIO UE

Tutt’altra l’aria che si respira nel Vecchio Continente, anche per colpa di una normativa europea sull’import, basata su un sistema di “quote libere”, troppo blanda per arginare l’ondata di acciaio a prezzi stracciati. Eurofer, l’associazione europea dell’industria siderurgica, registra ancora numeri in flessione per l’acciaio Ue: nel rapporto diffuso il 31 ottobre scorso segnala infatti un calo del 7,7% del consumo apparente nel secondo trimestre di quest’anno dopo un ribasso dell’1,6% nel primo trimestre. Per il 2020 vede un lieve miglioramento seppure con un trend assai moderato per i contraccolpi della flessione del settore manifatturiero dell’Ue che, tra guerra dei dazi e le incognite sulla Brexit, non si fermerà prima del secondo trimestre del prossimo anno. Prima dell’estate proprio ArcelorMittal, il colosso siderurgico che ha appena deciso di sfilarsi dal progetto dell’ex Ilva, aveva annunciato tagli alla produzione negli stabilimenti europei per due volte nel solo mese di maggio.

LA MANCATA FUSIONE TRA THYSSEN E TATA

Altro inequivocabile sintomo di forte malessere è stato il naufragio dei progetti di fusione fra ThyssenKrupp e Tata Steel. Un merger era l’estremo tentativo di salvataggio dell’acciaio europeo per scongiurare la chiusura di stabilimenti e decine di migliaia di licenziamenti, senza contare l’impatto sull’indotto.

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L’allarme di 11 mila ricercatori sull’emergenza climatica

Si parla di «indicibili sofferenze umane» se l'uomo non modificherà le sue attività. I rimedi? Rinnovabili, meno inquinamento, riduzione del consumo di carne, economia carbon free. Lo studio che dà ragione a Greta.

Quindi Greta ha ragione. Ora che la Terra sia in piena «emergenza climatica» non lo sostiene solo quella che, secondo i detrattori, è una ragazzina svedese manovrata da chissà chi e che dovrebbe tornare a scuola, ma anche uno studio sulla rivista BioScience firmato da più di 11 mila ricercatori di 153 Paesi, tra cui circa 250 italiani.

ECCESSIVE EMISSIONI DI GAS SERRA

Si parla di «indicibili sofferenze umane» che saranno inevitabili senza cambiamenti profondi e duraturi nelle attività dell’uomo che contribuiscono alle emissioni di gas serra e al surriscaldamento globale. Greta davanti ai leader mondiali all’Onu aveva detto: «Siamo all’inizio di una estinzione di massa e tutto quello di cui siete capaci di fare è parlare di denaro e di favole di un’eterna crescita economica». La dichiarazione di allarme è basata sull’analisi di 40 anni di dati scientifici. I ricercatori propongono sei misure urgenti per fare fronte ai danni della febbre del Pianeta.

È un obbligo morale per noi scienziati lanciare un chiaro allarme all’umanità in presenza di una minaccia catastrofica

I primi firmatari della sono Thomas Newsome, dell’Università australiana di Sydney, William Ripple e Christopher Wolf, dell’Università statale americana dell’Oregon, Phoebe Barnard, dell’Università sudafricana di Cape Town e William Moomaw, dell’Università americana Tuft. Gli esperti scrivono: «È un obbligo morale per noi scienziati lanciare un chiaro allarme all’umanità in presenza di una minaccia catastrofica».

I SEGNALI PREOCCUPANTI: ALBERI, ANIMALI E GHIACCI

Gli scienziati hanno puntato il dito su diversi «segnali dell’attività umana», come la riduzione globale della copertura degli alberi e della crescita delle popolazioni animali o lo scioglimento dei ghiacci.

I RIMEDI: MENO CARNE E CARBONIO

Sei gli obiettivi chiave per gli scienziati: la riforma del settore energetico puntando sulle rinnovabili, la riduzione degli inquinanti, la salvaguardia degli ecosistemi naturali, quella delle popolazioni garantendo più giustizia sociale ed economica, l’ottimizzazione delle risorse alimentari riducendo il consumo di carne, e il passaggio a una economia “carbon free“, senza emissioni di carbonio.

LA SPERANZA: MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DEI GIOVANI

Secondo lo studio «occorrono profonde trasformazioni dei modi in cui le società globali funzionano e interagiscono con gli ecosistemi naturali». Gli scienziati sottolineano anche la presenza di segnali positivi e incoraggianti, come una maggiore consapevolezza dei rischi legati ai mutamenti del clima, soprattutto tra gli studenti e le giovani generazioni. Infine, la conclusione: «Molti cittadini stanno chiedendo un cambiamento per sostenere la vita sul nostro Pianeta, la nostra sola casa e diverse comunità, Stati e province, città e imprese stanno iniziando a rispondere».

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Scajola accusato di truffa aggravata allo Stato per l’uso delle auto blu

Il sindaco di Imperia ed ex ministro si sarebbe servito delle macchine del Comune per scopi non istituzionali. Gli inquirenti gli contestano rimborsi spese illegittimi. E a Reggio Calabria rischia 4 anni e mezzo per procurata inosservanza della pena in favore dell'ex parlamentare di Forza Italia Matacena.

Nuovi guai giudiziari per Claudio Scajola, accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato per l’utilizzo dell’auto di servizio del Comune per scopi non istituzionali. Nell’ambito della stessa inchiesta il sindaco di Imperia ed ex ministro era già stato indagato dalla procura della Repubblica di Imperia per peculato d’uso. A investigare sono stati i militari della guardia di finanza, coordinati dal procuratore aggiunto Grazia Pradella e dal sostituto procuratore Luca Scorza Azzarà.

VIAGGI NELLA TRATTA IMPERIA-AEROPORTO DI GENOVA

Nel mirino delle Fiamme gialle alcuni viaggi di Scajola a bordo dell‘auto blu in Lombardia e in Liguria, nella tratta Imperia-aeroporto di Genova. Nel corso degli accertamenti compiuti dai finanzieri, sarebbero emersi elementi che hanno portato gli inquirenti a contestare il rimborso di spese di viaggio e soggiorni in hotel, considerato illegittimo.

CHIESTA LA CONDANNA ANCHE PER IL PROCESSO BREAKFAST

In concomitanza si sono tenute anche le udienze del processo Breakfast in cui Scajola è imputato, e per il quale il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha chiesto il 4 novembre una condanna a 4 anni e 6 mesi per il reato di procurata inosservanza della pena in favore dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante a Dubai, con esclusione dell’aggravante mafiosa.

«CARTELLO ACCUSATORIO CADUTO NELLA RICHIESTA DEL PM»

L’ex ministro ha commentato: «Siamo arrivati finalmente alle conclusioni del pubblico ministero che non ha assolutamente guardato l’esito delle udienze e delle testimonianze. Di positivo, se così possiamo dire, c’è che il castello accusatorio principale nei miei confronti è già caduto nella stessa richiesta del pm. Sul resto, ribadiremo punto per punto, con i miei avvocati, tutto ciò che non è stato considerato da parte del rappresentante della pubblica accusa».

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A Verona un’inchiesta per discriminazione razziale sugli insulti a Balotelli

Il fascicolo al momento è contro ignoti, ma la polizia è al lavoro per individuare i responsabili dei cori partiti dalla curva Sud. Chiuso per un turno il settore del Bentegodi.

Un’inchiesta per discriminazione razziale, sulla base della violazione della legge Macino. È quella che avrebbe aperto la procura di Verona a due giorni dagli insulti razzisti piovuti sul capo di Mario Balotelli allo stadio Bentegodi. La notizia, riportata da Repubblica, segue di poche ore la decisione della procura federale di chiudere per un turno il settore dello stadio che si è macchiato dei vergognosi cori all’indirizzo del centravanti del Brescia.

LA POLIZIA AL LAVORO PER INDIVIDUARE I RESPONSABILI

Sul fronte giudiziario, per ora l’accusa è contro ignoti, ma si starebbe provvedendo a identificare i tifosi che hanno gridato insulti dalla curva Sud. La polizia, in tal senso, ha già depositato una informativa in procura.

CHIUSO PER UN TURNO IL SETTORE DA CUI SONO PARTITI I CORI

La decisione della Figc, invece, è motivata dal fatto che i cori  contro Balotelli sono stati «chiaramente percepiti, oltre che dal calciatore, anche dal rappresentante della procura federale posizionato in prossimità», ma dopo di questi «si sono levati, da parte dei tifosi assiepati nell’attigua curva sud», cori di sostegno, seguiti da un lungo applauso». È stato altresì sottolineato come la decisione di chiudere per un turno senza condizionale il settore Est della curva dello stadio di Verona sia stata presa «impregiudicata ogni attività d’indagine in corso per l’individuazione dei responsabili».

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Martin Scorsese spiega perché per lui i film Marvel non sono cinema

Secondo il regista, la settima arte deve portare l'inaspettato al pubblico. Con i supereroi, niente è a rischio. L'opinione sul Nyt.

