Di Maio insiste: «Nel 2020 stop ad Autostrade, concessioni affidate a Anas»

Il leader del M5s nega che il costo dell'operazione possa essere di 23 miliardi: «Un'enorme sciocchezza»

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è tornato a dare battaglia sul nodo delle concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia. «Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l’affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali. Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo.
Non solo a loro, ma a tutto il Paese», ha scritto su Facebook il leader
del M5S Di Maio. Il ministro ha anche definito una «enorme sciocchezza» il fatto che la revoca costi 23 miliardi allo Stato.

Il messaggio postato da Luigi Di Maio il 27 dicembre ANSA / Facebook

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Il tentativo, inutile, di fermare Luciano Benetton

Fino all’ultimo alcuni dei suoi manager hanno cercato di fargli cambiare idea. Ma non c'è stato niente da fare. E alla fine la lettera ai giornali in cui il patron del gruppo ha scaricato i vertici di Autostrade si è rivelata un enorme boomerang.

Fino all’ultimo alcuni dei suoi manager hanno cercato di fargli cambiare idea. «Aspettiamo, facciamolo più avanti», era l’argomento usato nel tentativo di dissuadere Luciano Benetton dal mandare ai giornali la lettera pubblicata domenica primo dicembre in cui, prendendo le distanze dal management di Autostrade, denunciava una campagna di odio nei confronti della sua famiglia dopo i fatti del Ponte Morandi.

OLIVIERO TOSCANI, ASCOLTATISSIMO CONSIGLIERE

Ma è stato inutile. Il leader del gruppo non ha voluto sentire ragione. O meglio, ha dato ragione a quanti lo avevano incitato a prendere carta e penna. In primis Oliviero Toscani, l’artefice negli Anni 80 di famose e innovative campagne pubblicitarie che da quando Luciano ha ripreso le redini della United Colors è riapparso al suo fianco e gli fa da ascoltatissimo consigliere; la compagna Laura Pollini, e il figlio Alessandro.

UNA LETTERA TRASFORMATA IN BOOMERANG

Ma appena diffusa e ripresa dai giornali, quella lettera si è rivelata un boomerang come pochi. E il tentativo di scaricare su Castellucci, Cerchiai e gli altri top manager la totale responsabilità di quanto accaduto con la tragedia di Genova, con le pesanti negligenze di Autostrade che stanno emergendo dalle indagini della magistratura, salvaguardando l’azionista, ha avuto l’effetto contrario. In molti domenica nell’aprire i quotidiani si sono domandati come la famiglia potesse non sapere. Edizione, la holding che controlla Atlantia, nomina 12 consiglieri su 15, designa il presidente Fabio Cerchiai, che gode di stock option come tutti i manager di prima linea, e anche molti dei dirigenti più importanti hanno una carriera passata nelle aziende del gruppo di Ponzano. Forse Luciano se ne è sempre occupato poco, impegnato com’era a far tornare i conti della Benetton in rosso da anni. O forse ha voluto implicitamente addossare al fratello Gilberto, deceduto circa un anno fa e da sempre responsabile della diversificazione del business di Ponzano, il mancato controllo del lavoro dei manager?

L’IRRITAZIONE DELLA POLITICA

L’iniziativa ha destato subito sconcerto, perché non opportuna nei contenuti e nella tempistica. Ha fatto arrabbiare la politica, al punto da togliere argomenti al Pd, unica sponda che era rimasta al gruppo di Treviso per tentare di attenuare l’ostracismo dei 5 stelle che vogliono revocare le concessioni. Ed è suonata come uno schiaffo ai manager e dirigenti di Atlantia e Aspi, che tolto Castellucci sono per la gran parte gli stessi, che si sono sentiti accusati e non difesi. Il tutto a circa un mese dall’altra lettera del gruppo al governo nella quale chiedeva di mettere una pietra tombale sul tema concessione in cambio dell’impegno del gruppo su Alitalia. Anche allora la reazione politica fu dura al punto che anche la moderata Paola De Micheli, ministro Pd delle Infrastrutture, era intervenuta appoggiando la linea dura del M5s.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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La lettera dei Benetton per chiarire il loro rapporto con Autostrade

La famiglia ha chiesto maggiore rispetto nei suoi confronti. Ma anche chiarezza nel dare le notizie: «Non abbiamo mai gestito Auto strade. Siamo solo azionisti al 30% di Atlantia». Poi una stoccata alla politica: «Questi attacchi sono assurdi».

Rispetto e serietà. Queste le parole usate dalla famiglia Benetton in una lettera inviata ad alcuni quotidiani nazionali. «Trovo necessario fare chiarezza su un grande equivoco: nessun componente della famiglia Benetton ha mai gestito Autostrade. La famiglia Benetton è azionista al 30% di Atlantia che a sua volta controlla Autostrade», si legge nella lettera a firma di Luciano Benetton. Un chiarimento che è anche una risposta agli attacchi politici arrivati, soprattutto dal M5s, dopo il crollo del Ponte Morandi e la manutenzione dei tratti autostradali gestiti da Autostrade per l’Italia. «Non cerco giustificazioni ma questi attacchi sono assurdi. Credo anche che chi ha sbagliato deve pagare ma è inaccettabile la campagna scatenata contro la nostra famiglia», ha aggiunto il patron della famiglia veneta.

LE MOTIVAZIONI DELLA FAMIGLIA BENETTON

Luciano Benetton ha avuto modo anche di chiarire le notizie degli ultimi giorni in cui si parlava di falsi report legati all’agibilità di alcuni viadotti in realtà a rischio cedimento. «Le notizie su omessi controlli, su sensori guasti non rinnovati o falsi report, ci colpiscono e sorprendono in modo grave, allo stesso modo in cui colpiscono e sorprendono l’opinione pubblica. Ci sentiamo feriti come cittadini, come imprenditori e come azionisti. Come famiglia Benetton ci riteniamo parte lesa». Parole queste che non nasconde il mea culpa per quanto è accaduto a Genova quel 14 agosto del 2018. «Di sicuro ci assumiamo la responsabilità di aver contribuito ad avallare la definizione di un management che si è dimostrato non idoneo, un management che ha avuto pieni poteri e la totale fiducia degli azionisti e di mio fratello Gilberto che, per come era abituato a lavorare, di sicuro ha posto la sicurezza e la reputazione dell’azienda davanti a qualunque altro obiettivo. Sognava che saremmo stati i migliori nelle infrastrutture», si legge ancora.

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