Pensione giugno 2020 in pagamento con trattenute fiscali


La pensione di giugno 2020 in banca viene accreditata lunedì 1° giugno 2020, mentre il pagamento tramite Poste Italiane in contanti o con accredito viene effettuato secondo l'ordine alfabetico in base al cognome del pensionato. Il calendario pagamento va da martedì 26 maggio a lunedì 1 giugno, anche per l'assegno ordinario di invalidità. La pensione di giugno 2020 per alcuni pensionati è più bassa: l'Inps ha annunciato trattenute per debiti di natura fiscale, accanto a trattenute Irpef e addizionali regionali e comunali, contenute nella Certificazione unica 2020.
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Il governo smentisce la revisione di reddito di cittadinanza e Quota 100

Dopo le polemiche fra Italia viva e M5s, Palazzo Chigi chiude a eventuali modifiche delle due misure-simbolo del governo gialloverde.

Il governo ha ufficialmente smentito di essere al lavoro su eventuali modifiche da apportare al reddito di cittadinanza e alle pensioni con Quota 100: «Dopo l’approvazione della manovra, non è all’ordine del giorno alcuna revisione», ha precisato Palazzo Chigi in una nota.

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LE POLEMICHE TRA ITALIA VIVA E M5S

Il riferimento è alla ricostruzione giornalistica pubblicata dal quotidiano La Stampa in edicola il 30 dicembre, ma il comunicato del governo suona anche come una risposta alle polemiche aperte nella maggioranza dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova. L’esponente di Italia viva, infatti, aveva chiesto all’esecutivo di cancellare il reddito e di ridiscutere quota 100. Per il M5s aveva replicato l’ex ministra Barbara Lezzi: «Se il reddito le fa schifo allora si dimetta e faccia cadere il governo».

I PRESUNTI INTERVENTI ALLO STUDIO DELL’ESECUTIVO

Secondo La Stampa, il premier Giuseppe Conte sarebbe disponibile a ridiscutere entrambe le misure. Per quanto riguarda il reddito, intervenendo sui navigator e sul ruolo dell’Anpal. Per quanto riguarda invece Quota 100, non sarebbe da escludere una riforma strutturale del sistema pensionistico finalizzata a superare sia tale meccanismo, sia la legge Fornero. La secca smentita di Palazzo Chigi, tuttavia, fa capire che non ci sono margini.

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Il premier francese promette pensioni minime di mille euro

La soglia dei 62 anni non verrà modificata. Ma lo Stato «inciterà i cittadini a lavorare più a lungo».

Il premier francese Edouard Philippe ha illustrato i contenuti della riforma delle pensioni che il governo di Parigi intende varare. E ha fatto una promessa: «Garantiremo una pensione minima di mille euro al mese per ogni carriera completa» e «i più ricchi pagheranno un contributo di solidarietà più elevato rispetto a oggi».

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L’età pensionabile, fissata in Francia a 62 anni, «non cambierà». Ma Philippe è tornato a sottolineare la necessità di lavorare di più: «Senza forzarli, inciteremo i cittadini a lavorare più a lungo, è necessario». Il sistema pensionistico del futuro «sarà lo stesso per tutti i francesi, senza eccezioni. Quello che proponiamo è un nuovo patto fra le generazioni».

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Cosa prevede la riforma delle pensioni al centro delle proteste in Francia

Nessun innalzamento dell'età pensionistica, né tagli alla spesa previdenziale: nel mirino dei manifestanti c'è l'abolizione dei regimi speciali. Tabù intoccabile su cui Macron si gioca tutto.

Un milione e mezzo di persone sono scese in piazza il 5 dicembre in Francia per protestare contro la riforma delle pensioni. La legge, promessa dal presidente Emmanuel Macron durante la campagna elettorale che nel 2017 lo portò all’Eliseo, non prevede (almeno sulla carta) alcun innalzamento dell’età pensionistica o tagli al bilancio previdenziale. Il motivo alla base di tanto malcontento è l’introduzione di un regime universale e l’abolizione dei regimi speciali. In Francia un tabù intoccabile, impersonificato dai cheminot, i lavoratori di metro e ferrovie in testa ai cortei anti Macron.

