I mesi di trattativa e l’arrivo in Italia: la liberazione di Silvia Romano

La cooperante è atterrata a Ciampino avvolta in un abito verde e con il capo coperto. «Ora voglio stare solo con la mia famiglia». A partire da metà gennaio si erano intensificate le trattative con i sequestratori. Un lavoro sottotraccia dell'intelligence italiana con la collaborazione di quella turca e somala. Intanto montano le polemiche sul riscatto.

Sorridente e avvolta in un lungo abito verde con il capo coperto. Appena atterrata a Ciampino, con mascherina e guanti, Silvia Romano si è aperta in un sorriso. Ad attenderla oltre alla famiglia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte.

L’abbraccio tra Silvia Romano e la madre (Ansa).

«ORA VOGLIO STARE SOLO CON LA MIA FAMIGLIA»

«Sono stata forte», ha ribadito Silvia Romano abbracciando, tra le lacrime, i genitori e la sorella. «Grazie alle istituzioni. Ora voglio stare solo con la mia famiglia», ha aggiunto assicurando di stare bene «fisicamente e mentalmente». Nel pomeriggio la cooperante verrà ascoltata nella caserma dei Ros a Roma. L’atto istruttorio sarà svolto dal pm della Procura di Roma, Sergio Colaiocco e dagli ufficiali dell’antiterrorismo del Raggruppamento operativo dell’Arma che in questi mesi hanno svolto le indagini. Gli inquirenti intendono ricostruire le varie fasi del sequestro

LE 16 SETTIMANE DECISIVE

Un sequestro lungo 18 mesi, il suo, fatto di molti silenzi che in certi momenti avevano fatto temere il peggio. Fino alla tanto attesa svolta: la liberazione da parte dell’intelligence italiana con la collaborazione dei servizi turchi e somali.

Rapita in Kenya, Silvia Romano lavorava per l’onlus marchigiana Milele che opera nella contea di Kilifi, dove seguiva un progetto di sostegno all’infanzia con i bambini di un orfanotrofio. Dopo il sequestro era stata subito venduta a un gruppo jihadista legato agli al Shabaab.

LO SCAMBIO A 30 KM DA MOGADISCIO

L’operazione dell’Aise è scattata nella notte di venerdì 8 maggio. Silvia è stata liberata a 30 chilometri da Mogadiscio, in una zona in condizioni estreme perché colpita negli ultimi giorni dalle alluvioni. A blitz compiuto, la cooperante è stata condotta in un compound delle forze internazionali nella capitale somala e poi all’ambasciata italiana.

«È in forma, provata ovviamente dallo stato di prigionia ma sta bene», aveva reso noto il presidente del Copasir Raffaele Volpi, ringraziando «l’incessante lavoro mai alla luce della ribalta» dell’Aise e del suo capo, il generale Luciano Carta, che chiude in bellezza il suo incarico per assumere la presidenza di Leonardo.

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IL VIDEO DELLA “SVOLTA”

Un lavoro sottotraccia e complicato, quello dell’intelligence, visto l’ambiente in cui ha dovuto operare: una Somalia dove negli ultimi anni gli al Shabaab hanno seminato morte e terrore, mettendo in scacco le fragili istituzioni. Proprio dalla Somalia è arrivato l’input a rapire Silvia Romano, secondo quanto ha ricostruito la procura di Roma che ha coordinato le indagini in collaborazione con gli inquirenti kenioti. Come ricostruito dal Corriere, un video dei rapitori del 17 gennaio 2020 dimostrava che la cooperante italiana era in vita e in buone condizioni. La prova che l’intelligence aspettava per terminare la trattativa e dare l’ok al pagamento del riscatto. Anche se su questo non ci sono conferme ufficiali, è quasi certo che il rapimento – come accaduto anche nel caso di un cittadino britannico anni fa – fosse a scopo di estorsione. Da quel momento, sono seguiti quasi quattro mesi di attesa e trattative fino alla notte di venerdì.

