ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi per tenersi l’ex Ilva

Conte in una drammatica conferenza stampa: «Richiesta inaccettabile, offrano soluzioni che ci rassicurino». Il governo è disponibile a ripristinare l'immunità. Altre 48 ore per trattare, ma lo scenario è fosco.

Il premier Giuseppe Conte ha confermato in conferenza stampa che ArcelorMittal vuole 5 mila esuberi – su un totale di 10.777 dipendenti, di cui 1.200 già in cassa integrazione – per tenersi l’ex Ilva, che ogni giorno a Taranto perde 2,5 milioni di euro. Una condizione durissima, che il governo ritiene «inaccettabile». L’esecutivo, ha detto Conte, «è disponibile al ripristino dell’immunità sul piano ambientale, per sgombrare il campo da un falso problema. Ma nella discussione con l’azienda è venuto fuori che non è questa la vera causa del disimpegno. Lo dico senza timore di essere smentito: lo scudo penale non è il tema. Il tema vero è che ArcelorMittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non siano sostenibili per remunerare gli investimenti. Dunque non ritiene possibile garantire l’occupazione».

In diretta da Palazzo Chigi

Posted by Giuseppe Conte on Wednesday, November 6, 2019

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Sul dossier scatta ufficialmente «un allarme rosso» ed è necessario che «il Paese regga l’urto di questa sfida». Ma secondo il premier «nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Siamo disponibili a tenere aperta una finestra negoziale, 24 ore su 24. Invitiamo ArcelorMittal a prendersi un paio di giorni per offrire soluzioni che ci rassicurino sulla continuità dei livelli occupazionali, dei livelli produttivi e sul piano di risanamento ambientale». Ma quali strumenti concreti ha il governo per tentare di convincere l’azienda a tornare sui suoi passi, senza finire in Tribunale? Ben pochi. E Conte lo ha ammesso: «Ho offerto lo scudo penale, è stato rifiutato. Ho quindi chiesto di aprire un tavolo di negoziazione». Ma le mani del governo sono sostanzialmente vuote, a meno di non voler immaginare un ricorso massiccio alla cassa integrazione o un costosissimo subentro dello Stato. «Al momento non c’è nessuna soluzione, nessuna richiesta nostra è stata accettata», ha aggiunto il premier.

PATUANELLI: «LA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE È STRUTTURALE»

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, visibilmente scosso, ha ribadito il concetto: «Questa è una vertenza industriale. ArcelorMittal vuole ridurre la produzione a 4 milioni di tonnellate e vuole 5 mila persone in meno. Ma ha vinto la gara promettendo 6 milioni di tonnellate e 8 milioni dal 2024. C’è un altro problema: se non si produce, non si investe nemmeno sul risanamento ambientale. Noi siamo disponibili ad accompagnare la situazione attuale, legata alle tensioni commerciali e alla crisi dell’automotive. Ma loro sono stati chiari: la riduzione della produzione è strutturale. Per noi è inaccettabile, il piano industriale di ArcelorMittal è stato proposto nel 2017, di fatto sono dentro da un anno».

SINDACATI CONVOCATI PER IL 7 NOVEMBRE

Conte ha promesso che gli operai e le comunità locali non saranno lasciati soli: «Domani convocheremo i sindacati. C’è l’assoluta determinazione di rilanciare l’ex Ilva e Taranto. Non è questione di minoranza o maggioranza, le polemiche politiche sono assolutamente inutili». Oltre agli esuberi, ArcelorMittal avrebbe chiesto anche una norma ad hoc per tenere in vita l’altoforno 2, che non è a norma e che rischia di essere spento dalla magistratura. Le organizzazioni dei lavoratori sono pronte alla mobilitazione. La Fim-Cisl si è mossa autonomamente con uno sciopero immediato, mentre in serata la Fiom e la Uilm hanno proclamato una giornata di astensione dal lavoro per l’8 novembre e una manifestazione a Roma, «di fronte all’arroganza» di ArceloMittal e alla «totale incapacità della politica».

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L’autunno flop di Trump a un anno dalle elezioni 2020

L’emorragia di consensi tra le donne. L’impeachment. Il boomerang siriano e la batosta dell’Election Day. Il tycoon si circonda di uno staff di amazzoni per le prossime Presidenziali.

Ricostruirsi una verginità con le donne. Impossibile per Donald Trump, accusato di stupri e di molestie sessuali anche da una dozzina di americane, tra le quali figure dell’opinione pubblica. Ma proprio per ridurre il fossato scavato con l’elettorato femminile, l’inquilino della Casa Bianca fa il virtuoso con le quote rosa, attorniandosi di collaboratrici per la corsa delle Presidenziali del 2020. La metà dei 26 membri senior del nuovo staff della campagna, ha ricostruito Politico, sono donne: un bel salto dalle tre (inclusa la figlia-advisor Ivanka) nel team del 2016. E un passo obbligato: nelle settimane alla vigilia dell’Election Day del 5 novembre, il test elettorale delle Amministrative non esaltante per i repubblicani, un sondaggio di Fox News ha indicato il presidente Usa, incalzato dallimpeachment, sgradito anche al 65% delle donne della grande provincia americana.

Presidenziali Usa Election Day
Le donne americane contro la ricoferma di Trump alle Presidenziali 2020 (Foto: GettyImages).

LO STAFF DI MADRI TRUMPIANE

Un’altra indagine del Public Religion Research Institute ha mostrato un aumento di 11 punti, da settembre, al sostegno all’impeachment delle elettrici bianche con un background di scarsa istruzione: il target che nel 2016 invece, tra le donne, appoggiò Trump. Lo staff in rosa del presidente è costruito a tavolino per cercare di risalire questa china: «Donne in ogni età della loro vita», ha sottolineato la portavoce nazionale della campagna Kayleigh McEnany, giovane scrittrice di fede repubblicana. Meglio ancora se, come lei, incinte in questi mesi o già madri di parecchi figli. Di quattro pargoli la senior adviser Mercy Schlapp, ex funzionaria della Casa Bianca. Di tre la nuora Lara Trump, produttrice televisiva, presente naturalmente all’appello. La squadra di amazzoni conservatrici gira gli States, a manifestazioni come la recente “Women for Trump” in Minnesota. Con l’obiettivo di sfatare la fama da campione di misoginia del presidente-tycoon.

