Per la Chiesa l’uomo forte in politica è anti-cristiano

L'avvertimento dell'Osservatore romano a pochi giorni dal rapporto del Censis. Così la Santa Sede prova a ergersi a baluardo contro l'ascesa dei nazionalismi.

Attenzione agli uomini forti, possono portare un Paese – anche l’Italia – alla rovina. È questo l’avvertimento lanciato dall’Osservatore romano dell’8 dicembre, in un editoriale di prima pagina dal significativo titolo: «La forza dell’uomo debole». L’intervento del direttore del quotidiano vaticano, Andrea Monda, prende spunto dall’ultimo rapporto del Censis dal quale emerge, fra le altre cose, che gli italiani stufi delle inefficienze dello Stato, dai ritardi della politica, dal venir meno di una parte delle tutele offerte dal welfare, vorrebbero alla guida del Paese uomini forti che non debbano preoccuparsi «di parlamento ed elezioni». Sembra essersi sbiadita nel tempo, osserva Monda, la forza del racconto dei nostri nonni su quando in Italia c’era un uomo solo e forte al comando.

IL RIFERIMENTO IMMEDIATO AL DUCE

Il riferimento al duce insomma è esplicito e immediato, le ondate di nazionalismo e populismo che scuotono l’Italia e l’Europa, secondo il giornale del Papa, ci rimandano a quei precedenti, per questo non possiamo dormire sonni tranquilli. Del resto, non è il primo pronunciamento di alto livello vaticano o ecclesiale sulla questione; lo stesso Papa Francesco, meno di un mese fa, aveva affermato senza giri di parole, che certi governanti e politici europei gli ricordano Adolf Hitler e il nazismo con le sue persecuzioni verso ebrei, omosessuali, zingari. Ancora, la Civiltà Cattolica ha dedicato un lungo intervento – di cui abbiamo riferito di recente su Lettera43 –  al rapporto fra fede e fascismo, alla strumentalità con la quale Benito Mussolini utilizzò la religione per cementare li proprio consenso. Al contempo la rivista dei gesuiti accennava, non casualmente, al tema opposto: ovvero a come la chiesa avesse, da parte sua, sottoscritto un concordato vantaggioso col regime nel 1929.

Quello dell’Osservatore romano è il terzo intervento nelle ultime settimane che tocca lo stesso nucleo di problemi

Quello dell’Osservatore romano è dunque il terzo intervento nelle ultime settimane che tocca lo stesso nucleo di problemi; tre indizi fanno una prova? In realtà i segnali provenienti dall’altra sponda del Tevere che vanno in questa direzione sono molti di più e indicano, sia pure con le dovute attenzioni del caso, un percorso definitivo di separazione fra Chiesa cattolica e fascismi. Un’operazione di revisionismo storico, prudente giustamente nel metodo, ma chiara ormai nel tracciare una lettura non più incerta e giustificativa del passato in collegamento costante col presente. Lo spazio della ricerca storica sulle cause e i contesti in cui si mosse la Santa Sede, si lascia intendere nei vari interventi è una cosa, il giudizio morale, il messaggio per il presente, un’altra.

PRIMA O POI ARRIVA LA ROVINA

In tal senso, l’editoriale dell’Osservatore è particolarmente importante perché non si limita a dare una lettura politica del problema legato all’idea di ‘uomo forte’, ma chiama in causa il cristianesimo nella sua essenza di fede fondata in un certo modo sulla debolezza dell’essere umano, ovvero sulla sua incompletezza dentro la quale si trovano inevitabilmente difetti, punti deboli, virtù, slanci di generosità, egoismi e via dicendo, appunto perché la ‘potenza’ è di Dio così come la misericordia che diventa una sorta di antidoto del potere, e non appartiene all’uomo, alla sua dimensione. Anzi, quando qualche leader politico si presenta sulla scena pubblica, accreditandosi alle masse come ‘l’uomo forte’ in grado di cambiare i destini di una nazione, c’è da allarmarsi perché è un principio che porta con sé, prima o poi, la rovina.

LA CITAZION DEL GRANDE TEOLOGO BONHOFFER

In tal senso va la bella citazione del grande teologo protestante tedesco Dietrich Bonhoffer, il quale venne chiamato a commentare nel 1933, l’elezione del Fuhrer a Cancelliere; Hitler annunciò fin dal suo primo discorso che non avrebbe deluso il popolo e avrebbe anzi mantenuto tutte le sue promesse. Bonhoffer si disse preoccupato perché «come essere umano» lui si aspettava «dal suo Führer la possibilità di essere deluso, questo, dal punto di vista umano lo avrebbe confortato molto di più». Hitler, per l‘appunto, ricorda li quotidiano della Santa Sede, mantenne tutte le sue promesse e sappiamo come andò a finire; lo stesso Bonhoffer venne impiccato nel campo di concentramento di Flossemburg nell’aprile del 1945, poco prima che terminasse il conflitto, per aver cospirato contro il nazismo.