C’è un nesso tra l’uscita di The Irishman su Netflix e la polemica di Martin Scorsese contro i film Marvel. Mentre la sua ultima fatica sulla scomparsa di Jimmy Hoffa è nelle sale, il regista torna alla carica sul New York Times e definisce lo straordinario successo dei supereroi una minaccia per i valori del cinema d’autore. La polemica era scoppiata all’inizio di ottobre quando Scorsese, in un’intervista a Empire, aveva definito i film Marvel «l’equivalente di un parco-giochi». Era seguito un acceso dibattito che aveva visto schierati con il 77enne Scorsese i veterani colleghi Francis Ford Coppola e Ken Loach. Ieri contro Scorsese era sceso in campo il boss di Disney, Bob Iger: «Grande regista, ma non credo che ne abbia mai visto uno».

«NIENTE È A RISCHIO NEI FILM MARVEL»

A onor del vero, Scorsese dice di averci provato, ma di non essere mai arrivato in fondo. Sul New York Times il regista arriva ad ammettere che, se fosse nato più tardi, avrebbe forse trovato di suo gusto i film sfornati dagli studi (proprietà Disney) di Playa Vista in California. Martin si interroga quindi sui suoi gusti da giovane, riconoscendo che alcuni dei suoi film preferiti – in particolare Alfred Hitchcock – promettevano e portavano a casa lo stesso tipo di emozioni che oggi offrono i supereroi. Ma non sono in gioco i gusti personali, secondo l’anziano statista del cinema newyorchese. «Per me il cinema è sempre stato rivelazione – estetica, emotiva, spirituale», spiega il regista simbolo della New Hollywood, «è sempre stato il confrontarsi con l’inaspettato sullo schermo e allargare il senso di cosa è possibile con questa forma d’arte. Molti degli elementi che definiscono il cinema come tale secondo me sono presenti nei film Marvel. Quello che manca è la rivelazione, il mistero o il genuino pericolo emotivo. Niente è a rischio».

L’ACCUSA AL MODELLO DI BUSINESS

Scorsese mette sul banco degli imputati anche il modello di business imposto dalla franchise: «Variazioni illimitate su un numero definito di temi fatti per soddisfare una serie specifica di domande, i film Marvel sono sequel di nome, ma remake di fatto, basati su ricerche di mercato e test dell’audience, modificati, riverificati e rimodificati fino a che non sono pronti per il consumo».

LE SALE “OCCUPATE” DALLA MARVEL

Il regista spiega quindi che la scala e il costo di un film Marvel richiede di farlo uscire nel massimo numero di sale possibili, ma c’è solo un numero limitato di sale in Nordamerica e il risultato è un collo di bottiglia che marginalizza i film che Scorsese ama vedere e fare relegandoli alla distribuzione in streaming o home video. «Avrei voluto vedere The Irishman proiettato in più sale», ha ammesso il regista, tornando sulla decisione che lo ha portato a fare il suo ultimo film con Netflix con conseguente guerra tra gli esercenti e il colosso dello streaming sul numero di limitato di giorni in cui la saga sulla scomparsa di Jimmy Hoffa potrà essere distribuita nei cinema prima di uscire su Internet.

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I problemi dei vigili del fuoco: dalla carenza d’organico ai mezzi inadeguati

La morte in servizio di tre pompieri nell'Alessandrino riaccende i riflettori su un corpo bistrattato. Tra buste paga leggerissime, coperture assicurative deboli e caserme fatiscenti. Il punto in attesa delle novità annunciate in Manovra.

L’esplosione, molto probabilmente di origine dolosa, nella quale in una cascina dell’Alessandrino sono morti tre pompieri e altri due sono rimasti feriti ha riacceso i riflettori su un corpo che, nonostante gli elogi e le solite promesse della politica, continua a operare in condizioni assai difficili, non dissimili da quelle in cui versano le forze dell’ordine.

Tra caserme che cadono a pezzi, stipendi bassi, carenza di personale e mezzi inadeguati, fare il vigile del fuoco in Italia nel 2019 è davvero un atto eroico, più che altrove.

UNA ECCELLENZA ITALIANA

Nemmeno l’80esimo anniversario della fondazione del corpo, caduto proprio quest’anno e celebrato a più riprese, è servito a spazzare via il disinteresse generale sui problemi che da anni affliggono i vigili del fuoco. Il corpo nacque nel 1935 ma solo nel 1939, con il Regio Decreto n. 333 del 27 febbraio, assunse la denominazione attuale. È in quegli anni che il prefetto Alberto Giombini, oggi considerato fondatore dei moderni pompieri, creò un’organizzazione al passo coi tempi e di grande efficienza che l’Europa ci invidiava. Dopo 80 anni, gli altri Paesi continuano ad ammirare i pompieri italiani per il lavoro svolto quotidianamente (sono stati insigniti qualche anno fa del titolo World of FirefightersConrad Dietrich Magirus Award, premio conferito soltanto alle eccellenze) ma, in compenso, le istituzioni sembrano essersi dimenticate di loro.

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TANTE PROMESSE MAI MANTENUTE

Ancora sul finire del 2018 oltre 1.200 candidati risultati idonei all’ultimo concorso del 2010 attendevano di conoscere il proprio destino. Il motivo? Il blocco delle assunzioni previsto, in via emergenziale, dal governo Monti su cui la politica poi non è però più intervenuta allocando risorse. E infatti del problema si tornò a parlare soltanto in occasione del crollo del ponte Morandi a Genova, quando i pompieri si distinsero nuovamente per il lavoro svolto. In quell’occasione, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini assicurò: «Ho ereditato un piano assunzioni di 1.600 unità, stiamo lavorando per assumerne 1.500 nell’arco di un anno», come poi ribadito nel novembre dello stesso anno sempre dal titolare del Viminale durante un question time in Senato. Promesse simili negli anni sono arrivate da tutti gli esecutivi che si sono succeduti ma la carenza d’organico continua a essere tra i principali problemi dei vigili del fuoco.

I vigili del fuoco sul luogo del disastro sul ponte Morandi a Genova, 19 agosto 2018.

LA POLEMICA CON SIBILIA E IL M5S

E se nella ventura legge di Bilancio dovrebbe finalmente trovare posto – salvo intese – la copertura per il fondo per l’equiparazione stipendiale e pensionistica dei vigili del fuoco alle forze dell’ordine, i sindacati non hanno gradito il recente sondaggio che il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia ha pubblicato sui social. «Invece di dare altri soldi a Radio Radicale», ha proposto il grillino su Facebook, «se usassimo i 24 milioni per i vigili del fuoco? Cosa ne pensate?».

A chi daresti 24 milioni di euro?Invece di dare altri soldi a #RadioRadicale se usassimo i #24milioniper l'equiparazione stipendiale e previdenziale dei #VigiliDelFuoco alle forze dell'ordine? Cosa ne pensate?

Posted by Carlo Sibilia on Wednesday, October 30, 2019

POMPIERI CONTRO LE STRUMENTALIZZAZIONI

Dura però la replica della sigla Usb: «Come vigili del fuoco ci sentiamo offesi», ha dichiarato il coordinatore nazionale Costantino Saporito, «per il comportamento che il Movimento 5 stelle ci ha riservato. Promettere solo pochi mesi fa 200 milioni di euro da destinare a chi rischia la vita e poi scoprire che è tutto falso e poi ancora ritrovarsi usati in un sondaggio social in contrapposizione con i terremotati lo riteniamo una mancanza di serietà. Una politica che viaggia solo a “spot” lo fa per nascondere l’incapacità di gestire la cosa pubblica. Ci piacerebbe sapere», ha concluso il sindacalista, «se Luigi Di Maio ha il coraggio di fare un sondaggio sul gradimento di spesa tra Radio radicale e gli F35». Sempre l’Usb ha poi fatto notare a Sibilia che proprio Radio Radicale da anni, grazie alla trasmissione Cittadini in divisa, dà voce ai problemi che affliggono il loro corpo.

In queste ore il Governo ha messo sotto attacco Radio Radicale, storico punto di riferimento della informazione. Come…

Posted by Usb Vigili del Fuoco on Wednesday, October 30, 2019

«STIAMO MORENDO DI LAVORO»

Problemi che sono stati efficacemente riassunti nell’ultimo incontro tra i sindacati e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, del 25 ottobre scorso: «Stiamo morendo di lavoro, le malattie professionali non riconosciute, non abbiamo carriere e i nostri stipendi non sono il frutto di un lavoro di confronto: sono bassi e inadeguati». I circa 30 mila vigili del fuoco italiani lamentano non solo il blocco del turn over che ha ridotto il rapporto tra pompieri e cittadini a uno ogni 15 mila abitanti (contro medie europee di 1 ogni 1000), ma ha anche alzato l’età media, che ormai supera abbondantemente i 50 anni: per un lavoro così usurante, che richiede prestanza fisica e prontezza di riflessi, sono troppi.

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LE FALLE DELLA COPERTURA ASSICURATIVA

Ma l’aspetto più increscioso è l’assenza di una copertura assicurativa certa: i pompieri sono costretti ad affidarsi all’Opera nazionale di assistenza, che autofinanziano, ma in caso di invalidità permanenti o decessi, occorre ricorrere a collette per dare un sostegno alla vittima o ai suoi famigliari. E i sinistri di tipo sanitario, per chi respira ceneri, miasmi, risultati della combustione di agenti chimici e persino l’amianto, sono all’ordine del giorno.