Nell’elettorato femminile si concentra l’emorragia di consensi di Trump

FONDI ROSA E 5 MILA VOLONTARIE

La macchina della propaganda ha un seguito di 4.600 nuove volontarie, iscritte nei 16 Stati per reclutare elettrici repubblicane. Un’altra leva per portare le americane al fianco del Gop sono i dati sui finanziamenti. Per la campagna del 2020 Trump cerca donatrici: nel 2016 le donne rappresentavano un quarto dei suoi contribuenti, nel 2019 sfiorano già la metà della torta. Il presidente americano riparte da loro, perché nell’elettorato femminile si concentra la sua emorragia di consensi, affatto semplice da ripianare. Sempre nei sondaggi di Fox News, quest’autunno Trump è precipitato sette punti sotto l’ex vicepresidente Joe Biden, favorito nelle primarie dei dem. Eppure certo non un volto nuovo, men che meno un campione di appeal. Il 56% degli americani si dice contro l’operato della Casa Bianca, a causa soprattutto dal drastico ritiro militare dalla Siria.

Presidenziali Usa Election Day
Americani pro impeachement, in vista delle Presidenziali Usa (Foto: GettyImages).

IL BOOMERANG DEL RITIRO DALLA SIRIA

Chi l’avrebbe detto. Trump ha accelerato il rientro di parte delle unità in Medio Oriente, come captatio benevolentiae elettorale. Invece la mossa è stata vista come un ingiusto tradimento degli alleati curdi. In una rilevazione della rete Cbs, solo il 24% degli interpellati ha approvato il disimpegno. Il 34% è contrario, il 41% si è dichiarato non informato a sufficienza. Probabilmente tra gli indecisi, l’altro grande vivaio di proseliti, per il tycoon sarà più facile attecchire che con le donne.

LA BATOSTA DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE

Mala tempora currunt, per Trump, anche nello scrutinio dell’Election Day: il voto per rinnovare le Assemblee legislative e i governatori di alcuni Stati. Dopo 26 anni la Virginia è andata ai democratici, anche nel Kentucky tradizionalmente dei repubblicani il candidato Matt Bevin contesta il risultato dell’avversario dem Andy Beshear, che gli ha strappato la vittoria per un pugno di 5 mila voti.

L’unica conferma a Trump è arrivata dal Mississippi roccaforte dello zoccolo duro del Grand old party (Gop) più conservatorista e razzista

Il trend dell’America antitrumpiana, non più a trazione anglosassone, traspare anche dalla conquista di un seggio, in Virginia, della democratica Ghazala Hashmi, prima musulmana eletta al Senato. E, in Arizona, di Regina Romero prima donna sindaco e primo sindaco latinos di Tucson, fiera avversaria delle corporation. L’unica conferma a Trump arrivata dal Mississippi, roccaforte dello zoccolo duro del Grand old party (Gop) più conservatorista e razzista, non è un dato incoraggiante.

MOLLATO ANCHE DA MURDOCH SULL’IMPEACHMENT?

Nuovi colpi durante la sua corsa arriveranno dalla procedura aperta di impeachment, per il quale il 51% degli americani sarebbe ormai a favore (dal 42% di luglio 2019). Mai dire mai con il tycoon, come dimostra anche l’ingranaggio azionato delle “Women for Trump”. Ma ormai anche la Fox News di Rupert Murdoch, uno dei suoi maggiori sostenitori, fa infuriare Trump per i sondaggi da perdente.

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Seggiolini antiabbandono obbligatori dal 7 novembre

Il decreto fiscale ha creato un fondo che dà un incentivo di 30 euro per ciascun dispositivo acquistato. Per gli automobilisti inadempienti sanzioni da 81 a 326 euro e decurtazione di 5 punti dalla patente.

Doveva partire a marzo dell’anno prossimo, ma scatta invece il 7 novembre 2019 l’obbligo di montare sulle auto i seggiolini antiabbandono per il trasporto di bambini di età inferiore ai quattro anni. Il ministero dei Trasporti ha infatti appena pubblicato una circolare in cui spiega che il regolamento di attuazione dell’articolo 172 del nuovo Codice della Strada, pubblicato il 23 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale, entra in vigore 15 giorni dopo, ovvero il 7 novembre. Chi non si doterà dei seggiolini antiabbandono incorrerà in una sanzione amministrativa da 81 a 326 euro e subirà la decurtazione di 5 punti dalla patente.

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Presunto dirottamento ad Amsterdam, per la compagnia è un falso allarme

La polizia olandese è intervenuta per una «situazione sospetta» nello scalo di Schiphol. Ma poi l'allarme si è rivelato infondato, come confermato dalla stessa compagnia coinvolta.

Momenti di grande paura questa sera all’aeroporto di Amsterdam Schiphol, quando si è temuto un tentativo di dirottamento di un aereo della Air Europa. Per fortuna, invece, si è trattato di un falso allarme, attivato per errore dal pilota, come ha reso noto in seguito la stessa compagnia aerea.

L’allerta è scattata intorno alle 19.30 nello scalo olandese, uno dei più trafficati d’Europa. Il pilota di un volo in partenza per Madrid ha premuto il pulsante che attiva l’allarme dirottamento. Immediate sono scattate le procedure d’emergenza a terra, con diverse ambulanze accorse sul posto, insieme con i reparti speciali della polizia, che nel frattempo ha diramato un avviso cosiddetto Grip 3, che indica un livello di rischio per «un elevato numero di persone».

