Chi sono i Sierra, i due rapper di X Factor 2019

Si chiamano Massimo e Giacomo e fanno musica insieme dal 2012. Nel loro bagaglio musicale non ci sono solo rapper ma anche i grandi cantautori italiani. Il profilo.

Si chiamano Giacomo e Massimo, ma sul palco sono “solo” i Sierra, duo di rapper romani che sta conquistando X Factor 2019. Sotto la guida di Samuel, stanno procedendo verso la puntata di giovedì 21 novembre, quando avranno la possibilità di far sentire al pubblico il loro inedito.

QUEL PROGETTO ANDATO IN FUMO

Giacomo e Massimo hanno entrambi 26 anni e vivono a Roma con le loro famiglie. Giacomo è figlio di un tastierista e coltiva la passione per la musica sin da ragazzino. Massimo, invece, ha genitori medici che, nonostante il supporto, vorrebbero per lui una strada diversa da quella imboccata. La loro avventura è cominciata nel 2012 quando un produttore ha puntato su di loro. Il progetto però è andato in fumo qualche anno dopo.

LEGGI ANCHE: X Factor 2019, l’eliminato Marco Saltari: «Ora tifo Sierra»

Nonostante questo, i due non hanno mollato: prima hanno cominciato a registrare i pezzi in autonomia, usando la cabina armadio di un amico comune come sala di registrazione. E ora, a distanza di qualche anno, sono riusciti ad aprire uno studio di produzione grafica e musicale per fare sul serio.

LE INFLUENZE MUSICALI

I Sierra apprezzano diversi generi musicali. Nonostante facciano rap e utilizzino l’autotune, non si considerano trapper.

LEGGI ANCHE: Le pagelle del terzo Live di X Factor

Nel loro bagaglio musicale ci sono infatti anche i mostri sacri del cantautorato italiano, come Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Lucio Battisti e Antonello Venditti, oltre che il rapper genovese Tedua e il cuneese Izi.

DUE CARATTERI OPPOSTI MA COMPLEMENTARI

Giacomo e Massimo, nonostante la complicità nella scrittura e il feeling sul palco, sono ragazzi molto diversi. Il primo si definisce estroverso, il secondo invece è più riservato e introverso. Li accomuna però una grande passione per la musica e la voglia di sfondare in questo settore.

IL PRECEDENTE DI ANASTASIO

Finora a X Factor i Sierra con il loro sono stile stati apprezzati da giudici e pubblico. Un po’ come Anastasio, che con il suo rap aveva portato una ventata d’aria fresca riuscendo a vincere l’edizione del 2018. Porterà fortuna?

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Chi è Giovanni Salvi, il nuovo procuratore generale della Cassazione

Si tratta di un "papa straniero": per la prima volta il Consiglio superiore della magistratura non ha optato per una soluzione interna. A Roma da pm si è occupato di Ustica, Nar, Br e non solo. Poi togato di sinistra nel Csm e la nomina a Catania. Da n.2 dell'Anm si scontrò con Berlusconi.

La Cassazione ha un nuovo procuratore generale: è Giovanni Salvi, il “papa straniero” scelto dal Consiglio superiore della magistratura che per la prima volta non ha optato per una soluzione interna.

UNA LUNGA CARRIERA A ROMA

Salvi è in magistratura da 40 anni. Una lunga carriera segnata da due costanti: il legame con Roma, sua città di adozione, e con le funzioni di pubblico ministero, che non ha mai smesso se non per brevissimi periodi. Nato a Lecce, 67 anni fa, Salvi è arrivato alla procura della Capitale nel 1984 e ci è rimasto per 20 anni. Un lunghissimo arco di tempo in cui si è occupato di indagini delicate, come quelle sulla strage di Ustica, gli omicidi di Mino Pecorelli e Roberto Calvi e di inchieste sui Nar e le Brigate rosse.

NEL CSM CON MAGISTRATURA DEMOCRATICA

Esperienza interrotta nel 2002, quando Salvi è stato eletto componente togato del Csm, nella lista di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe confluita negli ultimi anni in Area, senza però sciogliersi.

A CATANIA FRA TRAFFICO DI MIGRANTI E MAFIA

A Roma è poi tornato da procuratore generale nel 2015, nominato all’unanimità dal Csm. Quattro anni prima invece era passata sul filo di lana la sua nomina a procuratore di Catania. E da quell’ufficio, che ha guidato dal 2011 al 2015, ha coordinato numerose inchieste sul traffico dei migranti e sulla mafia. Indagini che con la collaborazione dei capi di Cosa nostra catanese hanno consentito di individuare i responsabili di delitti centrali per la ricostruzione delle vicende nazionali dell’organizzazione mafiosa, come l’omicidio di Luigi Lardo.

GLI SCONTI ALL’ANM CON BERLUSCONI

Salvi in realtà non è del tutto estraneo all’ufficio che dovrà guidare: vi ha lavorato per quattro anni, dal 2007 al 2011, con le funzioni di sostituto pg. È stato anche vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati negli anni dello scontro tra le toghe e il governo Berlusconi. A cercare negli archivi non sono tante le sue esternazioni. L’ultima l’ha fatta per invocare rispetto per il lavoro della procura di Roma, dopo che la Cassazione ha fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa per i condannati dell’inchiesta sul Mondo di mezzo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Cosa sappiamo sulla sparatoria nel liceo di Santa Clarita in California

Almeno un morto e cinque feriti in uno scontro a fuoco. Arrestata una persona dopo una caccia all'uomo.

Sparatoria in un liceo di Santa Clarita, in California. La polizia è immediatamente intervenuta e ci sarebbero almeno un morto e cinque feriti, di cui uno grave. La situazione alla Saugus High School di Santa Clarita, nella contea di Los Angeles, sarebbe ancora in evoluzione. Gli agenti hanno arrestato una persona dopo una breve fuga. Secondo le prime informazioni, sarebbe un ragazzo sui 15 anni. Tutte le scuole della zona sono in ‘lockdown‘.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Berrettini è il primo italiano a vincere un match alle Atp Finals

Il tennista romano batte in due set l'austriaco Thiem. Prima di lui, Panatta (1975) e Barazzutti (1978) erano riusciti a portare a casa solo un set.