STIPENDI CHE NON SUPERANO I 1400 EURO AL MESE

Insomma, ammalarsi sul campo è davvero troppo facile e lo si fa per uno stipendio che per i capi squadra si aggira appena sui 1.400 euro al mese, tra i più bassi in Europa. Inoltre, si lamenta la necessità di fare straordinari non pagati per assenza di fondi e il dramma di operare con mezzi inadeguati, che spesso espone ulteriormente le loro vite a rischi mortali. Eppure, i pompieri sono sempre in prima linea, soprattutto in un Paese fragile come il nostro, funestato da incendi in estate, alluvioni in autunno e disastrosi terremoti tutto l’anno. 

AUMENTANO GLI INTERVENTI

Il loro lavoro continua infatti ad aumentare. Secondo l’ultimo annuario disponibile, nel 2017 hanno compiuto circa 80 mila interventi di soccorso a vittime di infortuni, contro le 40 mila del 2008, quasi 43 mila recuperi rispetto ai 9,5 mila circa di 9 anni prima e hanno prestato soccorso in oltre 42 mila incidenti stradali (nel 2008 erano stati 36.440). E potremmo continuare, perché sono sempre i vigili del fuoco a occuparsi della rimozione di alberi pericolanti, dell’apertura di porte a chi dimentica le chiavi, del salvataggio di persone intrappolate negli ascensori (oltre 20 mila interventi nel solo 2017) o degli animali d’affezione e da cortile in situazioni di pericolo e, persino, della bonifica di luoghi domestici da insetti pericolosi.

Nel 2017 i vigili del fuoco hanno compiuto circa 80 mila interventi di soccorso a vittime di infortuni, contro le 40 mila del 2008.

CASERME A PEZZI

Ma il più delle volte l’opera sarebbe richiesta all’interno delle loro stesse sedi. Non si contano infatti le caserme fatiscenti, con i soffitti che crollano e le stanze che si allagano a ogni temporale. Non esiste un annuario parallelo che riporti dati simili, ma le testimonianze in Rete, i filmati postati sui social e le denunce alle Asl e ai giornali sono numerosissime. Risulta fatiscente, per esempio, lo stabile dell’Hangar elicotteri di Genova, nella vicina Varazze sono stati sistemati per anni in un container, a Catania la sede centrale è stata recentemente invasa da blatte e da ratti e la mensa è stata chiusa per le disastrose condizioni igieniche, mentre a Gela la sede portuale è stata direttamente chiusa. Secondo le tabelle elaborate dal ministero dell’Interno, il tempo ottimale per il soccorso è di massimo 20 minuti: ma tra carenza d’organico e distaccamenti che chiudono, difficile rispettare i tempi e ogni secondo che passa espone le vittime degli incidenti a rischi sempre più elevati.

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Caos rifiuti a Roma, i carabinieri denunciano i dirigenti dell’Ama

I militari che si occupano di reati ambientali hanno indagato sui disservizi nella raccolta dell'immondizia del giugno scorso e verificato il mancato rispetto del contratto tra l'utility e il comune di Roma.

Una misura senza precedenti con i militari del Noe che denunciano alla giustizia i vertici della municipalizzata che non ha fatto il suo dovere nei confronti dei cittadini: a Roma succede anche questo. Per i disservizi verificatisi nel giugno scorso a Roma sul fronte della raccolta dei rifiuti, i Carabinieri del Noe hanno denunciato gli allora dirigenti dell‘Ama. Ma alla fine Ama ha sanato la posizione dei due funzionari sotto accusa, pagando una multa salata – 6.500 euro. Tanto è costato quello scenario d’emergenza, con cassonetti stracolmi e cataste di sacchetti di immondizia lasciati dai cittadini vicino a contenitori ormai saturi, direttamente in strada o sui marciapiedi che ha fatto scattare l’indagine e accertare i disservizi nella raccolta dell’immondizia.

NON RISPETTATO IL CONTRATTO DI SERVIZIO

L’indagine dei militari del Nucleo operativo ecologico era scattata dopo una serie di esposti dei cittadini che lamentavano i cassonetti stracolmi. I due dirigenti, Massimo Bagatti, già amministratore unico pro-tempore e attualmente direttore tecnico di Ama, e Massimo Ranieri, ex consigliere di amministrazione della municipalizzata capitolina, sono stati denunciati dai carabinieri del Noe e poi indagati dalla procura per un reato ben preciso, previsto dal Testo unico ambientale, di «stoccaggio non autorizzato di rifiuti, all’interno ed in prossimità dei cassonetti stradali» dovuto «all’inadeguata attività di raccolta ed avvio a recupero/smaltimento». L’azienda quindi non ha rispettato il «Contratto di servizio tra Roma Capitale e Ama Spa per la gestione dei rifiuti urbani e servizi di igiene urbana per gli anni 2019/2021».

INDAGINI MINUZIOSE NEI MUNICIPI

L’attività investigativa, coordinata dall’aggiunto Nunzia D’Elia e dal pm Luigia Spinelli, ha comportato controlli in alcuni municipi di Roma, tra cui anche il centro storico, dai quali sono emersi delle irregolarità nell’attività di raccolta. In particolare nei quartieri di Prati e Pigneto gli inquirenti hanno verificato che i cassonetti poco dopo essere stati svuotati tornavano a riempirsi nuovamente e pertanto il servizio non era adeguato alle necessità della zona. Con il pagamento della sanzione di 6.500 euro, fa sapere l’Ama, «le contestazioni del Noe sono già state derubricate a semplice ammenda».

IL CODACONS PUNTA SUI RIMBORSI DELLA TARI

Nel giugno scorso, «come è noto – ricorda l’azienda – ci sono stati rallentamenti nella raccolta dei rifiuti, dovuti alle criticità e forti decurtazioni nelle quantità di materiali accolte da impianti di trattamento terzi. Tali decurtazioni hanno poi reso necessaria l’emanazione di una specifica ordinanza da parte della Regione Lazio». La vicenda ha rinfocolato le polemiche politiche con Matteo Salvini, leader della Lega, andato all’attacco del sindaco Virginia Raggi. Ma non solo. Per il Codacons l’indagine «apre la strada ai rimborsi della Tari in favore dei cittadini romani». L’associazione si dice pronta «a sommergere l’azienda con una valanga di ricorsi».

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La Russia a gamba tesa in Libia manda 200 mercenari ad Haftar

Il Cremlino ha inviato i miliziani privati del gruppo Wagner in aiuto al maresciallo che cerca di far cadere il governo Sarraj. Mosca ha già impiegato l'agenzia in Siria, Ucraina, Africa e Venezuela.

Il Cremlino preme l’acceleratore nella crisi libica al fianco del generale Khalifa Haftar: nelle ultime sei settimane sono stati inviati circa 200 mercenari russi, tra cui cecchini esperti, appartenenti al gruppo Wagner di Yevgheni Prigozhin, lo ‘chef di Putin‘ incriminato dagli Usa per le interferenze nelle presidenziali e sanzionato per la guerra nell’Ucraina orientale. Lo scrive il New York Times. Inconfondibile la firma: l’uso di proiettili che non escono dal corpo, come nell’Ucraina orientale.

LA CAMPAGNA DI INFLUENZA RUSSA IN MEDIO ORIENTE

L’arrivo dei mercenari è parte dell’ampia campagna del Cremlino per riaffermare la sua influenza nel Medio Oriente e in Africa, dopo aver fornito jet Sukhoi, coordinato attacchi missilistici e di artiglieria, spiega il Nyt, che cita fonti libiche ed europee. «È esattamente la stessa cosa successa in Siria», dichiara Fathi Bashagha, ministro dell’interno del governo provvisorio di Tripoli, rievocando la guerra civile siriana. E, come in Siria, i partner locali che si erano alleati con gli Usa per combattere l’Isis ora si lamentano di essere stati abbandonati o traditi.

L’IMPATTO PESANTE DEI MERCENARI

La battaglia sul terreno è tra milizie con meno di 400 combattenti che si fronteggiano in un pugno di distretti alla periferia Sud di Tripoli e quindi l’arrivo di 200 professionisti russi potrebbe avere un impatto forte, secondo alcuni diplomatici. Tra l’altro dirigenti di Tripoli prevedono che Mosca porterà altri mercenari entro la fine della settimana.

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Inchiesta sul nuovo stadio della Roma, Centemero e Bonifazi a rischio processo

Il tesoriere della Lega e l'ex del Pd sono indagati per finanziamento illecito da parte del costruttore Luca Parnasi. Bonifazi, oggi in Italia Viva, è anche accusato di false fatture.

Rischio processo per Giulio Centemero, tesoriere della Lega e Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Pd ora passato a Italia Viva. La procura di Roma ha chiuso il filone di indagine, atto che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma. Nei confronti di Centemero è contestato il reato di finanziamento illecito così come per Bonifazi. Per quest’ultimo c’è anche l’emissioni di fatture per operazioni inesistenti.

FONDI A FONDAZIONE EYU DEL PD E ALL’ASSOCIAZIONE ‘PIÙ VOCI’ DEL CARROCCIO

Al centro dell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, i finanziamenti dell’ imprenditore Luca Parnasi. In particolare i 150 mila euro destinati alla fondazione Eyu, vicina al Pd, e i 250 mila euro all’associazione Più Voci presieduta all’epoca dei fatti da Centemero. Nei confronti di Parnasi, già sotto processo nel filone principale dell’inchiesta, l’accusa è di concorso in finanziamento illecito.