L’ALLARME VISSUTO DAL GOVERNO

Notizie su un possibile dirottamento sono subito rimbalzate sui social, facendo temere il peggio, perché più fonti hanno confermato l’attivazione dell’allarme dirottamento dall’aeroplano, quando a bordo c’erano circa 27 persone tra passeggeri ed equipaggio. Creando agitazione fino ai piani alti del governo: «Sta succedendo qualcosa, spero che finisca bene», ha fatto sapere il premier Mark Rutte, costantemente aggiornato sulla situazione in corso. Un meeting alla Camera bassa è stato sospeso e un giornalista del quotidiano locale Telegraaf ha spiegato che il ministro della giustizia e sicurezza Ferdinand Bernhard Joseph Grapperhaus «aveva altro per la testa», evidentemente concentrato su quello che stava succedendo ad Amsterdam.

L’AMMISSIONE DI COLPA DELLA AIR EUROPA

Poco più di un’ora dopo, alle 20.30, c’è stata la prima volta che ha fatto tirare un sospiro di sollievo. La polizia ha reso noto che tutti i passeggeri e l’equipaggio erano stati sbarcati dall’aereo in sicurezza. Pochi minuti dopo, l’Air Europa ha chiarito tutta la vicenda, ammettendo la propria responsabilità: «Falso allarme. Nel volo Amsterdam-Madrid, questa sera, è stato attivato, per errore, un allarme che avvia protocolli sui dirottamenti. Non è successo nulla, tutti i passeggeri aspettano di volare presto. Siamo spiacenti». Anche l’aeroporto di Schiphol, che aveva chiuso il gate D, ha poi fatto sapere che l’operatività dello scalo è stata ripristinata.

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La Turchia ha catturato la moglie di al-Baghdadi

Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha confermato che una delle consorti del Califfo è stata catturata. Ma Ankara non ha fornito altri dettagli.

Nuovo colpo della Turchia alla cerchia di Abu Bakr al-Baghdadi, il leader dell’Isis ucciso il 27 ottobre in un blitz americano nel nord della Siria: dopo aver annunciato nei giorni scorsi la cattura della sorella maggiore, Ankara ha rivelato di avere in mano anche una delle quattro mogli dell’autoproclamato Califfo.

Mentre gli Usa hanno condotto una «gigantesca campagna di comunicazione» sulla morte di al-Baghdadi, «noi abbiamo preso sua moglie, lo dico oggi per la prima volta, ma non abbiamo creato clamore. Continueremo a lavorare in questo senso», ha detto il presidente Recep Tayyip Erdogan in un discorso ad Ankara.

Nessun dettaglio è stato finora reso noto sulle circostanze della cattura, né quando sia avvenuta esattamente. Segreta resta al momento anche l’identità della donna. Le informazioni al riguardo saranno diffuse «presto», ha assicurato il ministro della Difesa turco Hulusi Akar.

LE POSSIBILI MOGLI DEL CALIFFO

Secondo le notizie di intelligence disponibili, il defunto leader dell’Isis aveva quattro mogli, il massimo consentito dalla legge islamica. Tra queste, un’irachena conosciuta come Nour, figlia di un suo stretto collaboratore, Abu Abdullah al-Zubaie, e una donna di cui si sa che venne arrestata in Libano nel 2014 e liberata l’anno dopo in uno scambio di prigionieri. Un’altra ex moglie irachena, Saja al-Dulaimi, lo avrebbe abbandonato nel 2009 mentre era incinta della figlia.

IL VALORE DELL’ARRESTO DELLA SORELLA DI AL BAGHDADI

Solo un paio di giorni fa era stata catturata la sorella maggiore di al-Baghdadi, in questo caso subito identificata come la 65enne Rasmiya Awad, con tanto di diffusione di una foto segnaletica. La donna, definita dagli 007 turchi «una miniera d’oro» sul piano delle informazioni di intelligence, era stata fermata in compagnia di marito, nuora e 5 figli ad Azaz, località nel nord-ovest della Siria sotto il controllo di Ankara sin dal 2016 a seguito dell’operazione militare Scudo d’Eufrate, condotta proprio conto il sedicente Califfato. Non è stato indicato tuttavia se abbia anche portato alla cattura della cognata.

ANKARA RIMARCA LA LOTTA AL TERRORSMO

Per la Turchia è comunque l’occasione di ribadire il suo impegno nella lotta ai jihadisti, dopo la valanga di accuse da tutto il mondo di aver aperto spazi per un ritorno dell’Isis con la sua offensiva militare in Siria contro le milizie curde, che invece l’avevano sconfitto sul campo e ne detenevano migliaia di combattenti nelle loro prigioni.

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M5s: nuova fumata nera per elezione capogruppo Camera

Niente da fare in casa grillina per il successore di D'Uva. Fazioni ancora bloccate su due nomi: Silvestri e Crippa.

Nuova fumata nera, a quanto si apprende, per l’elezione del capogruppo del M5s alla Camera. Al termine dello spoglio nè Francesco SilvestriDavide Crippa hanno ottenuto la maggioranza assoluta richiesta dallo statuto del gruppo. Silvestri ha incassato 95 voti, Crippa 83.

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Unicredit ha messo in vendita tutta la quota detenuta in Mediobanca

Si tratta dell'8,4% del capitale. L'operazione ha un controvalore di circa 800 milioni di euro. La mossa va in direzione contraria rispetto alla recente crescita di Del Vecchio nell'azionariato di Piazzetta Cuccia.

Unicredit ha messo in vendita, attraverso un accelerated book building, l’intera quota dell’8,4% detenuta in Mediobanca. Agli attuali valori di mercato l’operazione ha un controvalore di circa 800 milioni di euro. L’istituto guidato da Jean Pierre Mustier ha fatto sapere che il collocamento sarà effettuato nei confronti di «alcuni investitori istituzionali», dunque il “pacchetto” verrà spezzettato. Ma la ratio che sta dietro all’iniziativa è difficile da afferrare.