Matteo Berrettini si congeda dalle Atp Finals di Londra con una vittoria, che non ne evita l’eliminazione ma lo fa entrare nella storia del tennis italiano. Il 23enne romano, nel terzo e ultimo incontro del gruppo B, ha battuto l’austriaco Dominic Thiem con il punteggio di 7-6 6-3, diventando così il primo tennista italiano vincere un match di singolare nelle Atp Finals. Prima di lui, Adriano Panatta nel 1975 e Corrado Barazzutti nel 1978 erano riusciti a conquistare solo un set nelle tre partite giocate: rispettivamente, contro Ilie Nastase e Raul Ramirez.

Le Atp Finals riuniscono gli otto giocatori che hano fatto più punti nell’anno solare. Berrettini si presentava a Londra da ottava e ultima testa di serie, Thiem da quinta. I due, prima dell’incontro odierno, avevano avuto un percorso opposto nel girone: Berrettini aveva perso entrambe le partite contro Novak Djokovic (testa di serie numero 2) e Roger Federer (3) e arrivava al match con l’austriaco già eliminato; Thiem, al contrario, aveva vinto sia con il serbo, sia con lo svizzero, strappando in anticipo il pass per le semifinali.

È una stagione incredibile, spero di tornare il prossimo anno. Sono felice di chiudere con una vittoria

Matteo Berrettini

«Sono molto fiero per il mio team, la mia famiglia e i miei amici. È una stagione incredibile, spero di tornare il prossimo anno. Senza questi ragazzi non sarebbe stato possibile. Sono felice di chiudere con una vittoria», ha commentato Berrettini dopo la vittoria. «Con Thiem ho giocato sempre partite molto combattute (i precedenti erano 2-1 a favore dell’austriaco, ndr). Sono stato bravo a tenere mentalmente nel primo set, sono molto contento della mia prestazione nonostante non sia al 100% fisicamente». «Ho vissuto diversi momenti difficili in questa stagione, sono stato insopportabile nei giorni brutti ma il mio team è stato incredibile», ha detto Berrettini, che ora è atteso dall’incontro di Coppa Davis contro il Canada. «Mi devo riposare in vista del prossimo grande evento e poi ci saranno le vacanze».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La polemica su Di Maio e gli stipendi degli otto fedelissimi alla Farnesina

Secondo un'inchiesta del Giornale, il leader M5s avrebbe portato con sé agli Esteri un gruppo di affezionati: «Un cerchio magico da 700 mila euro».

Luigi Di Maio, il ministro dei viaggi in economy, è finito al centro di una polemica sugli stipendi al Ministero degli Esteri. Secondo un’inchiesta del Giornale, il leader del M5s avrebbe fatto assumere alla Farnesina otto fedelissimi con stipendi variabili, alcuni dei quali decisamente alti. Si tratta – scrive il quotidiano – di otto persone equiparate a dirigenti e funzionari, fatti assumere agli Esteri a partire dal 6 settembre scorso con scadenza fissata al “termine del mandato governativo”.

I collaboratori sono:

Augusto Rubei, inquadrato come “consigliere del ministro per gli aspetti legati alla comunicazione”, stipendio lordo di 140 mila euro l’anno;

Pietro Dettori, “consigliere del ministro per la cura delle relazioni con le forze politiche inerenti le attività istituzionali”, stipendio 120 mila euro;

Cristina Belotti, “capo segretaria e segretario particolare del ministro”, 120 mila euro;

Sara Mangieri, “consigliere per i rapporti con la stampa”, 90 mila euro;

Daniele Caporale, “consigliere del ministro per le comunicazioni digitali”, 80 mila euro;

Carmine America, “esperto in questioni internazionali di sicurezza e difesa”, 80 mila euro;

Giuseppe Marici, “consigliere per le informazioni diffuse attraverso i media”, 70 mila euro;

Alessio Festa, “consigliere per le relazioni istituzionali”, 11.580 euro.

Il totale dei compensi lordi è di 711 mila euro. «Finché Di Maio resta ministro, restano lì pure loro», scrive il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, «non è solo la quantità di fedelissimi imposti da Di Maio ma anche l’entità dei loro compensi a creare fastidio alla Farnesina, dove una gola profonda ci racconta che “all’ufficio del personale sono inorriditi, dicono di non avere mai visto prima degli stipendi così alti, forse l’ultimo che aveva fatto qualcosa del genere era stato De Michelis (ministro Psi, ndr) ma erano altri tempi e comunque non queste cifre”».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Le due sentenze sul caso di Stefano Cucchi

Entrambe sono attese il 14 novembre. La prima, che riguarda il pestaggio, vede imputati cinque carabinieri. La seconda i medici dell'ospedale Pertini, dove il geometra romano morì 10 anni fa. I genitori: «Ci aspettiamo una svolta».

Il 14 novembre è atteso come il giorno della possibile svolta sul caso di Stefano Cucchi. Da una parte, la sentenza della Corte d’Assise di Roma su cinque carabinieri imputati a vario titolo per omicidio preterintenzionale, abuso d’autorità, calunnia e falso. Dall’altra, quella della Corte d’Assise d’Appello di Roma su cinque medici dell’ospedale Pertini di Roma, dove nell’ottobre del 2009 il geometra romano morì una settimana dopo essere stato arrestato per droga. «Ilaria [Cucchi, sorella di Stefano, ndr] ci ha dato la forza per andare avanti e cercare la verità», hanno commentato i genitori di Stefano, Giovanni Cucchi e Rita Calore, in mattinata. «Quello che abbiamo giurato davanti a quel corpo massacrato è che non ci saremmo mai fermati e così faremo, andremo sempre avanti. Oggi ci auguriamo una svolta, i dati sono tutti a favore di una sentenza positiva, però ci sono dei segnali».

CHIESTI 18 ANNI PER DUE CARABINIERI

Partiamo dal processo che riguarda il pestaggio. Per l’accusa di omicidio preterintenzionale e abuso d’autorità sono finiti sotto processo i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro; per loro il pm ha chiesto la condanna a 18 anni di reclusione. Per il carabiniere Francesco Tedesco, l’imputato-accusatore che con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul presunto pestaggio subito da Cucchi in caserma la notte del suo arresto, il rappresentante dell’accusa ha chiesto l’assoluzione dall’omicidio preterintenzionale e tre anni e mezzo di reclusione per l’accusa di falso. Otto anni di reclusione per falso sono stati richiesti per il maresciallo Roberto Mandolini; mentre per l’ulteriore imputazione di calunnia, contestata al carabiniere Vincenzo Nicolardi e ai colleghi Tedesco e Mandolini, il pm ha sollecitato una sentenza di non procedibilità per prescrizione del reato.

Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, con i genitori Giovanni e Rita durante l’udienza per la sentenza in Corte d’Assise nei confronti di cinque carabinieri.

I CINQUE MEDICI IMPUTATI NELL’ALTRO PROCESSO

Per quanto concerne il processo ai medici, gli imputati sono il primario del Reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini, dove fu ricoverato il geometra romano, Aldo Fierro, e altri quattro medici, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Nei loro confronti il pg Mario Remus ha chiesto di non doversi procedere per prescrizione del reato di omicidio colposo. Un terzo processo, per presunti depistaggi, deve ancora entrare nel vivo e vede coinvolti otto carabinieri.

LE TAPPE PRINCIPALI DEL CASO CUCCHI

15 ottobre 2009: Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri al Parco degli Acquedotti a Roma perché trovato in possesso alcuni grammi di droga. Viene portato nelle celle di sicurezza di una caserma dei carabinieri.

16 ottobre 2009: Cucchi appare all’udienza di convalida del fermo con ematomi e difficoltà a camminare. Parla a stento: una registrazione diffusa successivamente testimonierà dello stato di Cucchi all’udienza. L’arresto è convalidato e Cucchi viene portato a Regina Coeli.

22 ottobre 2009: Cucchi, dopo una settimana di detenzione, muore nel reparto protetto dell’ospedale Pertini. Inizia la battaglia giudiziaria della famiglia che una settimana dopo diffonde alcune foto del cadavere in obitorio che mostrano ematomi e segni ‘sospetti’.

25 gennaio 2011: vanno a processo sei medici e tre infermieri del Pertini e tre guardie carcerarie.

5 giugno 2013: vengono condannati quattro medici del Pertini. Assolti gli infermieri e le guardie carcerarie.

31 ottobre 2014: in Appello tutti i medici vengono assolti.

Gennaio 2015: viene aperta l’inchiesta bis dopo che la Corte d’appello trasmette gli atti in procura per nuove indagini.

Settembre 2015: i carabinieri entrano per la prima volta nell’inchiesta: cinque vengono indagati.

Dicembre 2015: la Cassazione annulla con rinvio l’assoluzione dei cinque medici. Vengono nuovamente assolti nel 2016 ma la procura ricorre in Cassazione che dispone un nuovo processo d’Appello.

Gennaio 2017: la procura chiude l’inchiesta bis (quella sui cinque carabinieri). Nel luglio 2017 vengono rinviati a giudizio Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco, accusati di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia insieme con il maresciallo Mandolini, mentre della sola calunnia risponde Nicolardi.

11 ottobre 2018: il pm Giovanni Musarò rivela che Tedesco per la prima volta parla di un pestaggio subito da Cucchi da parte di Di Bernardo e D’Alessandro. Le indagini sul pestaggio erano state riaperte grazie alle parole di un altro carabiniere, Riccardo Casamassima. Nel corso del processo emergono anche presunti depistaggi con la sparizione o l’alterazione di documenti di servizio. Si apre l’inchiesta.

16 luglio 2019: nell’ambito dell’inchiesta sui depistaggi vengono rinviati a giudizio il generale Alessandro Casarsa e altri sette carabinieri tra cui Lorenzo Sabatino, all’epoca dei fatti comandante del reparto operativo di Roma.

3 ottobre 2019: il pm chiede la condanna a 18 anni per Di Bernardo e D’Alessandro accusati del pestaggio che viene, per la prima volta, associato alla morte di Cucchi.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

ArcelorMittal inizia a spegnere Taranto il 12 dicembre

A fine novembre si ferma un treno nastri per mancanza di ordini. I forni invece verranno chiusi tra metà dicembre e metà gennaio. Il piano della multinazionale per abbandonare Taranto.

La data dello spegnimento degli altiforni di Taranto è già segnata nel calendario di ArcelorMittal. La mattina del 14 novembre, ha fatto sapere il segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, «l’amministratore delegato della multinazionale franco-indiana, Lucia Morselli, ha incontrato le rsu di Taranto per smentire le notizie emerse dalla Regione Puglia al termine dell’incontro del 13 novembre. La Morselli ha invece comunicato il piano di fermate degli altiforni: Afo2 il 12 dicembre, Afo4 il 30 dicembre e Afo1 il 15 gennaio mentre verrà chiuso il treno nastri2 tra il 26 e il 28 novembre per mancanza di ordini».

«LA SITUAZIONE STA PRECIPITANDO»

«Se ancora non fosse chiaro la situazione sta precipitando in un quadro sempre più drammatico che non consente ulteriori tatticismi della politica», ha commentato Bentivogli. «Le RSU», ha aggiunto, «hanno chiesto in che prospettive ci si muove e se intendono fare dichiarazioni di esuberi, discussione che l’azienda ha rinviato al tavolo di domani. Il piano di fermate modifica le previsioni contenute nell’Aia, pertanto l’azienda si confronterà con il Ministero dell’Ambiente».

Maurizio Landini, segretario generale CGIL, al suo arrivo al Mise per il tavolo fra sindacati, governo e Arcelor Mittal, Roma, 9 luglio 2019. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

«LA DISCUSSIONE SUGLI ESUBERI NON È ACCETTABILE»

«Non voglio perdere neanche un posto di lavoro – ha detto – non è una discussione accettabile quella sugli esuberi. Lì si deve continuare a produrre acciaio, garantendo la salute di cittadini e lavoratori», ha detto a proposito il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ospite di Tagadà su La7. Il 15 novembre è fissato al Mise il «primo incontro con la presenza dell’azienda. La situazione è difficile e i tempi delle decisioni devono essere rapidi. Per noi non ci sono le condizioni per recedere dal contratto, per noi ArcelorMittal deve applicare tutte le parti del contratto», ha concluso.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Caro Israele, gli omicidi mirati non sono da Stato democratico

È davvero arduo accettare il principio di una sorta di licenza di uccidere qualcuno, in casa propria o al di fuori dei propri confini, rivendicato da Tel Aviv, che ha sempre fatto una bandiera della sua democraticità.

Il cessate il fuoco concordato tra la Jihad islamica e Tel Aviv con la mediazione dell’Egitto e dell’inviato delle Nazioni Unite deve essere accolto positivamente anche se nessuno può davvero sperare che da quest’intesa possa innescarsi un processo di strutturale de-escalation e quindi di stabilizzazione.

Del resto, si attende ancora la conferma dell’intesa proprio da parte israeliana che peraltro penso non mancherà seppure con qualche distinguo che, c’è da augurarsi, non riguardi la parte relativa all’impegno che sarebbe stato preso da Tel Aviv di non ricorrere più agli omicidi mirati.