La Santa Sede è l’istituzione che forse con maggior forza sta interpretando l’ascesa dei populismi in Europa (e in America), con un forte senso della storia e della memoria

La Santa Sede, insomma, è l’istituzione che forse con maggior forza sta interpretando l’ascesa dei populismi in Europa (e in America), con un forte senso della storia e della memoria, non nascondendosi i rischi che montano dietro certi slogan e certe politiche. La questione che ha fatto da discrimine e da detonatore è stata certamente quella dei profughi e dei migranti, tema definito «luogo teologico» in particolare per i gesuiti da Papa Francesco nel corso del recente viaggio in Thailandia e Giappone. L’insorgenza del veleno razzista, della xenofobia, dell’armamentario nazionalista, alimentati dalla crisi sociale, è l’allarme che si registra in Vaticano, è un male capace di sovvertire non solo la democrazia ma anche le radici stesse del cristianesimo. Altro che rosari branditi n piazza.

LA LEZIONE DEL PASSATO

Quella in corso Oltretevere, peraltro, è anche un’operazione verità che tiene conto della lezione del passato: questa volta gli storici del futuro troveranno facilmente la netta condanna di fenomeni politici “inquietanti” nella documentazione ufficiale prodotta in tante occasioni dal Papa o dal Vaticano, e non dovranno più affidarsi alle annotazioni private o interne ai sacri palazzi di mons. Domenico Tardini,  il diplomatico vaticano che operò come collaboratore dei papi prima e durante li secondo conflitto mondiale, per trovare traccia del disappunto e del disprezzo verso certi regimi o verso le imprese  coloniali del fascismo. Ma questo è il passato, appunto. La storia di oggi certo è altra cosa, e gli anticorpi verso l’ondata nazionalista sono ancora forti; tuttavia ci piacerebbe leggere sull’Osservatore, in questo tempo di rinnovato studio della storia e di comprensione aperta e critica della sua lezione, senza alcun cedimento agiografico, una rivisitazione della vicenda di quei sacerdoti che, mai cessando di essere tali, collaborarono attivamente con la resistenza italiana o furono perseguitati dal regime fascista.

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Per il Censis gli italiani sono ansiosi e sognano l’uomo forte

Allarmante rapporto sulla situazione sociale del Paese. Per il 65% lo stato d'animo dominante è l'incertezza. E il 75% non si fida più degli altri. L'analisi.

Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno a un logoramento sfociato da una parte in «stratagemmi individuali» di autodifesa e dall’altra in «crescenti pulsioni antidemocratiche», facendo crescere l’attesa «messianica dell’uomo forte che tutto risolve». È questa l’analisi del Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, secondo cui per il 48% degli italiani ci vorrebbe «un uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di parlamento ed elezioni.

TRA WELFARE RAREFATTO E ROTTURA DELL’ASCENSORE SOCIALE

Questa ricerca è più sentita soprattutto nella parte bassa della scala sociale. La percentuale sale infatti al 56% tra le persone con redditi bassi e al 62% tra i soggetti meno istruiti, fino al 67% tra gli operai. Secondo il Censis, gli italiani alle prese con gli anni della crisi hanno dovuto prima «metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria», poi fare i conti con «la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale».

TRE ITALIANI SU QUATTRO NON SI FIDANO DEL PROSSIMO

La reazione immediata è stata «una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali». Ma la situazione è andata peggiorando perché dagli stratagemmi individuali si è passati allo «stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro». Così per il 69% degli italiani il Paese è ormai «in stato d’ansia». Il 75% non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso degli anni una prepotenza in un luogo pubblico (insulti o spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.

IL BLUFF DELL’AUMENTO OCCUPAZIONALE

Per il Censis l‘aumento dell’occupazione nel 2018 (+321 mila occupati) e nei primi mesi del 2019 è un «bluff» che non produce reddito e crescita. Il bilancio della recessione è di -867 mila occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono 2,9 milioni.

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Allarmante rapporto sulla situazione sociale del Paese. Per il 65% lo stato d'animo dominante è l'incertezza. E il 75% non si fida più degli altri. L'analisi.

Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno a un logoramento sfociato da una parte in «stratagemmi individuali» di autodifesa e dall’altra in «crescenti pulsioni antidemocratiche», facendo crescere l’attesa «messianica dell’uomo forte che tutto risolve». È questa l’analisi del Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, secondo cui per il 48% degli italiani ci vorrebbe «un uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di parlamento ed elezioni.

TRA WELFARE RAREFATTO E ROTTURA DELL’ASCENSORE SOCIALE

Questa ricerca è più sentita soprattutto nella parte bassa della scala sociale. La percentuale sale infatti al 56% tra le persone con redditi bassi e al 62% tra i soggetti meno istruiti, fino al 67% tra gli operai. Secondo il Censis, gli italiani alle prese con gli anni della crisi hanno dovuto prima «metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria», poi fare i conti con «la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale».

TRE ITALIANI SU QUATTRO NON SI FIDANO DEL PROSSIMO

La reazione immediata è stata «una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali». Ma la situazione è andata peggiorando perché dagli stratagemmi individuali si è passati allo «stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro». Così per il 69% degli italiani il Paese è ormai «in stato d’ansia». Il 75% non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso degli anni una prepotenza in un luogo pubblico (insulti o spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.

IL BLUFF DELL’AUMENTO OCCUPAZIONALE

Per il Censis l‘aumento dell’occupazione nel 2018 (+321 mila occupati) e nei primi mesi del 2019 è un «bluff» che non produce reddito e crescita. Il bilancio della recessione è di -867 mila occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono 2,9 milioni.

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