IN DIREZIONE CONTRARIA RISPETTO A DEL VECCHIO

Unicredit è il primo azionista di Mediobanca e la mossa dell’amministratore delegato, che ricalca le modalità con cui è stata ceduta Fineco, è l’ultima di una serie ininterrotta di dismissioni, che comprendono la polacca Bank Pekao, l’asset manager Pioneer, le attività di elaborazione dei pagamenti con carte in Italia, Germania e Austria e la banca ucraina Ukrsotsbank. In vendita anche un pacchetto di immobili non strumentalii per un valore complessivo di 1 miliardo, mentre nel corso del 2019 sono state emesse obbligazioni per circa 10 miliardi. L’addio a Mediobanca va inoltre in direzione contraria rispetto alla recente crescita della Delfin di Leonardo Del Vecchio nell’azionariato di piazzetta Cuccia, che nel giro di un mese si è portata al 7,52%. Vincent Bolloré è invece sceso al 6,73%. Sullo sfondo la partita per le assicurazioni Generali, di cui Mediobanca possiede il 13%.

UNICREDIT «NON INTERFERIRÀ» CON IL COLLOCAMENTO

Il book building per la cessione di Mediobanca inizierà immediatamente. BofA Securities, Morgan Stanley e Unicredit Corporate & Investment Banking sono i Joint Bookrunners. Unicredit, come detto sopra, ha dato mandato di collocare le azioni presso più investitori e si è impegnata a «non interferire» con la loro assegnazione. La banca ha inoltre dichiarato che il ricavato della dismissione sarà reinvestito «nello sviluppo delle attività dei suoi clienti».

PLUSVALENZA LORDA DI 50 MILIONI EURO O POCO PIÙ

Il collocamento sta avvenendo in un range di prezzo compreso tra i 10,53 euro per azione e i 10,78 euro del prezzo di chiusura di Borsa del 6 novembre. Al prezzo minimo della forchetta ci sarebbe uno sconto del 2,3%. La quota posseduta da Unicredit è iscritta nel bilancio 2018 a 9,89 euro per azione. Dunque l’istituto, che il 7 novembre presenterà i conti dei primi nove mesi del 2019, ne uscirà con una plusvalenza lorda piuttosto esigua: 50 milioni di euro o poco più.

GLI SCENARI PER IL FUTURO

L’addio a Mediobanca può comunque aprire scenari nuovi per Unicredit. Negli ultimi due anni non sono mancate le speculazioni su una possibile virata sempre più prepotente verso l’estero. Al gruppo di piazza Gae Aulenti è stata accostata prima Societè Generale, dove lo stesso Mustier ha lavorato; poi la tedesca Commerzbank, che in primavera era alla ricerca di un partner dopo il fallimento delle trattative con Deutsche Bank. Ipotesi che Unicredit ha sempre rifiutato di commentare. D’altro canto il consolidamento del settore, anche a livello europeo, è diventata una chiara esigenza. E lo stesso Mustier ha rimarcato la necessita di avere istituti più grandi e paneuropei. Qualche schiarita potrebbe arrivare con il nuovo piano industriale, la cui presentazione è prevista fra un mese.

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L’ex speaker Bercow: «La Brexit il più grande errore dal dopoguerra»

L'ex presidente dei Comuni, dopo le dimissioni, esce dall'imparzialità che la carica richiedeva per dichiararsi apertamente un Remainer.

La Brexit? «Il più grande errore di questo Paese nel dopoguerra». John Bercow lo dice a chiare lettere dopo aver dismesso i panni di speaker e detto addio alla Camera dei Comuni dopo un decennio di presidenza dell’assemblea, all’insegna di uno stile interventista e istrionico, durante il quale molti vecchi compagni di partito Tory non gli hanno risparmiato l’accusa di partigianeria anti-brexiteer.

LE SIMPATIE PRO-REMAIN A LUNGO CELATE

Invitato dalla Foreign Press Association a tenere il suo primo discorso da ex, Bercow ha colto l’occasione per regolare qualche conto, per difendere il parlamento dalle accuse e per fare in sostanza il controcanto al discorso d’avvio della campagna elettorale del premier conservatore Boris Johnson. Ma anche per svelare un segreto di Pulcinella: le sue attuali simpatie pro Remain, dopo una carriera politica costruita all’ombra della destra Tory più euroscettica.

«LA BREXIT NON AIUTERÀ IL REGNO UNITO»

«Io non penso che (la Brexit) aiuterà il Regno Unito», ha affermato fra l’altro ‘Mister Order’, «rispetto il primo ministro, ma credo sarebbe meglio restare in un blocco di potere come l’Ue». Bercow – sollecitato a più riprese a fare show e parlare di sé anche come personaggio, noto per le decisioni procedurali chiave prese durante i dibattiti sulla Brexit, oltre che per gli ormai televisivamente celebri richiami alla disciplina al grido ‘order, order!’ – ha quindi insistito che è stata la maggioranza parlamentare, non lui, a imporre nei mesi scorsi il rinvio ripetuto del divorzio da Bruxelles.

«IL PARLAMENTO HA FATTO BENE IL SUO LAVORO»

Bercow del resto è tornato a difendere l’operato del Parlamento, messo oggi di nuovo sotto accusa da Johnson. «Il mio lavoro è stato quello di proteggere i diritti della Camera dei Comuni, e non mi devo scusare per averlo fatto», ha detto al riguardo, contestando apertamente gli attacchi del governo contro un Parlamento definito “di zombie” o paralizzato. «Il Parlamento non ha da vergognarsi, ha fatto bene il suo lavoro», ha replicato con il consueto mix di vis polemica e linguaggio ricercato l’ex speaker, non senza aggiungere poi ai microfoni di Sky Tg 24 di ritenersi «soddisfatto, più che orgoglioso» del compito svolto.

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Il Garante della privacy contro l’archiviazione integrale delle fatture elettroniche

Secondo l'authority i dati memorizzati dall'Agenzia delle entrate comprendono anche informazioni non rilevanti ai fini tributari. Parlamento invitato a modificare la norma contenuta nel decreto fiscale.

L’archiviazione integrale per otto anni di tutte le fatture elettroniche emesse e ricevute da parte dell’Agenzia delle entrate, compresi i dati non fiscalmente rilevanti e quelli relativi alle prestazioni fornite, per il Garante delle privacy è «sproporzionata». L’authority ha quindi invitato il parlamento a «vagliare l’effettiva necessità» di questa norma, valutando la possibilità di sostituirla con procedure «meno invasive» per i cittadini o semplicemente di «oscurare i dati non fiscalmente rilevanti».

