Nei primi tre mesi del 2020 tariffe della luce in calo del 5,4%, gas a +0,8

L'annuncio dell'autorità per l'energia: su base annua «il risparmio per la famiglia tipo è di circa 125 euro».

Dal primo gennaio e per il primo trimestre 2020, l’Autorità per l’Energia annuncia un calo delle tariffe della luce del 5,4% e un aumento dello 0,8% di quelle del gas. Provvedimenti dovuti al ‘forte calo del fabbisogno per gli oneri generali, al contenimento delle tariffe regolate di rete e alle basse quotazioni delle materie prime nei mercati all’ingrosso. «Nei 12 mesi da aprile 2019 a marzo 2020, il risparmio complessivo per la famiglia tipo per elettricità e gas è di circa 125 euro».

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Gli Usa e la guerra del gas a Russia e Germania

Pronta a inizio 2020, la pipeline del Baltico russo-tedesca è stata colpita dalle sanzioni americane. Democratici compatti con Trump in difesa della Nato. E dell’Ucraina. Il risiko per Berlino e l’Ue.

Per la Germania di peggiore dei dazi sull’import di auto, minacciati da Donald Trump, c’erano solo le sanzioni Usa sul gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, e sono arrivate. Un affronto per il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, socialdemocratico (Spd), atlantista, più critico di molti altri ministri e politici europei su Vladimir Putin. Questo Natale anche in crisi con Mosca per l’espulsione reciproca di diplomatici russi e tedeschi, a causa dell’omicidio di un ceceno a Berlino, che si sospetta mirato e sul quale dal Cremlino non collaborano. Ma sulle politiche energetiche non si scherza: «Quelle europee si decidono nell’Ue, non negli Stati Uniti» ha twittato Maas all’approvazione della Camera americana di misure «inaccettabili» contro il Nord Stream 2. Licenziate definitivamente il 17 dicembre al secondo passaggio al Senato, con 86 sì e appena 8 no.

I DEMOCRATICI CON TRUMP

Appena insediato alla Casa Bianca, Trump aveva parlato chiaro con la cancelliera Angela Merkel: «Avrete del fantastico gas americano al posto di quello russo». Ma stavolta non si tratta solo del presidente: le sanzioni contro Russia e Germania – e contro tutte le aziende impegnate nel grande appalto – sono passate senza battute di ciglio alla Camera a maggioranza democratica come al Senato a maggioranza repubblicana. Nei giorni dell’impeachment, tutto il Congresso di Washington si è schierato compatto con Trump. Contro un progetto strategico che gli Usa ritengono un’invasione di campo inaccettabile dei russi nel territorio della Nato. Il guaio è che la Germania ha voluto, cercato e realizzato per anni la partnership energetica sul Nord Stream 2. Pronto nel 2020 per far arrivare il gas all’Europa continentale attraverso il mar Baltico.

L’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder nel board di Gazprom per il Nord Stream 2. GETTY.

COMPLETATO PER L’80%

L’80% del Nord Stream 2 è stato completato. A novembre anche la Danimarca ha approvato il passaggio del gasdotto, raddoppio della già contestata creatura di Gerhard Schröder: il Nord Stream che dal 2011 pompa fino a 55 miliardi di metri cubi di gas l’anno dalla Russia distribuendolo in Europa, erodendo i business delle altre pipeline che corrono attraverso i Paesi dell’Est (Polonia, Slovacchia, Bielorussia e Ucraina). Agli Stati Uniti i piani energetici della Germania non sono mai andati giù: le condutture del gas sono geopolitica, tanto più quando di mezzo c’è un partner come la Russia. Ma per i tedeschi è imprescindibile realizzare la rete del Nord Stream: un raddoppio costato quasi 10 miliardi di euro, il Nord Stream 15 miliardi. Tutti i ministri tedeschi che hanno dovuto affrontare la questione, Sigmar Gabriel prima di Maas, si sono scontrati con gli Usa «sull’interesse nazionale».

Per completare il Nord Stream 2 restano 2 mila chilometri di pipeline offshore, circa 2 mesi di lavori

LE COMPAGNIE EUROPEE A RISCHIO

I 55 miliardi di metri cubi di gas l’anno di forniture da aggiungere o da spostare con il Nord Stream 2 sono un affare per diverse compagnie energetiche europee che partecipano al progetto della sussidiaria del colosso russo Gazprom, Nord Stream 2: per il 50% finanziato da Gazprom, e per il 10% ciascuna dall’anglo-olandese Royal Dutch Shell, dalle tedesche E.On e Basf/Wintershall, dall’austriaca Omv e dalla francese Engie (ex Gdf Suez). Non solo: anche gli svizzeri di Allseas, aggiudicatari dell’appalto da Mosca per la parte offshore, saranno colpiti dalle sanzioni americane (revoca del visto e blocco delle proprietà per gli individui, multe per le aziende) se entro 30 giorni non cesseranno le loro operazioni. Alla loro nave restano da completare più di 2 mila chilometri (circa 2 mesi di lavoro) di tubature nel Baltico. Ma anche il sistema bancario tedesco, da Deutsche Bank a Commerzbank, avrebbe ricadute per le sanzioni.

