L’Italia distrugge l’Armenia: a Palermo finisce 9-1

Sensazionale vittoria degli Azzurri nell'ultimo match del girone: a Palermo a segno due volte Immobile e Zaniolo. Completano il trionfo Barella, Romagnoli, Jorginho su rigore, Orsolini e Chiesa. Sono 10 successi su 10 nel girone.

Un’Italia mai vista prima inanella un record dopo e nell’ultimo match di qualificazione a Euro 2020 asfalta l’Armenia con un risultato mai visto in epoca moderna dalle nostre parti. A Palermo finisce 9-1 per gli Azzurri che, sicuri della qualificazione già da due turni, hanno addirittura innalzato il livello del loro gioco, sbarazzandosi agevolmente prima della Bosnia e poi dei malaugurati armeni, sommersi di reti allo stadio Renzo Barbera. Nella sua storia l’Italia aveva segnato nove gol in un singolo match soltanto in altre due occasioni, nel 1920 contro la Francia (9-4) e nel 1948 con gli Usa.

UNA DOPPIETTA CIASCUNO PER IMMOBILE E ZANIOLO

A firmare la decima vittoria su 10 incontri nel girone di qualificazione (anche questa una prima volta assoluta) sono stati Ciro Immobile e Nicolò Zaniolo con una doppietta ciascuno e, nell”ordine, Nicolò Barella, Alessio Romagnoli, Jorginho su calcio di rigore, Riccardo Orsolini e Federico Chiesa, entrambi alla prima rete in azzurro, col primo al debutto assoluto. Un risultato roboante che completa un percorso netto e forse irripetibile per il commissario tecnico Roberto Mancini. E che lascia ben sperare in vista dell’Europeo dell’anno prossimo.

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I giudici frenano lo spegnimento dell’Ilva

L'altoforno 2 resta in funzione dopo la richiesta del tribunale di Milano. Mattarella incontra i sindacati e promette una soluzione. Ma il governo studia il piano B.

Continua la battaglia a tutto campo per fronteggiare l’addio di ArcelorMittal al polo siderurgico italiano. Ma, intanto, alla richiesta del giudice di Milano di non interrompere l’attività degli impianti, la società risponde con la sospensione delle procedure di spegnimento (anche se l’altoforno 2 al momento resta acceso) in attesa della prima udienza sul ricorso d’urgenza presentato dai commissari, fissata per il 27 novembre.

TENSIONE SIA TRA I LAVORATORI CHE NEL GOVERNO

La tensione era rimasta alta tra i lavoratori, indotto compreso, in presidio davanti ai cancelli dello stabilimento di Taranto, ma anche nel governo, che prepara un piano B e incassa la data di un nuovo incontro tra il premier Giuseppe Conte, i ministri dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il gruppo franco-indiano. Il vertice è fissato per venerdì 22 novembre alle 18.30. La notizia giunta in serata stempera, almeno per il momento, gli animi mentre la preoccupazione dei sindacati, arrivata al Quirinale e, raccolta dal capo dello Stato, fa sentire il suo peso.

LA PREOCCUPAZIONE DEL QUIRINALE PER GLI SVILUPPI

Sergio Mattarella per lo più ascolta i problemi sul tappeto, ma afferma come l’ex Ilva sia un grande problema nazionale che va risolto con tutto l’impegno e la determinazione, non solo per le implicazioni importantissime sul piano occupazionale, osserva, ma anche per quanto riguarda il sistema industriale italiano. I sindacati appaiono sollevati dopo le notizia arrivate da Taranto e il leader della Cgil, Maurizio Landini, salito al Colle con i segretari di Cisl, Annamaria Furlan e Uil, Carmelo Barbagallo, afferma che si tratta di «un primo risultato importante ma adesso non c’è tempo da perdere». Furlan si augura che sia il primo passo per «salvare» la fabbrica.

IL TRIBUNALE DI MILANO FISSA LA PRIMA UDIENZA

«Abbiamo fatto un atto eccezionale, non è norma discutere di crisi aziendali con il presidente della Repubblica» – riconoscono le rappresentanze dei lavoratori – «ma il fatto che ci abbia immediatamente dato questo incontro credo significhi che anche il presidente condivida l’eccezionalità della situazione e la necessità di una soluzione in tempi rapidi». Sul versante giudiziario, dove si allargano le indagini anche sul fronte tributario e per false comunicazioni al mercato, arriva invece dal tribunale di Milano (una seconda inchiesta è aperta al tribunale di Taranto) la data della prima udienza sul ricorso d’urgenza dei commissari: il prossimo 27 novembre. E proprio nel fissare la data, il giudice aveva invitato ArcelorMittal «a non porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e funzionalità degli impianti». In sostanza, a non fermarli. Invito accolto dalla multinazionale dell’acciaio che da parte sua «prende atto e saluta con favore l’odierna decisione del tribunale di non accogliere la richiesta di emettere un’ordinanza provvisoria senza prima aver sentito tutte le parti». Si apprende intanto che nel ricorso i commissari parlano dell’iniziativa «gravissima» e «unilaterale» con cui Am vuole sciogliere il contratto di affitto – e della «dolosa intenzione di forzare con violenza e minacce» un riassetto dell’obbligo contrattuale – che riguarda un impianto industriale di «interesse strategico» e che determinerebbe «danni sistemici incalcolabili». Danni in definitiva a carico dell’ «intera economia nazionale».

L’ESECUTIVO PENSA AL PIANO B

Intanto di fronte alla possibilità che ArcelorMittal non faccia passi indietro e non riveda la decisione di lasciare Taranto e gli altri siti del Paese, il governo pensa al piano B: in tal caso, per l’ex Ilva scatterà «l’amministrazione straordinaria, con un prestito ponte» da parte dello Stato in modo da riportare l’azienda sul mercato entro «uno-due anni», spiega il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia. «Se necessario rifaremo senza alcun problema» l’amministrazione straordinaria che ha già «salvato l’Ilva dal crack dei Riva». Una «alternativa non c’è».

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I sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019

Matteo Salvini e Matteo Renzi sono i principali sconfitti dei sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019. Secondo la rilevazione..

Matteo Salvini e Matteo Renzi sono i principali sconfitti dei sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019. Secondo la rilevazione di Swg per il TgLa7, la Lega passa dal 34,5% dell’11 novembre al 34% e Italia viva cala dal 5,6% al 5%.

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In Cina non c’è repressione: parola del Blog di Grillo

Mentre il New York Times pubblica documenti che dimostrano la ferocia di Pechino contro gli uiguri dello Xinjiang, l'articolo di Parenti sposa la propaganda di Pechino. E bolla l'inchiesta come una fake news frutto di un complotto.

Proprio mentre il New York Times svela il contenuto di oltre 400 pagine di dossier riservati del governo cinese sulla feroce repressione della minoranza musulmana degli uiguri nella regione dello Xinjiang, grazie a uno straordinario lavoro di giornalismo d’inchiesta e a quella che è una delle più grandi fughe di notizie da Pechino degli ultimi decenni dopo i famosi Tienanmen papers, notizie opposte arrivano da un articolo pubblicato sul “vangelo grillino”, il Blog di Beppe Grillo. 

LEGGI ANCHE: Benvenuta nelle nostre case, cara propaganda cinese!

LE FAVOLE SULLA PACIFICA CONVIVENZA NELLA REGIONE

Il contenuto dell’articolo è a dir poco sconcertante. È firmato da Fabio Massimo Parenti, professore associato dell’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, che cita a sua volta un libro scritto proprio sullo Xinjiang da Maria Morigi (i due spesso scrivono insieme), archeologa e insegnante, la quale ha sostenuto, in una recente intervista, che nella regione ci sarebbe «una buona convivenza tra han e uiguri e non si percepisce alcun tipo di discriminazione» («come si legge continuamente sulla stampa occidentale», chiosa di suo Parenti). Mentre, sempre Morigi dice: «Sono rimasta colpita dal plurilinguismo adottato metodicamente in segnali stradali, avvisi, musei, parchi e luoghi pubblici»; «ho verificato che nelle scuole è praticato il bilinguismo per facilitare anche altre minoranze, oltre a quella uigura; assistendo a lezioni collettive in preparazione di eventi pubblici, ho notato quanto i piccoli studenti e gli educatori si impegnino a dare il meglio di sé»… Il Paese dei Balocchi, insomma, altro che feroce repressione!

«NESSUNA PIETÀ»: GLI ORDINI DI XI JINPING

Tra le carte diffuse dal Nyt, invece, ci sono anche alcuni discorsi del presidente Xi Jinping che nel 2014 esortò a non avere «alcuna pietà» nei confronti degli uiguri, e persino un sorta di “manuale” a uso della polizia politica dello Xinjiang per spiegare agli studenti perché i loro cari fossero spariti da casa. Al rientro dal semestre scolastico, gli studenti venivano avvicinati dai poliziotti già alla stazione, dove veniva loro detto che i genitori si trovavano in “scuole di addestramento” del governo, dove non potevano vederli. Nel caso di insistenza dei ragazzi, gli agenti erano autorizzati a minacciarli, per fare loro capire senza troppe allusioni che «dal loro comportamento sarebbe dipesa la lunghezza della permanenza dei genitori nelle “scuole”».

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IL COMPLOTTO ANTI-CINESE SUL BLOG DI GRILLO

L’articolo sul blog di Grillo, invece, si spinge fino ad affermare che «non vi sono corrispondenze reali alle accuse di repressione, se non addirittura di genocidio culturale», svelando poi la tesi finale: le denunce, dicono i due, sono veicolate dalle organizzazioni umanitarie in quanto strumenti di un complotto anti-cinese ordito dagli Stati Uniti. E infatti un capitolo del libro dell’archeologa si intitola «Ong e interventismo umanitario». Tutto dunque sarebbe soltanto una grande operazione di disinformazione americana, ovviamente legata alla competizione commerciale (la cosiddetta guerra dei dazi) in corso tra le due potenze. Insomma, curiosamente, il Blog diffonde ai simpatizzanti del comico genovese una visione distorta della repressione messa in atto da Pechino che corrisponde esattamente a quella veicolata dalla propaganda cinese, riguardo i molti dossier legati a violazioni dei diritti umani in Cina, dallo Xinjiang a Hong Kong.

IL FALLIMENTARE VIAGGIO DI DI MAIO IN CINA

La tesi ricorda curiosamente molto da vicino quella propagandata dai sovranisti sul complotto delle ong che salvano i migranti in mare, che sarebbero in realtà manovrate da potentati stranieri ostili (con a capo, ovviamente, il “solito” Soros) per un folle progetto di  “sostituzione etnica” nel nostro Paese. Idiozie, per essere educati, si diranno in molti, nell’uno e nell’altro caso. Ma certo non sembra causale che l’articolo-farsa sul Blog di Grillo esca proprio poco dopo il recente – e per più versi fallimentare- viaggio di Luigi di Maio in Cina, dove il nostro ineffabile ministro degli Esteri si è distinto in dichiarazioni sui fatti di Hong Kong capaci di far arrossire Ponzio Pilato («la politica dell’Italia è quella della non interferenza negli affari interni di alti Paesi» ha detto).

LE VISITE “GUIDATE” DEL GOVERNO DI PECHINO

Ovviamente la realtà della tragedia del popolo uiguro in Cina è ben diversa da quanto propagandata da Grillo & Co. Sulla base delle denunce, ben più articolate e documentate dell’articolo su citato, che si basano su informazioni verificate, sui numerosi dossier di ong e sulle testimonianze dirette raccolte dai giornalisti (tutte «credibili» a parere dell’Onu), la Cina sta portando avanti da anni nella regione un piano per la detenzione di massa e la trasformazione socio-culturale, con tutte le caratteristiche del vero e proprio genocidio. La cosa più incredibile è che nessuno dei due studiosi, autori delle sconcertanti dichiarazioni contenute nell’articolo apparso sul Blog di Grillo, ha mai potuto visitare autonomamente la regione, quindi non ha mai avuto la possibilità di verificare la versione del governo cinese.  Parenti, infatti, ammette con imbarazzante candore di essere stato nello Xinjiang recentemente, nel corso di un viaggio di quattro giorni «organizzato dal governo cinese», dove – manco a dirlo – non avrebbe notato «niente di particolarmente rilevante». Dal canto suo, Morigi scrive direttamente di avere avuto «anche l’opportunità di visitare varie moschee e un importante istituto di studi islamici» e di essere venuta a conoscenza «del fatto che in Xinjiang esistono più moschee pro capite che in qualsiasi altro Paese al mondo». Tutto a posto dunque.

L’ESEMPIO DELLA COREA DEL NORD

Nessuno dei due studiosi, insomma, sembra essere stato sfiorato dal dubbio che nei viaggi organizzati dal governo cinese siano stati manovrati dall’efficiente macchina della propaganda che ha mostrato loro solo ciò che voleva far vedere e ha “venduto” notizie e dati “politicamente opportuni”. Un po’ come faceva la Corea del Nord quando invitava i giornalisti nei rari viaggi-stampa dove facevano incontrare solo nordcoreani belli, puliti e felici, che ripetevano a memoria la favoletta della Nord Corea «paradiso socialista del Pianeta». E dire che – per quell’ironia sicuramente involontaria che spesso ci mette lo zampino – l’articolo del blog di Grillo è pubblicato proprio nella sezione che si chiama: “Cervelli”.