LA NORMA È CONTENUTA NEL DECRETO FISCALE

Nella memoria che il Garante ha trasmesso alla commissione Finanze della Camera, dove sono in corso le audizioni sul decreto fiscale, ci si concentra sull’articolo 14 del provvedimento, che consente per l’appunto all’Agenzia delle entrate di memorizzare i file delle fatture elettroniche per gli otto anni successivi alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

ARCHIVIAZIONE FINALIZZATA ALL’ANALISI DEL RISCHIO-EVASIONE

L’archiviazione è finalizzata all’analisi del rischio-evasione e all’esecuzione di controlli sia da parte della stessa Agenzia delle entrate, sia da parte della Guardia di finanza in caso di inchieste giudiziarie. Ma secondo il Garante per la privacy, quantità e qualità dei dati archiviati sarebbero eccessive. Anche perché l’intero patrimonio di informazioni sarebbe esposto a rischi di «esfiltrazione o attacchi informatici», per fronteggiare i quali servirebbero apposite leggi.

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Lamorgese difende il memorandum firmato con la Libia

La ministra ha tenuto al sua informativa alla Camera e difeso l'intesa del 2017. Ma ha aperto a possibili modifiche e alla creazione di corridoi umanitari.

Il Memorandum of understanding siglato il 2 febbraio 2017 con la Libia ha contribuito a far calare i flussi migratori ed i morti in mare; ora va però cambiato per migliorare le condizioni dei centri per migranti con l’obiettivo di una loro graduale chiusura per far posto a strutture gestite direttamente dall’Onu.

Lo ha detto la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, nella sua informativa alla Camera, sottolineando che la proposta italiana di rivedere il testo «è stata immediatamente e favorevolmente accolta» da Tripoli. Critico Matteo Orfini (Pd), che ha definito «imbarazzante ed ipocrita» l’intervento della ministra.

All’attacco anche il dem Fausto Raciti: «ha mancato del tutto il punto: quello del rispetto dei diritti umani. Se parti dall’idea che nei campi libici ci siano ospiti e non prigionieri, persone torturate e donne che subiscono violenza, allora il resto viene di conseguenza». Per Erasmo Palazzotto (Leu) va bene rivedere il MoU, ma serve la «chiusura immediata» dei centri. Riccardo Magi (+Europa) ha definito il sistema libico «non riformabile» e sollecitato «un piano di evacuazione e una nuova missione di salvataggio nel Mediterraneo». Gennaro Migliore (Iv) ha aperto alla rinegoziazione dell’accordo.

LA SPINTA A RINNOVARE L’INTESA FINO AL 2023

Lamorgese ha sottolineato che «al momento della sottoscrizione del Memorandum le dimensioni dei flussi erano senz’altro preoccupanti. Oggi», ha sottolineato, «sebbene la situazione sia ben diversa, sarebbe ingiustificabile un calo di attenzione sulle dinamiche migratorie che continuano a interessare il nostro Paese». L’intesa deve dunque proseguire per un altro triennio, anche perchè «ha svolto un ruolo importante per evitare l’isolamento delle autorità libiche e per coinvolgerle in comuni strategie per il contrasto al traffico di esseri umani».

ALLARME INFILTRAZIONI JIHADISTE TRA I MIGRANTI

Ora si punta ad un salto di qualità delle strutture di detenzione (in Libia l’immigrazione illegale è un reato punito con il carcere), nonostante, ha riconosciuto il ministro, «le difficili condizioni generali di insicurezza del Paese, che rischiano di facilitare l’opera di gruppi criminali impegnati nel traffico di esseri umani, anche con il rischio di infiltrazioni di jihadisti tra i migranti che giungono sulle nostre coste». Il conflitto in corso peraltro ha messo sulla linea del fronte anche i centri per migranti. L’obiettivo, per l’Italia, ha puntualizzato Lamorgese, «dovrà essere quello di migliorarne le condizioni, in vista della graduale chiusura di quelli attualmente esistenti, favorendo l’intervento volto alla loro trasformazione, concordata con le autorità libiche, per giungere progressivamente a prevedere centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite».

LE POSSIBILI MODIFICHE VOLUTE DAL GOVERNO

Altri punti da inserire nel rinnovato accordo, per la ministra, sono il rafforzamento dei corridoi umanitari, coinvolgendo altri Paesi europei e con il finanziamento Ue, il potenziamento della capacità di sorveglianza dei confini meridionali della Libia, nonchè il piano di sostegno alle municipalità libiche, con la distribuzione di apparecchiature mediche, materiale sanitario, materiale per scuole e farmaci. Se Tripoli ha risposto subito alla nota verbale italiana manifestando disponibilità a rivedere l’intesa, dal fronte che combatte il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, è arrivato un avvertimento. L’Italia e l’Europa «non hanno alcun vantaggio» a sostenere il governo di Tripoli, perché la capitale «è in mano alle milizie e finché sarà così arriveranno i barconi sulle vostre coste», ha detto Abdulahdi Ibrahim Lahweej, ‘ministro degli Esteri’ del governo dell’est libico, quello di Khalifa Haftar, non riconosciuto a livello internazionale.

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L’Ue taglia le stime sul Pil dell’Italia nel 2020

Dal +0,7% previsto d'estate, Bruxelles passa al +0,4%. Invariate, invece, quelle per il 2019, confermate al +0,1%.

Nelle previsioni economiche d’autunno in arrivo giovedì 7 novembre, secondo quanto anticipato dall’Ansa, salvo sorprese dell’ultima ora la Commissione Ue lascerà a +0,1% la stima sul Pil italiano 2019, invariata rispetto alle sue ultime previsioni di luglio. Rivedrà invece al ribasso la stima sul 2020: dal +0,7% previsto d’estate, a +0,4%.