GLI UOMINI DI SALVINI E RENZI NELL’INCHIESTA

I finanziamenti da parte di Parnasi alla associazione Più Voci sono stati elargiti nel 2015 e nel 2016. Per quanto riguarda la fondazione Eyu il finanziamento risale al 2018. Nel capo di imputazione dell’atto di chiusura delle indagini che riguarda il tesoriere della Lega, Centemero e Parnasi, l’accusa di finanziamento illecito è contestata anche al commercialista Andrea Manzoni, che viene definito dai pm «l’attuale revisore legale del gruppo Lega-Salvini al Senato». Nel segmento di indagine che riguarda Bonifazi, il finanzimanto illecito è contestato anche a Gianluca Talone, commercialista di Parnasi e a Domenico Petrolo,​ responsabile delle relazioni esterne «nonchè ‘fundraising‘ di Eyu». Petrolo, così come Bonifazi, risponde pure dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

FUNZIONARIA DELLA SOPRINTENDENZA SOTTO ACCUSA

Infine rischia di finire sotto processo, per una tentata concussione ai danni di Parnasi avvenuta nel gennaio del 2018, anche Anna Buccellato, funzionaria della soprintendenza archeologica. La funzionaria è accusata di avere tentato di imporre ad Eurnova, società all’epoca dei fatti guidata da Parnasi, alcuni archeologi per sondaggi preventivi nell’area dello stadio, arrivando a minacciare «una vera e propria guerra» al gruppo Parnasi se non fosse stata cambiata la persona indicata dalla società.

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Il razzismo negli stadi si combatte anche con le parole giuste

Quelli contro Balotelli sono «versi di scimmia», non «buuu». Chi li fa non è solo un «imbecille». La «goliardia» è un'altra cosa. Fare la conta di chi insulta non serve. Così come prendersela con le vittime. Piccoli accorgimenti per un racconto più efficace del fenomeno.

Gli stadi italiani sono pieni di razzisti. Diciamolo chiaramente, una volta per tutte. Anche se lo saranno un po’ meno visto che il capo ultrà dell’Hellas è stato bandito fino al 2030. Il campionato è appena iniziato e gli episodi già si moltiplicano. È successo a Verona, Bergamo, Cagliari, Roma. Praticamente ogni domenica. Il 3 novembre è esploso il caso Mario Balotelli. Con strascichi di polemica e i consiglieri comunali di Verona che vogliono denunciarlo per aver diffamato la città. Ci si ritrova sempre a discuterne dividendosi, cercando alibi e scuse, e spesso usando termini sbagliati anche sui giornali. Perché il racconto di un fenomeno è fondamentale per la sua percezione, e comunicare bene un problema è spesso il primo passo per risolverlo. Ecco allora alcune cose che bisognerebbe fare quando si parla di razzismo negli stadi.

CHIAMIAMOLI VERSI DI SCIMMIA, NON BUUU

Non sono fischi, non sono buuu, non sono nemmeno ululati. Sono versi di scimmia e definirli appropriatamente non è affatto secondario, perché il loro contenuto razzista sta proprio in ciò che rappresentano. L’accostamento dei neri alle scimmie è da sempre uno dei mezzi retorici più utilizzati per asserirne l’inferiorità, negando loro umanità e riducendoli a un ambito bestiale. Cominciamo a chiamarli «versi di scimmia» e già una buona parte dell’equivoco verrà risolto.

EVITARE IL CONFRONTO COI FISCHI AI BIANCHI

Non se ne può più di sentire frasi come: «L’hanno fatto anche a quel giocatore bianco» o per dirla come il presidente della Lazio Claudio Lotito, «anche a quelli con la pelle normale». Ammesso anche che sia vero, fare il verso della scimmia a un bianco non è uguale a farlo un nero, e questo per il semplice fatto che i bianchi non sono mai stati accostati alle scimmie per denigrarne le qualità. Inutile e dannoso anche sostenere che se fosse vero razzismo colpirebbe anche i giocatori della squadra sostenuta dalla tifoseria razzista di turno. Il razzismo non deve per forza essere democratico per essere tale.

PARLARE DI RAZZISTI, NON DI IMBECILLI

Non sono imbecilli, sono razzisti. Le due cose vanno quasi sempre e braccetto, è vero, ma la scelta semantica di un termine invece dell’altro è un fatto politico che tende a negare l’esistenza del problema. Il razzismo esiste, a volte è consapevole altre volte meno. In ogni caso sembra esprimersi e dar sfogo in determinati contesti sociali.

NON DEFINIRLA GOLIARDIA

Non importa nemmeno l’intenzione con cui l’insulto viene fatto. Fosse anche solo «per infastidire l’avversario», ricorrere al razzismo e farlo sentire inferiore per via del colore della sua pelle è inaccettabile. C’è una lunga storia di disumanizzazione, tratta, schiavitù e privazione di diritti a motivare l’inaccettabilità di un coro razzista. E non c’è niente di goliardico nel razzismo, con buona pace di Luca Castellini, capo ultrà dell’Hellas Verona.

EVITARE L’INUTILE E DANNOSA CONTA

Quante volte si sentono frasi come «erano solo quattro gatti» o «i soliti 10 imbecilli». Come se il numero contasse davvero qualcosa. È lapalissiano che se a ricorrere all’insulto razzista fosse uno stadio intero la situazione sarebbe ancora più grave, ma sminuire l’impatto numerico del fatto ha come effetto quello di individualizzare il problema dimenticandone la natura socio-culturale. Il problema non sono solo i «quattro gatti» o «10 imbecilli» che fanno il verso della scimmia in Curva, ma anche tutti quelli che ne sminuiscono le azioni parlando di goliardia o di intento provocatorio.

SMETTERLA COL VICTIM BLAMING

«Eh, però Mario Balotelli lo conosciamo». «Ma Moise Kean ha provocato la Curva». «Sulley Muntari ha passato tutta la partita a picchiare». Sono solo alcune delle frasi a cui spesso si ricorre per giustificare l’insulto razzista. In un insopportabile ribaltamento della responsabilità, la colpa finisce per ricadere sempre sul giocatore. Che, beninteso, può benissimo avere atteggiamenti poco educati e fastidiosi per il pubblico, ma non per questo merita di ricevere un insulto razzista che non colpisce solo lui individualmente, ma chiunque abbia il suo stesso colore di pelle.

NON DARE VOCE A QUESTI SOGGETTI

Di tutte le cose, forse la più importante da fare è non dare voce ai razzisti. Dell’intervista di Radio Café al capo ultrà dell’Hellas Verona non se ne sentiva il bisogno. Cosa ci aspettavamo dal leader di una tifoseria tradizionalmente legata all’estrema destra e che in un passato non troppo remoto usava impiccare fantocci in Curva per manifestare il proprio dissenso all’ingaggio da parte del club di un giocatore nero? Così Castellini, iscritto a Forza Nuova, ha potuto portare fuori dallo stadio il vecchio e stantio slogan per cui «non ci sono ne*ri italiani», sostenendo davanti a un microfono che Balotelli non potrà mai essere considerato del tutto un suo connazionale.

ESALTARE IL PESCARA, CRITICARE IL VERONA

Ora, davanti a episodi del genere, una società può reagire in due modi: prendere le distanze dai propri tifosi razzisti o fingere che non siano razzisti. Il Pescara ha scelto la prima strada, cacciando via social un suo ormai “ex sostenitore” iscritto a CasaPound che si lamentava per le prese di posizione antirazziste del club.

Il Cagliari, dopo un primo tentativo di negare il problema in occasione della sfida alla Juventus e degli insulti a Kean nella stagione 2018-2019, ne ha preso atto e ha firmato un comunicato in cui definiva «sparuti ma non meno deprecabili» quelli rivolti a Romelu Lukaku nella partita con l’Inter di fine agosto. Il Verona ha scelto invece una strada diametralmente opposta, negando ogni insulto razzista prima per bocca del suo allenatore Ivan Juric («nessun razzismo, solo sfottò»), poi col presidente Maurizio Setti («nessun coro, Verona non è razzista»). Esaltiamo i primi, critichiamo i secondi. Sempre.

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Addio ad Antonutti, una delle voci più intense del nostro cinema

L'attore si è spento a 84 anni. Noto soprattutto per aver interpretato il Padre padrone dei fratelli Taviani, ha doppiato tra gli altri Christopher Lee e Omar Sharif.

È scomparso Omero Antonutti, doppiatore e interprete di tante pellicole a cominciare da Padre padrone dei fratelli Taviani. Nato in Friuli Venezia Giulia, a Basiliano nel 1935, si è spento il 5 novembre all’ospedale di Udine dopo una lunga malattia. Noto soprattutto come doppiatore, Antonutti ha prestato la sua voce tra gli altri a Christopher Lee ne Il Signore degli anelli, a John Hurt in V per Vendetta e a Omar Sharif in Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. Ed è sempre sua la voce narrante de La vita è bella di Roberto Benigni e de Il mestiere delle Armi di Ermanno Olmi.

DAI TAVIANI A PLACIDO: LA CARRIERA AL CINEMA

Molto vicino ai fratelli Taviani, oltre a Padre Padrone, girò con loro anche La notte di San Lorenzo (1982), Kaos (1984) e più recentemente Tu ridi (1998). Sempre al cinema, Antonutti ha interpretato Farinelli – Voce regina di Gérard Corbiau, Un eroe borghese di Michele Placido, I banchieri di Dio – Il caso Calvi di Giuseppe Ferrara, La ragazza del lago e, nel 2008, Miracolo a Sant’Anna.