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Le Sardine riempiono anche piazza Grande a Modena

Nel giorno dell'appuntamento elettorale di Matteo Salvini sono tra le 6 e le 7 mila le persone scese in strada nella contro-manifestazione ispirata a quella bolognese di piazza Maggiore.

Il popolo delle ‘sardine’ risponde in massa anche a Modena nel giorno dell’appuntamento elettorale di Matteo Salvini. Dopo aver riempito piazza Maggiore a Bologna, infatti, si è riempita anche piazza Grande a Modena. Secondo le prime stime sono tre le 6 e le 7 mila le persone che hanno raggiunto piazza Grande, nonostante la pioggia battente che sta interessando tutto il territorio modenese. I manifestanti, sotto gli ombrelli aperti, hanno intonato Bella ciao e ripetuto lo slogan «Modena non si lega».

PIAZZA GREMITA NONOSTANTE LA PIOGGIA

«Loro queste cose non le sanno fare», hanno detto gli organizzatori dell’iniziativa, giovani bolognesi, facendo riferimento al «populismo di destra». La folla, che ha riempito piazza Grande completamente con gli ombrelli a causa della pioggia incessante, ha riposta con lo slogan già sentito a Bologna, ma in chiave modenese. Agitando gli ombrelli, con le riproduzioni in cartone di sardine a portata di mano, i manifestanti, soprattutto giovani, ma anche tante famiglie, hanno intonato più volte Bella ciao. Tra i concetti che il popolo delle sardine ha ribadito più volte: «L’Italia intera ci sta guardando, l’Europa intera ci vede». Gli organizzatori avevano inizialmente programmato l’iniziativa in piazza Mazzini, ma poi, visto l’alto numero di adesioni, hanno deciso di spostarsi in piazza Grande, sotto la Ghirlandina, il campanile che è uno dei simboli di Modena.

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Trump potrebbe testimoniare nell’inchiesta sull’impeachment

Il presidente tentato dalla possibilità di uno show. Ma i suoi avvocati temono possa tirarsi la zappa sui piedi.

Donald Trump apre all’ipotesi di testimoniare nell’indagine di impeachment, mentre il suo castello difensivo continua a crollare sotto il colpo delle testimonianze e sfoga la sua ira anche con il segretario di Stato Mike Pompeo, uno dei suoi più stretti alleati, colpevole ai suoi occhi di non aver fatto abbastanza per bloccare le deposizioni dei diplomatici. «La nostra pazza speaker della Camera, la nervosa Nancy Pelosi, che è pietrificata dalla sua sinistra radicale…ha suggerito domenica che io testimoni nella caccia alle streghe del falso impeachment. Ha detto che potrei farlo anche per iscritto», ha twittato il presidente.

«Benché non abbia fatto nulla di male e non mi piaccia dare credibilità a questa bufala di processo ingiusto, mi piace l’idea e la esaminerò fortemente», ha aggiunto. Difficile valutare le vere intenzioni del tycoon. Un suo interrogatorio sarebbe un vero show ma comporterebbe molti rischi. Innanzitutto darebbe legittimità ad una indagine che ha sempre definito illegale, vietando ai dirigenti della sua amministrazione di cooperare. In secondo luogo Trump, abituato ad uscire dal copione, potrebbe cadere involontariamente in ammissioni o contraddizioni che aggraverebbero la sua posizione. Per questo i suoi avvocati gli avevano sconsigliato di farsi interrogare dal procuratore speciale Robert Mueller nell’indagine sul Russiagate, indirizzandolo invece su risposte scritte.

LE ACCUSE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Potrebbe essere un’opzione anche in questo caso, ma non esente da pericoli. Come dimostra la causa intentata dalla Camera per acquisire il materiale del gran giurì sul Russiagate coperto da omissis, sostenendo che Trump potrebbe aver mentito «quando nelle sue risposte scritte alle domande del procuratore speciale ha negato di essere a conoscenza di qualsiasi comunicazione tra la sua campagna e Wikileaks». Per sostenere la loro tesi, i legali della House citano un passaggio del rapporto Mueller in cui l’ex capo della campagna di Trump, Paul Manafort, ricorda che il presidente gli chiese di essere tenuto «aggiornato» sulle rivelazioni da parte di Wikileaks delle email del partito democratico. Rivelazioni di cui pare fosse a conoscenza Roger Stone, consigliere informale della campagna del tycon, dichiarato colpevole proprio nei giorni scorsi.

LA DIFESA DI TRUMP FA ACQUA

Il presidente inoltre continua a sostenere che nella sua telefonata del 25 luglio, al centro dell’indagine di impeachment, non esercitò alcuna pressione sul presidente ucraino Volodymyr Zelenski per far indagare il suo rivale politico Joe Biden e suo figlio Hunter. Ma ora l’Ap ha svelato che l’ambasciata Usa Kiev fu informata già il 7 maggio di un incontro in cui un preoccupato Zelensky chiese consiglio su come gestire le pressioni di Trump e dei suoi collaboratori. Rivelazione che conferma le versioni dei testi sentiti finora, cui questa settimana se ne aggiungeranno altri otto: quello più atteso, mercoledì, è l’ambasciatore Usa alla Ue Gordon Sondland, cinghia di trasmissioni delle pressioni di Trump. Intanto il tycoon è ai ferri corti con Pompeo, cui ha rimproverato di aver assunto al dipartimento di Stato ‘Never Trumpers‘ e di non aver impedito le loro deposizioni. Pompeo si tiene aperta una via di fuga pensando di candidarsi al Senato nel suo Kansas.

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Quanti soldi ha già portato a Venezia la gara della solidarietà

Dalla Russia 1 milione. L'università di Ca' Foscari ha raccolto 30 mila euro in tre giorni. Costa Crociere pronta a devolvere 100 mila euro. E altri 150 mila sono in arrivo grazie alla Siae. Il conto della pioggia di aiuti per la Serenissima dopo l'acqua alta.

Una “gara della solidarietà” che ha suscitato persino invidie e contrapposizioni NordSud, con Matera a fare da vittima della discriminazione. Dopo l’acqua alta, su Venezia sono piovuti copiosi aiuti in denaro. Merito del fascino della Serenissima che creato una sorta di mobilitazione internazionale tra privati, soggetti pubblici, associazioni e imprese, con raccolte fondi su conti bancari, piattaforme online, iniziative diplomatiche e culturali.

SMS SOLIDALE 45500 E CONTI CORRENTI

I primi canali ufficiali sono stati il numero di sms solidale 45500 della Protezione civile nazionale, i cui proventi devono essere quantificati dopo la fase di emergenza. Offerte possibili su numerosi conti correnti, tra i quali in particolare quello del Comune di Venezia e quello aperto dal TgLa7 con il Corriere della sera. In città, l’università di Ca’ Foscari ha lanciato una campagna di raccolta fondi online sulla sua piattaforma di fundraising, che in meno di tre giorni ha fatto registrare quasi 30 mila euro; per l’isola di San Servolo, sede del Collegio internazionale, sono già arrivati 4.700 euro.

ATTIVATE ANCHE LE AMBASCIATE ITALIANE

Anche la rete delle ambasciate italiane all’estero è stata attivata, su input del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Ed è giunto l’annuncio che in meno di 24 ore l’ambasciata italiana di Mosca ha già raccolto un milione di euro di promesse donazioni, come ha riferito l’ambasciatore Pasquale Terracciano.

SENSIBILE IL SETTORE CROCIERISTICO

Ulteriori aiuti sono attesi dal settore crocieristico, che in Venezia ha uno degli scali preminenti e controversi, vedi la diatriba sulle Grandi navi. Il presidente dell’authority portuale di Venezia, Pino Musolino, le aveva sollecitate in questo senso e il Gruppo Costa Crociere, attraverso la sua Fondazione, si è detto pronto a devolvere 100 mila euro al Comune per i primi interventi urgenti.

UN FILONE DAGLI ENTI LIRICI

Un ulteriore filone riguarda gli Enti lirici, mobilitati in particolare per l’aiuto al Teatro la Fenice, a cui hanno destinato o destineranno incassi: lo ha fatto l’Arena di Verona, con il botteghino della prima dell’Elisir d’Amore al Filarmonico, lo faranno la Scala e il Maggio fiorentino, quest’ultimo con l’incasso del concerto del 30 novembre dell’Orchestra nazionale dei conservatori italiani.

CHIEVO E CITTADELLA SCENDONO IN CAMPO

Dalla Siae arrivano altri 150 mila euro e una raccolta fondi per le librerie e le biblioteche. Dallo sport si sono mosse le squadre venete del Cittadella e del Chievo, che hanno devoluto gli incassi delle loro ultime gare di campionato alla città.

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Da Scajola a Fini, fino a Trenta: i guai immobiliari dei politici

Lo scandalo che ha coinvolto l'ex ministra della Difesa è l'ultimo di una lunga serie. Una carrellata.

C’è un filo rosso che lega legislature ed esecutivi dalla Prima alla Seconda Repubblica. E che non è stato spezzato nemmeno dal governo del cambiamento: il filo rosso degli scandali – o presunti tali – nati sulle case dei ministri e di politici. La vicenda portata alla luce dal Corsera che coinvolge l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta è infatti soltanto l’ultima di una lunghissima serie di casi – e di case – imbarazzanti.

LEGGI ANCHE: La procura militare indaga sulla casa di Roma dell’ex ministra Trenta

IN PRINCIPIO FU DE MITA

Questo filo rosso comincia a dipanarsi proprio dalla Prima Repubblica: nella centralissima via in Arcione, a Roma, nel settecentesco Palazzo Gentili del Drago. Agli ultimi piani dell’immobile di proprietà dell’Inpdai, l’istituto di previdenza dei dirigenti d’azienda, abitò in affitto dal 1988 (subito dopo essere divenuto presidente del Consiglio) Ciriaco De Mita. L’appartamento causò al leader democristiano una serie infinita di grane: fu accusato di godere di un canone agevolato, poi nel 1993 scoppiò lo scandalo di lavori miliardari per la messa in sicurezza dell’appartamento che, si disse, furono effettuati con i fondi del Sisde. Nel 2011 la famiglia De Mita acquistò l’immobile e anche in quell’occasione ci fu chi contestò aspramente il prezzo pagato, ben al di sotto – era l’accusa – del valore di mercato.

DA D’ALEMA A VELTRONI FINO A CALDEROLI

Quella di De Mita fu solo l’anticipazione dell’Affittopoli romana scoppiata negli Anni 90 che coinvolse anche Massimo D’Alema. L’allora segretario Pds occupava un immobile dell’Inpdap a Porta Portese, pagando un affitto calmierato di 633 mila lire al mese (in seguito si parlò di canoni più elevati, circa 1 milione di lire). D’Alema, benché sostenne sempre di aver occupato la casa in modo legittimo e senza favoritismi, dovette lasciarla. Durante il Maurizio Costanzo Show dichiarò: «Il segretario di un grande partito popolare non può esporsi al sospetto». D’Alema non fu l’unico politico coinvolto. Walter Veltroni finì nel mirino per un appartamento che suo padre Vittorio aveva affittato nel 1946 dall’Inpdai. Walter Veltroni ci tornò nel 1994 e, quando scoppiò Affittopoli, chiese un adeguamento del canone: 1 milione di lire al mese. Ma i giornali non mollarono l’osso. Nel 2012 Libero scrisse infatti che Veltroni era riuscito ad acquistare l’appartamento a meno di 2 mila euro al metro quadrato, «contro i 5.700 che chiedono oggi nella stessa via».

L’AFFITTO POPOLARE DI RENATA POLVERINI

Partito che vai, affitto agevolato che trovi. Nel 2011 era stata la volta di Renata Polverini, allora governatrice della Regione Lazio. Per 15 anni (dal 1989 al 2004) aveva abitato con l’allora marito Massimo Cavicchioli in una casa popolare dell’Ater a San Saba, poco lontana dal Circo Massimo. Zona di lusso, ma canone irrisorio: 380 euro al mese, poi maggiorato per effetto delle sanzioni elevate agli abusivi. Cavicchioli risultava infatti «occupante abusivo non sanabile» dalla morte nel 1989 della reale titolare del contratto, la nonna, e le sue entrate non gli consentirono di vivere nell’alloggio popolare. Fu sfrattato nel 2013.

CALDEROLI E LA VISTA SUL GIANICOLO

Sollevò un caso nel 2012 anche l’appartamento affittato da Roberto Calderoli al Gianicolo, che risultò pagato con i rimborsi elettorali della Lega Nord.

LA BAT-CASA DI MORATTI JR

Nel 2013 si concluse invece con un patteggiamento (condanna a sei mesi e 4 mila euro di ammenda, convertita in 49 mila euro di multa) la vicenda che i giornali ribattezzarono «casa di Batman». Al centro dello scandalo condotte riconducibili a Gabriele Moratti, figlio della ex sindaca di Milano Letizia. Come accertarono i giudici aveva trasformato un capannone industriale alla periferia di Milano in una lussuosa abitazione ispirata appunto al quartiere generale dell’uomo pipistrello.

FINI E I GUAI DI MONTECARLO

Come non ricordare poi Gianfranco Fini e lo scandalo scoppiato nel 2010 intorno all’appartamento di Montecarlo lasciato in eredità ad Alleanza nazionale dalla contessa Anna Maria Colleoni, morta nel 1999. L’appartamento era stato venduto nel 2008 per 300 mila euro a una offshore, Printemps, che lo rivendette per 330 mila euro a una società anonima dei Caraibi, la Timara Limited. In seguito, venne affittato a Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, compagna di Fini. Indagini su paradisi fiscali in cui risultò coinvolto anche il re delle slot Francesco Corallo contribuirono a fermare la carriera politica di Fini.