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Poste Italiane, ecco i dati dei primi nove mesi

I ricavi del terzo trimestre sono in aumento, con una crescita complessiva nei nove mesi dell'1,7%. Utile netto a +2,6%

Poste Italiane ha chiuso i primi nove mesi del 2019 con ricavi pari a 8,089 miliardi di euro, riscontrando un aumento dell’1,7% rispetto allo stesso periodo del 2018. I ricavi nel terzo trimestre si sono attestati a 2,568 miliardi, in salita dell’1,8% rispetto al terzo trimestre del 2018. L’utile netto nei nove mesi è stato pari a 1,083 miliardi (+2,6%), mentre quello dell’ultimo trimestre si è fermato a 320 milioni (-0,4%). I numeri sono in linea con gli obiettivi 2019 del piano Delivery 2022 su tutti i segmenti di business.

Per la prima volta il Gruppo guidato dall’amministratore delegato Matteo Del Fante ha approvato la distribuzione di un acconto sul dividendo 2019, pari a 0,154 euro per azione, corrispondente a un terzo della somma prevista per il 2019 (pari a 0,463 euro). L’acconto sarà distribuito a partire dal 20 novembre, con data stacco della cedola al 18 e record date al 19 novembre.

Grande spinta data dai Servizi Assicurativi, che hanno ottenuto nel trimestre ricavi pari a € 423 milioni (+16,5% rispetto al terzo trimestre del 2018) mentre il comparto Pagamenti, Mobile e Digitale ha registrato ricavi pari a € 171 milioni (+10,6% rispetto al terzo trimestre del 2018). Nel comparto Corrispondenza, Pacchi e Distribuzione continua il processo di trasformazione industriale in corso: il Joint Delivery Model è stato implementato nel 95% dei centri di recapito previsti a Piano  e i ricavi scendono del 3,5% a 800 milioni di euro. Stabili i ricavi dei servizi finanziari a 1173 milioni di euro (-0,1%).

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Chi è Vincenzo Novari, ceo delle Olimpiadi Milano Cortina 2026

Genovese, 60 anni, ex ad di Omnitel e 3, ha alle spalle una carriera nel marketing.

Vincenzo Novari, il nuovo ad del comitato organizzatore delle Olimpiadi invernali di MilanoCortina, è considerato un manager a tutto tondo. Genovese, 60 anni, laureato in Economia aziendale all’università di Genova, Novari è stato amministratore delegato di 3 Italia dal 2001 al 2016, fino alla fusione con Wind.

LA CARRIERA NEL MARKETING E LA TELEFONIA

Inizia a lavorare nel 1987 presso Parfume et Collections (gruppo L’Oréal) come Direttore Marketing. Rimane in L’Oréal fino al 1992 poi dal 1993-1995 è nel Gruppo Danone (Johnson Wax e in Saiwa). Per Omnitel Pronto Italia S.p.A. è Direttore Marketing nel 1995, nel 1996 ne diventa Vice-Presidente delle vendite, marketing e logistica. Nel 1999 diventa Amministratore Delegato di Omnitel 2000 S.p.A. Fonda nel 2000 Andala S.p.a di cui è Amministratore Delegato sin dall’inizio, lo rimane quando Andala diventa 3 Italia e lascia solo nel dicembre 2016 quando 3 Italia e Wind si fondono.

NEL 2016 LA FONDAZIONE DI UNA STARTUP

Nell’ottobre 2016 fonda SoftYou, una startup nel campo del business e dei servizi a valore aggiunto. Sempre nello stesso anno diventa Special Advisor Italia per CK Hutchinson. È noto alle cronache rosa come il fidanzato di Daniela Ferolla, ex Miss Italia.

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Raimo: «L’incendio alla Pecora Elettrica è una dichiarazione di guerra»

Per l'assessore alla Cultura del Municipio III di Roma «è la città intera a essere sotto attacco». La libreria era stata distrutta da un rogo il 25 aprile scorso ed era stata riaperta grazie a un crowdfunding. Le voci e le paure di Centocelle.

Dopo l’attentato incendiario subito il 25 aprile scorso, la libreria antifascista La Pecora Elettrica di Roma è finita di nuovo sotto attacco.

Alla vigilia della riapertura, resa possibile grazie a una raccolta fondi che aveva coinvolto l’intero quartiere Centocelle, un secondo incendio nella notte tra il 5 e il 6 novembre ha guastato la festa. I proprietari Danilo Ruggeri e Alessandra Artusi questa volta non vogliono proprio parlare: «Non abbiamo niente da dichiarare», si limita a dire Ruggeri, «adesso tocca alle istituzioni».

L’INTERVENTO DEL MINISTRO FRANCESCHINI

In tarda mattinata è arrivato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini per dimostrare la vicinanza del governo. «Quando vengono bruciati i libri il fatto è ancora più grave per questo lo Stato deve esserci», ha detto il ministro. «Ho parlato con il ministro dell’Interno Lamorgese che mi ha detto che convocherà un consiglio di sicurezza per il quartiere di Centocelle e in particolare per questa via visto che anche il mese scorso un’altro locale ha subito un attentato simile». 

La Pecora Elettrica, libreria antifascista, doveva riaprire il 7 novembre.

RAIMO: «È UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA»

Solo l’8 ottobre scorso, infatti, un altro incendio aveva devastato una pizzeria a soli 50 metri dalla Pecora Elettrica. «Sembra un romanzo», dice il proprietario del locale Valerio Pasqualucci, «invece è la realtà che viviamo tutti i giorni. Non si può stare così con la paura. E se succede anche a noi che dovremmo riaprire tra un mese? Che facciamo?». I carabinieri stanno seguendo le indagini ma per ora confermano solo l’origine dolosa dell’incendio: non ci sono piste di alcun tipo. «È chiaro che è un attacco alla città non alla Pecora Elettrica», ha detto a Lettera43.it Christian Raimo, scrittore e assessore alla Cultura del Municipio III. «Un criminale che fa una cosa del genere sa il rischio che si prende. C’è tentata strage, è un caso che diventa nazionale. Se lo fai vuol dire che è una dichiarazione di guerra».