UN REGIME UNICO AL POSTO DEI 42 ATTUALI

I contenuti della riforma sono ancora vaghi, nonché oggetto di concertazione. L’unico punto fermo è l’introduzione di un sistema universale a punti – ogni giorno di attività lavorativa viene ricompensato da un punteggio che permette di accumulare contributi pensionistici – che sostituisca i 42 regimi attuali. Il premier Edouard Philippe, che promette di fornire nuovi dettagli entro la metà di dicembre, parla di un sistema «più equo e leggibile», mentre gli oppositori temono una «precarizzazione» dei pensionati. In pratica, assicura il governo, tutti i dipendenti del settore privato e pubblico, nonché i liberi professionisti, potranno beneficiare degli stessi diritti e delle stesse condizioni, abolendo complessità e privilegi del passato. Nel corso di un recente intervento a Rodez, nel Sud del Paese, Macron ha inoltre detto che non ci saranno più pensioni sotto ai 1.000 euro per chi ha contribuito a tasso pieno durante tutta la sua carriera professionale.

ETÀ PENSIONABILE FERMA A 62 ANNI

Quanto all’età per andare in pensione, già innalzata da 60 a 62 anni durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, non dovrebbe subire modifiche. Questo, almeno, è quanto promesso nel 2017 da Macron. Tanto che tra i falchi della maggioranza c’è chi dietro alle quinte storce il naso, considerando che il presidente rischia di giocarsi il quinquennato per una riforma considerata fin troppo prudente. Alla rivolta dei cosiddetti regimi speciali, come i macchinisti, si aggiunge anche quella delle professioni liberali, come avvocati o medici. Raramente in piazza, questi ultimi rifiutano infatti che il loro regime previdenziale finora autonomo possa fondersi nel nuovo sistema universale proposto nel rapporto dell’alto commissario alla Previdenza, Jean-Paul Delevoye, finora l’unico testo ufficiale sui cui si basano le discussioni avviate con le parti sociali ormai da circa un anno.

UNA PROTESTA CONTRO LA RIFORMA O CONTRO IL PRESIDENTE?

La riforma pensionistica, che dovrebbe progressivamente entrare in vigore a partire dal 2025, è attesa da una strada ancora lunga e tortuosa. Il premier ha espresso l’auspicio di un voto in parlamento entro la prossima estate. Secondo un sondaggio Ifop per Le Journal Du Dimanche, tre francesi su quattro vogliono riformare il sistema previdenziale armonizzando i diversi regimi, ma il 64% non ha fiducia in Macron per raggiungere questo obiettivo. E tra gli osservatori sono in molti a credere che dietro alla contesa sulle pensioni sia soprattutto lui l’obiettivo della protesta.

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Per i geriatri la pensione nuoce gravemente alla salute

Nei primi due anni aumentano problemi cardiovascolari e casi di depressione. Quota 100? «Fa male al corpo e alla società: è immorale».

Entro i primi due anni dal momento in cui si va in pensione aumentano i problemi cardiovascolari, la depressione e il ricorso a medici e specialisti. Secondo i dati forniti da studi internazionali, l’incremento è tra il 2 e il 2,5%. È quanto emerso nell’ambito del 64esimo Congresso nazionale della Società italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) a Roma. «Andare in pensione fa male alla salute. Lavorare stanca, ma protegge corpo e mente. A parte le persone che hanno avuto una vita lavorativa molto usurante, chi è malato, chi ha cominciato in età molto giovane, in generale la pensione crea fragilità e peggiora lo stato di salute», dice Niccolò Marchionni, Ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e direttore di Cardiologia generale all’ospedale Careggi. «Andare poi in pensione prima del previsto, come prevede Quota 100, ad un’età di appena 60 anni, quando si è ancora in forze e si sta bene, non fa solo male alla salute, fa male alla società. Andare via prima di poter contare sul reddito che viene dal lavoro, è immorale», afferma con forza Raffaele Antonelli Incalzi, presidente di Sigg, «specie se pensiamo alla situazione drammatica dell’economia nel Paese».

TRA I REDDITI BASSI SONO MAGGIORI I PROBLEMI DI SALUTE

Non solo. La pensione per la maggior parte delle persone, rappresenta una soglia che coincide con l’idea di essere inutili. «Quello che avvertiamo noi medici, è che uscire dal mondo del lavoro sia peggiorativo anche per la salute percepita, cioè che essere fuori dal lavoro incida sul modo di sentirsi dalle persone stesse, sia fisicamente che psicologicamente: essere pensionati innesca un meccanismo che fa sentire nell’ultima fase della vita, non più coinvolti, fuori da tutto», spiega Nicola Ferrara, Ordinario di Geriatria all’Università Federico II di Napoli. L’uscita dal processo produttivo, la mancanza di un impegno nella società, il senso di marginalizzazione – dicono gli esperti Sigg – ha una ricaduta sulla salute che i medici toccano con mano. Il periodo post-pensione coincide con una fase di fragilità con sintomatologia fisica e cognitiva. «Dagli studi emerge una esperienza diversa tra ceti abbienti e non, tra persone istruite e pensionati con minori risorse culturali – chiariscono gli esperti – chi ha meno strumenti e reddito più basso, ha anche maggiori problemi di salute».