CON SCAJOLA COMINCIA LA SAGA DELL’«A MIA INSAPUTA»

Poi ci fu la casa «a sua insaputa» di Claudio Scajola. Un appartamento di 210 metri quadri con vista sul Colosseo nel pieno centro di Roma, che era costato all’allora ministro dello Sviluppo economico l’accusa di finanziamento illecito. Secondo i pm, l’imprenditore romano, Diego Anemone  – coinvolto in alcune inchieste sui lavori per il G8 della Maddalena – pagò, attraverso l’architetto Angelo Zampolini, parte della somma versata da Scajola (1,1 milioni di euro su di un totale di 1,7) per l’acquisto dell’immobile, finanziando anche di tasca propria 100 mila euro per la ristrutturazione. Lo scandalo finì per costare al potente rappresentante di Forza Italia (all’epoca tra i papabili per la successione a Silvio Berlusconi) la poltrona da ministro. Scajola venne poi assolto con formula piena per mancanza di dolo: per i giudici era davvero inconsapevole delle donazioni effettuate a suo favore dal costruttore.

NEI GUAI ANCHE I PROFESSORI DEL GOVERNO MONTI

Nemmeno il governo dei tecnici di Mario Monti si è salvato. L’agenzia Bloomberg svelò che nel 2004 l’allora ministro dell’Economia Vittorio Grilli comprò un appartamento ai Parioli a un prezzo che, secondo l’agenzia di stampa, era inferiore al suo valore di mercato: 1.065.000 euro. Dal divorzio di Grilli dalla moglie vennero fuori imbarazzanti notizie su presunti conti offshore. «Tutti conti in chiaro. Dichiarati. Su cui ho pagato tutte le tasse», replicò l’ex ministro al Sole 24 Ore. Anche Filippo Patroni Griffi, titolare del dicastero della Funzione pubblica nell’esecutivo dei tecnici finì nell’occhio del ciclone per un appartamento di proprietà dell’Inps pagato a prezzi ben al di sotto di quelli di mercato: 177 mila euro per una casa di 100 metri quadrati vicina al Colosseo. «Ma era cadente, con l’eternit sui tetti. Ho trovato il mio appartamento col cesso posto sul balconcino. Questo era il grande palazzo», si difese.

COSÌ JOSEFA IDEM PERSE IL MINISTERO

Un’altra casa fu all’origine delle dimissioni di Josefa Idem ministro delle Pari opportunità, Sport e Politiche giovanili del governo Letta. Il 19 giugno 2013 Il Fatto quotidiano pubblicò documenti dai quali si evinceva che sulla Idem pendessero quattro anni di Ici non pagata e presunte ristrutturazioni abusive. Dopo sei giorni di passione, sotto l’attacco soprattutto del Movimento 5 stelle (Beppe Grillo sul proprio blog scrisse: «Portare una canoista al governo, un po’ tedesca, è da scemi più che di sinistra»), la ministra capitolò, rassegnando le dimissioni. Mentre, sul versante erariale, la sportiva si mise in regola versando allo Stato i circa 3 mila euro dovuti.

DI PIETRO E L’INCHIESTA DI REPORT

Un presunto scandalo immobiliare, che si sciolse poi come neve al sole, costò caro ad Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori. Nel novembre 2012 Report presentò un elenco di 45 proprietà sostenendo che fossero state acquistate con i soldi dei rimborsi elettorali. L’ex magistrato smontò tutte le accuse, alcune a dir poco pretestuose (45 proprietà non erano da intendersi unitarie, ma come beni accatastati facenti parte dello stesso complesso, spesso dal valore irrisorio, che andavano da porcilaie a terreni agricoli).

TAVERNA E DESSÌ: I CASI NEL M5S PRIMA DI TRENTA

Nemmeno i 5 stelle sono stati immuni da casi simili. La prima a inciampare è stata Paola Taverna. Dal 1994 la madre della senatrice pentastellata viveva in un alloggio popolare dell’Ater, a Roma est. Repubblica scoprì che la signora di fatto era abusiva, non essendo in possesso dei requisiti per l’assegnazione. Alla fine il Tar ha rigettato il ricorso presentato dalla famiglia e la donna ha dovuto lasciare la casa. Poi stato il turno di Emanuele Dessì, oggi senatore del Movimento 5 stelle che, in piena campagna elettorale fu travolto non solo dallo scandalo legato a un video in cui lo si vedeva assieme a un membro del clan di Ostia degli Spada, e dall’imbarazzo per un suo post su Facebook in cui si vantava di aver «menato un ragazzo rumeno», ma anche da una vicenda riguardante la casa popolare che occupava dietro locazione mensile di appena 8 euro, come documentò la trasmissione Piazza Pulita. «Ho una casa popolare perché sono una persona povera, perché il mio lavoro non mi porta reddito, non ho conto in banca, non ho auto», spiegò. E proprio Dessì è stato tra i primi grillini a scagliarsi contro Trenta: «Anche io conduco una vita di relazioni ma vivo in 50 metri quadri». Poi ad Adnkronos ha aggiunto: «Mi dispiace essere come al solito tirato in ballo a sproposito, perché io non credo sia la stessa cosa detenere un appartamento popolare con pieno titolo da anni, come ho ampiamente dimostrato, forte della sentenza di un Tribunale».

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Da Scajola a Fini, fino a Trenta: i guai immobiliari dei politici

Lo scandalo che ha coinvolto l'ex ministra della Difesa è l'ultimo di una lunga serie. Una carrellata.

C’è un filo rosso che lega legislature ed esecutivi dalla Prima alla Seconda Repubblica. E che non è stato spezzato nemmeno dal governo del cambiamento: il filo rosso degli scandali – o presunti tali – nati sulle case dei ministri e di politici. La vicenda portata alla luce dal Corsera che coinvolge l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta è infatti soltanto l’ultima di una lunghissima serie di casi – e di case – imbarazzanti.

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IN PRINCIPIO FU DE MITA

Questo filo rosso comincia a dipanarsi proprio dalla Prima Repubblica: nella centralissima via in Arcione, a Roma, nel settecentesco Palazzo Gentili del Drago. Agli ultimi piani dell’immobile di proprietà dell’Inpdai, l’istituto di previdenza dei dirigenti d’azienda, abitò in affitto dal 1988 (subito dopo essere divenuto presidente del Consiglio) Ciriaco De Mita. L’appartamento causò al leader democristiano una serie infinita di grane: fu accusato di godere di un canone agevolato, poi nel 1993 scoppiò lo scandalo di lavori miliardari per la messa in sicurezza dell’appartamento che, si disse, furono effettuati con i fondi del Sisde. Nel 2011 la famiglia De Mita acquistò l’immobile e anche in quell’occasione ci fu chi contestò aspramente il prezzo pagato, ben al di sotto – era l’accusa – del valore di mercato.

DA D’ALEMA A VELTRONI FINO A CALDEROLI

Quella di De Mita fu solo l’anticipazione dell’Affittopoli romana scoppiata negli Anni 90 che coinvolse anche Massimo D’Alema. L’allora segretario Pds occupava un immobile dell’Inpdap a Porta Portese, pagando un affitto calmierato di 633 mila lire al mese (in seguito si parlò di canoni più elevati, circa 1 milione di lire). D’Alema, benché sostenne sempre di aver occupato la casa in modo legittimo e senza favoritismi, dovette lasciarla. Durante il Maurizio Costanzo Show dichiarò: «Il segretario di un grande partito popolare non può esporsi al sospetto». D’Alema non fu l’unico politico coinvolto. Walter Veltroni finì nel mirino per un appartamento che suo padre Vittorio aveva affittato nel 1946 dall’Inpdai. Walter Veltroni ci tornò nel 1994 e, quando scoppiò Affittopoli, chiese un adeguamento del canone: 1 milione di lire al mese. Ma i giornali non mollarono l’osso. Nel 2012 Libero scrisse infatti che Veltroni era riuscito ad acquistare l’appartamento a meno di 2 mila euro al metro quadrato, «contro i 5.700 che chiedono oggi nella stessa via».

L’AFFITTO POPOLARE DI RENATA POLVERINI

Partito che vai, affitto agevolato che trovi. Nel 2011 era stata la volta di Renata Polverini, allora governatrice della Regione Lazio. Per 15 anni (dal 1989 al 2004) aveva abitato con l’allora marito Massimo Cavicchioli in una casa popolare dell’Ater a San Saba, poco lontana dal Circo Massimo. Zona di lusso, ma canone irrisorio: 380 euro al mese, poi maggiorato per effetto delle sanzioni elevate agli abusivi. Cavicchioli risultava infatti «occupante abusivo non sanabile» dalla morte nel 1989 della reale titolare del contratto, la nonna, e le sue entrate non gli consentirono di vivere nell’alloggio popolare. Fu sfrattato nel 2013.

CALDEROLI E LA VISTA SUL GIANICOLO

Sollevò un caso nel 2012 anche l’appartamento affittato da Roberto Calderoli al Gianicolo, che risultò pagato con i rimborsi elettorali della Lega Nord.

LA BAT-CASA DI MORATTI JR

Nel 2013 si concluse invece con un patteggiamento (condanna a sei mesi e 4 mila euro di ammenda, convertita in 49 mila euro di multa) la vicenda che i giornali ribattezzarono «casa di Batman». Al centro dello scandalo condotte riconducibili a Gabriele Moratti, figlio della ex sindaca di Milano Letizia. Come accertarono i giudici aveva trasformato un capannone industriale alla periferia di Milano in una lussuosa abitazione ispirata appunto al quartiere generale dell’uomo pipistrello.

FINI E I GUAI DI MONTECARLO

Come non ricordare poi Gianfranco Fini e lo scandalo scoppiato nel 2010 intorno all’appartamento di Montecarlo lasciato in eredità ad Alleanza nazionale dalla contessa Anna Maria Colleoni, morta nel 1999. L’appartamento era stato venduto nel 2008 per 300 mila euro a una offshore, Printemps, che lo rivendette per 330 mila euro a una società anonima dei Caraibi, la Timara Limited. In seguito, venne affittato a Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, compagna di Fini. Indagini su paradisi fiscali in cui risultò coinvolto anche il re delle slot Francesco Corallo contribuirono a fermare la carriera politica di Fini.

CON SCAJOLA COMINCIA LA SAGA DELL’«A MIA INSAPUTA»

Poi ci fu la casa «a sua insaputa» di Claudio Scajola. Un appartamento di 210 metri quadri con vista sul Colosseo nel pieno centro di Roma, che era costato all’allora ministro dello Sviluppo economico l’accusa di finanziamento illecito. Secondo i pm, l’imprenditore romano, Diego Anemone  – coinvolto in alcune inchieste sui lavori per il G8 della Maddalena – pagò, attraverso l’architetto Angelo Zampolini, parte della somma versata da Scajola (1,1 milioni di euro su di un totale di 1,7) per l’acquisto dell’immobile, finanziando anche di tasca propria 100 mila euro per la ristrutturazione. Lo scandalo finì per costare al potente rappresentante di Forza Italia (all’epoca tra i papabili per la successione a Silvio Berlusconi) la poltrona da ministro. Scajola venne poi assolto con formula piena per mancanza di dolo: per i giudici era davvero inconsapevole delle donazioni effettuate a suo favore dal costruttore.

NEI GUAI ANCHE I PROFESSORI DEL GOVERNO MONTI

Nemmeno il governo dei tecnici di Mario Monti si è salvato. L’agenzia Bloomberg svelò che nel 2004 l’allora ministro dell’Economia Vittorio Grilli comprò un appartamento ai Parioli a un prezzo che, secondo l’agenzia di stampa, era inferiore al suo valore di mercato: 1.065.000 euro. Dal divorzio di Grilli dalla moglie vennero fuori imbarazzanti notizie su presunti conti offshore. «Tutti conti in chiaro. Dichiarati. Su cui ho pagato tutte le tasse», replicò l’ex ministro al Sole 24 Ore. Anche Filippo Patroni Griffi, titolare del dicastero della Funzione pubblica nell’esecutivo dei tecnici finì nell’occhio del ciclone per un appartamento di proprietà dell’Inps pagato a prezzi ben al di sotto di quelli di mercato: 177 mila euro per una casa di 100 metri quadrati vicina al Colosseo. «Ma era cadente, con l’eternit sui tetti. Ho trovato il mio appartamento col cesso posto sul balconcino. Questo era il grande palazzo», si difese.

COSÌ JOSEFA IDEM PERSE IL MINISTERO

Un’altra casa fu all’origine delle dimissioni di Josefa Idem ministro delle Pari opportunità, Sport e Politiche giovanili del governo Letta. Il 19 giugno 2013 Il Fatto quotidiano pubblicò documenti dai quali si evinceva che sulla Idem pendessero quattro anni di Ici non pagata e presunte ristrutturazioni abusive. Dopo sei giorni di passione, sotto l’attacco soprattutto del Movimento 5 stelle (Beppe Grillo sul proprio blog scrisse: «Portare una canoista al governo, un po’ tedesca, è da scemi più che di sinistra»), la ministra capitolò, rassegnando le dimissioni. Mentre, sul versante erariale, la sportiva si mise in regola versando allo Stato i circa 3 mila euro dovuti.

