Storia dei cocaleros, dalla lotta all’elezione di Morales

Il movimento dei coltivatori di coca boliviani dopo decenni di repressione e battaglie è riuscito nel 2006 a portare al potere il leader del Mas. Ma ora, dopo i disordini post elettorali, si è diviso. Lo scenario.

Le sommosse popolari che ormai da settimane interessano la Bolivia e che hanno determinato l’uscita di scena di Evo Morales segnano senz’altro la chiusura di un ciclo politico che ha avuto tra i suoi principali protagonisti i cocaleros, i coltivatori delle foglie di coca. Dopo la Colombia e il Perù, la Bolivia, con i suoi oltre 50 mila cocaleros, è il terzo produttore di coca a livello globale. Stando alle stime delle Nazioni Unite, la coca venduta sul mercato legale genera un giro d’affari tra i 375 e 461 milioni di dollari, con incidenza di circa l’1% sul Pil del Paese, pari a circa il 10% di quello del settore agricolo.

L’AUMENTO DELLA DOMANDA DI COCA E LA MIGRAZIONE INTERNA

La storia del movimento dei cocaleros, che nel corso degli anni si è ritagliato un ruolo rilevante nella vita politica Paese, è legato al notevole incremento negli Anni 70 della domanda di coca il cui effetto immediato è stato l’aumento di produzione che in soli dieci anni è passata da circa 4 a ben 39 tonnellate annue. La nuova opportunità di lavoro ha incoraggiato una forte migrazione interna di intere famiglie campesine che andavano in cerca di fortuna nella provincia del Chaparè (situata a nord del dipartimento di Cochabamba) e dello Yungas (nel dipartimento de La Paz), due grandi aree in cui si produce, rispettivamente, il 34% e il 65% dell’intero raccolto nazionale, equivalente a 55 mila tonnellate annue. L’area del Chaparè, che già ospitava gli operai delle miniere, è stata un vero e proprio laboratorio politico sociale. Partendo di qui il movimento cocaleros nel corso degli anni è riuscito a imporsi prima come forza di opposizione, poi a crescere fino al punto di eleggere presidente uno dei suoi leader, Evo Morales.

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LA REPRESSIONE DEGLI ANNI 80

Gli Anni 80 hanno costituito il vero banco di prova per il movimento: l’organizzazione ha dovuto fare i conti con la dura repressione dei governi di centrodestra che godevano del supporto degli Stati Uniti. La risposta dei cocaleros non si fece attendere. Attraverso una serie di azioni di protesta, riuscirono ad attirare l’attenzione mediatica sulle loro rivendicazioni al punto da imporre il tema della coca nel dibattito nazionale. Sempre nello stesso decennio fu varata la legge 1008 che delimitava tre distinte zone di produzione: la prima, destinata alla produzione a uso medicinale e rituale; la seconda (nella zona del Chaparè) definita di transizione, utile ad assicurarsi un’eccedenza rispetto alla prima, ma che in realtà era destinata a soddisfare le esigenze del mercato degli stupefacenti in grande espansione; e la terza, zona illecita all’interno della quale la produzione era proibita. 

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Gli indios di Bolivia dalla parte di Morales. GETTY.

LE RIVENDICAZIONI DEL SINDACATO

Il sindacato ha sempre rivendicato la libertà di coltivazione ricordando la sacralità della coca, non solo un mezzo di sostentamento per migliaia di campesino ma anche un simbolo di dignità nazionale e di memoria collettiva. Non solo. Le organizzazioni hanno rinfacciato allo Stato di agire in modo repressivo sotto la pressione di Washington senza alcuna volontà di cercare una soluzione alternativa che tenesse conto del loro patrimonio culturale e indentitario nonché delle ricadute sociali ed economiche. Le lotte di quegli anni, caratterizzate anche da massacri come quello di Villa Tunari del giugno 1988, (12 morti e oltre 100 feriti) diedero ai cocaleros ulteriore forza permettendo loro di strutturare al meglio l’organizzazione che ormai, tanto per i campesino quanto per gli altri lavoratori, rappresentava l’unica alternativa allo Stato nei territori. Un primato che ha permesso ai suoi rappresentanti di porre la questione della coca al centro del dibattito politico, di stringere alleanze con altri sindacati e di supportare efficacemente la sinistra in crisi a causa delle lotte intestine, consentendo così al movimento di guadagnarsi i primi margini di manovra anche in ambito politico.