IL RISCHIO DI NON POTERSI PERMETTERE LE CURE

«Non è da sottovalutare inoltre», aggiunge Ferrara, «un dato molto importante. Con la pensione la maggior parte delle persone vede diminuire il proprio potere di acquisto. Peggio ancora per chi decide di usufruire di leggi che consentono l’uscita anni prima rispetto al raggiungimento dell’età e che perdono una percentuale notevole di reddito. Con il risultato che un settantenne, pur avendo lavorato per 40 anni, rischia di diventare un nuovo povero e di non potersi permettere le cure di cui ha bisogno». Il messaggio che arriva dai geriatri riuniti in congresso insomma è chiaro: «Non desiderate pazzamente di andare in pensione, perchè non sapete che cosa vi aspetta. Preparatevi per tempo ad affrontare quel senso di vuoto e inutilità che può nuocere gravemente alla salute».

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L’Italia spende in pensioni il 16% del Pil

Nel nostro Paese il reddito medio delle persone con più di 65 anni è simile a quello dell'intera popolazione mentre nella media Ocse è più basso del 13%.

Un Paese in cui la distribuzione dei redditi e la spesa sociale favorisce gli anziani che non lavorano. La fotografia scattata dall’Ocse nel suo rapporto Pension at a Glance presentato il 27 novembre è chiara. Secondo l’Ocse l’Italia spende per il sistema pensionistico il 16% del Pil, il secondo livello più alto nell’area Ocse.

REDDITO DEGLI ULTRA 65ENNI IN LINEA CON QUELLO DI CHI LAVORA

Secondo l’organizzazione con sede a Parigi nel nostro Paese inoltre il reddito medio delle persone con più di 65 anni è simile a quello dell’intera popolazione mentre nella media Ocse è più basso del 13%. L’Ocse sottolinea che l’età di ritiro legale è 67 anni, tre anni superiore a quella della media Ocse ma che di recente «è andata indietro rispetto alle recenti riforme introducendo Quota 100».

ALTA ETÁ PENSIONABILE E CONTRIBUZIONE, MA RITIRO PRECOCE

Nel sistema pensionistico italiano la priorità dovrebbe essere «aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro» dato che al momento è a 62 anni, di due anni circa inferiore a quella media Ocse e di cinque più bassa rispetto all’età legale di vecchiaia (67), si legge nel Rapporto Ocse. L’Ocse sottolinea che l’Italia oltre ad aver introdotto Quota 100 che consente di ritirarsi in anticipo dal lavoro, ha bloccato l’aumento dei requisiti legati all’aspettativa di vita fino al 2026 per coloro che hanno almeno 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 e 10 mesi se donne. Inoltre non è prevista una revisione per l’età di vecchiaia nel 2021 legata all’aspettativa di vita. «Il sistema italiano – scrive l’Organizzazione – combina un’alta età pensionabile obbligatoria con un tasso di contribuzione pensionistica elevato del 33%» e ciò comporterà un tasso di sostituzione netto futuro (quando si raggiungeranno i 71 anni, ndr) molto elevato, il 92% per i lavoratori con salario medio a carriera piena contro il 59% in media nell’Ocse.

«IL RISCHIO DI BASSE PENSIONI IN FUTURO»

L’Ocse segnala inoltre che la pensione di cittadinanza ha innalzato i benefici per la vecchiaia portandoli al di sopra della media Ocse per questi schemi. In particolare l’Organizzazione ricorda le difficoltà del mercato del lavoro italiano con una percentuale di lavoro temporaneo e part time che generalmente dà guadagni più bassi, più alto rispetto alla media dei paesi Ocse. «Queste forme di lavoro – avverte – aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi. Inoltre i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% medio Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse. Anche questo rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati. Infine l’Ocse ricorda l’alta percentuale di lavoro autonomo nel nostro Paese «Più del 20% dei lavoratori sono autonomi – si legge – a fronte del 15% nei paesi Ocse». E se nella media Ocse questi lavoratori hanno pensioni mediamente più basse del 22% rispetto ai lavoratori dipendenti in Italia c’è il divario più grande con una differenza che supera il 30%.