DI PIETRO E L’INCHIESTA DI REPORT

Un presunto scandalo immobiliare, che si sciolse poi come neve al sole, costò caro ad Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori. Nel novembre 2012 Report presentò un elenco di 45 proprietà sostenendo che fossero state acquistate con i soldi dei rimborsi elettorali. L’ex magistrato smontò tutte le accuse, alcune a dir poco pretestuose (45 proprietà non erano da intendersi unitarie, ma come beni accatastati facenti parte dello stesso complesso, spesso dal valore irrisorio, che andavano da porcilaie a terreni agricoli).

TAVERNA E DESSÌ: I CASI NEL M5S PRIMA DI TRENTA

Nemmeno i 5 stelle sono stati immuni da casi simili. La prima a inciampare è stata Paola Taverna. Dal 1994 la madre della senatrice pentastellata viveva in un alloggio popolare dell’Ater, a Roma est. Repubblica scoprì che la signora di fatto era abusiva, non essendo in possesso dei requisiti per l’assegnazione. Alla fine il Tar ha rigettato il ricorso presentato dalla famiglia e la donna ha dovuto lasciare la casa. Poi stato il turno di Emanuele Dessì, oggi senatore del Movimento 5 stelle che, in piena campagna elettorale fu travolto non solo dallo scandalo legato a un video in cui lo si vedeva assieme a un membro del clan di Ostia degli Spada, e dall’imbarazzo per un suo post su Facebook in cui si vantava di aver «menato un ragazzo rumeno», ma anche da una vicenda riguardante la casa popolare che occupava dietro locazione mensile di appena 8 euro, come documentò la trasmissione Piazza Pulita. «Ho una casa popolare perché sono una persona povera, perché il mio lavoro non mi porta reddito, non ho conto in banca, non ho auto», spiegò. E proprio Dessì è stato tra i primi grillini a scagliarsi contro Trenta: «Anche io conduco una vita di relazioni ma vivo in 50 metri quadri». Poi ad Adnkronos ha aggiunto: «Mi dispiace essere come al solito tirato in ballo a sproposito, perché io non credo sia la stessa cosa detenere un appartamento popolare con pieno titolo da anni, come ho ampiamente dimostrato, forte della sentenza di un Tribunale».

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Terna, presentato l’elettrodotto dei record tra Italia e Montenegro

Un cavo invisibile, lungo 445 km e adagiato sotto le acque del mare Adriatico. Il progetto è costato 1,1 miliardi di euro ed entrerà in funzione entro la fine dell’anno.

Terna collega per la prima volta i Balcani all’Europa con un elettrodotto invisibile. La società che gestisce la rete elettrica nazionale ha infatti completato un “ponte elettrico” di 445 km tra le stazioni di Cepagatti, in provincia di Pescara, e Lastva, nel comune di Kotor, in Montenegro. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il suo omologo montenegrino, Milo Đukanović, hanno inaugurato lo scorso 15 novembre quella che è considerata un’eccellenza ingegneristica internazionale. «Sono molto orgoglioso di questa importante e innovativa infrastruttura», ha detto l’amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, «L’opera costituisce il volano di sviluppo per una serie di opportunità relative alla sicurezza dei sistemi energetici interconnessi e la gestione dei flussi sulla rete elettrica ed è necessaria per la crescita di un mercato elettrico integrato affidabile, efficiente e sostenibile».

Luigi Ferraris, amministratore delegato di Terna

ENTRERÀ IN FUNZIONE ENTRO LA FINE DELL’ANNO.

L’infrastruttura in corrente continua entrerà in funzione entro la fine dell’anno, in linea con le tempistiche pianificate. Consentirà ai due Paesi di scambiare elettricità in maniera bidirezionale: inizialmente per una potenza di 600 MW, che diventeranno successivamente 1.200 MW quando sarà realizzato anche il secondo cavo, previsto nei prossimi anni. L’importo complessivo del progetto è stimato in circa 1,1 miliardi di euro. Rappresenta il più lungo collegamento sottomarino in alta tensione mai realizzato da Terna: 423 km sono posati sotto le acque dell’Adriatico, a una profondità massima di 1.215 metri, a cui si aggiungono 22 km di cavo interrato, 16 in Italia (dall’approdo costiero fino alla stazione di Cepagatti) e 6 in Montenegro (da Budva alla stazione di Kotor). Le stazioni elettriche di Cepagatti e Kotor avranno un’ulteriore particolarità, perché dotate del convertitore di elettricità più potente mai realizzato da Terna.

L’intervento di Sergio Mattarella

I NUMERI: REALIZZATO IN 5 ANNI, DA 124 IMPRESE.

L’elettrodotto è il risultato del lavoro di anni di tecnici e professionisti altamente qualificati e specializzati: ha coinvolto complessivamente 124 imprese (80 in Italia, il 62% delle quali abruzzesi, e 44 in Montenegro) nei cantieri avviati nel 2012. I cavi sottomarini sono stati collocati sul fondale adriatico attraverso tre distinte campagne di posa, avvenute tra il 2015 e il 2017. Lo scambio bidirezionale dei flussi di elettricità permetterà di diversificare gli approvvigionamenti, rafforzare l’affidabilità, l’efficienza, la sicurezza, la sostenibilità ambientale e la resilienza delle reti elettriche delle due sponde adriatiche e consentirà di sfruttare pienamente il potenziale di produzione da fonti rinnovabili, disponibili sia in Italia che nell’area balcanica.

UN PROGETTO DI RILEVANZA STRATEGICA.

L’interconnessione Italia-Montenegro, frutto di una solida cooperazione bilaterale in ambito energetico sancita dai due accordi intergovernativi firmati tra i Paesi nel 2007 e nel 2010, è considerata di rilevanza strategica per l’integrazione dei mercati elettrici a livello continentale. A tal punto che l’infrastruttura è stata inserita tra i Progetti di Interesse Comune (PCI) dalla Commissione Europea, che nel 2008 ne ha co-finanziato gli studi di fattibilità nel quadro del programma di supporto alle infrastrutture elettriche prioritarie Trans-European Network (TEN) con la banca europea EBRD (European Bank for Reconstruction and Development) che ne ha finanziato l’analisi costi-benefici lato montenegrino. Il progetto porta a 26 le linee di interconnessione con l’estero gestite da Terna e consente all’Italia di rafforzare il ruolo di hub europeo e mediterraneo della trasmissione elettrica. Per il Montenegro e per la regione balcanica si tratta della prima interconnessione in corrente continua e rappresenta un contributo al rafforzamento dell’indipendenza energetica del Paese e dell’intera area.

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Ilaria Cucchi annuncia la querela a Salvini

In un post su Facebook confermata la volontà espressa nei giorni scorsi. Dopo la sentenza di condanna per i carabinieri l'ex ministro aveva detto: «Questo caso conferma che la droga fa male».

Le ipotesi circolate nei giorni scorsi hanno trovato conferma in un post su Facebook, pubblicato nella giornata del 18 novembre. Ilaria Cucchi presenterà una querela per le affermazioni fatte dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini dopo la sentenza con cui la Corte d’Assise ha condannato cinque carabinieri, due per omicidio preterintenzionale, in relazione alla morte del fratello Stefano.

IL COMMENTO DI SALVINI SUBITO DOPO LA SENTENZA

Salvini aveva detto che il caso del giovane geometra romano «dimostra che la droga fa male». Facebook non oscura «i commenti e i post di insulti e minacce e falsità che, molto bene organizzati, sono comparsi sui social dopo la presa di posizione pubblica dell’ex ministro», ha scritto Ilaria, aggiungendo, «mi piacerebbe tanto che l’attuale ministro dell’Interno sostituisse la costituzione di parte civile fatta proprio da Salvini con la propria. Non sono un avvocato, ma forse potrebbe essere possibile».

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I giardini storici di Venezia distrutti dall’acqua alta

In ginocchio anche il "tesoro verde" della città lagunare. Alberi secolari sradicati, piante divelte e muretti crollati: un patrimonio perduto forse per sempre.

L’eccezionale acqua alta che negli ultimi giorni ha sommerso Venezia ha messo in ginocchio anche il “tesoro verde” della città lagunare, con i suoi 500 giardini storici. Alberi secolari sradicati, piante divelte, muretti crollati. Un tracollo silenzioso di pioppi, robinie, querce centenarie, ulivi e viti, abbattuti dal vento e dalla forza del mare.

«Stiamo ricevendo molte segnalazioni, i terreni sono inzuppati di acqua salmastra», racconta Mariagrazia Dammicco, presidente di Wigwam Club Giardini Storici Venezia. Giardini, orti e frutteti con alberi antichissimi «oggi non esistono più». Fazzoletti verdi nelle corti interne dei palazzi nobili, che nulla hanno potuto contro la rabbia della natura: «Sono piante con radici che non superano gli 80 centimetri di profondità. Proprio le radici non hanno retto, come accaduto con la tempesta Vaia» nel 2018.

Giovanni Masut, maestro-giardiniere che lavora alla Giudecca, fornisce un quadro della situazione: «L’ottocentesco giardino Eden ha perduto un centinaio di piante. Il classico giardino Volpi, con le aiuole alla veneta e le pergole, è stato travolto dall’acqua che ha abbattuto il muro di protezione sul lato laguna e ha sradicato cipressi centenari, mettendone a nudo radici altissime. Stessa sorte è toccata agli storici orti della palladiana chiesa del Redentore».

LE SITUAZIONI PIÙ CRITICHE

Un patrimonio che, secondo Antonella Pietrogrande, coordinatrice del Gruppo Giardino Storico-Università di Padova, «forse è perduto per sempre». Le situazioni più critiche riguardano, tra l’altro, l’orto del Campanile ai Carmini, il giardino d’impronta rinascimentale di Palazzo Nani Bernardo, confinante con il museo di Ca’ Rezzonico, e gli spazi verdi di molte residenze della Giudecca.

DANNI ANCHE OLTRE IL CENTRO STORICO

Ma anche al di fuori del centro storico la situazione non è diversa: «Siamo impegnati a recuperare un vitigno di due ettari nell’isola di Mazzorbo», dice Gianluca Bisol, proprietario della tenuta Venissa. La conclusione è amara: «Se il nostro lavoro non avrà un risultato positivo, stimo che il danno possa essere intorno al mezzo milione di euro».

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I giardini storici di Venezia distrutti dall’acqua alta

In ginocchio anche il "tesoro verde" della città lagunare. Alberi secolari sradicati, piante divelte e muretti crollati: un patrimonio perduto forse per sempre.

L’eccezionale acqua alta che negli ultimi giorni ha sommerso Venezia ha messo in ginocchio anche il “tesoro verde” della città lagunare, con i suoi 500 giardini storici. Alberi secolari sradicati, piante divelte, muretti crollati. Un tracollo silenzioso di pioppi, robinie, querce centenarie, ulivi e viti, abbattuti dal vento e dalla forza del mare.

«Stiamo ricevendo molte segnalazioni, i terreni sono inzuppati di acqua salmastra», racconta Mariagrazia Dammicco, presidente di Wigwam Club Giardini Storici Venezia. Giardini, orti e frutteti con alberi antichissimi «oggi non esistono più». Fazzoletti verdi nelle corti interne dei palazzi nobili, che nulla hanno potuto contro la rabbia della natura: «Sono piante con radici che non superano gli 80 centimetri di profondità. Proprio le radici non hanno retto, come accaduto con la tempesta Vaia» nel 2018.

Giovanni Masut, maestro-giardiniere che lavora alla Giudecca, fornisce un quadro della situazione: «L’ottocentesco giardino Eden ha perduto un centinaio di piante. Il classico giardino Volpi, con le aiuole alla veneta e le pergole, è stato travolto dall’acqua che ha abbattuto il muro di protezione sul lato laguna e ha sradicato cipressi centenari, mettendone a nudo radici altissime. Stessa sorte è toccata agli storici orti della palladiana chiesa del Redentore».

LE SITUAZIONI PIÙ CRITICHE

Un patrimonio che, secondo Antonella Pietrogrande, coordinatrice del Gruppo Giardino Storico-Università di Padova, «forse è perduto per sempre». Le situazioni più critiche riguardano, tra l’altro, l’orto del Campanile ai Carmini, il giardino d’impronta rinascimentale di Palazzo Nani Bernardo, confinante con il museo di Ca’ Rezzonico, e gli spazi verdi di molte residenze della Giudecca.

DANNI ANCHE OLTRE IL CENTRO STORICO

Ma anche al di fuori del centro storico la situazione non è diversa: «Siamo impegnati a recuperare un vitigno di due ettari nell’isola di Mazzorbo», dice Gianluca Bisol, proprietario della tenuta Venissa. La conclusione è amara: «Se il nostro lavoro non avrà un risultato positivo, stimo che il danno possa essere intorno al mezzo milione di euro».

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Il commissario ungherese passa il test all’europarlamento

Varhelyi, designato da Budapest all'Allargamento, promosso nel nuovo "esame" a Bruxelles dopo la bocciatura del 14 novembre. Passo avanti fondamentale per la Commissione Von der Leyen.

E alla fine il candidato ungherese passò. Il commissario designato all’Allargamento, Oliver Varhelyi, è stato promosso nel suo nuovo “esame” al parlamento europeo dopo essere stato rimandato giovedì 14 novembre. È stato sostenuto dal gruppo dei Socialisti e democratici (S&D) e dai Liberali di Renew Europe, oltre che dal Partito popolare europeo (Ppe).