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Conte mostra i muscoli sull’ex Ilva: «Saremo inflessibili»

La pentastellata Lezzi contro le retromarce sullo scudo: «Lo abbiamo abolito grazie alla Lega». Intanto il premier esclude il coinvolgimento di soggetti diversi da ArcelorMittal. E il ministro Patuanelli lancia otto accuse all'azienda su Facebook.

Il premier Giuseppe Conte ha escluso l’eventualità che nella partita sull’ex Ilva di Taranto possano entrare soggetti diversi da ArcelorMittal. «I nostri interlocutori sono quelli che ci sono ora e che devono rispettare gli impegni contrattuali», ha detto infatti il presidente del Consiglio, rispondendo alle indiscrezioni di stampa secondo cui Matteo Renzi starebbe lavorando per coinvolgere il gruppo Jindal, che guidava la cordata sconfitta nel 2017. «Pretendiamo che siano rispettati gli impegni per quanto riguarda le bonifiche ambientali, che sono un tassello fondamentale della complessa strategia industriale per la comunità e il polo industriale di Taranto», ha aggiunto il capo del governo.

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L’incontro con i vertici di ArcelorMittal è previsto per il 6 novembre: «È stato stipulato un contratto e saremo inflessibili, hanno partecipato a una gara con evidenza pubblica e in Italia si rispettano le regole». Il punto, però, è che il contratto prevede la possibilità di recesso in caso di cambiamenti rilevanti delle norme di legge, tali da mettere in discussione il piano industriale. Per ArcelorMittal, l’abolizione dello scudo penale rientra in questa casistica. Di sicuro c’è che il diritto di recesso non può essere proclamato in maniera unilaterale, ma dovrà essere accertato in Tribunale se le parti non si metteranno d’accordo.

ilva taranto conte arcelormittal

Sul punto è tornato anche il leader di Iv Matteo Renzi che si era proposto per far tornare Jindal a Taranto: «Nessuno di noi di Italia Viva fa nascere cordate. È evidente che qualora si arrivasse per le norme italiane a ottenere da parte di Mittal il recesso, primo classificato nella gara, si va a chiedere al secondo (Jindal, ndr), una cordata che già esisteva, non ce la siamo inventata noi. Se il primo salta ci va il secondo. Se il premier dice che Mittal deve onorare il contratto, tutti devono stare con lui, dalla parte delle istituzioni», ha dichiarato ai giornalisti a margine della presentazione di un libro a Roma.

PATUANELLI CONTRO L’AZIENDA SU FACEBOOK

Per Conte «non si può pensare di cambiare una strategia imprenditoriale adducendo a giustificazione lo scudo». E mentre il Pd invita il presidente del Consiglio a riferire in parlamento in tempi brevi, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5s) mette sotto accusa ArcelorMittal con un lungo post su Facebook, definendola una multinazionale che «accampa scuse strumentali e prende in giro lo Stato».

Buongiorno a tutti.C’è una cosa che in Italia non cambia mai: anche quando una multinazionale accampa scuse strumentali…

Posted by Stefano Patuanelli on Tuesday, November 5, 2019

LA LEZZI RINGRAZIA LA LEGA: «GRAZIE PER LO SCUDO ABOLITO»

In Aula al Senato l’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi ha invece chiesto di non tornare indietro sullo scudo penale: «So che possono essere intraprese diverse strade, ma senza tornare indietro su quello che il Parlamento ha deciso due volte, una volta con la Lega e una con il Pd». E ha ringraziato la Lega per averlo abolito insieme: «Io sono sempre stata contraria all’ immunità e ringrazio la Lega perché grazie a loro che abbiamo abolito lo scudo. La mia posizione non è mai cambiata».

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Nella bozza del bilancio Ue il contributo dell’Italia sale di 2,5 miliardi

Aumenti sono previsti per tutti gli Stati membri. Le cause? La Brexit ma non solo.

Se la proposta della Commissione Ue verrà approvata, il contributo dell’Italia al bilancio 2021-2027 dell’Ue sarà in media di 15,27 miliardi di euro l’anno, per un totale di 106,9 miliardi. Si tratta di 2,52 miliardi in più rispetto al 2014-2020, durante il quale l’Italia versa in media 14,91 miliardi l’anno. È quanto risulta dai dati pubblicati dalla Commissione Ue, che non fornisce però i dettagli su quante risorse Ue tornano ogni anno nei vari Paesi. Aumenti sono previsti per tutti gli Stati membri.

DIFFICILE UN ACCORDO ENTRO L’ANNO

In termini di Reddito nazionale lordo, l’Italia passerebbe da un contributo medio annuo pari allo 0,85% del Rnl per il 2014-2020 allo 0,87% per il 2021-2027. Secondo i calcoli della Commissione Ue, a fronte di un versamento medio annuo di 15,27 miliardi di euro (prezzi 2018), nel 2021-27 l’Italia beneficerà di 81,63 miliardi di euro l’anno derivanti dall’appartenenza al Mercato unico, pari al 4,33% del Rnl. La Commissione Ue ha proposto per il 2021-2027 un bilancio dell’Unione pari all’1,11% del Rnl europeo. Il Parlamento europeo chiede l’1,3%, ma i Paesi membri sono ancora lontani dal trovare un accordo, come testimoniato anche dalle parole del 30 ottobre del commissario Ue al Bilancio, Gunther Oettinger: «Credo che durante il Consiglio europeo di dicembre ci saranno sicuramente dei progressi ma non ancora un’intesa sul bilancio».

NUOVE PRIORITÀ DI BILANCIO

Secondo la proposta dell’esecutivo, il primo contributore al bilancio Ue in termini relativi al Rnl diventerebbe il Lussemburgo con l’1,08% (per l’attuale periodo versa lo 0,86%), seguito da Estonia e Bulgaria, entrambi all’1,06% (oggi rispettivamente 0,86% e 0,87%). Il contributo tedesco salirebbe dallo 0,75% medio annuo del 2014-2020 allo 0,88%, quello francese dallo 0,85% allo 0,91%. Gli aumenti sono dovuti sia alla Brexit che alla definizione di nuove priorità di bilancio per l’Unione, come la sicurezza e la lotta al cambiamento climatico, oltre che alla crescita economica in molti Paesi e agli effetti dell’inflazione.

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E ora i consiglieri comunali di Verona vogliono denunciare Balotelli

Dopo gli insulti razzisti al giocatore, mozione firmata da Lega e lista civica del sindaco contro «chi diffama la città».

Prima i versi della scimmia in Curva, poi il tentantivo di minimizzare da parte del sindaco. Ora il Comune di Verona potrebbe persino adire le vie legali nei confronti di Mario Balotelli e di chi ha diffamato la città. È quello che hanno proposto quattro consiglieri comunali in una mozione che ha come primo firmatario Andrea Bacciga, eletto con “Battiti“, la lista civica del sindaco Federico Sboarina. Gli altri firmatari sono i consiglieri della Lega Alberto Zelger, Paolo Rossi e Anna Grassi. Mentre il capo ultrà dell’Hellas è stato bandito dagli stadi fino al 2030.

«CAMPAGNA MEDIATICA E FANGO»

Nella mozione è scritto: «Nessuno presente allo stadio durante la partita Brescia-Verona udiva ululati: né il pubblico, né la panchina del Brescia, né i giornalisti di Sky a bordo campo». Poi i consiglieri hanno proseguito: «Iniziava da subito una campagna mediatica contro la città di Verona sia da alcuni politici, come risulta dal comunicato del Partito democratico, sia da alcuni giornalisti che, seppur non presenti allo stadio, non hanno perso l’occasione di gettare fango sulla nostra città».

«ALLO STADIO NON È SUCCESSO NULLA»

Considerato quindi che «non è accettabile che Verona sia messa sul banco degli imputati, pur quando, come in questo caso, non è successo nulla (ma anche nel video qui sotto i versi da scimmia si sentono chiaramente, ndr)», i quattro consiglieri comunali con questa mozione hanno impegnato «il sindaco, l’assessore a gli uffici legali del Comune a diffidare legalmente e/o adire le vie giudiziali nei confronti del calciatore e di tutti coloro che attaccano Verona diffamandola ingiustamente».

SALVINI: «DA SEGRE POSSO IMPARARE, DA MARIO NO»

Intanto il leader della Lega Matteo Salvini, nel corso di un appuntamento politico a Napoli, è tornato sulla vicenda attaccando ancora il giocatore ex Milan: «Penso che chi nega l’Olocausto va curato da uno bravo bravo. Ma sul fatto di mettere in mano a una commissione partitica il giudizio di cosa è razzismo ho qualche dubbio. Sull’antisemitismo nessun problema: vanno curati sia quelli che vanno in giro con la svastica sia quelli con falce e martello. Di sicuro Liliana Segre può insegnarmi qualcosa, Balotelli no».

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Il Verona mette al bando il capo ultrà Castellini fino al 2030

L'Hellas ha deciso per una drastica misura interdittiva dopo le parole dell'esponente di Forza Nuova su Mario Balotelli, giudicate «gravemente contrarie ai valori del nostro club». Chiuso per un turno il settore della curva da cui sono partiti gli ululati razzisti.