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Cosa (non) cambia nei requisiti per la pensione di vecchiaia

La speranza di vita non cresce e l'età pensionabile resta fissata a 67 anni per il 2021. La comunicazione del ministero dell'Economia.

I requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non cambieranno e resteranno pari a 67 anni anche nel 2021. La conferma arriva dal decreto del ministero dell’Economia appena pubblicato in Gazzetta ufficiale sulla base dell’indicazione dell’Istat di una crescita di appena 0,021 decimi di anno della speranza di vita a 65 anni. Per la pensione anticipata rispetto all’età di vecchiaia resta valido il requisito di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne) oltre a tre mesi di finestra mobile, fino al 31 dicembre 2026, secondo quanto previsto dal cosiddetto Decretone. Ancora per il 2021, a meno di modifiche nelle prossime manovra di bilancio, si potrà ancora usufruire per la pensione anticipata della cosiddetta quota 100 che richiede almeno 62 anni di età e 38 di contributi.

LA MODIFICA DEI REQUISITA A CADENZA BIENNALE

La modifica dei requisiti di accesso dal 2021 dovrebbe avere cadenza biennale. L’ultimo cambiamento si è avuto nel 2019, quando ci sono stati cinque mesi di aumento, che hanno portato l’età di vecchiaia da 66 anni e sette mesi a 67 anni. Per questo biennio (2021-2022) però non ci saranno variazioni in ragione della scarsa crescita della speranza di vita a 65 anni. Oltre all’età minima bisogna avere almeno 20 anni di contributi. «La variazione della speranza di vita all’età di 65 anni» – si legge nel decreto pubblicato in Gazzetta – «e relativa alla media della popolazione residente in Italia ai fini dell’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento con decorrenza 1 gennaio 2021 corrispondente alla differenza tra la media dei valori registrati negli anni 2017 e 2018 e il valore registrato nel 2016 è pari a 0,021 decimi di anno. Il dato, trasformato in dodicesimi di anno, equivale a una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 0». Il riferimento è alla legge del 2010 che stabilisce l’adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita.

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Cosa (non) cambia nei requisiti per la pensione di vecchiaia

La speranza di vita non cresce e l'età pensionabile resta fissata a 67 anni per il 2021. La comunicazione del ministero dell'Economia.

I requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non cambieranno e resteranno pari a 67 anni anche nel 2021. La conferma arriva dal decreto del ministero dell’Economia appena pubblicato in Gazzetta ufficiale sulla base dell’indicazione dell’Istat di una crescita di appena 0,021 decimi di anno della speranza di vita a 65 anni. Per la pensione anticipata rispetto all’età di vecchiaia resta valido il requisito di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne) oltre a tre mesi di finestra mobile, fino al 31 dicembre 2026, secondo quanto previsto dal cosiddetto Decretone. Ancora per il 2021, a meno di modifiche nelle prossime manovra di bilancio, si potrà ancora usufruire per la pensione anticipata della cosiddetta quota 100 che richiede almeno 62 anni di età e 38 di contributi.

LA MODIFICA DEI REQUISITA A CADENZA BIENNALE

La modifica dei requisiti di accesso dal 2021 dovrebbe avere cadenza biennale. L’ultimo cambiamento si è avuto nel 2019, quando ci sono stati cinque mesi di aumento, che hanno portato l’età di vecchiaia da 66 anni e sette mesi a 67 anni. Per questo biennio (2021-2022) però non ci saranno variazioni in ragione della scarsa crescita della speranza di vita a 65 anni. Oltre all’età minima bisogna avere almeno 20 anni di contributi. «La variazione della speranza di vita all’età di 65 anni» – si legge nel decreto pubblicato in Gazzetta – «e relativa alla media della popolazione residente in Italia ai fini dell’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento con decorrenza 1 gennaio 2021 corrispondente alla differenza tra la media dei valori registrati negli anni 2017 e 2018 e il valore registrato nel 2016 è pari a 0,021 decimi di anno. Il dato, trasformato in dodicesimi di anno, equivale a una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 0». Il riferimento è alla legge del 2010 che stabilisce l’adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita.

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