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Come procedono le indagini sull’esplosione della cascina nell’Alessandrino

Il proprietario dell'edificio saltato in aria e in cui hanno perso la vita tre vigili del fuoco esclude il movente dei dissidi familiari: «Questa è una cattiveria, il movente di questo gesto è l'invidia».

Il giorno dopo la tragedia costata la vita a tre vigili di fuoco nell’esplosione della cascina a Quargnento, piccolo paese in provincia di Alessandria, so indaga ancora sulle origini di un gesto dalla chiara natura dolosa e i cui responsabili non sono ancora stati individuati.

«L’UNICA SPIEGAZIONE PUÒ ESSERE L’INVIDIA»

Giovanni Vincentti, proprietario dell’edificio, non sa darsi spiegazioni: «Il perché non lo so, o meglio, penso per pura e semplice invidia». «Io negli anni ho subito diversi atti dolosi» – ha aggiunto – «non siamo mai stati ben acquisiti da quel paese da quando ci siamo trasferiti, siamo una famiglia un po’ riservata, per questo non abbiamo mai avuto grossi rapporti con il vicinato».

«CHI PARLA DI DISSIDI FAMILIARI DICE UNA CATTIVERIA»

Vincenti, però, ha escluso che all’origine dell’accaduto ci siano, com’è stato ipotizzato nelle prime ore, dei dissidi familiari. «Questa è la cattiveria più grossa che potevano dire, io non ho problemi con mio figlio assolutamente». E ancora: «Andiamo d’amore e d’accordo, ci sono gli alti e bassi, lui se n’è andato via di casa perché la fidanzata voleva andare a Torino, io non l’ho presa benissimo, siamo stati tre-quattro mesi a litigare poi è finita».

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Le novità della guida Michelin Italia 2020

Ampio successo per lo chef Enrico Bartolini al Mudec di Milano. Male Vissani che perde una stella. Nel 2020 11 ristoranti con tre riconoscimenti.

Pioggia di stelle alla 65ma guida Michelin Italia. Una new entry tra le Tre stelle Michelin, Enrico Bartolini al Mudec di Milano. Tutti confermati i dieci al top della guida 2019. Milano entra così nel gotha della ristorazione italiana.

Tra le novità anche doppia stella per Glam di Enrico Bartolini a Venezia, e La Madernessa di Michelangelo Mammoliti, nel cuneese. Perdono una stella, scendendo da due a una, Al sorriso di Soriso (No), Locanda Don Serafino a Ragusa, Vissani a Baschi (Tr) e Locanda Margon a Ravina (Tn). La guida Michelin Italia 2020 ha premiato 11 ristoranti con tre stelle Michelin, 35 locali hanno ricevuto due stelle, e a 328 è stata assegnata una stella per un totale di 374 ristoranti stellati.

Nella nuova guida sono 13 i ristoranti italiani ad aver perso la stella. Sono I due buoi a Alessandria, San Marco a Canelli (At), Pomiroeu a Seregno (Mi), La Locanda del notaio a Pellio Intelvi, Locanda Stella D’oro a Soragna (Pr), Poggio Rosso a Castelnuovo Berardenga (Si), Winter garden by Caino a Firenze, Relais blu a Massa Lubrense, Mosaico a Ischia, Vairo del volturno a Vairano Patenora (Ce), Caffè Les paillotes a Pescara, Alpes a Sarentino (Bz), La Sponda a Positano.

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I funerali di Luca Sacchi a Roma, assente la fidanzata Anastasia

Chiesa gremita per l'ultimo addio al giovane ucciso il 24 ottobre scorso. Le lacrime della famiglia e l'omaggio degli amici.

Era gremita la chiesa del Santissimo nome in Maria all’Appio dove si sono svolti i funerali di Luca Sacchi, il giovane ucciso da un colpo di pistola durante una compravendita di droga a Roma. All’arrivo del feretro qualcuno ha pianto e altri si sono abbracciati. Tante le corone di fiori di amici, parenti e semplici cittadini.

ASSENTE LA FIDANZATA ANASTASIYA

Un lungo applauso ha accompagnato l’uscita del feretro al termine dei funerali. La mamma, tra le lacrime, ha abbracciato a lungo la bara con sopra una grande corona di rose bianche e la fascia «mamma, papà e Federico». Assente alla funzione la fidanzata di Luca, Anastasia, che era con lui la notte dell’omicidio.

LE PAROLE DEL SACERDOTE: «CON UCA MORTI ANCHE NOI»

«Non ci sono parole per colmare il vuoto di una persona cara che ci lascia soprattutto per i genitori. Solo il silenzio», queste le parole del sacerdote durante l’omelia. «La morte di Luca ci ha colpito, in un certo senso ci ha fatto morire», ha sottolineato, «Nel mondo in cui viviamo a volte ci sentiamo scoraggiati. Facciamo che la morte di Luca sia per tutti noi motivo di vita».

IL CUGINO: SARAI IL NOSTRO ANGELO

«Ancora oggi non riesco a realizzare quello che è accaduto. Non è giusto che accadano cose del genere alle persone buone in un mondo ormai allo sbaraglio». A dirlo è stato Roberto, il cugino di Luca Sacchi durante i funerali. «Luca era un ragazzo d’oro che tutti i genitori avrebbero voluto come figlio», ha aggiunto, «Sempre sorridente. Ognuno di noi ha un destino, ma questo è troppo. Non abbandonare mai tuo padre, tua madre e Federico. Da oggi sarai il loro angelo. Non ti dimenticheremo mai».

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Alla ricerca di idee imprenditoriali per lo sviluppo del Mezzogiorno col progetto “Resto al Sud Hackathon Tour”

Invitalia, in partnership con l’Università di Bari “Aldo Moro”, lancia la prima call che si chiuderà il 22 novembre. 4 tappe in 4 università per raccogliere i progetti più interessanti a favore del Sud Italia.

Stimolare ed accelerare idee e proposte imprenditoriali per lo sviluppo del Mezzogiorno da finanziare con gli incentivi Resto al Sud.