Questi, che altri chiamano azioni di killeraggio, non sono a mio avviso accettabili; non lo sono rispetto all’esigenza proclamata della prevenzione di atti di terrorismo, soprattuto se se pianificati da mesi come nel caso in esame. Non lo sono neppure se autorizzati all’unanimità dal governo in ragione della «bomba ad orologeria» che sarebbe stata pianifica dalla Jihadh islamica né se collocati nel perimetro scivoloso della cosiddetta «guerra asimmetrica» che la Jihad islamica sta conducendo.

ISRAELE SI SENTE LIBERO DI UCCIDERE E SI VANTA DELLA SUA DEMOCRAZIA

È davvero arduo infatti accettare il principio di una sorta di licenza di uccidere qualcuno, in casa propria o al di fuori dei propri confini, rivendicato da uno Stato che si definisce – e viene riconosciuto come tale – democratico. E soprattutto da uno Stato come Israele che fa una bandiera della sua democraticità anche per marcare la differenza esistente, proprio su questo terreno, con i Paesi vicini. Intendiamoci, da questo giudizio non discende neppure la più tenue legittimazione dei lanci delle decine, decine e decine di missili effettuati per ritorsione da parte da parte delle Brigate al-Quds, il braccio armato della Jihad Islamica.

Bibi Netanyahu, nella logica protesa a rendere problematica l’opera di formazione del governo da parte del rivale Benny Gantz, aveva nominato a sorpresa, a ministro della Difesa il cofondatore de La Nuova Destra Natali Bennett

Una ritorsione del tutto prevedibile da parte di un’organizzazione terroristica che si serve anche dei morti, oltre 30, caduti sotto il fuoco israeliano a fronte delle decine di feriti provocati dai suoi missili in terra israeliana. Prevedibile e certamente messa in conto anche da parte israeliana che evidentemente riteneva di poterne pagare un prezzo sopportabile. Da Bibi Netanyahu in primis che, nella logica protesa a rendere problematica l’opera di formazione del governo da parte del rivale Benny Gantz – al quale resta solo una settimana per raggiungere il traguardo – aveva nominato a sorpresa, poche ore prima, a ministro della Difesa il cofondatore de La Nuova DestraNatali Bennett, affrettatosi ad annunciare misure speciali di sicurezza.

Il cratere formato da un missile.

Poi ha deciso l’intervento missilistico nel convincimento che avrebbe ottenuto il placet del presidente e l’allineamento al suo fianco dello stesso Benny Gantz che non ha esitato ad affermare che il suo partito porrà sempre la sicurezza dei cittadini prima di qualunque cosa. Non sfugge infatti che con queste operazioni – che Netanyahu ha inteso saldare con un dichiarato, complementare intervento da terra, aria e mare – ha voluto dare un significativo segnale politico al Paese; segnale irrobustito dal messaggio che il bersaglio di Tel Aviv era solo la Jihadh e non Hamas che ha in quest’ultimo un concorrente temibile e che sembra mostrare sensibilità ai contatti propiziati anche dal Cairo per ottenere concessioni da Israele e, complessivamente, un abbassamento della conflittualità.

LA TREGUA RIMANE FRAGILISSIMA

Nello stesso tempo Netanyahu ha inteso inviare un inequivoco segnale anche a Teheran, sponsor della Jiadh islamica sia nella striscia di Gaza sia in Siria con l’altro attentato nel quale si è peraltro mancato il bersaglio principale, in un momento in cui l’Iran incontra difficoltà a sostenere i suoi proxies nella regione ma con i quali non intende allentare la presa. E proprio da Teheran che per bocca di Abbas Mousavi, il portavoce del ministero degli Esteri, è venuta la reazione più forte, non solo con la condanna degli attacchi missilistici, bollati come veri e propri crimini di guerra, ma anche con il vigoroso appello alla necessità che Tel Aviv sia perseguita e punita nei tribunali internazionali e con una dura critica «al silenzio e all’inazione» delle organizzazioni e della comunità internazionale contro l’aggressione e gli atti terroristici del regime sionista. Il tutto assortito dell’elogio dell’eroica resistenza del popolo palestinese contro gli «usurpatori».

Il raid israeliano un crimine contro il nostro popolo a Gaza

Abu Mazen, presidente della Palestina

Scontata a questo riguardo la reazione del presidente palestinese Abu Mazen che da Ramallah, in Cisgiordania, ha definito il raid israeliano «un crimine contro il nostro popolo a Gaza», così come la denuncia turca dell’aggressione israeliana. E per contro il sostegno bipartisan espresso nei riguardi Tel Aviv da parte americana (segnatamente da Mike Pence e da Joe Biden) mentre la Ue si è limitata a invitare le parti al contenimento mentre, curiosamente, si pubblicizzava la decisione di imporre la pertinente etichetta sui prodotti provenienti dai territori occupati; decisione avversata da Tel Aviv e naturalmente salutata con favore da parte palestinese (e non solo) come un passo importante nella direzione giusta.

Truppe israeliane.

La tregua raggiunta nelle ultime 24 ore è fragile e non solo perchè il suo annuncio è stato accompagnato da una serie di violazioni da una parte e dall’altra ma anche perché la Jihadh islamica è etero-diretta e non è detto che Teheran voglia favorire un percorso suscettibile di favorire la politica di contrasto israeliano ai proxies iraniani nel quadrante regionale che va da Gaza, per l’appunto, al Libano e alla Siria. Così come non è scontato che Netanyahu non abbia nei suoi calcoli altre azioni di forza. Penso che in ogni caso il bilancio dell’operazione – che è costata 34 morti, e solo da parte palestinese, mentre da parte israeliana si lamentano solo 63 feriti – non rappresenti un incoraggiamento alla pace.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Rogo Thyssen, dalla Corte di Strasburgo procedimento contro Italia e Germania

Sono stati i parenti delle vittime a rivolgersi alla Corte europee dei diritti umani per la presenza in libertà di due manager tedeschi condannati.