«UN ATTACCO ALLA SOVRANITÀ NAZIONALE»

È questione di giorni: ci si attende il via libera di Trump alle sanzioni entro Natale, al più tardi la fine dell’anno. Poi l’Amministrazione Usa avrà 60 giorni di tempo per la lista delle compagnie e le persone fisiche coinvolte nella costruzione del Nord Stream 2. La cancelliera Merkel (Cdu-Csu) non ha ancora proferito parola, ma ha sempre difeso il pilastro delle politiche energetiche nazionali, pur senza fare sconti al Cremlino sull’Ucraina e su altri dossier. Per i conservatori ha parlato il referente della Cdu all’Onu, e deputato, Andreas Nick, preoccupato del caso di «sovranità nazionale». Rapporti commerciali ed energetici sacri, con la Russia, anche per i socialdemocratici: l’ex cancelliere Schröder, d’altronde, fu l’anima del consorzio Nord Stream; è in ottimi rapporti con Putin perciò fonte di imbarazzo per la stessa Spd, presiede il board del Nord Stream e accelera sul decollo del raddoppio.

La guerra degli Usa al Nord Stream 2 Germania Russia
Il presidente russo Vladimir Putin durante la costruzione del Nord Stream nel Mar Baltico. GETTY.

I RUSSI PER LE CONTROSANZIONI

La Camera di commercio russo-tedesca ha dichiarato «essenziale» per la sicurezza energetica dell’Europa la nuova conduttura nel mar Baltico e chiede in rappresaglia controsanzioni per gli Stati Uniti, per il Cremlino, una «concorrenza sleale che viola del diritto internazionale». In effetti, come ha fatto presente la rete di industrie tedesche che opera nell’Est, l’Ue ha concesso tutte le autorizzazioni richieste per raddoppiare il Nord Stream, che dal Mar Baltico in Germania si allaccia alla rete di distribuzione europea. La Russia avrebbe da perdere più di tutti dallo stop: con un Nord Stream 2 a regime aumenterebbe le forniture di gas al Nord Europa, il flusso di metano via mare di 110 miliardi di metri cubi all’anno superebbe i 75 miliardi trasportati attraverso l’Ucraina e la Slovacchia, la pipeline finora con la capacità maggiore.

Tutte le rotte del gas attraverso l’Europa dell’Est perderebbero forza e gli ex satelliti dell’Urss sarebbero più esposti alle pressioni russe

L’UCRAINA PUÒ RIESPLODERE

L’Ucraina più di tutti perderebbe almeno 2 miliardi di euro l’anno dalla Russia di diritti di transito. Il rinnovo dei contratti sul gas con l’Ucraina è una delle parti più spinose degli accordi che hanno tamponato precariamente la crisi russo-ucraina del 2014. Il fronte di guerra tra Mosca e Kiev potrebbe riaprirsi, e ancora una volta la Germania si troverebbe in prima linea nei negoziati, più che mai con forti interessi in gioco. Ma in generale tutte le rotte del gas attraverso l’Europa dell’Est perderebbero forza e gli ex satelliti dell’Urss sarebbero più esposti alle pressioni russe. Non caso la Polonia è tra i bastioni del no al Nord Stream 2, appoggiata a spada tratta dagli Stati Uniti che a sorpresa hanno inserito le misure sul gasdotto nel National defense authorization act per l’anno fiscale del 2020. Putin sperava anche di aggirare, con i nuovi contratti, le sanzioni per l’annessione della Crimea, ma non ci riuscirà

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Nordstream 2 e la geopolitica del gas russo

Russia e Germania hanno vinto la partita sul gasdotto, a discapito degli Stati centrali dell'Europa, in particolare dell'Ucraina. Mentre Putin può tornare a occuparsi dei progetti già avviati con la Cina assetata di energia e per accaparrarsi le risorse dell'Artico.

Con il via libera della Danimarca a Nordstream 2, bloccato temporaneamente per questioni ambientali, si è chiusa, salvo imprevisti, la telenovela del gasdotto russo-tedesco sotto il Baltico.

Già in dirittura d’arrivo, si era incagliato nelle acque territoriali danesi e senza la luce verde di Copenaghen avrebbe dovuto allungare il percorso. Niente chilometri in più e altri ritardi, quindi, e così il progetto trainato dal colosso Gazprom dovrebbe chiudersi nei prossimi mesi e partire a pieno regime nel 2020.

Si tratta del raddoppio di Nordstream 1, già in funzione da quasi 10 anni, che porterà altri 55 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno direttamente in Germania. Aggirando da Nord l’Europa centrale e soprattutto l’Ucraina. Voluto con forza da Mosca e Berlino, Nordstream 2 è stato ostacolato fortemente da alcuni Stati dell’Ue, guidati dalla Polonia, e soprattutto dagli Stati Uniti, interessati a indebolire il legame energetico tra Russia ed Europa e sostituirsi almeno in parte a Mosca attraverso forniture di gas liquido proveniente da Oltreoceano.