L’Hellas Verona ha deciso di mettere al bando dallo stadio il capo ultrà Luca Castellini fino al 2030. La drastica misura interdittiva è arrivata dopo le deliranti parole dell’esponente di Forza Nuova su Mario Balotelli, bersagliato da buu razzisti e versi di scimmia durante Verona-Brescia. Il giorno successivo Castellini aveva detto che Balotelli non potrà mai essere del tutto italiano. Espressioni «gravemente contrarie ai principi etici e ai valori del nostro club», ha scritto il Verona in un comunicato ufficiale.

LEGGI ANCHE: Alcuni consiglieri comunali di Verona vogliono denunciare Balotelli

Lo strumento a cui l’Hellas ha fatto ricorso è la cosiddetta sospensione del gradimento, che permette direttamente alle società di calcio di sospendere o revocare – a seconda della gravità dei fatti – l’accesso allo stadio ai tifosi che violano il regolamento dell’impianto, sia che siano in possesso di biglietti per la singola partita, sia che siano titolari dell’abbonamento stagionale.

LEGGI ANCHE: Quelli che sul caso Balotelli proprio non ce la fanno

Il giudice sportivo, intanto, ha deciso di ordinare un turno di chiusura per il settore ‘Poltrone Est’ dello stadio del Verona, dal quale sono partiti gli ululati razzisti contro Balotelli. Secondo la procura della Figc, i responsabili sarebbero una ventina di persone. L’attaccante del Brescia ha reagito platealmente, scagliando il pallone verso di loro. La Lega Serie A sta collaborando con la polizia per identificarli. L’obiettivo è impedire loro ogni futuro ingresso in uno stadio italiano.

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Strage di mormoni in Messico per mano dei cartelli della droga

Una decina di persone vittima di un'imboscata. Uccisi anche bambini e due neonati. Alcuni sono stati bruciati vivi. La zona al confine con gli Usa è infestata dai trafficanti.

Una storia che intreccia mormonismo e cartelli delle droga. Vittime una decina di mormoni americani, tra cui almeno quattro bambini e due gemelli neonati di sei mesi e le loro madri, brutalmente uccisi in Messico in una imboscata da colpi d’arma da fuoco. Alcuni di loro sono stati bruciati vivi.

AUTO BLOCCATE DA UOMINI ARMATI

La notizia è stata riportata dai media internazionali. La polizia locale ritiene che la strage sia opera dei trafficanti di droga. Il gruppo viaggiava in automobile quando è stato bloccato da uomini armati che hanno sparato e dato fuoco alla vettura.

TRUMP: «SE MESSICO HA BISOGNO, USA PRONTI A FARE IL LAVORO»

L’episodio ha anche riaperto le polemiche tra Messico e Stati Uniti. Il presidente Usa Donald Trump ha infatti commentato su twitter: «Una splendida famiglia dello Utah è finita nello scontro fra due cartelli di droga che si stavano sparando. Il risultato è stata l’uccisione di molti americani. Se il Messico ha bisogno o chiede aiuto contro questi mostri, gli Stati Uniti sono pronti a essere coinvolti e a fare il lavoro in modo veloce ed efficace».

«IL MESSICO NON HA BISOGNO DELL’INTERVENTO USA»

Ma il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador, ha replicato a Trump: «Il Messico non ha bisogno dell’intervento americano per risolvere i suoi problemi». «Il Messico», ha affermato Obrador, spiegando che vuole comunque parlare con il leader Usa, «è pronto a lavorare con l’Fbi purché la sua indipendenza sia rispettata, e non penso che avremo bisogno di un intervento straniero».

ZONA INFESTATA DA TRAFFICANTI E BANDITI

Il massacro – secondo quanto riferito da un leader della comunità familiare di una vittima a Radio Formula, emittente messicana – è avvenuto a Rancho de la Mora, al confine tra gli Stati di Chihuahua e Sonora, vicino al confine con gli Stati Uniti, in una zona infestata dai cartelli della droga e da banditi di ogni genere.

ATTIVITÀ MISSIONARIA IN MESSICO

Il procuratore di Chihuahua, César Augusto Peniche – ha scritto il Telegraph – ha affermato che il numero delle vittime rimane «incerto». Secondo alcuni media sarebbero almeno nove, per altri oltre una decina, tutti appartenenti alla folta comunità mormone e tutti di origine statunitense, che svolgono attività missionaria per la loro chiesa in Messico.

MADRE E FIGLI CRIVELLATI DI PROIETTILI

Stando a quanto spiegato da uno dei leader della comunità e cugino di una delle vittime, Julian Lebaron, il gruppo si stava dirigendo verso il confine americano per andare a prendere un parente all’aeroporto di Phoenix, negli Stati Uniti, quando uomini armati gli hanno teso un’imboscata. I mormoni viaggiavano in un convoglio di vari automezzi. Dentro uno di questi sono stati trovati i corpi di una madre e dei suoi quattro figli con i corpi crivellati di proiettili.

ALCUNI FUGGITI, ALTRI DISPERSI

Altre due auto sono state ritrovate a una certa distanza alcune ore dopo; al loro interno i cadaveri di altre due donne e due bambini. Cinque o sei bambini sarebbero riusciti a fuggire e tornare a casa, ma altre persone, tra cui una ragazza scappata nel bosco per nascondersi, risultano dispersi. I governi di Chihuahua e Sonora hanno rilasciato una dichiarazione congiunta affermando che è stata avviata un’indagine e che ulteriori forze di sicurezza sono state inviate nell’area.

UNA COMUNITÀ TRA RELIGIONE E POLIGAMIA

Il fratello di Julian Lebaron, Benjamin Lebaron, che aveva fondato un gruppo di lotta al crimine chiamato Sos Chihuahua, era stato assassinato nel 2009. La comunità colpita è formata da discendenti di mormoni che fuggirono dagli Stati Uniti nel XIX secolo per scappare dalla repressione della poligamia, praticata nella loro religione. Molti mormoni in Messico godono della doppia cittadinanza messicana e americana.

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«Io sono Giorgia», storia del tormentone ispirato a Giorgia Meloni

«Genitore 1, genitore 2». Il remix del discorso della leader di FdI in piazza San Giovanni è una hit virale. Grazie alle versioni che sono fiorite sui social. Eccone una carrellata.

«Sono una donna, sono una cristiana, sono una madre e non me lo toglierete. No a genitore uno e genitore due, noi difendiamo i nostri nomi perché non siamo codici». Il “manifesto” di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, gridato dal palco di piazza San Giovanni a Roma ha fatto centro, non c’è che dire. Ma forse non proprio come Giorgia si aspettava. Già, perché dopo la vittoria del centrodestra «Io sono Giorgia» è diventata una hit, un tormentone virale declinato sui social in numerose versioni. Tutte sul remix di Mem&J.

Così è nata la #iosonoGiorgiaChallenge: c’è chi ha fatto ballare sulle note di Meloni cartoni animati – imperdibili Bear, l’orso della grande casa Blu e i Teletubbiesattrici di Bollywood e persino Willy il principe di Bel-Air. Abbiamo raccolto qui le versioni più divertenti.

WILLY SULLE NOTE DI GENITORE 1, GENITORE 2

Questa #GiorgiaChallenge ormai sta prendendo un brutta piega…Vai Will!!

Posted by FitZia, Mirto e Scivolizia on Sunday, November 3, 2019

IL FLASH MOB

BEYONCÉ

L’ORSO BEAR

Genitore uno, genitore due *tunz tunz

Come saprete, questa pagina è seria e l'admin che la gestisce pure!#iosonogiorgiachallenge

Posted by Koogai. on Sunday, November 3, 2019

GIORGIA GOES TO BOLLYWOOD

RAGAZZI, VI PREGO, FATEMI SMETTERE. È DIVENTATA LA MIA NUOVA DIPENDENZA!ORA ANCHE IN VERSIONE BOLLYWOOD #IoSonoGiorgiaChallenge

Posted by Adam Internätional on Monday, November 4, 2019

I TELETUBBIES

Addio.

Posted by INPS per la Famiglia Tradizionale on Monday, November 4, 2019

IN VERSIONE DISNEY

#iosonogiorgiachallenge

Posted by Crudelia Memon on Saturday, November 2, 2019

POTEVA MANCARE UN CROSSOVER CON “MATTARELLA ASCOLTA COSE”?

Mattarella ascolta:

Io Sono Giorgia (Giorgia Meloni Remix)

Posted by Mattarella ascolta cose on Monday, November 4, 2019

BRANDAN JORDAN

BALLANDO SOTTO LA PIOGGIA

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I PASSI DI JOKER

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Prada è il primo brand del lusso a sottoscrivere un finanziamento legato alla sostenibilità

Il Sustainability Term Loan è stato disposto da Crédit Agricole Corporate e Investment Bank, che funge anche da Sustainability Coordinator, Sustainability Advisor e Facility Agent, mentre Crédit Agricole Italia è l’istituto finanziatore.

Prada S.p.A. è la prima azienda nel settore dei beni di lusso a sottoscrivere con Crédit Agricole Group un finanziamento legato alla sostenibilità. Questa operazione introduce un meccanismo premiante che permette di collegare il raggiungimento di obiettivi in materia di sostenibilità a un aggiustamento annuale del margine. Il tasso del finanziamento (50 milioni di euro erogati nell’arco di cinque anni) potrà quindi essere ridotto in funzione del conseguimento di risultati relativi al numero di punti vendita con certificazioni LEED Gold o Platinum, al numero di ore per la formazione dei dipendenti e all’uso di nylon rigenerato per la propria produzione.