CHIESTA UNA PRESA DI DISTANZA DAL SOVRANISMO DI ORBAN

Nelle risposte – questa volta evidentemente ritenute convincenti – ai quesiti che gli sono stati posti ha scritto: «Non sarò vincolato né influenzato da alcuna dichiarazione o posizione di alcun primo ministro di qualsivoglia Paese o rappresentante di alcun governo». I membri della commissione per gli Affari esteri del parlamento europeo gli chiedevano in particolare una presa di distanza dalle politiche sovraniste del premier magiaro Viktor Orban.

L’UNGHERESE PROMETTE «SPIRITO EUROPEO»

Varhelyi ha aggiunto che in qualità di commissario il suo «unico obiettivo è attuare le priorità politiche dell’Ue verso tutti i partner dell’allargamento e del vicinato, elaborare e attuare politiche nei Balcani occidentali e nel vicinato orientale e meridionale, sotto la guida dell’Alto rappresentante Ue e in piena collegialità in uno spirito europeo».

PASSO AVANTI FONDAMENTALE PER VON DER LEYEN

Dopo la “promozione” di Varhelyi, la presidente eletta Ursula von der Leyen può vedere presto la luce in fondo al tunnel, nella corsa a ostacoli per cercare di dare finalmente vita alla nuova Commissione europea. Il 21 novembre la Conferenza dei presidenti potrebbe dichiarare chiuso il processo delle audizioni e si potrebbe così andare dritti al voto sulla Commissione von der Leyen il 27 novembre a Strasburgo.

L’ITER: VERSO UN INSEDIAMENTO IL PRIMO DICEMBRE

In quell’occasione, la presidente eletta potrebbe essere sostenuta da forze eterogenee ed è molto probabile che nel corso della legislatura si troveranno intese trasversali tra i differenti gruppi politici su singoli temi specifici. In ogni caso, a quanto si è appreso a Bruxelles, la tedesca ha tutta l’intenzione di insediarsi il primo dicembre. E con l’ok all’ungherese è arrivato un importante passo avanti verso il suo obiettivo.

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Il commissario ungherese passa il test all’europarlamento

Varhelyi, designato da Budapest all'Allargamento, promosso nel nuovo "esame" a Bruxelles dopo la bocciatura del 14 novembre. Passo avanti fondamentale per la Commissione Von der Leyen.

E alla fine il candidato ungherese passò. Il commissario designato all’Allargamento, Oliver Varhelyi, è stato promosso nel suo nuovo “esame” al parlamento europeo dopo essere stato rimandato giovedì 14 novembre. È stato sostenuto dal gruppo dei Socialisti e democratici (S&D) e dai Liberali di Renew Europe, oltre che dal Partito popolare europeo (Ppe).

CHIESTA UNA PRESA DI DISTANZA DAL SOVRANISMO DI ORBAN

Nelle risposte – questa volta evidentemente ritenute convincenti – ai quesiti che gli sono stati posti ha scritto: «Non sarò vincolato né influenzato da alcuna dichiarazione o posizione di alcun primo ministro di qualsivoglia Paese o rappresentante di alcun governo». I membri della commissione per gli Affari esteri del parlamento europeo gli chiedevano in particolare una presa di distanza dalle politiche sovraniste del premier magiaro Viktor Orban.

L’UNGHERESE PROMETTE «SPIRITO EUROPEO»

Varhelyi ha aggiunto che in qualità di commissario il suo «unico obiettivo è attuare le priorità politiche dell’Ue verso tutti i partner dell’allargamento e del vicinato, elaborare e attuare politiche nei Balcani occidentali e nel vicinato orientale e meridionale, sotto la guida dell’Alto rappresentante Ue e in piena collegialità in uno spirito europeo».

PASSO AVANTI FONDAMENTALE PER VON DER LEYEN

Dopo la “promozione” di Varhelyi, la presidente eletta Ursula von der Leyen può vedere presto la luce in fondo al tunnel, nella corsa a ostacoli per cercare di dare finalmente vita alla nuova Commissione europea. Il 21 novembre la Conferenza dei presidenti potrebbe dichiarare chiuso il processo delle audizioni e si potrebbe così andare dritti al voto sulla Commissione von der Leyen il 27 novembre a Strasburgo.

L’ITER: VERSO UN INSEDIAMENTO IL PRIMO DICEMBRE

In quell’occasione, la presidente eletta potrebbe essere sostenuta da forze eterogenee ed è molto probabile che nel corso della legislatura si troveranno intese trasversali tra i differenti gruppi politici su singoli temi specifici. In ogni caso, a quanto si è appreso a Bruxelles, la tedesca ha tutta l’intenzione di insediarsi il primo dicembre. E con l’ok all’ungherese è arrivato un importante passo avanti verso il suo obiettivo.

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Il bilancio della repressione delle proteste in Iran

Fonti ufficiali hanno confermato 12 morti, ma gruppi di attivisti parlano di oltre 40 vittime. Almeno mille gli arresti.

Sono almeno 12 le vittime tra i manifestanti dall’inizio venerdì notte delle proteste contro il caro benzina in Iran. Lo confermano fonti ufficiali di Teheran, citate dalla Bbc. Secondo notizie non verificabili diffuse da gruppi di attivisti, il bilancio sarebbe in realtà di oltre 40 morti. A seguito delle proteste ci sono stati oltre mille arresti e diverse vittime tra i dimostranti. Almeno un poliziotto è stato inoltre ucciso. Le forze di sicurezza iraniane hanno disperso oggi nuove proteste contro il caro benzina nella capitale Teheran, sparando lacrimogeni e gas urticanti al peperoncino contro i manifestanti.

L’INTERVENTO DEI PASDARAN

I Pasdaran, le Guardie della rivoluzione, hanno avvisato i manifestanti dicendosi pronti a intervenire con la forza per reprimere le dimostrazioni: «I recenti incidenti sono stati provocati dai malvagi funzionari Usa, oltre che dai criminali Mojaheddin del Popolo (Mko) e dall’ignobile famiglia del deposto scià dell’Iran, Mohammad Reza Pahlavi».

IL GOVERNO ANNUNCIA SUSSIDI PER 60 MILIONI DI PERSONE

Da parte sua, il governo ha cercato di calmare la situazione annunciando sussidi statali per 60 milioni di persone. Lo ha riferito il Ministero del Welfare e del Lavoro di Teheran.

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Il bilancio della repressione delle proteste in Iran

Fonti ufficiali hanno confermato 12 morti, ma gruppi di attivisti parlano di oltre 40 vittime. Almeno mille gli arresti.

Sono almeno 12 le vittime tra i manifestanti dall’inizio venerdì notte delle proteste contro il caro benzina in Iran. Lo confermano fonti ufficiali di Teheran, citate dalla Bbc. Secondo notizie non verificabili diffuse da gruppi di attivisti, il bilancio sarebbe in realtà di oltre 40 morti. A seguito delle proteste ci sono stati oltre mille arresti e diverse vittime tra i dimostranti. Almeno un poliziotto è stato inoltre ucciso. Le forze di sicurezza iraniane hanno disperso oggi nuove proteste contro il caro benzina nella capitale Teheran, sparando lacrimogeni e gas urticanti al peperoncino contro i manifestanti.

L’INTERVENTO DEI PASDARAN

I Pasdaran, le Guardie della rivoluzione, hanno avvisato i manifestanti dicendosi pronti a intervenire con la forza per reprimere le dimostrazioni: «I recenti incidenti sono stati provocati dai malvagi funzionari Usa, oltre che dai criminali Mojaheddin del Popolo (Mko) e dall’ignobile famiglia del deposto scià dell’Iran, Mohammad Reza Pahlavi».

IL GOVERNO ANNUNCIA SUSSIDI PER 60 MILIONI DI PERSONE

Da parte sua, il governo ha cercato di calmare la situazione annunciando sussidi statali per 60 milioni di persone. Lo ha riferito il Ministero del Welfare e del Lavoro di Teheran.

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A Venezia arriva LiFE 2019, la nuova rotta dei Servizi

Il 21 e 22 novembre il più grande evento dedicato al settore in Italia. Dibattiti sul futuro dell’Economia e del Lavoro: appuntamento nel segno della solidarietà con la città colpita dal maltempo

Tutto pronto, a Venezia, per la quarta edizione di LiFE 2019, l’evento di punta per il mondo dei Servizi in Italia, in programma i prossimi 21 e 22 novembre. Anche quest’anno l’evento (acronimo di Labour Intensive Facility Event), che ha come location la Serenissima che in questi giorni si sta rialzando dai disagi dell’ondata di maltempo, si propone come un luogo di confronto, dibattito oltre che di presentazione dei prodotti e delle soluzioni per i Servizi industriali.

In programma un’agenda di lavori molto ricca e con relatori di rilievo, provenienti dal mondo delle imprese e delle istituzioni, con professionisti e opinion maker che contribuiranno a definire il tema scelto per quest’anno: “La nuova rotta dei Servizi industriali”.

UN MEETING BUSINESS PER LE IMPRESE

LiFE è promosso per la prima volta da CONFINDUSTRIA SERVIZI HYGIENE, CLEANING & FACILITY SERVICES, LABOUR SAFETY SOLUTIONS, costituita da quattro associazioni imprenditoriali quali ANIP-Confindustria (Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati), A.N.I.D. (Associazione Nazionale delle imprese di disinfestazione), ASSOSISTEMA (Associazione Sistema Industriale Integrato di beni e Servizi Tessili e Medici Affini) e UNIFerr (Unione Nazionale Imprese esercenti attività di Pulizia e Servizi Integrati Ferroviari) che hanno deciso di svolgere un ruolo comune sotto l’egida confindustriale nel promuovere e sostenere il comparto dei Servizi.

«LiFE – ricorda il direttore Paolo Valente – è promosso per la prima volta dalla compagine confindustriale che raccoglie le associazioni più rappresentative nel mondo dei Servizi: si configura come un vero e proprio meeting business per consentire alle imprese di rafforzare la propria presenza nel mercato, contaminarsi ed esplorare nuovi modi di fare impresa: l’evento offrirà molto spazio per il matching e lo scambio di esperienze tra i partecipanti, una formula ‘aperta’ in grado di far sentire ognuno come parte integrante dell’evento e poterlo vivere al meglio. Nella scorsa edizione, hanno partecipato più di 50 relatori, 45 aziende e 22 studi di consulenza; 15 enti ed istituzioni coinvolte, 400 partecipanti ai lavori, più di 10.000 persone raggiunte attraverso i media con centinaia di articoli stampa a carattere nazionale, con il risultato di circa 30 partnership attivate».

Lorenzo Mattioli, presidente di CONFINDUSTRIA SERVIZI HYGIENE, CLEANING & FACILITY SERVICES, LABOUR SAFETY SOLUTIONS

NEL SEGNO DELLA SOLIDARIETÀ PER VENEZIA

 Un’edizione quella 2019 ricca e speciale per LiFE, a partire dalla location scelta, la città di Venezia, che nell’immaginario collettivo rappresenta il luogo ideale per lanciare sfide e scoprire nuovi orizzonti. Stavolta è il mondo dei Servizi ad essere protagonista, confrontandosi e lanciando proposte su questioni di grande attualità in campo economico, politico e industriale.

L’organizzazione dell’evento prosegue anche in questo momento difficile per Venezia e per la sua comunità. CONFINDUSTRIA SERVIZI HYGIENE, CLEANING & FACILITY SERVICES, LABOUR SAFETY SOLUTIONS vuole convintamente essere presente, tramite l’evento LiFE, per testimoniare la vicinanza alla città, ai residenti, alle imprese colpite dall’ondata eccezionale di maltempo, aderendo alle iniziative di concreto aiuto messe in campo in questi giorni. In particolare, LiFE darà il via alla raccolta fondi per sostenere Venezia che, coraggiosamente, si sta già rimettendo in moto.

IL PROGRAMMA

L’evento si svolgerà nella cornice dell’Hilton Molino Stucky sull’isola della Giudecca a Venezia, in uno degli edifici più rappresentativi dell’architettura industriale italiana.

Il programma della due giorni è veramente ricco e prevede importanti contributi. L’apertura dei lavori, prevista per il 21 novembre, sarà dedicata agli scenari futuri del mondo del lavoro, con l’intervento di Davide Casaleggio della Casaleggio Associati, Jean Paul Fitoussi, professore di Economia all’istituto di Studi Politici di Parigi, Pierangelo Albini, Direttore area Lavoro, welfare e capitale umano in Confindustria, Lorenzo Mattioli, presidente di CONFINDUSTRIA SERVIZI HYGIENE, CLEANING & FACILITY SERVICES, LABOUR SAFETY SOLUTIONS. Presenti anche numerosi esponenti di Governo e Parlamento, ed i presidenti delle associazioni che promuovono l’evento. Oltra a Mattioli per ANIP-Confindustria, ci saranno Marco Benedetti (A.N.I.D.), Marco Marchetti (ASSOSISTEMA) e Pietro Auletta (UNIFerr).

Previsto anche un talk dal titolo “Arte, contemporaneità e la trasformazione del mondo del Lavoro” che si svolgerà alla Biennale Arte 2019 al quale partecipa come guida esclusiva Leonardo Caffo, saggista, filosofo e professore del Politecnico di Torino e al NABA di Milano .