UNA BATTAGLIA VINTA DA PUTIN E MERKEL

Se dunque è stata detta davvero l’ultima parola sui tubi della discordia, ad averla vinta sono stati in primo luogo Vladimir Putin e Angela Merkel, in questi ultimi mesi sotto pressione da Washington per lasciare incompiuto il lavoro fatto dal suo predecessore Gerhard Schröder, che all’inizio degli anni Duemila aveva detto il primo sì a Nordstream 1. A nulla sembra essere in definitiva servito il pesante lavoro di lobby americano, sia su Bruxelles che su singoli Stati europei: il Cremlino continua a essere in posizione di forza nella guerra del gas che va avanti, tra cambiamenti di scenari anche repentini, già da un paio di lustri, ma che vede come attori principali sul Vecchio continente sempre Russia e Germania. Se sul versante meridionale Mosca ha dovuto cambiare le carte, con l’abbandono di Southstream poi in parte sostituito con Blustream a fianco della Turchia, su quello settentrionale l’asse Mosca-Berlino non ha dato segni di cedimento, nonostante la crisi ucraina e le sanzioni occidentali, europee e statunitensi, che comunque non sono andate a toccare i progetti energetici.

KIEV E LA QUESTIONE DELLA DIPENDENZA UCRAINA DAL GAS RUSSO

Anche le minacce di ritorsioni economiche verso le aziende europee, non solo tedesche, ma anche olandesi, austriache, francesi e italiane, sono andate a vuoto. Putin e Merkel possono dirsi soddisfatti, Donald Trump un po’ meno, così come polacchi e baltici, insieme con gli ucraini, i perdenti. Sarà infatti Kiev a essere la più penalizzata dal doppio Nordstream, che in sostanza la taglierà fuori dal sistema di transito, o comunque da gran parte di esso. Addio quindi a 3 miliardi di dollari all’anno e la necessità a questo punto di dover affrontare la questione della dipendenza dal gas russo, in realtà non così complicata. Negli anni passati, già prima del regime change a Kiev e la guerra nel Donbass, il braccio di ferro tra Russia e Ucraina sulle questioni energetiche è stato ampiamente strumentalizzato da entrambe le parti per ragioni geopolitiche ed economiche, quando in realtà l’Ucraina, senza troppi sforzi come dimostrato proprio negli ultimi anni, potrebbe sensibilmente diminuire l’import di gas russo per il proprio fabbisogno interno.

Alcune tubazioni di gas in Ucraina (foto ©AP/Lapresse).

Gli interessi di Gapzrom e Naftogaz e degli oligarchi di riferimento, da una parte e dall’altra, hanno segnato i rapporti tra Mosca e Kiev nel settore più opaco e corrotto dell’economia di entrambi i Paesi. Yulia Tymoshenko, l’eroina della rivoluzione arancione del 2004, era stata sbattuta in galera dal presidente Victor Yanukovich nel 2011 con l’accusa di abuso di ufficio per aver firmato i contratti con Putin nel 2009, gli stessi che sono ancora in vigore fino alla fine di quest’anno e devono essere rinegoziati con la mediazione dell’Unione europea.

ORA MOSCA PUÒ APRIRE NUOVI MERCATI DEL GAS CON LA CINA

Tra battaglie legali e successi alterni davanti ai tribunali, Gazprom e Naftogaz sono di fronte a una nuova sfida sulla quale l’avvio di Nordstream pesa non poco. Il Cremlino ha anche stavolta il coltello dalla parte del manico, anche perché l’Ucraina, pur avendo ricevuto assicurazioni di massima da parte di Berlino e Bruxelles, è rimasta isolata e gli aiuti trasversali americani, non certo disinteressati, sono finiti in un disastro. Basti pensare al 2014 e all’entrata in scena di Hunter Biden, figlio dell’allora vicepresidente americano John, in Burisma, una delle maggiori società ucraine private energetiche.

Dal Cremlino intanto Putin può tornare a occuparsi dei progetti già avviati su quello orientale

In un contesto che ha visto l’Ucraina post Euromaidan commissariata con addirittura tre ministri stranieri, tra cui l’americaca Natalia Yaresko alle Finanze, il terreno di conquista si era allargato: controllata inizialmente da un oligarca vicino a Yanukovich, il suo consiglio di amministrazione è diventato dopo il cambio di governo filoccidentale a Kiev una cabina di regia proamericana dove sono finiti tra gli altri l’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski e l’ex capo dell’antiterrorismo della Cia e vice ad di Blackwater (ora Academi) Joseph Cofer Black.

Xi Jingping e Vladimir Putin (foto LaPresse).

Paradossalmente, più che diventare un attore antitetico alla Russia, Burisma si è rivelata così solo il peccato originale sulla quale è scoppiato poi l’Ucrainagate che ha coinvolto Donald Trump. Ma questa è un’altra storia. Dal Cremlino intanto Putin, che con Nordstream ha infine stabilizzato il fronte occidentale, può tornare a occuparsi dei progetti già avviati su quello orientale, con la Cina assetata di gas, e la sfida alle risorse dell’Artico, dove per sicurezza è stata già piantata una bandiera russa.

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