La Corte europea dei diritti umani ha avviato un procedimento contro Italia e Germania sul caso del rogo dello stabilimento della ThyssenKrupp a Torino il 6 dicembre 2007. Sono stati i parenti delle vittime e uno dei sopravvissuti, Antonio Boccuzzi, a rivolgersi alla Corte di Strasburgo, accusando i due governi di aver violato i loro diritti, in particolare quello al rispetto della vita, perché nonostante una sentenza di condanna dei tribunali italiani nel 2016 di due manager tedeschi, questi restano in libertà. Secondo i ricorrenti, in tutto 26, la violazione del loro diritto alla vita deriverebbe «dalle omissioni e dai ritardi delle autorità italiane e tedesche nel dare esecuzione alla sentenza di condanna dei due manager». I ricorrenti affermano anche di non aver altro modo, se non attraverso la Corte di Strasburgo, per far valere i loro diritti nei confronti di Roma e Berlino. Il ricorso era arrivato a Strasburgo il 12 aprile dello scorso anno.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il commissario dell’Ungheria rimandato dall’europarlamento

Várhelyi, designato per l'Allargamento, non ha superato l'audizione a Bruxelles. Bocciato da socialisti, liberali, Verdi e sinistra. Altro introppo sulla strada dell'insediemento di Von der Leyen.

Rimandato. Il commissario designato dall’Ungheria per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, non ha superato l’esame nell’audizione del 14 novembre al parlamento europeo. È mancata la maggioranza a favore dell’esponente del Partito popolare europeo (Ppe) nella riunione dei coordinatori della commissione. Al commissario designato devono essere posti ulteriori quesiti.

SOTTO ESAME ANCHE IL FRANCESE BRETON E LA ROMENA VALEAN

Sono stati socialisti, liberali, Verdi e Gue (Sinistra unitaria europea) ad aver determinato la bocciatura di Várhelyi. Al parlamento europeo sono in programma nella stessa giornata le audizioni di tre commissari designati da Ungheria, Francia e Romania. Oltre a Várhelyi tocca al francese Thierry Breton per il mercato Interno e poi alla romena Adina Valean con il portafoglio ai Trasporti.

IN ATTESA DEL VOTO SULL’INTERA COMMISSIONE

Se i tre commissari fossero stati “promossi” alle audizioni, la plenaria di Strasburgo il 27 novembre si sarebbe espressa con un voto sulla Commissione in toto in modo che Ursula von der Leyen potesse insediarsi a Palazzo Berlaymont a inizio dicembre. Ma sull’ungherese è subito arrivato un intoppo.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I sondaggi politici elettorali del 14 novembre 2019

La Lega perde un punto percentuale, ma si conferma saldamente il primo partito col 33% delle preferenze. In crescita il Pd, cala ancora il M5s. La rilevazione Emg Acqua.

Se si votasse oggi, la Lega si confermerebbe saldamente il primo partito con il 33% dei consensi, seguita dal Partito democratico con il 19,5% e il Movimento 5 stelle dato al 16,1%. Lieve flessione per il Carroccio, che perde poco più di un punto percentuale dalla precedente rilevazione. Viceversa, i dem recuperano mezzo punto percentuale, mentre in una sola settimana il M5s perde lo 0,2%.

FRATELLI D’ITALIA SI FERMA POCO SOTTO IL 10%

Sono questi i principali dati che emergono da un sondaggio Emg Acqua condotto per la trasmissione Agorà in onda su RaiTre. Secondo lo stesso sondaggio Fratelli d’Italia è al 9,8%, Forza Italia al 7,4%. Italia viva è al 5,7%, +Europa al 1,8%, La Sinistra 1,7%, Europa verde al 1,0% e Lista Calenda 1,0%.

LA MAGGIOR PARTE DEGLI ITALIANI CONTRARIA AL NUOVO GOVERNO

Alla domanda «lei pensa che sia stato un bene far nascere questo governo?» il 54% degli intervistati ha risposto “no”, il 28% ha risposto “sì”, il 18% ha preferito non rispondere.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Venezia e quell’Sos inascoltato per decenni

L'intera laguna, fino a Eraclea e Chioggia, continua a mandare un grido d'aiuto. Anni di incuria, di scelte poco strategiche e la corruzione hanno asfissiato un intero eco-sistema. La parola all'architetto Pizzati.

Canali inquinati da troppi anni di incuria e corruzione. Non solo la Venezia allagata e devastata fino all’interno della basilica di San Marco, ma l’intero ecosistema della laguna, che si espande a sud fino a Chioggia e a nord fino a Eraclea, sta mandando un Sos che va raccolto e trasformato in azione nel tempo più breve possibile. 

«È un allarme che il grande storico dell’architettura Bruno Zevi lanciò tramite alcuni articoli scritti subito dopo l’alluvione del 1966», spiega a Lettera43.it Paolo Pizzati, architetto ed ex assistente di disegno e rilievo alla Ca’ Foscari. Zevi poggiava le sue osservazioni «su saperi molto antichi, a cominciare dagli illuminanti studi effettuati nel 500 da un dotto ingegnere idraulico che si chiamava Cristoforo Sabbadin».

LEGGI ANCHE: Mose, Bettin: «L’unico modo di salvare Venezia è sollevarla»

VENEZIA E «L’IMBOSCAMENTO DELLA VERITÀ»

Nella sua lunga esperienza Pizzati si è convinto che i problemi ambientali da affrontare a Venezia e dintorni sono ingigantiti dal contesto storico-politico con cui ci si deve misurare. «Una volta mando un laureando a consultare dei documenti d’archivio teoricamente di pubblico dominio, tanto erano noti e citati in vari studi», racconta, «e questo mi torna a mani vuote: spariti, nascosti chissà dove, forse distrutti, chi può saperlo. È una delle tante parabole che hanno tristemente arricchito la mia esperienza». Purtroppo, allarga le braccia, «chi conosce Venezia sa che l’imboscamento della verità è una costante di tutta la sua storia dal Dopoguerra a oggi. Con il risultato che per noi il Mose è una specie di mostro capace di inghiottire miliardi di denaro pubblico, mentre a Londra la barriera alta come un condominio inserita nel Tamigi funziona a meraviglia».

venezia-acqua-alta
Un uomo passeggia con il cane su un salvagente a Venezia.