Si proseguirà con la seconda giornata, quella del 22 novembre, con ben tre tavoli tematici (table&speech) su “Innovazione e trasformazione digitale nel mondo dei Servizi”; “Green e Blu Economy”; “Verso un nuovo ciclo di mercato: nuove regole, nuove opportunità?”. Interverranno i più importanti stakeholder e decision maker, esponenti delle istituzioni e del Governo che raccoglieranno le proposte che dall’evento veneziano saranno indirizzate al Paese.

I lavori si concluderanno nel pomeriggio con due talk incentrati su: “Peso e misura dei Servizi industriali in Italia e in Europa” dove verrà delineata la dimensione del comparto a livello nazionale ed europeo, e “Una nuova proposta industriale al Paese” con la raccolta e il rilancio delle sfide elaborate nel corso della due giorni.

LiFE 2019 prevede anche dei momenti conviviali e d’incontro che fanno della manifestazione veneziana una kermesse unica nel suo genere. Parliamo della sera di gala nel seicentesco Palazzo Ca’ Vendramin con la vista al Casinò e il “Running for Venice” dedicato a quanti amano l’attività fisica senza stress.

Per iscriversi e partecipare si può visitare il sito www.life-event.it dove sono disponibili tutte le notizie aggiornate e le indicazioni utili per raggiungere la location via treno o areo e poi tramite il servizio di trasporto attivo in laguna, sia pubblico, sia privato, con relativi costi.

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Perché per uscire dalla spirale dei rendimenti negativi serve un’unione bancaria

Per realizzarla Berlino spinge affinché le banche smettano di considerare i titoli di Stato del proprio Paese risk free. L'Italia si oppone e rilancia le sue controproposte facendo leva sull'assenza di dispositivi Ue di rilancio fiscale. Ma con lo spettro della Brexit che si avvicina meglio correre subito ai ripari.

Dall’ultima conferenza stampa di Mario Draghi nelle vesti di presidente della Bce, quella del passaggio del testimone, i tassi di interesse in tutta Europa, sia di breve sia di lungo termine, sono saliti.

Un movimento dovuto a diversi fattori, non ultimi alcuni aspetti tecnici legati al tiering, l’ultima trovata di Draghi prima di congedarsi da Francoforte.

PER ALZARE I TASSI SERVE UNO STIMOLO FISCALE SU LARGA SCALA

Il tasso di crescita atteso per l’economia europea, comunque, è talmente basso che è improbabile che i tassi possano ulteriormente salire nei prossimi trimestri e la Banca centrale, semmai, continuerà a perseguire la sua politica di allentamento quantitativo. Ciò che potrebbe portare a un vero rialzo dei tassi di interesse europei a lungo termine è uno stimolo fiscale su larga scala, preferibilmente in coordinamento con altre economie. In quel caso, le aspettative di crescita e inflazione verrebbero immediatamente innalzate e ciò darebbe alla Bce la possibilità di aumentare i tassi di interesse a breve termine.

LEGGI ANCHE: Il favore di Draghi a Lagarde può essere un autogol

Il dato di Pil tedesco uscito venerdì 15 novembre, però, leggermente superiore a zero, ha scongiurato l’ingresso della principale economia continentale in recessione, mentre perché ci sia un reale stimolo fiscale coordinato è necessario che si realizzi un contesto di crisi, una condizione a cui dover reagire, andando oltre i dogmi vigenti.

UN’UNIONE FISCALE E MONETARIA CONTRO LA SPIRALE DEI RENDIMENTI NEGATIVI

Esiste però una seconda opzione per l’Unione monetaria di uscire dalla spirale dei rendimenti negativi risalendo verso la normalità: un‘unione fiscale e bancaria. Uno sviluppo in questa direzione, infatti, ridurrebbe notevolmente il rischio di un crollo dell’Unione: la Bce non dovrebbe costantemente vivere in modalità whatever it takes, impegnandosi a tenere insieme l’Eurozona. In questo modo la domanda di titoli di Stato tedeschi come rifugio sicuro diminuirebbe e i rendimenti si normalizzerebbero.

LE PROPOSTE DI SCHOLZ

A che punto è, quindi, il processo di creazione di un’unione bancaria in Europa? La scorsa settimana sono giunte delle novità, in merito, proposte dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz: in cambio di una garanzia dei depositi a livello europeo, si chiede che le banche smettano di considerare i titoli di Stato del proprio Paese come privi di rischio. Quali sono le conseguenze? Sarà meno interessante, per le banche, tenere in bilancio i titoli di Stato nazionali, perché dovrebbero accantonare del capitale di vigilanza a fronte dell’esposizione al debito sovrano se non sarà più risk-free, quindi i portafogli delle banche diventerebbero più diversificati e più ponderati per il merito di credito.

LA RESISTENZA DELL’ITALIA

Un disegno a cui l’Italia si oppone, perché in nessun altro Paese europeo le banche sono investitori in titoli di Stato, e il Tesoro (con Bankitalia) teme che i rendimenti dei Btb aumenterebbero troppo se le banche cominciassero a diversificare meglio i propri portafogli. Così il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha presentato le controproposte italiane per accogliere le iniziative tedesche: un Fondo europeo di ammortamento del debito per accompagnare il processo di riallocazione dei portafogli bancari; una capacità di bilancio europea per far fronte ai periodi di crisi; un ‘safe asset’ per consentire alle banche di dotarsi di attivi privi di rischio.

IL RAPPORTO INCESTUOSO TRA BANCHE E STATO

Il rapporto incestuoso tra Stato italiano e banche è ricco di argomenti per essere stigmatizzato, ma le paure del ministero e di Banca d’Italia sono comprensibili, perché anche il solo effetto annuncio rischia di spingere i mercati ad anticipare il nuovo scenario, mettendo in difficoltà i Paesi più deboli, e oggi l’Italia è il Paese con lo spread più elevato, avendo superato ormai anche la Grecia in questa triste classifica. La leva che usa Visco è che, senza dispositivi europei di rilancio fiscale, la Bce sarà costretta a proseguire nelle sue politiche accomodanti tanto osteggiate da Berlino. Vedremo come si svilupperà la strada verso una maggiore unione, di certo sarebbe logico aspettarsi che si facciano, e alla svelta, dei passi avanti: con una possibile Brexit alle porte serve un mercato dei capitali più forte per resistere al meglio alla possibile onda d’urto di una separazione traumatica e anche in prospettiva per insidiare Londra nell’offerta di credito. Che la Brexit possa essere un problema non dubita nessuno, ma a volte ci si dimentica che i problemi possono essere opportunità.

*dietro questo nom de plume si nasconde un manager finanziario.

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Lo scontro Salvini-Conte sul fondo salva Stati (Mes)

Il leader della Lega accusa il premier di «alto tradimento» per aver dato il via libera al nuovo meccanismo europeo di stabilità. Ma al momento della firma il Carroccio era al governo. E manca ancora l'ok del parlamento.

«Pare che Conte abbia firmato un accordo per cambiare il fondo salva-Stati (Mes), di notte, di nascosto, un fondo ‘ammazza-Stati’. I giornalisti chiedano a Conte e Tria, se, senza l’autorizzazione del parlamento, hanno dato l’ok dell’Italia, perché in quel caso sarebbe alto tradimento» Matteo Salvini, via Facebook, parte all’attacco sul nuovo accordo che il governo Conte avrebbe firmato in Ue «senza chiedere il via libera del parlamento». A dare la notizia della firma è stato per primo LaVerità.

Piovono tasse…….Nonostante tutto, buona settimana Amici.

Posted by Matteo Salvini on Monday, November 18, 2019

«Se qualcuno ci infila in questa gabbia del Mes, i titoli di Stato rischiano di valere sempre meno», aggiunge Salvini: «Se qualcuno ha firmato all’oscuro del popolo e del parlamento lo dica adesso, altrimenti sarà alto tradimento e per i traditori in pace e guerra il posto giusto è la galera».

LA FIRMA DURANTE IL GOVERNO M5S-LEGA

Salta subito all’occhio che l’accusa di Salvini è diretta anche all’ex ministro Tria, titolare dell’Economia quando anche la Lega era al governo. Il “tradimento” sarebbe stato fatto, secondo l’accusa del leader del Carroccio, proprio sotto al naso del partito di Salvini. Il quale, tra l’altro, si indigna lasciando pensare che il via libera del governo sia definitivo, mentre il parlamento deve comunque ratificare l’eventuale decisione presa.

COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL FONDO SALVA STATI

«La riforma del Fondo salvastati», spiega Federico Giuliani su InsideOver, «intende trasformare il Mes in una sorta di meccanismo di stabilizzazione dei rischi sui debiti sovrani, facendo in modo che le procedure e le condizioni per ricorrere agli aiuti dello stesso siano automatiche. Tutto questo contribuisce ad acuire le diseguaglianze tra i vari Paesi dell’Eurozona, con paletti molto duri per gli Stati che devono fare i conti con le finanze pubbliche più disastrate, come ad esempio l’Italia. A proposito del nostro Paese, se Roma dovesse perdere l’accesso al mercato e chiedere aiuto, dovrebbe essere sottoposta alla Dsa, cioè a un’analisi di sostenibilità del debito: alcuni tecnici stileranno una pagella sul debito italiano. A seconda del voto, potrebbe scattare la ristrutturazione e un conseguente massacro per banche e sottoscrittori». 

MELONI: «IL MES SARÀ UNA SUPER TROIKA»

A Salvini si sono subito aggiunti gli altri partiti di opposizione, a partire da Fratelli d’Italia. «All’Eurosummit dello scorso giugno il presidente Conte ha dato l’ok alla riforma del Fondo salva-Stati senza coinvolgere il parlamento, che entro il mese di dicembre sarà chiamato a ratificare questa nuova eurofollia», ha dichiarato la presidente Giorgia Meloni, «la riforma del Mes impone in sintesi una maxi patrimoniale per gli Stati che non rispettano i parametri stabiliti, e ovviamente l’Italia è fuori da questi. Il Mes si trasformerà in un super troika onnipotente che avrà come unico scopo quello di agire nell’esclusivo interesse della speculazione finanziaria. Fratelli d’Italia annuncia sin da ora le barricate in parlamento contro l’ennesimo atto di tradimento nei confronti del nostro popolo».

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Le cose da sapere sulla Coppa Davis 2019 di tennis

Il nuovo formato. Il programma. Le chance dell'Italia. Le nazionali favorite. Guida all'evento (ripensato dal difensore del Barcellona Piqué) che strizza l'occhio al Mondiale di calcio.

La prima volta della nuova Coppa Davis. La competizione di tennis per nazionali, la cui edizione del 2019 è al suo atto finale dal 18 al 24 novembre, fa il suo esordio a Madrid nel rinnovato format che ricorda da vicino il Mondiale di calcio. E non è un caso se a pensarlo è stato Gerard Piqué, difensore del Barcellona, che col suo fondo di investimento Kosmos ha siglato un accordo venticinquennale del valore di 2,5 miliardi di euro con la Federazione Internazionale Tennis (Itf). Ai nastri di partenza anche un’Italia rinfrancata dagli ottimi risultati di Matteo Berrettini, numero otto del ranking mondiale e fresco di partecipazione alle Atp Finals di Londra.

Coppa Davis: i gironi della fase finale.

IL NUOVO FORMAT: SEI GIRONI, POI GLI SCONTRI DIRETTI

Sui campi indoor in cemento e con tetto mobile della Caja Magica di Madrid sono pronte a sfidarsi 18 nazionali divise in sei gironi: l’Italia è nel gruppo F, con Canada e Stati Uniti. La fase a gironi si svolge da lunedì 18 novembre a giovedì 21 novembre. Passano ai quarti di finale le sei vincenti dei gironi e le due migliori seconde. I quarti, a eliminazione diretta, cominciano giovedì nella sessione serale con la prima sfida, mentre le altre tre sono in programma venerdì. Sabato le semifinali e domenica la finale che assegnerà l’Insalatiera d’argento. Per snellire il torneo, ciascun incrocio prevede due singolari e un doppio e tutti i match sono al meglio dei tre set (non più cinque come in passato).

GLI AZZURRI: BERRETTINI-FOGNINI CONTRO CANADA E USA

A difendere i colori dell’Italia (in diretta tv su Supertennis) sono Berrettini, Fabio Fognini, numero 12 del mondo, Lorenzo Sonego, alla prima chiamata in azzurro, e i veterani Andreas Seppi e Simone Bolelli. Il capitano è Corrado Barazzutti, che firmò nel 1976 l’unico trionfo italiano in Davis nella storia. Il primo impegno è il 18 novembre contro il Canada, rappresentato nel singolare dagli enfant prodige Denis Shapovalov e Felix Auger-Aliassime. In squadra anche Vasek Pospisil, specialista del doppio, mentre non c’è l’ex top ten Milos Raonic, infortunato alla schiena. Al suo posto il capitano Frank Dancevic ha chiamato Brayden Schnur. Il 20 novembre, poi, l’Italia sfida gli Stati Uniti, che hanno sì conquistato per 32 volte il torneo che si assegna dal 1900, ma non arrivano in finale da 12 anni. Il team statunitense è ancora nel bel mezzo di un ricambio generazionale che ha in Taylor Fritz e Frances Tiafoe giovani di buona prospettiva, ma non futuri top player. Per l’Italia, un girone non facile, ma nemmeno proibitivo.