«Il settore del lusso è sempre più impegnato nel conseguimento di uno sviluppo sostenibile», ha dichiarato Alberto Bezzi, Senior Banker in Crédit Agricole Corporate and Investment Bank. «Sono molto orgoglioso di questa collaborazione», ha infine aggiunto il manager, «che conferma gli sforzi attuati da Prada per intraprendere e coltivare comportamenti virtuosi in grado di contribuire a una crescita responsabile».

«Questa operazione testimonia quanto la sostenibilità sia un elemento chiave per lo sviluppo del Gruppo Prada», ha invece chiosato Alessandra Cozzani, Chief Financial Officer dell’azienda. «Siamo certi che questa collaborazione con Crédit Agricole, tra i leader del settore, aiuterà a estendere i benefici di una gestione di impresa responsabile anche al mondo finanziario», ha concluso la dirigente.

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Siamo realisti: l’Arabia Saudita è un interlocutore necessario

Ombre e atrocità pesano su Riad. Ma quando si parla di interessi economici, commerciali e finanziari serve lucidità. E con MbS bisognerà fare i conti ancora a lungo.

L’Arabia Saudita è tornata a far parlare di sé. E questa volta non per l’orrendo omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato di Istanbul e la sparizione del cadavere o per la sconcertante andamento della guerra condotta in Yemen, peraltro più nota per le vittime civili che per le sue ragioni di merito. O ancora per il tasso di assolutismo che continua a contraddistinguere il regime degli Al Saud; o per l’attacco subìto ai suoi siti petroliferi che taluni hanno letto più come l’evidenza di una colpevole fragilità che una violenza terroristica da condannare. Ed è tornato a far parlare di sé il giovane principe ereditario, Mohammed bin Salman, chiamato Mbs, al quale si addebitano le responsabilità di fondo di tutto ciò che è avvenuto, nel bene e nel male – più nel male naturalmente – dal giugno del 2017, da quando cioè è stato nominato in rapida successione vice-primo ministro e ministro della Difesa, presidente del Consiglio per gli Affari economici e titolare di altri settori del Paese, in avanti.

TUTTI IN FILA PER LA “DAVOS DEL DESERTO”

L’Arabia Saudita è tornata a far parlare di sé per due ragioni principali. Innanzi tutto per la terza edizione del Forum finanziario organizzato dal Fondo saudita per l’investimento (Pif), la cosiddetta “Davos del deserto”. Boicottata nel 2018 proprio in conseguenza dell’omicidio Khashoggi ha visto quest’anno il ritorno massiccio di presidenti, primi ministri e uomini d’affari: 6 mila persone da oltre 30 Paesi. Una folta rappresentanza occidentale che andava dagli Usa con i ministri del Tesoro Mnuchin e dell’Energia Rick Perry, l’ex premier britannico David Cameron, gli ex primi ministri François Fillon, Kevin Rudd e il nostro Matteo Renzi. Una non meno cospicua rappresentanza finanziaria che ha compreso, tra gli altri Hsbc, Blackstone, Blackrock e Credit Suisse come ha ben ricordato il Guardian.

LE CRITICHE AL VIAGGIO DI RENZI

La partecipazione di Renzi è stata criticata. Da alcuni per la bizzarra identificazione di quella conferenza con un incontro di produttori di armi; da altri per le nefandezze o comunque per gli errori di quel regime, dimenticando la storia dei robusti e trasversali rapporti che l’Italia ha sviluppato con l’Arabia Saudita dal 1932 in avanti, e non certo per una altrimenti colpevole sottovalutazione delle differenze esistenti tra i due Paesi, principalmente in materia di natura di regime e di rispetto dei diritti umani. Differenze oggi forse un po’ meno marcate che nei decenni precedenti e che in ogni caso sono rilevabili in misura anche maggiore in altri Paesi, a cominciare dalla Cina, con i quali coltiviamo realisticamente relazioni a tutto campo. Ma tant’è, con buona pace delle prospettive che si stanno aprendo con non poche difficoltà, peraltro comprensibili, con il progetto, a dir poco avveniristico di Neom, consistente nella creazione di un’area economica del futuro nel Nord Ovest del Paese stimata in un costo di oltre 500 miliardi di dollari.

L’OPERAZIONE ARAMCO E LA STRADA VERSO VISION 2030

La seconda ragione per la quale si è riparlato e si riparla dell’Arabia Saudita e di Mbs è la gigantesca operazione finanziaria dell’entrata in Borsa dell’Aramco, la struttura petrolifera e del gas più ricca e redditizia del mondo, valutata in circa 1,5 trilioni di dollari. Più volte rinviata per ragioni che si nascondono nella nebbia decisionale della Casa reale, essa viene ora calendarizzata e ne risulta confermato la finalità di riversarne la parte in offerta, che dovrebbe oscillare tra l’1% e il 2%, tra i 20 e i 30 miliardi di dollari, nel già ricordato Pif, il Fondo sovrano saudita per finanziare l’ambizioso programma di progressiva emancipazione dal petrolio. Emancipazione che costituisce il perno della cosiddetta Vision 2030, un programma lanciato a metà del 2016 e che disegna un orizzonte di modernizzazione a tutto campo: dall’identità nazionale alla cultura, dall’occupazione al benessere sociale, dall’apertura al mondo intero, alla diversificazione economica, all’efficienza burocratica, allo sviluppo tecnologico, al riscatto della donna. Insomma, un orizzonte tanto visionario quanto impegnativo da far tremare le vene e i polsi in un Paese dalle profonde caratteristiche tribal-conservatrici come l’Arabia Saudita.

Penso che si possa dare atto alla Casa reale di aver mantenuto in qualche modo la rotta e di averla integrata con proiezioni innovative

In effetti, a distanza di meno di tre anni, i primi passi compiuti nella direzione della Vision 2030, decisamente i più faticosi, sono stati marcati da errori e incertezze e da ostacoli imprevisti come quelli sopra ricordati. Penso tuttavia che si possa dare atto a quella Casa reale, e al binomio re-principe ereditario in particolare, di aver mantenuto in qualche modo la rotta e di averla integrata con proiezioni innovative in materia di politica regionale e internazionale, dalla Siria all’Iraq passando per il Libano e la Giordania, dalla Cina alla Russia con la quale ha collaborato alla formazione della quota del Comitato costituente assegnata all’opposizione siriana oltre che nella stabilizzazione del mercato energetico.

LA MACCHIA DELLA GUERRA IN YEMEN

Lo Yemen continua a rappresentare un’insopportabile palude di sangue, ma le responsabilità della controparte non sono trascurabili; la contrapposizione con l’Iran si è mossa al seguito della pressione sanzionatoria americana, ma sono affiorati anche segnali di disponibilità a propiziare un abbassamento della tensione mentre la stessa Unione europea sta maturando non poche riserve in merito alla sua politica regionale. Mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sta suscitando crescenti perplessità per la sua disinvolta aggressività e la mancanza di scrupoli in materia di partenariato e/o di alleanze.

CI SONO MOMENTI IN CUI LE OSTILITÀ VANNO MESSE DA PARTE

Dico questo in estrema sintesi per sottolineare come in fondo il regime di questo Paese in cui tutto, anche e soprattutto il cosiddetto empowerment delle donne, deve discendere dal vertice e non dal basso, come avveniva tempo addietro anche nei nostri regimi assolutistici, riceva da parte dell’opinione pubblica internazionale un fondato giudizio critico. Ma esso dovrebbe essere mediato non solo dalla consapevolezza e dal rispetto dei vincoli storici e culturali di quel Paese, ma anche dalla disponibilità a mettere da parte riserve e ostilità quando la parola passa sul terreno degli interessi economici, commerciali e finanziari. Di quelli grandi, ma anche di quelli medi e piccoli, come ci dicono i negozi e gli stessi supermercati di Gedda, di Dharhan o di Riad. E l’Arabia Saudita è un interlocutore necessario e non solo per la stabilità del Medio Oriente. Lo è anche per i nostri interessi. Mohammed bis Salman ha solo 34 anni e dunque un prevedibile lungo regno. Tenerne conto è solo segno di realismo politico, tanto più nell’attuale contesto, regionale e internazionale, nel quale i leader democratici e disposti a co-interessenze tutt’altro che trascurabili non abbondano.

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Emendamento di Renzi per ripristinare lo scudo penale all’ex Ilva

Il leader di Italia viva attacca ArcelorMittal: «Ritengo che se ne voglia andare e stia cercando pretesti». L'ex premier punterebbe su una cordata alternativa.

È «già pronto» l’emendamento di Italia viva per ripristinare lo scudo penale all’ex Ilva di Taranto, ovvero la scriminante che consente agli attuali amministratori dell’acciaieria di non essere imputabili durante la realizzazione del piano ambientale, messo a punto per porre rimedio ai gravissimi problemi di inquinamento che si trascinano fin dagli Anni 70.