FONDALI SEMPRE PIÙ PROFONDI

Se i fondali dei canali vengono abbassati di 15 metri in mezzo secolo per fare passare navi da crociera e petroliere, e nello stesso tempo sorgono insediamenti di enormi dimensioni come la zona industriale di Marghera o l’aeroporto di Tessera, l’effetto-asfissiamento della laguna è garantito. «La chiave più significativa è costituita dalle tre bocche di porto, che sono Malamocco, il Lido e Pellestrina», continua l’architetto, «canali dove l’altezza dei fondali è passata in pochi decenni da tre a 15 metri, con il risultato che nelle sei ore di una marea inglobano e riversano il quintuplo dell’acqua rispetto a una volta». Una piattaforma off-shore per le petroliere e un porto attrezzato al Lido per le navi da crociera sembrano tuttora a Paolo Pizzati le soluzioni a cui si doveva ricorrere per non esercitare sul centro storico di Venezia pressioni insostenibili. «Non lo pensavo solo io», precisa, «ma si è voluto fare diversamente. Soprattutto, non si è mai optato per soluzioni strategiche, proiettate nel tempo, in grado di tutelare Venezia e l’ecosistema della laguna».

                                                                                              

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Le novità sulla strage del volo MH17: legami tra russi e ribelli del Donbass

Il team internazionale a guida olandese che investiga sull'abbattimento del volo della Malaysia Airlines ha pubblicato delle intercettazioni che mostrano i contatti tra funzionari di Mosca e ribelli separatisti.

Nuova svolta nell’intricato caso dell’abbattimento del volo Malaysia Airlines 17. In particolare sarebbero stati individuati stretti legami tra la Russia e i ribelli del Donbass testimoniati da nuove intercettazioni telefoniche tra funzionari russi e alcuni leader separatisti.

Le conversazioni sono state pubblicate dal Team investigativo internazionale a guida olandese (Jit) sulla tragedia del Boeing malese abbattuto nei cieli del Donbass in guerra nell’estate del 2014. Le telefonate risalgono alle settimane precedenti alla sciagura in cui morirono 298 persone. L’aereo fu abbattuto da un missile di fabbricazione russa.

Lo scorso giugno, gli investigatori hanno accusato quattro persone per la tragedia aerea: tre sono cittadini russi e – secondo gli inquirenti – sono o sono stati agenti dell’intelligence di Mosca. Uno degli incriminati è Igor Strelkov, al secolo Igor Girkin, ex comandante delle milizie separatiste del Donbass che sarebbe anche tra le persone coinvolte nelle conversazioni intercettate.

I RUSSI COINVOLTI NELLE INTERCETTAZIONI

Le telefonate riguardano anche il consigliere di Putin, Vladislav Surkov, il “premier” dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Borodai, e il leader crimeano scelto da Mosca, Vladislav Surkov. In almeno tre telefonate, i separatisti affermano di agire nell’interesse della Russia e su ordine dei suoi servizi segreti. «Sto eseguendo gli ordini e difendendo gli interessi di uno e di un solo Paese: la Federazione Russa», ha detto Borodai in una telefonata.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Papa Francesco nomina Guerrero Alves al posto del cardinale Pell

Il gesuita spagnolo è stato scelto per il ruolo di prefetto della Segreteria per l'Economia. Si insedierà a partire da gennaio 2020.

Nuove nomine in Vaticano. Papa Francesco ha infatti scelto il sostituto del cardinale George Pell, sospeso nel 2017 per difendersi nel processo in cui è accusato di abusi sessuali sui minori in Australia. Il suo mandato come prefetto della Segreteria per l’Economia è scaduto a febbraio. Per tale ruolo il pontefice ha scelto padre Juan Antonio Guerrero Alves, che si insedierà a partire da gennaio 2020.

GLI INCARICHI NELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Spagnolo, nato a Merida nel 1959, Guerrero Alves è entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù nel 1979. Nella biografia diffusa dalla sala stampa vaticana si legge che è stato ordinato sacerdote nel 1992. Laureato in Economia e in Teologia, è stato professore di Filosofia sociale e politica presso l’Università Pontificia Comillas (1994-1997 e 1999-2003), maestro di novizi dei Gesuiti in Spagna (2003-2008), superiore provinciale a Castiglia (2008-2014), economo della Compagnia di Gesù in Mozambico (2015-2017) e direttore del Collegio Sant’Ignazio di Loyola (2016-2017) nello stesso Paese. Dal 2017 è delegato del Superiore generale per le Case e le opere interprovinciali a Roma e consigliere generale della Compagnia di Gesù. Al suo posto il Superiore generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa, ha nominato padre Johan Verschueren.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

I provvedimenti economici per aiutare Venezia

Slitta di un mese il pagamento della Tari nella Laguna: nuova scadenza il 16 dicembre. Subito i primi indennizzi: 5 mila euro ai privati e 20 mila agli esercenti commerciali. Cdm pronto a dichiarare lo stato di emergenza. Così si prova a risollevare la città.

Mentre si contano i danni e si attende un nuovo picco di acqua alta di 145 centimetri, con raffiche di vento a velocità massima tra i 21 e i 43 chilometri all’ora, arrivano i primi (mini) provvedimenti per Venezia.

QUARTA RATA DELLA TARI RINVIATA

Innanzitutto è stata nominata la super commissaria per il Mose, Elisabetta Spitz. Poi la Giunta comunale della città lagunare, in via straordinaria, si riunisce nel pomeriggio del 14 novembre per adottare un provvedimento, su indicazione del sindaco Luigi Brugnaro e predisposto dall’assessore al Bilancio e Tributi Michele Zuin, che dispone il posticipo dell’imminente scadenza della quarta rata della Tari, prevista per il 16 novembre, per tutti i cittadini e le imprese dell’intero Comune. La nuova scadenza – ha informato l’amministrazione lagunare – è fissata per il 16 dicembre.

PRIMI INDENNIZZI ANNUNCIATI DA CONTE

Non solo. Il premier Giuseppe Conte per quanto riguarda il ristoro dei danni ha parlato di due fasi: «La prima ci consentirà di indennizzare i privati e gli esercenti commerciali sino a un limite per i primi di 5 mila euro e per i secondi di 20 mila euro». Conte ha assicurato che i soldi «potranno arrivare subito». Poi un secondo step: «I danni più consistenti ovviamente li quantificheremo con più calma e dietro istruttoria tecnica potranno essere liquidati».

STATO DI EMERGENZA IN CONSIGLIO DEI MINISTRI

Intanto il Consiglio dei ministri convocato alle ore 16.30 a Palazzo Chigi è pronto a dichiarare lo stato di emergenza «nei territori della Regione Veneto colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici che si sono verificati a partire dal giorno 12 novembre 2019», si legge in una nota.

ALTRE RISORSE DOPO LA RICOGNIZIONE

Lo stato di emergenza ha una durata massima di 12 mesi, prorogabile di altri 12. La delibera stanzia l’importo per realizzare i primi interventi. Ulteriori risorse possono essere assegnate a seguito della ricognizione dei fabbisogni realizzata dai commissari delegati.

