Chiara Biasi, bufera dopo lo scherzo delle Iene

L'influencer guardando foto fake di una campagna pubblicitaria ha sbottato: «Io per 80 mila euro non mi alzo nemmeno dal letto al mattino e mi pettino». Poi sempre su Instagram ha chiarito: «Mai sputerei sul denaro anche perché lavoro e mi mantengo da 10 anni».

«Io per 80 mila euro non mi alzo nemmeno dal letto al mattino e mi pettino». La boutade di Chiara Biasi, influencer da 2,4 milioni di follower su Instagram, durante uno scherzo delle Iene ha scatenato un putiferio in Rete.

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me*de @redazioneiene

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«Questo è uno schiaffo a gente che si alza alle 3 di notte per andare a lavorare e portare a casa 1000 euro stentati, in molti casi anche di meno. Vergognoso», ha twittato Daisy.

Biasi nello scherzo organizzato dalla trasmissione Mediaset appariva in alcuni scatti fake in pose decisamente poco glamour. Su tutti, uno mentre surfa su un enorme assorbente. «Questa cosa mi danneggia», ha sbottato Biasi, «è un danno di immagine enorme. Ok, accetto di andare su un assorbente, ma per 80 mila euro? Io per 80 mila euro manco mi alzo la mattina e mi pettino».

LE CAMPAGNE PER DEFOLLOWARE CHIARA BIASI

Molti su Twitter hanno lanciato campagne di boicottaggio o, meglio, di “defolowizzazione” dei profili dell’influencer. E anche chi come don Tonio, parroco di Capurso, nel Barese, ha commentato: «Ho scoperto che esiste @chiarabiasi e la mia vita non è più la stessa. Chiara, facciamo che per 80.000€ mi alzo io al posto tuo? Mi servono per lavori alla Parrocchia. Tanto non ho manco i capelli da pettinarmi. E tu continui a dormire».

LA RISPOSTA: «MAI SPUTEREI SUL DENARO»

Biasi ha risposto alla valanga di critiche con una story su Instagram: «Ragazzi state molto sereni per cortesia che mai sputerei sul denaro anche perché lavoro e mi mantengo da 10 anni», ha detto. «Quello che intendevo io è che per quella cifra non sarei mai voluta diventare famosa per stare seduta su un water appesa al Duomo o per volare su un assorbente».

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Attivismo online: così i millennial possono rottamare gli influencer

I nati tra gli Anni 80 e il 2000 usano i social per connettersi tra loro, esprimersi liberamente, fare gruppo. Una volta compreso questo, è possibile porre le basi per una comunicazione che non coinvolga o crei personaggi. Rendendo a questi vip digitali la vita un po' meno facile.

Estetica della comunicazione, informatica e filosofia dei linguaggi, queste alcune delle materie previste dal corso di laurea per influencer della eCampus.

Il corso, pietra dello scandalo di inizio mese, è stato concepito per fornire a figure interessate (e interessanti) competenze e strumenti in grado di affrontare il mondo degli influencer, altamente spregiudicato e in costante evoluzione.

UN PASSAPAROLA STRATEGICO PER IL MERCATO

L’obiettivo finale del corso è univoco: forgiare, indirizzare e sostenere figure professionali in grado di “influenzare” il mondo che le circonda attraverso la creazione di un passaparola strategico in grado di generare seguito e mercato. L’idea di base è dunque quella di selezionare una rosa di persone in grado di affermarsi nel mondo digitale, perché, se è vero che chiunque può diventare un influencer, è altrettanto vero che non tutti gli influencer possono davvero collaborare in maniera efficace con una certa azienda o un brand.

LEGGI ANCHE: Come funziona il mercato degli influencer del cibo

Proprio su quest’ultimo aspetto la eCampus ha voluto dare il suo contributo: fornire strumenti a coloro i quali sono interessati a promuovere la propria figura sul mercato e a diventare attori cruciali del marketing attuale. In questa ottica, analizzare la funzione e gli obiettivi del corso, al di là delle critiche che la sua stessa natura porta con sé, aiuta a comprendere, e forse a sorprendersi, dell’uso che si fa, e che i millennial in particolare fanno, dello strumento digitale

I TRE TIPI DI INFLUENCER: IDENTIFIED, ENGAGED E ACTIVE

A causa della popolarità di questi personaggi pubblici e, soprattutto, del loro rapporto con il pubblico è possibile individuare almeno tre diversi cluster di influencer. Il primo è costituito dagli identified, influencer considerati rilevanti per un brand; il secondo dagli engaged, vale a dire il numero di influencer con cui si è instaurato un livello sostanziale di interazione con i follower attraverso la condivisione di post e contenuti e, infine, il terzo è composto dagli influencer active, ovvero gli influencer direttamente coinvolti nei programmi di influencer marketing. Questo terzo cluster nasce in seguito all’evoluzione del concetto di marketing, di cui abbiamo avuto modo di parlare ampliamente nella scorsa rubrica. Non si tratta, però, in questo caso, solamente della nascita e del successo dell’on-demand marketing. Il ruolo degli influencer ha dato vita al cosiddetto “marketing influenzale” che sta progressivamente scalzando quello tradizionale e implementando quello su richiesta.  