Silvia Romano con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

SILVIA ROMANO AVREBBE DETTO DI ESSERSI CONVERTITA

La donna era vestita da somala. Quando, riporta ancora il Corriere, è stata portata all’ambasciata italiana in Somalia non si è voluta cambiare d’abito spiegando di essersi convertita all’Islam. Notizia confermata da fonti investigativa secondo cui la conversione potrebbe essere frutto «della condizione psicologica in cui si è trovata durante il rapimento».

LE POLEMICHE SUL RISCATTO: DA SALVINI A BIGNAMI

Come sempre, sul pagamento del riscatto la destra sta sollevando le solite polemiche politiche. Matteo Salvini, in collegamento con Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su RaiTre ha ricordato il sequestro e la liberazione di Greta e Vanessa. «Una volta liberate dissero subito: ‘noi torneremo là’…Credo che fosse il caso di pensarci un po’…», ha sottolineato il segretario leghista. «È chiaro che nulla accade gratis ma non è il momento di chiedere chi ha pagato cosa. Io ho visto come lavorano le nostre forze dell’ordine e porto enorme rispetto verso chi corre rischi, penso a agente Apicella. Prima di fare cose che mettono a rischio la vita di donne e uomini delle forze dell’ordine, in Italia e all’estero, pensarci cento volte». Dello stesso avviso il deputato di FdI Galeazzo Bignami che su Fb ha scritto: «Siamo felici che una persona privata della libertà personale sia libera, anche se diverse zone d’ombra andranno chiarite. Ma sono molto preoccupato per il pericolo che d’ora innanzi tutti gli italiani, se all’estero, correranno: essere dei bancomat mobili alla mercé di terroristi e banditi, pronti per essere sequestrati perché il nostro governo riconosce candidamente che il crimine, questo crimine, paga».

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Autobomba a un checkpoint fa una strage a Mogadiscio

Decine di morti e almeno 100 feriti nel primo, tragico, bilancio dell'esplosione avvenuta nella capitale della Somalia. Nessuna rivendicazione, ma i sospetti ricadono sugli al Shabaab.

È di decine di morti, almeno 30 al momento, e 100 feriti, tra cui anche bambini, il bilancio, provvisorio, dell’esplosione di un’autobomba presso un affollato posto di controllo nella capitale della Somalia, Mogadiscio. La notizia è stata diffusa dalla polizia somala, citata da media internazionali. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma i sospetti ricadono sugli al Shabaab, formazione jihadista legata ad al Qaeda.

BAMBINI E STUDENTI TRA LE VITTIME

Un testimone ha dihiarato ad al Jazeera di aver contato a terra «almeno 22 cadaveri». Si tratta di uno degli attacchi più sanguinosi nella capitale somala da anni. Tra le vittime molti studenti universitari, che viaggiavano su un pullman che transitava sul luogo dell’esplosione. Un agente di polizia, Mohamed Hussein, ha spiegato che l’attentato è avvenuto all’ora di punta, in un luogo affollato a un checkpoint davanti a un ufficio delle tasse.

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Per la Procura di Roma Silvia Romano è nelle mani di un gruppo islamista somalo

Secondo le indagini degli inquirenti la cooperante milanese rapita il 20 novembre dello scorso anno sarebbe stata trasferita in Somala e sarebbe prigioniera di una formazione affiliata ad al-Shabaab.

C’è una svolta nel rapimento di Silva Romano avvenuto il 20 novembre dello scorso anno in Kenya. Secondo quanto emerge dagli sviluppi dell’indagine della Procura di Roma e dei carabinieri del Ros, la cooperante milanese sarebbe tenuta sotto sequestro in Somalia da un gruppo islamista legato ai jihadisti di Al-Shabaab. Gli inquirenti stanno valutando l’ipotesi di inviare una rogatoria internazionale alle autorità somale.

LE CONCLUSIONI DOPO IL VIAGGIO DEL PROCURATORE IN KENYA

Gli elementi raccolti dal Raggruppamento operativo speciale, coordinato dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, dopo la trasferta in Kenya dell’agosto scorso, hanno rafforzato la convinzione che la Romano si trovi in Somalia e dall’analisi dei documenti messi a disposizione dalle autorità kenyote la ragazza si troverebbe in una area del Paese dove gravitano milizie locali legate al gruppo terroristico di matrice islamica.

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