È questo l’obiettivo del “Resto al Sud Hackathon Tour” promosso da Invitalia, l’Agenzia per lo sviluppo, in partnership con 4 università italiane, alla ricerca di giovani aspiranti imprenditori che vogliano avviare un’attività nelle regioni del Sud, in settori strategici e innovativi.

Parte il 6 novembre la prima call, rivolta ai laureati e laureandi dell’Università di Bari, tra i 18 e i 35 anni, con idee di impresa da sviluppare nel corso dell’Hackathon che si svolgerà il 29 e 30 novembre presso il Centro di Eccellenza per l’Innovazione e la Creatività dell’Ateneo, partner dell’iniziativa (aula BaLab ‘Guglielmo Minervini’).

C’è tempo fino al 22 novembre per iscriversi e partecipare al contest, organizzato in collaborazione con la società benefit Onde Alte, presentando idee progettuali centrate su uno dei 4 ambiti ritenuti prioritari per lo sviluppo del Sud:

  • Salute e Welfare
  • Ambiente
  • Turismo Sostenibile
  • Agritech e Foodtech

Le migliori proposte progettuali, che verranno selezionate anche in base ai criteri dell’innovazione, della sostenibilità e dell’impatto sociale, parteciperanno alla full immersion del 29-30 novembre, dove un team di mentor lavorerà insieme agli startupper con un approccio “open innovation” per accelerare lo sviluppo dei progetti e accompagnare i team davanti alla giuria di esperti che sceglierà il vincitore.

In palio ci sono servizi per l’accrescimento delle competenze e l’internazionalizzazione del business presso partner (incubatori all’estero) di comprovata esperienza.

Prima di iscriversi e caricare la presentazione dell’idea progettuale sul sito di Invitalia, si consiglia di leggere il Regolamento.

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Cos’è l’ittiosi Arlecchino, la malattia che ha colpito Giovannino

I neonati che ne sono affetti - meno di uno su un milione - presentano squame simili a placche su tutto il corpo, grave disregolazione della temperature, problemi alimentari e disturbi respiratori.

Squame grandi, spesse e simili a placche su tutto il corpo presenti al momento della nascita, che poi evolvono in una grave e cronica desquamazione della pelle. Questa la caratteristica dell’ittiosi Arlecchino, la rarissima malattia genetica da cui è affetto Giovannino, il bimbo di quattro mesi abbandonato dai genitori all’ospedale Sant’Anna di Torino. Variante più grave dell’ittiosi congenita autosomica recessiva, l’ittiosi Arlecchino, colpisce meno di un nuovo nato su un milione. I neonati che ne sono affetti, come spiega il portale delle Malattie Rare Orphanet, sono avvolti da una membrana simile a uno strato cutaneo aggiuntivo, associata a placche a corazza, distribuite su tutto il corpo, che limitano gravemente il movimento. I lineamenti del viso sono alterati da una grave estroflessione della palpebra inferiore e del labbro e i neonati spesso presentano dita dei piedi unite.

ELEVATA MORTALITÀ INFANTILE

La malattia si associa a un’elevata mortalità immediatamente dopo la nascita, perché comporta una grave disregolazione della temperatura, problemi alimentari, infezioni e disturbi respiratori. Quando sopravvivono, i bambini che ne sono colpiti hanno un’attesa di vita normale, anche se possono sviluppare una grave malattia della pelle (la membrana di collodio si stacca dopo poche settimane e si trasforma in una eritrodermia con desquamazione), problemi agli occhi e ritardo nello sviluppo motorio e sociale. Vista la sua complessità, la presa in carico richiede un approccio multidisciplinare, composta da oftalmologi, chirurghi, dietologi e psicologi. La malattia è trasmessa come carattere autosomico recessivo. Quindi ai genitori dei bambini con tale malattia dovrà essere offerta la consulenza genetica per informarli del rischio di ricorrenza del 25%.

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La paralimpica Martina Caironi positiva al controllo anti doping

Gli esami a sorpresa ordinati da Nado Italia hanno rilevato una sostanza proibita: un metabolita di steroide anabolizzante. L'Azzurra si difende: «Sostanza contenuta in una crema cicatrizzante».

Martina Caironi, medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Londra nei 100 metri e portabandiera della rappresentativa italiana a quelle di Rio de Janeiro, è risultata positiva a un test antidoping a sorpresa ordinato da Nado Italia. La sostanza proibita rinvenuta è un metabolita di steroide anabolizzante.

Printa la difesa della campionessa: «Conosco la sostanza contenuta nella crema cicatrizzante che ho assunto: l’ho acquistata a gennaio dopo tre mesi di sofferenza per un’ulcera all’apice del moncone. Si tratta di una ferita aperta che nessuno farmaco è riuscito a richiudere».

L’azzurra ha spiegato anche di aver usato in questi mesi la crema e che «all’ultimo controllo di ottobre ho dichiarato tale sostanza. Mi ritrovo a dover saltare un Mondiale in un anno fondamentale senza ancora aver provato una definitiva cura per la mia ulcera».

CAIRONI: «AVEVO INFORMATO LE AUTORITÀ DELL’USO DEL FARMACO»

La campionessa azzurra, che dal 7 novembre sarebbe stata impegnata a Dubai per i mondiali di atletica paralimpica, ha spiegato di aver avuto l’ok all’uso della pomata. «In attesa dell’esito delle controanalisi del campione B», ha sottolineato l’atleta, «sono a conoscenza della sostanza contenuta nella crema cicatrizzante che ho assunto. E che ho comprato nel gennaio 2019 dopo tre mesi di sofferenza. A gennaio ha chiesto al medico federale la possibilità di usare questa crema e mi viene detto che deve essere impiegata in modo locale e a piccole dosi, e che non è necessario il TUE (esenzione per uso terapeutico ndr) per le quantità troppo basse. Faccio il test antidoping a luglio che risulta negativo. Da quel momento la ferita si apre altre due volte ma in maniera meno grave e quindi ritengo di poter continuare in piccole dosi in quanto sicura di non incorrere in alcun tipo di infrazione, tanto è vero che all’ultimo controllo antidoping di ottobre ho dichiarato tale sostanza».

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