Dopo tanti fallimenti le lobby aspettano (ancora) una legge

Da anni si cerca di normare i rapporti tra i portatori di interesse e i decisori istituzionali ma mai nessuna proposta di legge ha concluso il suo iter. Ad oggi, sono tre le iniziative legislative al vaglio del parlamento che fanno riaccendere la speranza a tutti gli esperti del settore.

Nuovo anno, stesse tematiche: i nodi relativi al dibattito sulla regolamentazione della rappresentanza di interessi sembrano ben lontani dall’essere sciolti. In un contesto in cui diventa sempre più difficile per i politici prescindere dall’aiuto e dalle competenze dei portatori di interessi, i termini lobby e lobbista, in Italia rimangono ancora avvolti da un alone di mistero.

Eppure, già nell’America degli Anni 60, sotto la presidenza Kennedy, i lobbisti erano considerati professionisti che in «10 minuti e cinque fogli di carta» riuscivano a portare all’attenzione dei decisori le istanze di determinate categorie. Alla luce di questa profonda lacuna che caratterizza il nostro Paese rispetto ad altri, come scrivevo su questa stessa rubrica quasi due anni fa, una chiara ed efficiente regolamentazione del rapporto tra decisori pubblici e lobbisti risulta essere fondamentale e necessaria.

Questa, infatti, non può rimanere nelle mani di singole iniziative politiche, che rischiano di trovare soluzioni estemporanee e poco stringenti, tanto più che nell’approvare il reato di traffico di influenza il parlamento si impegnò, e siamo nel 2012, a varare rapidamente una legge di regolamentazione della lobby, proprio per distinguere in modo chiaro il lavoro proprio da quello improprio.

L’ITALIA HA ANCORA PREGIUDIZI NEI CONFRONTI DEI LOBBISTI

Nel corso di questi anni, nonostante persistano i pregiudizi nei confronti dei lobbisti, sembra che qualcosa, anche in Italia, stia iniziando a cambiare. Infatti, se da un lato il termine lobbying non gode ancora di un adeguato riconoscimento, l’espressione Public Affairs va sempre più diffondendosi e registra un costante aumento di interesse nei confronti dei media e del pubblico poiché considerata meno ambigua e più politically correct. Ma ciò non basta. È evidente che l’incertezza normativa in cui verte il settore rappresenti un dato sconfortante nei confronti del funzionamento democratico del Paese e incida in negativo sul valore strategico delle policy adottate.

È necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni

Come ho avuto modo di ribadire più volte, anche nel mio nuovo libro Comunicazione integrata e reputation management (Luiss Press University, 2019), l’Italia risulta essere il fanalino di coda dell’Europa in termine di trasparenza delle istituzioni, di qualità della legislazione, di partecipazione ai processi decisionali e di lotta alla corruzione. Sin dal 2014, l’analisi condotta da Transparency International-Italia nello studio Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia conferisce al nostro Paese un avvilente punteggio di 20 su 100.

Sono i cittadini, insieme ai professionisti del settore, a pagare l’incapacità di colmare questo vuoto legislativo, rendendo la partecipazione alla vita pubblica sempre più controversa. Alla luce di ciò, è necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni e i propri mezzi di comunicazione per interpretare e rispondere alle esigenze del nuovo contesto nel migliore dei modi.

TANTI TENTATIVI, POCHE AZIONI CONCRETE

I tentativi di disciplinare in modo onnicomprensivo i rapporti tra portatori di interessi e decisori pubblici sono, a oggi, oltre 65: il primo risale addirittura all’VIII legislatura quando è stata presentata al Senato della Repubblica, nel 1979, la proposta di legge Riconoscimento delle attività professionali di relazioni pubbliche a firma dei senatori democristiani Salerno, De Zan, Carollo e Mezzapesa, mai discussa. Ulteriori proposte di legge, talvolta neppure esaminate, sono state poi depositate nel corso di tutte le successive legislature. Gli stessi governi che si sono susseguiti hanno manifestato la necessità di regolamentare il lavoro dei lobbisti, in particolare attraverso la presentazione del disegno di legge del presidente del Consiglio Romano Prodi e del ministro per l’Attuazione del programma di governo Giulio Santagata; l’introduzione del reato di traffico di influenze illecite (nell’ambito della cosiddetta legge Severino) durante il Governo Monti, d ulteriori tentativi di disciplinare l’attività di rappresentanza degli interessi nel corso degli esecutivi guidati da Enrico Letta e Matteo Renzi.