GLI ALTRI GRUPPI: FARI SU SPAGNA, FRANCIA E SERBIA

Gli altri gironi vedono la Francia insieme alla Serbia del numero due del mondo Novak Djokovic e al Giappone; la Croazia con la Spagna del numero uno Rafa Nadal e con la Russia del numero quattro Daniil Medvedev; l’Argentina nel gruppo di Germania e Cile; il Belgio con Australia e Colombia; il Regno Unito assieme a Kazakhstan e Paesi Bassi. La Spagna, forte anche del fattore campo, è data dai bookmaker come favorita. Alle sue spalle, tra le altre, Francia, Serbia e Russia. L’Italia parte in seconda fila, dietro Australia, Regno Unito, Usa, Croazia, Argentina e Germania, e davanti al Canada. Più staccati Belgio, Giappone, Cile e Kazakhstan. Fanalini di coda Colombia e Paesi Bassi.

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Dagli Usa al Vaticano, nomine pesanti che rafforzano il papa

L'elezione di Gomez a presidente della Chiesa Usa e quella di Guerrero Alves alle Finanze del Vaticano: due posizioni chiave che danno più slancio al mandato di Francesco.

Quando il gioco si fa duro i gesuiti e l’Opus Dei cominciano a giocare. Parafrasando John Belushi, è questo lo schema che sembra emergere dalla scorsa settimana durante la quale si sono avute due nomine di primissimo piano negli assetti della Chiesa universale, una in America l’altra in Vaticano. Ma andiamo con ordine.

L’assemblea generale dei vescovi statunitensi, riunitasi a Baltimora il 12 e il 13 novembre scorsi, ha eletto come nuovo presidente e successore del cardinale Daniel Di Nardo (arcivescovo di Galveston-Houston), monsignor Josè Gomez, 67 anni, arcivescovo di Los Angeles, il primo leader ‘latino’ – è originario di Monterrey, in Messico – della Chiesa a stelle e strisce, un fatto definito storico da diversi osservatori e dai media.

Gomez è stato ordinato prete dell’Opus Dei nel lontano 1978, è un difensore battagliero dei diritti di migranti e rifugiati negli Stati Uniti, dei diritti dei dreamers, i migranti arrivati illegalmente negli Usa da bambini che possono col tempo e a determinate condizioni diventare regolari; l’amministrazione Trump ha ingaggiato una durissima battaglia legale per cancellare questa possibilità. Gomez, inoltre, ha attaccato il suprematismo bianco e le forme esasperate di nazionalismo che percorrono gli Usa; assai più tradizionalista appare invece su temi come l‘aborto o le unioni omosessuali.

La sua elezione rappresenta dunque a prima vista una scelta di mediazione fra le diverse anime della conferenza episcopale Usa (il Los Angeles Times l’ha scritto: «È allo stesso tempo un conservatore e un progressista»), divisa fra sostenitori acerrimi della battaglia pro-life allineati al Partito repubblicano, e quanti, nell’episcopato, mettono al primo posto i grandi temi sociali che mandano in corto circuito l’America: dai conflitti razziali alla questione migratoria.

I CATTOLICI USA RESTANO IN MAGGIORANZA LATINOAMERICANI

In realtà l’elezione di Gomez ha un significato più ampio: il nuovo presidente dell’episcopato d’Oltreoceano è infatti alla guida della diocesi più grande del Paese e con una composizione etnica particolarmente ricca e contrastante; più volte, per altro, l’arcivescovo ha detto che la sua stessa biografia è segnata dalla migrazione, un fatto che lo avvicina non poco all’attuale papa segnato da una vicenda per molti versi simile: di certo sta crescendo esponenzialmente a livello globale il peso della Chiesa in grado di parlare lo spagnolo delle Americhe, e cresce pure il peso dell’Opus Dei che, tutto sommato, in questo delicatissimo caso, si è trovata in sintonia con il pontefice gesuita.

Circa il 47% dei latinos che vivono in America si definisce cattolico, era il 57% un decennio fa

Non va inoltre dimenticato come la Chiesa Usa sia stata in buona parte ripopolata dalle migrazioni del Centro e Sud America, un fenomeno vasto e potente poco recepito fino a ora dai vertici ecclesiali. Secondo un sondaggio recentissimo del Pew Research Center, circa il 47% dei latinos che vivono in America si definisce cattolico, era il 57% un decennio fa. Ancora, il 77% dei cattolici di origini latinoamericane e il 55% dei cattolici bianchi sono favorevoli a concedere la cittadinanza agli immigrati irregolari stabilitisi negli States. Va infine ricordato che, nell’aprile scorso, il papa aveva nominato quale nuovo arcivescovo di Washington, monsignor Wilton Gregory; si trattava del primo leader afroamericano per la nevralgica diocesi della capitale del Paese.

L’ARRIVO DI GUERRERO ALVES E I NODI DELLE FINANZE DEL VATICANO

In Vaticano, invece, Francesco dopo lunga attesa, ha nominato il nuovo capo della segreteria per l’Economia; è un gesuita, si chiama Juan Antonio Guerrero Alves, è spagnolo, ha 60 anni. Vanta sì una laurea in Economia presa in gioventù, ma il suo sembra soprattutto il profilo di chi ha abilità organizzative e gestionali di istituzioni complesse, dunque quella compiuta dal pontefice argentino appare più decisamente come una scelta politica che tecnica. Fra l’altro, particolare non indifferente, la notizia relativa alla nomina è stata diffusa praticamente nelle stesse ore in cui si apprendeva che l’ex ‘ministro dell’Economia’ vaticano, il cardinale George Pell, poteva contare su un’ultima chance per evitare di scontare la pena di sei anni in prigione cui era stato condannato dopo un processo per violenza sessuale su due minori celebratosi a Melbourne, in Australia.

Antonio Guerrero Alves.

Pell si è sempre dichiarato innocente ma è stato comunque giudicato colpevole in primo e secondo grado, ora il suo appello è stato accolto dall’Alta Corte australiana la quale si è detta disponibile a discutere il caso. Difficile dire come andrà a finire ma per Pell c’è comunque una speranza. Nel frattempo, tuttavia, il papa ha chiuso definitivamente quel capitolo procedendo alla nomina di un fedelissimo, un gesuita, per gestire le mai del tutto domate finanze vaticane. Si allarga così ulteriormente la squadra della Compagnia di Gesù in posizioni di comando nella Curia romana (che comprende anche monsignor Luis Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede). Fra i primi dossier cui padre Guerrero dovrà mettere mano, la redazione e pubblicazione dei bilanci vaticani, tanto più urgente dopo l’emergere degli ultimi episodi di investimenti immobiliari spericolati realizzati con ingenti fondi della Segreteria di Stato.

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Trailer e recensione di Les Mans ’66

Il film con Damon e Bale fa rivivere il grande confronto tra Ford e Ferrari attraverso l'amicizia dei due protagonisti Carroll Shelby e Ken Miles.

La storia vera di un’amicizia che ha trasformato il mondo delle corse automobilistiche è al centro di Le Mans ’66 – La grande sfida, il film diretto da James Mangold dopo il successo di Logan. Gli eventi prendono il via nel 1959 quando Carroll Shelby (Matt Damon), dopo la vittoria alla 24 Ore di Le Mans, scopre di non poter più correre a causa di una patologia cardiaca. Lascia così le piste, per vendere automobili.

Fino a quando con l’amico collaudatore Ken Miles (Christian Bale) e un team di ingegneri e meccanici, Shelby raccoglie la sfida lanciata dalla Ford: battere la Ferrari. Le Mans ’66 – La grande sfida funziona soprattutto grazie alle ottime performance dei protagonisti. La narrazione sebbene cada nella retorica riesce a restituire, attraverso il rapporto tra i due, la portata di una sfida epica.

Al suo debutto nelle sale nel weekend del 16-17 novembre il film ha conquistato il primo posto al box office in Nord America con 31,5 milioni di dollari. Anche in Italia ha sbancato: uscito in 497 sale, ha incassato 1.246.126 euro. La storia è nota.

Regia: James Mangold; genere: drammatico (Usa, 2019); attori: Matt Damon, Christian Bale, Jon Bernthal, Caitriona Balfe, Tracy Letts, Josh Lucas, Remo Girone.

LE MANS ’66 IN PILLOLE

TI PIACERÀ SE: apprezzi i film che uniscono azione e storie vere.

PERCHÉ VEDERLO: per ripercorrere una pagina di storia e una sfida agguerrita.

CON CHI VEDERLO: insieme ai fan di Christian Bale e del suo camaleontico talento.

Una scena di Les Mans ’66.

DEVI EVITARLO: se ti aspetti una una versione “storica” di Fast & Furious.

LA SCENA MEMORABILE: Carrol cerca di convincere Ken a partecipare alla sua “folle” impresa.

LA FRASE CULT: «Ford odia quelli come noi, perché siamo diversi».

Damon e Bale sul set.

LE CARRIERE INTRECCIATE DI DAMON E BALE

Christian Bale ha lo stesso agente di Matt Damon e per anni i due attori hanno “rischiato” di lavorare insieme. «Non avrei una carriera se non fosse per i ruoli che ha rifiutato», ha detto Bale parlando di Damon. «Dicevano: “Matt non vuole fare questo film”. “Okay, e Bale?”». Damon ha rinunciato anche alla parte di Dickie Eklund in The Fighter, film che ha fatto conquistare a Bale un premio Oscar come miglior attore non protagonista.

SHELBY-MILES, UN LEGAME UNICO

Bale ha sottolineato che uno degli aspetti più belli della storia raccontata da Le Mans ’66 è il legame strettissimo tra i due protagonisti. Tanto che Shelby riuscì a riconoscere il talento di Miles nonostante il pilota continuasse ad auto-sabotarsi. Matt Damon ha svelato che per portare in scena questa amicizia si è ispirato al rapporto tra fratelli.

Les Mans ’66 racconta una grande amicizia.

UN TALENTO CAMALEONTICO

Christian Bale per girare Le Mans ’66 ha dovuto rimettersi in forma dopo aver preso peso per le riprese di Vice, in cui interpretava Dick Cheney. L’attore ha però dichiarato che in futuro non si sottoporrà più a trasformazioni fisiche estreme.

UN PROGETTO RIMANDATO A LUNGO

James Mangold ha raccontato di aver tenuto d’occhio il progetto fin dal 2011, leggendo le versioni degli script che erano state realizzate fino a quel momento. Dopo aver girato Logan il regista ha quindi chiesto alla 20th Century Fox di lavorarci con collaborazione dei fratelli Butterworth.

Christian Bale interpreta il pilota Ken Miles.

I TAGLI AL MONTAGGIO

Nella sua versione provvisoria, il film durava quattro ore. Il regista è stato costretto a tagliare molto materiale passando prima a 3 ore e 15 poi a 2 ore e 30. Sono così state sacrificate le sottotrame per lasciare spazio al rapporto tra i due protagonisti. Alcune delle sequenze tagliate potrebbero comunque essere inserite nei contenuti extra dei Dvd e Blu-Ray, ma Mangold per ora non ha intenzione di proporre una director’s cut del suo lungometraggio.


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Le anticipazioni di Amadeus sul Festival di Sanremo 2020

I big in gara saranno non meno di 20 e non più di 24. I nomi verranno resi pubblici il 6 gennaio, durante la puntata speciale dei "Soliti ignoti" dedicata alla Lotteria Italia. Spunta l'ipotesi Chiara Ferragni sul palco dell'Ariston.

I big in gara al Festival di Sanremo 2020 li conosceremo ufficialmente il 6 gennaio, durante la puntata speciale dei Soliti ignoti su Rai 1 dedicata alla Lotteria Italia. Lo show sarà condotto da Amadeus, che come tutti sanno è anche il direttore artistico della 70esima edizione del Festival. Ma nelle ultime ore si sta facendo largo un’ipotesi suggestiva: accanto a lui, sul palco dell’Ariston, potrebbe esserci Chiara Ferragni.

Amadeus ha dato qualche anticipazione sul Festival che verrà durante l’incontro ‘Milano-Saremo’, che ha aperto la Milano Music Week. Il numero dei cantanti in gara, ha spiegato l’ex dj, è ancora incerto, ma «saranno non meno di 20 e non più di 24, per motivi televisivi». Gli otto artisti che si contenderanno il Sanremo Giovani si conosceranno il 19 dicembre, mentre il cast dei conduttori sarà presentato a metà gennaio, nella tradizionale conferenza stampa ufficiale del Festival.

In Rete, tuttavia, circola con insistenza un’indiscrezione. A Sanremo 2020 potrebbe approdare l‘influencer più famosa d’Italia, ovvero Chiara Ferragni. Lei stessa, intervistata dal quotidiano il Messaggero, ha in qualche modo contribuito ad alimentare queste voci. Alla domanda: «A Sanremo va oppure no?», ha infatti risposto: «Mi dicono di dire no comment su Sanremo». Una frase che – naturalmente – ha scatenato le speculazioni. Dopo l’esperienza al cinema con il documentario Chiara Ferragni Unposted, non è quindi escluso che la moglie di Fedez possa misurarsi anche con la televisione. E il debutto a Sanremo sarebbe un colpo mediatico di grande richiamo.

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Per la Procura di Roma Silvia Romano è nelle mani di un gruppo islamista somalo

Secondo le indagini degli inquirenti la cooperante milanese rapita il 20 novembre dello scorso anno sarebbe stata trasferita in Somala e sarebbe prigioniera di una formazione affiliata ad al-Shabaab.