ORDINANZE IN DEROGA

Agli interventi per affrontare l’emergenza si provvede con ordinanze in deroga alle disposizioni di legge, ma nei limiti e secondo i criteri indicati con la dichiarazione dello stato di emergenza e comunque nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Le tensioni in Bolivia dopo la conferma di Jeanine Añez come presidente

Un giovane di 20 anni ha perso la vita durante gli scontri tra manifestanti pro Morales e la polizia. Sale così a 10 il numero dei morti dopo tre settimane di proteste. E il governo del nuovo presidente Añez si insedia.

Resta alta la tensione in Bolivia dopo che la Corte costituzionale ha confermato Jeanine Añez come presidente. Un ragazzo di 20 anni è rimasto ucciso durante gli scontri tra i sostenitori di Morales e la polizia. Il ragazzo sarebbe stato colpito alla testa da un proiettile a Yapacani, nel dipartimento di Santa Cruz, dove i sostenitori di Morales nel pomeriggio avevano occupato il municipio.

10 MORTI DALL’INIZIO DELLE PROTESTE

Il 13 novembre gli scontri a Montero e Yapacaní hanno provocato due morti per colpi d’arma da fuoco. Con queste vittime è salito a dieci il bilancio dei morti durante oltre tre settimane di proteste nel Paese. Lo ha riferito il direttore dell’Istituto di indagini forensi (Idif), Andres Flores, citato dal quotidiano La Razon. Il direttore ha riferito che otto delle dieci persone morte negli scontri sono state uccise da proiettili.

L’ANALISI SUI CORPI DELLE VITTIME

«L’Idif ha condotto l’analisi forense di dieci corpi a livello nazionale, quattro sono di Santa Cruz, tre di Cochabamba, due di La Paz e uno di Potosí. Del totale dei casi, otto hanno perso la vita a causa di un proiettile di armi da fuoco», ha detto Flores. Le forze armate sono scese in strada dopo che la polizia si è dichiarata sopraffatta dall’ondata di proteste sociali che hanno colpito in particolare La Paz ed El Alto. A Yapacaní sono state rubate armi delle forze di sicurezza, con le quali, secondo la polizia, gli agenti sono stati attaccati.

ANEZ LAVORA AL SUO NUOVO GOVERNO

A livello politico Jeanine Añez continua a lavorare dopo la sua numina. Nella serata del 13 ha nominato i primi 11 ministri del suo governo di transizione che, ha sottolineato, sarà composto eminentemente da «tecnici». «Questo Consiglio dei ministri che vi presento», ha indicato Anez al termine della cerimonia di insediamento, «è composto persone esperte e specializzate, in maggioranza di un profilo tecnico come è normale per un governo di transizione». La ex senatrice ora capo dello Stato ha precisato che il 14, in giornata, l’elenco dei ministri sarà completato in modo da dare continuità al normale funzionamento dell’apparato statale. «Il loro compito principale», ha aggiunto, «sarà restaurare la pace sociale, realizzare elezioni libere e trasparenti nel più breve tempo possibile e consegnare infine il governo a chi i boliviani eleggeranno con piana legalità e legittimità democratica». Fra i ministri prescelti vi sono Karen Longaric (Esteri), Jerjes Justiniano (Presidenza), Arturo Murillo (Interno), Fernando López Julio (Difesa) e José Luis Parada (Economia).

MOSCA RICONOSCE IL NUOVO PRESIDENTE

Proprio mentre il nuovo esecutivo si insediava, la Russia ha annunciato l’intenzione di riconoscere Jeanine Añez come presidente. Il vice ministro degli Esteri Serghiei Riabkov, citato dall’agenzia Ria Novosti, ha però voluto precisare che la sua decisione tiene anche conto del fatto «nel momento in cui è stata eletta per questo incarico non c’era il quorum necessario in parlamento». «Chiaramente», ha aggiunto Riabkov, «sarà considerata leader della Bolivia finché la questione di un nuovo presidente non sarà risolta con le elezioni».

MORALES APRE A UN RITORNO IN PATRIA

Dal Messico l’ex presidente boliviano Evo Morales ha dichiarato di essere disposto a tornare in Bolivia senza essere candidato o ricoprire cariche di potere, per contribuire a riportare la pace nel Paese. In un’intervista al quotidiano spagnolo El Pais, l’ex capo di Stato ha dichiarato che «certamente» è disposto a tornare in Bolivia senza poteri e senza candidarsi. «Mi sono dimesso, ma continua la violenza», ha sottolineato. Sulla sua permanenza in Messico, Morales ha dichiarato che «già in questo momento vorrei andarmene. Se posso contribuire alla soluzione pacifica (in Bolivia), lo farò», ha affermato, aggiungendo che nel suo Paese in questo momento «non ci sono autorità», e che Jeanine Anez «è una presidente autoproclamata incostituzionalmente».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Banche, per chi suona il valzer delle fusioni

Occhi puntati sul mondo delle Popolari. Per adesso di nozze tra BancoBpm e Ubi, a parte aperture a mezzo stampa, non se ne parla. Più probabile un matrimonio della seconda con Bper. Mentre i dipendenti di Credito Valtellinese si aspettano una mossa da Crédit Agricole.

Chi sarà ad aprire le danze del risiko bancario nel 2020? È la domanda che circola nelle sale operative dove per ora i broker si accontentano di scommettere su fusioni di piccolo-medio taglio. Sotto ai riflettori sono in particolare le mosse di quel mondo Popolare che deve trovare un nuovo centro di gravità permanente magari dando vita al terzo polo del credito in Italia. Per adesso di nozze tra il BancoBpm e Ubi, a parte aperture a mezzo stampa tese più a vedere l’effetto prodotto che ad avviare negoziati concreti, non se ne parla. Più probabile sembra, invece, un matrimonio tra Bper e Ubi con a fare da sensale la Unipol (primo azionista della Popolare emiliana) di Carlo Cimbri. In generale, ha detto l’ad del gruppo assicurativo di via Stalingrado lo scorso 8 novembre, «non potremo che favorire strutture più grandi, più solide e più performanti di quelli attuali». 