TRE PROPOSTE DI LEGGE IN DISCUSSIONE DALL’11 DICEMBRE

Nonostante questo, il quadro normativo risulta essere molto frammentato. Se alla Camera, da quasi due anni, è stato istituito un registro pubblico dei lobbisti, che regola l’accesso alle stanze di Montecitorio, non è accaduto lo stesso al Senato. Esistono poi le iniziative di singoli ministri che, negli anni, hanno istituito registri e agende per la trasparenza, talvolta disattese dai loro successori. Tale assetto, non interessando l’intero perimetro delle istituzioni e non attribuendo pari dignità e grado a tutti gli attori del processo decisionale, ha determinato delle asimmetrie che non sono certamente di buon auspicio. Tuttavia, qualcosa dalla pubblicazione del mio ultimo articolo sulla questione sta cambiando. Da marzo 2018, nel corso della XVIII legislatura, sono state presentate ben nove proposte di legge in materia, di cui sei al Senato e tre alla Camera. L’11 dicembre scorso è iniziato, presso la I Commissione Affari Costituzionali, l’iter per la discussione di quelle alla Camera a firma di Fracesco Silvestri del Movimento 5 stelle, Silvia Fregolent di Italia viva e Marianna Madia del Partito democratico.

OLTRE ALLA REGOLAMENTAZIONE SI CAMBINO STRATEGIE DI COMUNICAZIONE

In linea generale, seppur con modalità talvolta diverse, i tre progetti di legge in questione intendono favorire la trasparenza e la partecipazione ordinata ai processi decisionali, migliorare la qualità della legislazione e prevenire episodi di corruzione. È previsto l’obbligo di iscrizione a un Registro ad accesso pubblico, che ogni lobbista dovrà aggiornare con l’agenda dettagliata dei propri incontri, un Codice deontologico in cui sono elencate le modalità di comportamento e un organo di sorveglianza ad hoc.

Bisogna garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni

Le proposte contemplano anche la possibilità di svolgere pubbliche consultazioni e relative norme sanzionatorie, che vanno dall’ammonizione alla cancellazione dal Registro e individuano, inoltre, alcuni casi di esclusione e incompatibilità, in particolare per giornalisti, rappresentanti dei governi e dei partiti o movimenti politici, esponenti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali connessi alla contrattazione. Quel che è certo è che, se i lobbisti e gli esperti del settore sono pronti ad accogliere una precisa regolamentazione, devono anche essere disposti a impostare strategie di comunicazione multidirezionali, efficaci ed innovative per garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni. Che il nuovo decennio porti fortuna?

Gianluca Comin è professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma.

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Dopo tanti fallimenti le lobby aspettano (ancora) una legge

Da anni si cerca di normare i rapporti tra i portatori di interesse e i decisori istituzionali ma mai nessuna proposta di legge ha concluso il suo iter. Ad oggi, sono tre le iniziative legislative al vaglio del parlamento che fanno riaccendere la speranza a tutti gli esperti del settore.

Nuovo anno, stesse tematiche: i nodi relativi al dibattito sulla regolamentazione della rappresentanza di interessi sembrano ben lontani dall’essere sciolti. In un contesto in cui diventa sempre più difficile per i politici prescindere dall’aiuto e dalle competenze dei portatori di interessi, i termini lobby e lobbista, in Italia rimangono ancora avvolti da un alone di mistero.

Eppure, già nell’America degli Anni 60, sotto la presidenza Kennedy, i lobbisti erano considerati professionisti che in «10 minuti e cinque fogli di carta» riuscivano a portare all’attenzione dei decisori le istanze di determinate categorie. Alla luce di questa profonda lacuna che caratterizza il nostro Paese rispetto ad altri, come scrivevo su questa stessa rubrica quasi due anni fa, una chiara ed efficiente regolamentazione del rapporto tra decisori pubblici e lobbisti risulta essere fondamentale e necessaria.

Questa, infatti, non può rimanere nelle mani di singole iniziative politiche, che rischiano di trovare soluzioni estemporanee e poco stringenti, tanto più che nell’approvare il reato di traffico di influenza il parlamento si impegnò, e siamo nel 2012, a varare rapidamente una legge di regolamentazione della lobby, proprio per distinguere in modo chiaro il lavoro proprio da quello improprio.

L’ITALIA HA ANCORA PREGIUDIZI NEI CONFRONTI DEI LOBBISTI

Nel corso di questi anni, nonostante persistano i pregiudizi nei confronti dei lobbisti, sembra che qualcosa, anche in Italia, stia iniziando a cambiare. Infatti, se da un lato il termine lobbying non gode ancora di un adeguato riconoscimento, l’espressione Public Affairs va sempre più diffondendosi e registra un costante aumento di interesse nei confronti dei media e del pubblico poiché considerata meno ambigua e più politically correct. Ma ciò non basta. È evidente che l’incertezza normativa in cui verte il settore rappresenti un dato sconfortante nei confronti del funzionamento democratico del Paese e incida in negativo sul valore strategico delle policy adottate.

È necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni

Come ho avuto modo di ribadire più volte, anche nel mio nuovo libro Comunicazione integrata e reputation management (Luiss Press University, 2019), l’Italia risulta essere il fanalino di coda dell’Europa in termine di trasparenza delle istituzioni, di qualità della legislazione, di partecipazione ai processi decisionali e di lotta alla corruzione. Sin dal 2014, l’analisi condotta da Transparency International-Italia nello studio Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia conferisce al nostro Paese un avvilente punteggio di 20 su 100.

Sono i cittadini, insieme ai professionisti del settore, a pagare l’incapacità di colmare questo vuoto legislativo, rendendo la partecipazione alla vita pubblica sempre più controversa. Alla luce di ciò, è necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni e i propri mezzi di comunicazione per interpretare e rispondere alle esigenze del nuovo contesto nel migliore dei modi.

TANTI TENTATIVI, POCHE AZIONI CONCRETE

I tentativi di disciplinare in modo onnicomprensivo i rapporti tra portatori di interessi e decisori pubblici sono, a oggi, oltre 65: il primo risale addirittura all’VIII legislatura quando è stata presentata al Senato della Repubblica, nel 1979, la proposta di legge Riconoscimento delle attività professionali di relazioni pubbliche a firma dei senatori democristiani Salerno, De Zan, Carollo e Mezzapesa, mai discussa. Ulteriori proposte di legge, talvolta neppure esaminate, sono state poi depositate nel corso di tutte le successive legislature. Gli stessi governi che si sono susseguiti hanno manifestato la necessità di regolamentare il lavoro dei lobbisti, in particolare attraverso la presentazione del disegno di legge del presidente del Consiglio Romano Prodi e del ministro per l’Attuazione del programma di governo Giulio Santagata; l’introduzione del reato di traffico di influenze illecite (nell’ambito della cosiddetta legge Severino) durante il Governo Monti, d ulteriori tentativi di disciplinare l’attività di rappresentanza degli interessi nel corso degli esecutivi guidati da Enrico Letta e Matteo Renzi.

TRE PROPOSTE DI LEGGE IN DISCUSSIONE DALL’11 DICEMBRE

Nonostante questo, il quadro normativo risulta essere molto frammentato. Se alla Camera, da quasi due anni, è stato istituito un registro pubblico dei lobbisti, che regola l’accesso alle stanze di Montecitorio, non è accaduto lo stesso al Senato. Esistono poi le iniziative di singoli ministri che, negli anni, hanno istituito registri e agende per la trasparenza, talvolta disattese dai loro successori. Tale assetto, non interessando l’intero perimetro delle istituzioni e non attribuendo pari dignità e grado a tutti gli attori del processo decisionale, ha determinato delle asimmetrie che non sono certamente di buon auspicio. Tuttavia, qualcosa dalla pubblicazione del mio ultimo articolo sulla questione sta cambiando. Da marzo 2018, nel corso della XVIII legislatura, sono state presentate ben nove proposte di legge in materia, di cui sei al Senato e tre alla Camera. L’11 dicembre scorso è iniziato, presso la I Commissione Affari Costituzionali, l’iter per la discussione di quelle alla Camera a firma di Fracesco Silvestri del Movimento 5 stelle, Silvia Fregolent di Italia viva e Marianna Madia del Partito democratico.

OLTRE ALLA REGOLAMENTAZIONE SI CAMBINO STRATEGIE DI COMUNICAZIONE

In linea generale, seppur con modalità talvolta diverse, i tre progetti di legge in questione intendono favorire la trasparenza e la partecipazione ordinata ai processi decisionali, migliorare la qualità della legislazione e prevenire episodi di corruzione. È previsto l’obbligo di iscrizione a un Registro ad accesso pubblico, che ogni lobbista dovrà aggiornare con l’agenda dettagliata dei propri incontri, un Codice deontologico in cui sono elencate le modalità di comportamento e un organo di sorveglianza ad hoc.

Bisogna garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni

Le proposte contemplano anche la possibilità di svolgere pubbliche consultazioni e relative norme sanzionatorie, che vanno dall’ammonizione alla cancellazione dal Registro e individuano, inoltre, alcuni casi di esclusione e incompatibilità, in particolare per giornalisti, rappresentanti dei governi e dei partiti o movimenti politici, esponenti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali connessi alla contrattazione. Quel che è certo è che, se i lobbisti e gli esperti del settore sono pronti ad accogliere una precisa regolamentazione, devono anche essere disposti a impostare strategie di comunicazione multidirezionali, efficaci ed innovative per garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni. Che il nuovo decennio porti fortuna?

Gianluca Comin è professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma.

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