C’è una svolta nel rapimento di Silva Romano avvenuto il 20 novembre dello scorso anno in Kenya. Secondo quanto emerge dagli sviluppi dell’indagine della Procura di Roma e dei carabinieri del Ros, la cooperante milanese sarebbe tenuta sotto sequestro in Somalia da un gruppo islamista legato ai jihadisti di Al-Shabaab. Gli inquirenti stanno valutando l’ipotesi di inviare una rogatoria internazionale alle autorità somale.

LE CONCLUSIONI DOPO IL VIAGGIO DEL PROCURATORE IN KENYA

Gli elementi raccolti dal Raggruppamento operativo speciale, coordinato dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, dopo la trasferta in Kenya dell’agosto scorso, hanno rafforzato la convinzione che la Romano si trovi in Somalia e dall’analisi dei documenti messi a disposizione dalle autorità kenyote la ragazza si troverebbe in una area del Paese dove gravitano milizie locali legate al gruppo terroristico di matrice islamica.

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Dalla plastic tax all’Imu: raffica di emendamenti alla manovra

Sono oltre 400 le proposte di modifica presentate dal M5s. Che rilancia la battaglia sul pagamento dell'imposta da parte della Chiesa.

Escludere dalla nuova plastic tax i prodotti monouso in plastica biodegradabile o quelli che contengono almeno il 25% o il 50% di plastica riciclata. E far pagare alla Chiesa l’Imu, arretrati inclusi. Sono alcuni degli emendamenti del Movimento 5 stelle alla manovra, parte di un pacchetto di oltre 400 proposte di modifica pronte a essere depositate in commissione Bilancio al Senato.

DETRAZIONI PER CHI INSTALLA I FILTRI PER L’ACQUA

Si chiede anche di esentare tutti i dispositivi sanitari monouso, non solo le siringhe, e di ridurre al 5% l’imposizione sulla cancelleria di plastica (come le penne). E ancora: vuoto a rendere non solo per il vetro ma anche per i contenitori di plastica per acqua e bibite, saponi, detersivi, shampoo, e pure per le lattine. Tra gli emendamenti anche una detrazione fino a 1.000 euro per chi installa a casa i filtri per l’acqua (e 5 mila per chi li mette in bar e ristoranti), un ecobonus per alberghi e strutture ricettive ‘eco-sostenibili’ e un programma ‘Mangiaplastica’ con incentivi ai Comuni che installano ecocompattatori. Quanto all’emendamento sull’Imu, la richiesta è che la Chiesa la paghi sui suoi immobili adibiti a bar, ristoranti, alberghi e anche sugli ospedali. Nella proposta di modifica sono compresi gli arretrati tra il 2006 e il 2012.

MISIANI (PD): «RIPENSEREMO PROFONDAMENTE ALCUNE MISURE»

«In parlamento lavoreremo per migliorare una serie di norme del decreto fiscale e del disegno di legge di bilancio, dialogando con i gruppi parlamentari e le forze economiche e sociali», ha detto da parte sua Antonio Misiani, viceministro Pd all’economia. «Ripenseremo profondamente alcune misure come quelle sulla tassazione delle auto aziendali e la plastica monouso». «Cercheremo di aiutare gli enti locali, che beneficeranno di stanziamenti senza precedenti per gli investimenti ma continuano a soffrire difficoltà per la parte corrente dei loro bilanci», ha aggiunto Misiani.

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La presenza in mare delle Ong non fa aumentare le partenze di migranti

Lo ha dimostrato il primo studio sistemico sulla questione, firmato dai ricercatori italiani Villa e Cusumano. I numeri del report.

La presenza in mare delle Ong non provoca un aumento del flusso migratorio. Il fenomeno, spesso citato dai detrattori delle organizzazioni umanitarie e noto come pull factor, è stato smontato dal primo studio sistemico sulla questione firmato per lo European University Institute da due ricercatori italiani, Matteo Villa dell’Ispi ed Eugenio Cusumano dell’Università di Leiden, e fondato sui dati ufficiali dalle agenzie delle Nazioni unite (Oim e Unhcr) e delle guardie costiere italiana e libica. La ricerca, analizzando un arco temporale di cinque anni che va da ottobre 2014 a ottobre 2019, dimostra che la presenza nel Mar Mediterraneo delle navi delle Ong non ha effetto sul numero delle partenze dalle coste libiche.

LA TESI (SMENTITA) DEL PULL FACTOR

I sostenitori della tesi del pull factor ritengono che un aumento del numero delle persone salvate in mare faccia crescere anche il numero di quelle che partono. Villa e Cusumano dimostrano che semmai è vero il contrario, ossia che il numero di salvati dipende dal numero di partenze. Nel 2015, quando le Ong rafforzarono sensibilmente la presenza in mare e i loro soccorsi passarono dallo 0,8 al 13%, il numero totale delle partenze dalla Libia diminuì rispetto all’anno precedente. Stesso copione nella seconda metà del 2017.

La crociata contro le Ong non ha fatto che aumentare il tasso di mortalità tra i migranti

Un crollo riconducibile innanzitutto, secondo i due ricercatori, agli accordi tra Italia e Libia. La crociata contro le Ong, da parte sua, non ha fatto che aumentare il tasso di mortalità tra i migranti. Un terzo indizio arriva dal 2019: negli 85 giorni in cui la zona Search and Reascue (Sar) è stata battuta dalle Ong non si sono registrate più partenze rispetto ai 225 giorni in cui in mare c’erano soltanto le motovedette libiche. Nel complesso, i numeri parlano chiaro: se le Ong non sono in mare, in media partono 53 persone al giorno, in caso contrario il dato scende a 49.

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Donne e lavoro, quanto sono penalizzate le madri in Italia

Il tasso di occupazione di quante si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è fermo al 57%. Mentre quello dei padri è molto più alto: 89,3%.

Il lavoro di cura affonda il tasso di occupazione femminile in Italia e il confronto con quello maschile non lascia spazio a dubbi: le donne sono pesantemente penalizzate per quanto riguarda la possibilità di conciliare i tempi da dedicare alla famiglia con quelli di un impiego nella società. Secondo gli ultimi dati Istat, infatti, il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57%, a fronte dell’89,3% dei padri. Inoltre, le diverse dinamiche occupazionali tra madri e donne senza figli sono più evidenti al Sud, con uno scarto del 16% a favore delle seconde, e più contenute al Centro e al Nord, con una differenza dell’11 e del 10% rispettivamente.

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Nuovo allarme Unicef: ogni giorno muoiono 15mila bambini

Un nuovo rapporto dell'agenzia traccia un bilancio della Convenzione per l'infanzia avviata 30 anni fa. Grandi passi avanti, ma la mortalità infantile resta alta.

Secondo il nuovo rapporto Unicef “Ogni diritto per ogni bambino – La Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a un punto di svolta”, da quando la stessa Convenzione è stata adottata 30 anni fa, sono stati raggiunti storici traguardi per tutti bambini del mondo, ma ancora molti tra i bambini più poveri devono sentirne gli impatti, come testimoniano i 15 mila morti registrati ogni giorno.

IN TREN’ANNI TASSI DI MORTALITÀ RIDOTTI DEL 60%

Sui progressi nei diritti dei bambini degli ultimi 30 anni, il rapporto ha rilevato che: i tassi globali di mortalità dei bambini sotto i 5 anni sono diminuiti di circa il 60%; il numero di bambini in età da scuola primaria che non vanno a scuola è diminuito dal 18 all’8%; i principi guida della Convenzione: non discriminazione, superiore interesse dei bambini, diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, il diritto alla protezione hanno influenzato numerose costituzioni, leggi, politiche e pratiche a livello globale.

NEL 2018 OGNI GIORNO MORTI 15 MILA BAMBINI

Tuttavia questi progressi non sono stati realizzati ugualmente nel mondo: a livello globale, più di un bambino su quattro vive in paesi colpiti da conflitti o disastri naturali; il numero di gravi violazioni verificate contro i bambini durante i conflitti si è quasi triplicato dal 2010; quasi 20 milioni di bambini sono a rischio di contrarre malattie prevenibili con i vaccini; si stima che per il 2040, in tutto il mondo, una persona su quattro sotto i 18 anni (circa 600 milioni) vivrà in aree soggette a stress idrico molto elevato; solo nel 2018, sono morti ogni giorno mediamente 15mila bambini sotto i 5 anni, principalmente a causa di malattie curabili o per altre cause prevedibili; nel 2018 sono stati registrati circa 350mila casi di morbillo, più del doppio rispetto al 2017.

ALLARME MALATTIE: 800 MORTI AL GIORNO PER DIARREA

Più di 800 bambini ogni giorno muoiono a causa di malattie diarroiche legate a un inadeguato approvvigionamento idrico e scarsità di servizi igienici e sanitari. Nel 2017, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, solo la malaria ha causato 266mila morti sotto i 5 anni. Nei paesi a basso e medio reddito, i bambini delle famiglie più povere hanno il doppio delle probabilità di morire per cause prevenibili prima dei 5 anni rispetto ai bambini di famiglie più ricche. Secondo gli ultimi dati disponibili, solo la metà dei bambini delle famiglie più povere i Africa Sub Sahariana sono vaccinati contro il morbillo, rispetto all’85% dei bambini delle famiglie più ricche.

ALLARME SULLA COPERTURA VACCINALE

Nonostante siano oggi vaccinati più bambini che mai, un rallentamento dei tassi di copertura vaccinale negli ultimi 10 anni sta minacciando di capovolgere i difficili traguardi raggiunti, si legge ancora nel dossier: la copertura vaccinale per il morbillo è agli stessi livelli dal 2010, contribuendo a una ricomparsa di questa malattia mortale in diversi paesi. Nel 2018 sono stati registrati circa 350mila casi di morbillo, più del doppio rispetto al 2017.

IL PESO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO SULLA SICUREZZA DEL CLIMA

Il rapporto affronta anche le minacce vecchie e nuove che colpiscono i bambini nel mondo. Povertà, discriminazione e marginalizzazione continuano a lasciare milioni fra i bambini più svantaggiati a rischio: conflitti armati, crescente xenofobia e la crisi globale dei migranti e rifugiati hanno avuto un impatto devastante sui progressi global. I bambini sono fisicamente, fisiologicamente e dal punto di vista epidemiologico i più a rischio per gli impatti legati alla crisi del clima: il rapido cambiamento del clima sta diffondendo malattie, incrementando l’intensità e la frequenza di condizioni meteorologiche estreme e creando insicurezza alimentare e idrica.

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Anche Di Maio sfratta la Trenta

L'ex ministra della Difesa non ha intenzione di mollare la casa in centro a Roma: «Ho una vita di relazioni ora». Una giustificazione risibile che non fa che irritare ancora di più il capo politico del M5s: «Inaccettabile. Questa storia fa arrabbiare i cittadini».

L’ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, si difende sulla vicenda della casa a Roma ottenuta quando faceva parte del governo e riassegnata al marito militare, il capitano maggiore dell’esercito Claudio Passarelli.

Secondo il Corriere della Sera, che per primo ha dato la notizia, il grado di Passarelli non giustificherebbe l’assegnazione di un appartamento di primo livello come quello in questione. La casa – 180 metri quadri – si trova a San Giovanni, zona centrale della Capitale, ma la coppia risulta già titolare di un’altra abitazione al Pigneto, sempre a Roma, intestata solo all’ex ministra.

Il 18 novembre il leader del M5s, Luigi Di Maio, ha attaccato pubblicamente Trenta ai microfoni di Rtl: «Questa cosa dal mio punto di vista non è accettabile. Ha smesso di fare la ministra due mesi fa e ha avuto il tempo per lasciare la casa, è bene che ora la lasci. Se il marito in quanto militare ha diritto a un alloggio, può fare domanda e lo otterrà. Ma questa cosa fa arrabbiare i cittadini e anche noi, perché noi siamo quelli che si tagliano gli stipendi».

L’EX MINISTRA NON MOLLA

Intervistata sempre dal Corriere della Sera, l’interessata non sembra però affatto intenzionata a mollare il colpo: «Sono molto arrabbiata, questa storia mi porterà dei danni. È evidente che ormai sono sotto attacco». A suo giudizio la casa romana al centro delle polemiche «ormai è stata assegnata a mio marito e in maniera regolare, per quale motivo dovrebbe lasciarla?». L’uomo «ha la residenza nella sua città dove ha una casa, ma ha diritto ad avere l’alloggio dove lavora». E in quanto «aiutante di campo di un generale», egli «può avere quell’appartamento».

VITA NUOVA, CASA NUOVA

«Non credo proprio che si tratti di un privilegio», prosegue Trenta, «perché io l’appartamento lo pago e lo pago pure abbastanza». Quanto alle caratteristiche della casa, il prestigio sarebbe in qualche modo “giustificato” dal fatto che ancora oggi la famiglia Trenta fa «una vita completamente diversa». Una vita «di relazioni» e «di incontri» che evidentemente, in base al suo ragionamento, necessitano di ampi spazi nel centro di Roma. Al Pigneto, invece, «si spaccia droga e la strada non ha vie d’uscita».

TRENTA DECISA A RESTARE, ANCHE NEL M5S

La presa di posizione di Di Maio non pare preoccupare l’ex ministra: «Gli ho spiegato che tutto è stato fatto correttamente, quando l’incarico di mio marito sarà terminato lasceremo la casa». Lei stessa resterà nel M5s? Anche su questo punto, Trenta è sicura: «Ho chiesto di essere una dei 12 facilitatori. Ci rimarrò di sicuro».

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