IL SUCCESSO DEL MARKETING DI INFLUEBZA

Il marketing di influenza è un tipo di marketing in cui la concentrazione è posta su persone influenti e identificate come rilevanti (influencer) più che sul mercato di riferimento nel suo complesso. Questo termine, e i concetti che dietro vi si celano, sono stati utilizzati per la prima analizzata negli Anni 40, nel celebre studio The People’s Choice di Lazarsfeld e Katz sulla comunicazione politica. Lo studio afferma che la maggior parte delle persone sono influenzate da rumors e opinion leader. Infatti, nonostante questi talvolta si limitino a dare vita a semplici words of mouth, ovvero “movimenti/parole della bocca”, spesso riescono a raggiungere il pubblico in modo efficace ed efficiente, trasmettendo semplice messaggi chiave di facile ricezione. 

LEGGI ANCHE: Ci siamo stancati degli influencer?

Attraverso la semplicità e la ripetitività di contenuti e l’avvento degli influencer, l’industria del marketing di influenza è cresciuta molto velocemente negli ultimi anni, tanto che nel 2017 il suo valore mondiale era stimato intorno all’1,07 miliardi di dollari. Un risultato sbalorditivo che necessita, però, di essere accompagnato da una giusta strategia per evitare di finire, in breve tempo, nel dimenticatoio.

L’ATTIVISMO DIGITALE DEI MILLENNIAL

Spesso siamo portati a pensare che i millennial, nati tra gli Anni 80 e il 2000, rappresentino la fascia d’età più affascinata e disposta al dialogo con gli influencer. Recenti studi pubblicati sul Public Relations Journal dell’Institute for Public Relations hanno evidenziato un fattore sorprendente: i millennial sono soprattutto impegnati, attraverso social network e strumenti digitali, in comportamenti di attivismo online che superano di gran lunga quelli offline. Questa forte relazione tra millennial, attivismo e digitale non risiede però nella specifica e precisa volontà dei ragazzi di “fare attivismo”. Secondo gli studi, l’attivismo viene percepito come la possibilità di avere libertà di espressione, interagire con gli altri, appartenere a un gruppo e costruire la propria identità.

LEGGI ANCHE: Perché gli influencer testimonial sono un’incognita

Questo aspetto, spesso sottostimato e poco considerato dagli addetti ai lavori, è fondamentale per costruire nuovi modelli di comunicazione online. I social media per l’attivismo online e le organizzazioni a esso correlate possono mobilitare strategicamente i millennial coinvolti in queste attività e coinvolgerli intorno a questioni specifiche senza la necessità di creare e animare un personaggio su cui far convergere la loro attenzione. Le idee, le parole e la continua ricerca di identità rappresentano nuove leve in grado di aiutare a costruire nuovi modelli di aggregazione. Comprendendo quali gratificazioni i millennial hanno cercato di raggiungere attraverso attivismo online, è possibile porre le basi per indirizzare la comunicazione e le gratificazioni del pubblico e rendere meno facile la vita agli influencer.

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

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Spesso siamo portati a pensare che i millennial, nati tra gli Anni 80 e il 2000, rappresentino la fascia d’età più affascinata e disposta al dialogo con gli influencer. Recenti studi pubblicati sul Public Relations Journal dell’Institute for Public Relations hanno evidenziato un fattore sorprendente: i millennial sono soprattutto impegnati, attraverso social network e strumenti digitali, in comportamenti di attivismo online che superano di gran lunga quelli offline. Questa forte relazione tra millennial, attivismo e digitale non risiede però nella specifica e precisa volontà dei ragazzi di “fare attivismo”. Secondo gli studi, l’attivismo viene percepito come la possibilità di avere libertà di espressione, interagire con gli altri, appartenere a un gruppo e costruire la propria identità.

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L’obiettivo finale del corso è univoco: forgiare, indirizzare e sostenere figure professionali in grado di “influenzare” il mondo che le circonda attraverso la creazione di un passaparola strategico in grado di generare seguito e mercato. L’idea di base è dunque quella di selezionare una rosa di persone in grado di affermarsi nel mondo digitale, perché, se è vero che chiunque può diventare un influencer, è altrettanto vero che non tutti gli influencer possono davvero collaborare in maniera efficace con una certa azienda o un brand.

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