IL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI

Gli Anni 90 hanno rappresentato la svolta. Il sindacato ampliò il raggio di azione delle proprie battaglie accreditandosi presso le istituzioni. Del 1997 è El Dialogo Nacional, la prima esperienza di costruzione partecipativa di un’agenda vertente su quattro principi imprescindibili: opportunità, equità, giustizia e dignità. Culmine di questo processo è stata l’adozione della Ley del Dialogo Nacional che, istituzionalizzando la partecipazione politica, ha creato le premesse del controllo sociale sullo Stato.

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Evo Morales.

LA GUERRA DELL’ACQUA E DEL GAS

Il Paese cominciava a cambiare e i cocaleros diventavano protagonisti di questa “rivoluzione”. Prima con la mobilitazione nel 2000 contro la privatizzazione dell’acqua nella regione di Cochabamba. Disposta dal governo Bzner, la lotta si concluse con la cancellazione della contestata legge. Tre anni dopo, si opposero alla decisione del governo Sánchez de Lozada di esportare gas boliviano attraverso il porto cileno del Mejillones, scartando la via alternativa peruviana. Una decisione bollata come una concessione al governo di Santiago senza contropartita. La protesta costrinse alla fuga il presidente, sostituito dal suo vice Carlos Diego Mesa che cercò di placare gli animi con un apparente programma di nazionalizzazione. In realtà era il primo passo verso l’ascesa al potere di Evo Morales. La guerra dell’acqua e la guerra del gas hanno segnato la fine del potere neoliberista e l’inizio di una nuova pagina della storia boliviana con l’elezione del 2006 di Evo Morales, indio di etnia aymara, a capo del Mas il Movimento al Socialismo, un partito indio che chiedeva la fine delle privatizzazioni, la legalizzazione della coca e una più equa distribuzione della ricchezza nel paese

L’ASCESA DI MORALES

Morales ha impresso una svolta al Paese, dentro e fuori dai confini nazionali. Tuttavia, nel corso degli anni non sono mancate tensioni nella sua base. Nel 2011 è stato contestato per il progetto dell’autostrada che avrebbe dovuto attraversare il parco e l’area indigena del Tipnis, enorme riserva di acqua e ricca di giacimenti petroliferi, per collegare Villa Tunari, nella provincia di Chaparè, a San Ignacio de Moxos. Un’opera che si inseriva in un più ambizioso e strategico progetto sovranazionale di sviluppo, destinato a connettere il Pacifico all’Atlantico. Nell’ottobre 2012 Morales ha sottoscritto il contratto per la costruzione del primo tratto della strada, presupponendo che 45 delle 69 comunità locali consultate avessero dato il loro benestare; un dato, questo, contestato dagli indigeni dello Yungas. L’opera ha diviso le anime del movimento con una parte degli indigeni guidati da Felipe Quispe che si sono convertiti in duri oppositori del governo, andando incontro anche a una dura repressione. A rimanere fedeli ancora a Morales sono i cocaleros del Chaparè ormai diventato l’epicentro del conflitto dove i contadini marciano e muoiono per protestare contro il nuovo governo.

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Jeanine Añez e Monica Eva Copa: le due donne alla guida della Bolivia

La prima di destra è presidente ad interim. La seconda, del Mas, è la numero uno del Senato. Insieme cercano di riappacificare il Paese traghettandolo fuori dalla crisi politica.

Da Evo a Eva, è l’ovvia battuta che è stata fatta. Ma sarebbe più corretto dire: da Evo a Jeanine e Eva. Stiamo parlando di Jeanine Añez Chávez e Mónica Eva Copa Murga: due donne dal profilo apparentemente opposto che hanno preso in mano la situazione in Bolivia dopo la fuga di Evo Morales, e che ora tentano di riportare la pace nel Paese dopo gli scontri costati finora 32 morti e 715 feriti.