LEGGI ANCHE: Il caso Ilva riapre lo scontro nel governo

RENZI ATTACCA ARCELORMITTAL

Ma il leader del partito, Matteo Renzi, attacca ArcelorMittal: «Ritengo che se ne voglia andare e stia cercando pretesti. Il problema è capire se qualcuno vuole chiudere Taranto per togliersi dai piedi un potenziale concorrente. È un rischio che molti hanno evocato fin dai tempi della gara, nel 2017. Ma proprio per questo credo che si possa agevolmente recuperare la questione dello scudo penale anche con un emendamento al decreto fiscale che sta per arrivare in parlamento. Lo ha già preparato la collega Lella Paita e lo firmeranno molti di noi».

LEGGI ANCHE: Chi è Lucia Morselli, amministratore delegato di ArcelorMittal Italia

L’IPOTESI DI UNA CORDATA ALTERNATIVA

Come riportato da quotidiano la Repubblica, Renzi punterebbe su una cordata alternativa. Come scrive Annalisa Cuzzocrea, «una sorta di replica della cordata che, ai tempi del governo Gentiloni, aveva perso la gara contro ArcelorMittal. Con dentro Sajjan Jindal, già proprietario delle ex acciaierie Lucchini di Piombino (nel cda c’è l’amico fraterno del leader di Italia viva Marco Carrai), il gruppo Arvedi di Cremona e Cassa depositi e prestiti». L’ex premier, intanto, dice di essere «pronto a tutto pur di trovare una soluzione». E dichiara che a Italia viva «non interessa ottenere visibilità», bensì «salvare oltre 10 mila posti di lavoro».

PER IL MIINISTRO COSTA LO SCUDO NON SERVE

Sul tema dello scudo penale è intervenuto anche il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa: «Finché tu rispetti il piano ambientale, non ti devi preoccupare di avere o non avere l’immunità penale. ArcelorMittal lo sta rispettando, quindi l’immunità penale per l’aspetto ambientale non ha ragion d’essere».

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Fiorello con VivaRaiPlay! ha fatto 6,5 milioni di telespettatori

Il primo appuntamento su RaiUno ha totalizzato il 25,1% di share. Tra musica e satira sul Pd. Altre quattro puntate fino all'8 novembre, poi lo show passa sulla piattaforma online.

Fiorello è partito col 25,1% di share. Sono stati 6 milioni 532 mila i telespettatori che hanno seguito il suo primo appuntamento di Viva RaiPlay!, collegandosi con il Tg1.

CON RAFFAELLA CARRÀ E ACHILLE LAURO

È stata una puntata con tanta musica e qualche sprazzo di satira per lo showman: Fiorello è arrivato agli studi di via Asiago, storica sede di Radio Rai, accompagnato in auto da Raffaella Carrà, che dopo averlo fatto scendere si è allontanata sgommando, e Achille Lauro.

ANTEPRIMA DELLO SHOW DI 50 MINUTI

La striscia quotidiana di 15 minuti va in onda su RaiUno e RaiPlay per cinque giorni, fino all’8 novembre, in un’anteprima dello show di 50 minuti che dal 13 novembre si può vedere in esclusiva sulla rinnovata piattaforma RaiPlay ogni mercoledì, giovedì e venerdì, sempre alle 20.30.

Lo so avevo detto che mi sarei ritirato, ma sono ancora qua, sono il Matteo Renzi della Rai


Fiorello

Prima del via è stato Pippo Baudo, «monarca della Rai», a dare il lasciapassare a Fiorello. Poi microfono a Giorgia che ha introdotto lo showman. Fiorello ha detto: «Lo so avevo detto che mi sarei ritirato, ma sono ancora qua, sono il Matteo Renzi della Rai». Dopo ha letto un finto titolo di giornale che recitava “Fiorello: tutto qua?” e un articolo fortemente critico con il programma. In seguito un duetto con la voce fuori campo che lo invitava a un intermezzo di satira. «Satira io? Non voglio rovinarmi la mia immagine di comico qualunquista», ha replicato Fiorello.

«FARE BATTUTE SUL PD È COME SPARARE SULLA CROCE ROSSA»

Una frecciatina per la politica: «Fare battute sul Partito democratico è come sparare sulla Croce rossa. Lo sai che quelli della Croce rossa dicono: è come sparare sul Pd?». Fiorello ha anche intonato Rose rosse di Massimo Ranieri, ma un direttore di RaiPlay ragazzo lo ha invitato a suonare con l’auto-tune prima che la trap vada fuori moda. Ed ecco che è partita una versione trap di Rose rosse.

OSPITI MOLLICA, CALCUTTA, MENGONI E AMADEUS

Nel finale è arrivato Vincenzo Mollica in versione Muppet, ancora musica con Anna e Marco di Lucio Dalla cantata con Calcutta e Marco Mengoni. Conclusione in compagnia di Amadeus: Fiorello si è vestito esattamente come il conduttore di Tale e quale show e del Festival di Sanremo 2020, che lo vede tra gli ospiti.

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Niente illusioni, Tavares andrà giù con l’accetta

Dopo la fusione-cessione, il futuro ad di Psa & Fca procederà con una serie di tagli replicando su più ampia scala quanto già fatto in Peugeot e Opel/Vauxhall. E i primi destinatari saranno i colletti bianchi.

Per quanto tempo John Elkann avrà in tasca un biglietto da visita con su scritto Chairman of the board di Psa & Fca N.V.? Meno o più di due anni come è successo con Partner Re, la società delle riassicurazioni che Elkann acquisì nel marzo 2016 pagando ben 6,9 miliardi di dollari? Tra l’altro, quella operazione fu condotta all’insaputa di Sergio Marchionne che notoriamente mal digerì quello sconcertante esborso di denaro che l’ad italo-canadese considerò «sottratto a Fca». 

TAVARES NON SOPPORTA IL PARAGONE CON MARCHIONNE

Sempre a proposito di apparato digerente e sistema nervoso, fonti francesi sostengono che anche il futuro ad di Psa & Fca Carlos Tavares, così come Carlos Ghosn, già ad di Renault-Nissan, del quale il dirigente d’azienda portoghese fu a suo tempo braccio destro, non sopporta essere paragonato a Sergio Marchionne e, peggio, descritto come uno scimmiottatore delle due ex “prime donne”. Si sa che l’ego dei Ceo dell’industria automobilistica non ha pari. E l’ingegner Elkann, che ha molto patito la strabordante presenza di Marchionne, dopo questa breve stagione che gli sta offrendo le luci dei riflettori e una ribalta, si prepari a dover fare un passo indietro rispetto allo strabordante Tavares.

Il Ceo di Fca Mike Manley e John Elkann.

FCA-PSA, UNA CESSIONE DESCRITTA COME “FUSIONE PARITETICA”

Ma andiamo con ordine. È chiaro che John Elkann ha fretta di chiudere e firmare la vendita di Fca a Psa. E che si tratti di una cessione, sia pure descritta come «fusione paritetica (50/50)», è dimostrato anche da quello che recita il comunicato stampa congiunto del 31 ottobre: «Il consiglio di amministrazione sarebbe composto da 11 membri. Cinque membri del cda sarebbero nominati da Fca (incluso John Elkann in qualità di presidente) e cinque da Groupe Psa (incluso il Senior independent Director e il vice presidente)». Ma attenzione a quello che segue: «Carlos Tavares sarebbe Chief executive officer, oltre che membro del cda, per un mandato iniziale di cinque anni». In altre parole: 6 consiglieri targati Psa e 5 Fca. Chiaro che non si tratta di una merger of equals.

chi è carlos tavares psa
Carlos Tavares.

D’altro canto, non è un mistero che la penuria di investimenti in nuovi prodotti e tecnologie insieme con il fiasco di nuovi modelli (tra i quali Dodge Dart, Chrysler 200, Dodge Viper, Alfa Romeo Giulia e Stelvio, Maserati Levante) della gestione improntata alla finanza di Marchionne abbiano posto Fca in una situazione di manifesta, forte debolezza.

ALFA ROMEO BRAND “LOCALE”

Quanto alla gestione dei 15 marchi (Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Dodge, Fiat, Fiat Professional, Jeep®, Lancia, Ram, Maserati, Peugeot, Citroën, DS, Opel e Vauxhall) del neo-costruttore olandese, l’ad di Fca Mike Manley ha provveduto, nella conference call di giovedì 31 ottobre, ad aggiungerne uno alla lista di quelli non globali e, dunque “regionali”: Alfa Romeo. Non un buon segnale per gli stabilimenti italiani per i quali – recita il comunicato stampa congiunto – non sono previste chiusure. Ovvio, così come scontato che le linee di montaggio continueranno a operare molto saltuariamente grazie a massicci ricorsi alla cassa integrazione. Del resto, privatizzare i guadagni e socializzare le perdite è stato un Leitmotiv della storia degli Agnelli e più in generale di molta industria italiana.

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COLLETTI BIANCHI NEL MIRINO DI TAVARES

Ma chi saranno i primi destinatari dei tagli che Tavares realizzerà molto celermente? Senza ombra di dubbio i colletti bianchi: ingegneria, marketing, comunicazione, produzione, finanza e amministrazione, risorse umane le aree notoriamente in cima alla lista di ogni cura dimagrante. I pochi sopravvissuti rimasti nella palazzina uffici del Lingotto in via Nizza e i tanti a Mirafiori si considerino avvisati. Dopotutto, Tavares replicherà, su più ampia scala, quanto già fatto in casa Psa e Opel/Vauxhall.

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