LE DUE DONNE ALLA GUIDA DELLA BOLIVIA

Capelli ossigenati e ben pettinati, Jeanine Añez Chávez, classe 1967, direttrice di un canale tivù e senatrice del partito di destra Movimento Democratico Sociale, dopo la fuga di Morales e del suo vice Álvaro García Linera e le dimissioni dei presidenti di Senato e Camera Adriana Salvatierra e Víctor Borda – tutti esponenti del Movimento al socialismo (Mas) e davanti a lei nella linea di successione costituzionale – è diventata presidente a interim della Bolivia. L’altra donna forte della Bolivia, Mónica Eva Copa Murga, ha invece capelli bruni, la treccia e grandi occhiali. Classe 1987, attivista femminista ed esponente del Mas, dal 14 novembre è la nuova presidente del Senato.

Jeanine Anez, presidente ad interim della Bolivia.

LA FOTO DELLA RIAPPACIFICAZIONE

Jeanine e Monica, il giorno e la notte, una «oligarca bianca razzista» e una «india comunista» sono state definite. Eppure il 24 novembre si sono fatte fotografare insieme a Palacio Quemado, mentre reggevano il testo della legge con cui sono state indette entro 120 giorni nuove elezioni. Le due donne si sono anche abbracciate a favore di flash, un segno ancora più esplicito di riappacificazione, dopo che anche i militanti del Mas avevano rimosso i blocchi che impedivano l’arrivo di alimenti e carburante nelle principali città. 

La foto di rito.

LA NOMINA DEL TRIBUNALE

In maggioranza a Camera e Senato, il Mas aveva fatto mancare il numero legale al momento dell’insediamento di Jeanine Añez. La successione è avvenuta dunque con una procedura non regolare, che però è stata convalidata dal Tribunale costituzionale plurinazionale per «stato di necessità». Lo stesso tribunale che aveva consentito a Evo Morales di ricandidarsi per la quarta volta, in barba all’articolo 168 della Costituzione e a un referendum. Da qui erano nate le prime contestazioni che si erano infiammate con le accuse di brogli. Infine le forze armate hanno indotto Morales a dimettersi e abbandonare il Paese. 

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L’arrivo di Evo Morales in Messico.

IL MURO CONTRO MURO

Con il boicottaggio delle istituzioni e la strategia dei blocchi, il Mas sembrava aver seguito l’invito di Morales, riparato in Messico, alla lotta dura contro i “golpisti”. Jeanine Añez dal canto suo aveva sposato la linea del muro contro muro come dimostra il decreto con cui il 14 novembre aveva garantito una sostanziale impunità ai militari impegnati nella repressione delle proteste. 

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Disordini scoppiati vicino a Cochabamba, in Bolivia.

SEGNALI DI DISTENSIONE

Con l’elezione di Eva Copa, il Mas però ha lanciato un primo segnale di distensione e la volontà di cooperare per una soluzione condivisa della crisi. Non a caso la legge approvata il 23 novembre stabilisce che alle prossime elezioni né Morales né García Linera potranno candidarsi, ma il Mas sarà in corsa e potrebbe persino ottenere un buon risultato se l’opposizione tornerà a dividersi. Eva Copa potrebbe a questo punto essere una eccellente candidata alla Presidenza. Da Evo a Eva, appunto. «Stiamo tornando alla normalità dopo un momento tanto duro e tanto drammatico», ha dichiarato Jeanine Añez. «Le donne non hanno paura di guidare questo Paese, ce ne incaricheremo tutte. Governo e opposizione, in pollera (la tipica gonna indigena, ndr) o in calzoni, classe media e classe alta, tutte lavoreremo assieme per la Bolivia». Certo, non ha aggiunto «anche per impedire agli uomini degli due schieramenti di distruggerlo». Ma sembrava sottinteso. 

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