LEGGI ANCHE: Perché Mustier ha tanta fretta di vendere

ATTESA AL CREDITO VALTELLINESE

Nel frattempo, però qualcosa potrebbe muoversi anche lungo la strada tra l’Emilia-Romagna e l’alta Lombardia. Nelle filiali del Credito Valtellinese, infatti, i dipendenti sono sempre più convinti che la loro banca finirà prima poi nella rete dei francesi del Crédit Agricole che hanno già la Cariparma. E che del Creval sono già azionisti con una quota del 5% oltrechè partner bancassicurativi. Da Parigi hanno sempre smentito («potremmo salire leggermente, fino a poco meno del 10%», perché l’obiettivo è «la partnership, non il controllo», aveva detto un anno fa il Ceo dell’Agricole, Philippe Brassac) ma il vento potrebbe essere cambiato. 

MANDARINI PER BAZOLI

Per Giovanni Bazoli la Cina è più vicina. Il 12 novembre, in qualità di presidente della Fondazione culturale Cini, il banchiere bresciano ha accolto a Venezia il finanziere cinese Eric Li, fondatore e managing partner di Chengwei Capital e amministratore fiduciario del China Institute della Fudan University. Li è uno dei nuovi Amici di San Giorgio, la “creatura” della Cini che raccoglie soggetti disposti a investire nel suo funzionamento con un impegno triennale e rinnovabile, di 100 mila euro annui. Ad accompagnare Li da Bazoli è stato un amico di vecchia data di entrambi ovvero l’ex premier Romano Prodi, che con la Cina ha da sempre rapporti consolidati e che è anche presidente onorario del Taihu World Cultural Forum, il consesso internazionale legato proprio allo sviluppo dei temi culturali lanciato da qualche anno dalla Cini. Il nuovo sponsor orientale può di certo dare sostegno alla Fondazione che già può contare sui contributi di soggetti privati istituzionali, come Intesa Sanpaolo, Cariplo e Generali. Ed Eni.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Chi è Elisabetta Spitz, commissaria del Mose di Venezia

Architetta e dirigente pubblica, è stata direttrice dell'Agenzia del demanio. La sua nomina comunicata dalla ministra dei Trasporti De Micheli. Ora deve occuparsi del sistema di barriere mobili, ancora incompiuto, che avrebbe dovuto proteggere la Laguna dall'acqua alta.

Dopo l’emergenza acqua alta e «l’Apocalisse» sfiorata, è arrivato il nome della nuova super commissaria per il Mose a Venezia: Elisabetta Spitz. L’annuncio è stato dato dalla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, a Radio Capital, dopo che nella serata del 13 novembre direttamente dalla Laguna aveva detto: «C’è una procedura in corso, quando avremo tutte le firme comunicheremo chi sarà».

UNA CARRIERA TRA PRODI E TREMONTI

Spitz, 66enne nata a Roma e sposata con l’ex del Partito democratico (e non solo) Marco Follini, è una architetta e dirigente pubblica. È stata direttrice dell’Agenzia del demanio a partire dal 2001: ha ricoperto quell’incarico inizialmente per tre anni, prima di due rinnovi, nel 2004 e nel 2007. L’ultima volta fu confermata dal governo Prodi II, prima di terminare il suo lavoro nel 2008. Nel 2002 l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti istituì la Patrimonio S.p.A., di cui Spitz divenne consigliera d’amministrazione.

SISTEMA DI BARRIERE MOBILI ETERNO INCOMPIUTO

Ora si deve occupare del Mose, l’enorme sistema di barriere mobili contro le acque alte che doveva proteggere Venezia e che invece attende ancora di essere completato. Al 2018 per i lavori erano già stati spesi 5,5 miliardi di euro, ma l’insieme delle opere deliberate raggiungerebbe 8 miliardi. Il Mose doveva essere ultimato nel 2016, poi l’inaugurazione è slittata a fine 2021. In mezzo sono capitati diversi guai giudiziari, tra tangenti e inchieste che hanno “decapitato” l’establishment della Regione Veneto. A partire dall’ex governatore di centrodestra Giancarlo Galan, finito agli arresti. Secondo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il Mose è «al 92-93%» della realizzazione. Alla Spitz il compito di vigilare sul rimanente 7-8% e accelerare le pratiche per salvare la Laguna.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Jorge Lorenzo ha annunciato il ritiro

Il campione spagnolo lascia il mondo delle corse. Tra il 2006 e il 2015 ha vinto due campionati in classe 250 e tre mondiali MotoGp.

Jorge Lorenzo si ritira. Lo ha annunciato lo stesso pilota spagnolo, cinque volte campione del mondo, in una conferenza stampa straordinaria convocata alla vigilia del weekend del Gran Premio di Valencia, che chiude il Motomondiale 2019. «Questa sarà la mia ultima gara e poi lascio come pilota professionista, non è facile ma ho deciso così», ha detto Lorenzo, 32 anni. Lo spagnolo è stato due volte campione del mondo nella categoria 250 (nel 2006 e nel 2007) e tre volte campione del mondo nella MotoGP (2010, 2012 e 2015).

SALUTATO DALLA STANDING OVATION DEI GIORNALISTI

«È molto difficile per me, questa sarà la mia ultima gara in MotoGp», sono state le parole di un sorridente Lorenzo, che non ha nascosto l’emozione quando ha ricevuto la standing ovation della platea. «Le persone che hanno lavorato con me sanno che sono un perfezionista, con quanta passione ho sempre lavorato» – ha sottolineato il pilota spagnolo -, «per questo dopo nove anni in Yamaha, che sono stati i più belli della mia carriera, ho sentito di aver bisogno di un cambiamento per avere nuove motivazioni, sono passato in Ducati e ho raggiunto nuove vittorie. Poi ho firmato per la Honda, mi ha dato un’altra grande spinta, non ho potuto essere in condizioni fisiche normali per essere competitivo e poi la moto non era adatta al mio modo di correre. Ma non ho perso la pazienza, ho lavorato sempre con il team pensando che le cose sarebbero andate a posto. Dopo l’incidente brutto al Montmeló e poi l’altra caduta ad Assen con tutte le conseguenze, mentre rotolavo sull’asfalto pensavo ‘vabbè Jorge ne vale davvero la pena? dopo tutto quello che hai fatto, forse è ora di smettere’. Poi però ci ho pensato e ho continuato». Lorenzo, ha annunciato il Ceo della Dorna, Carmelo Ezpeleta, sarà ‘Motogp legend’, entrerà nella Hall of fame riservata ai grandi campioni.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Jorge Lorenzo ha annunciato il ritiro

Il campione spagnolo lascia il mondo delle corse. Tra il 2006 e il 2015 ha vinto due campionati in classe 250 e tre mondiali MotoGp.

Jorge Lorenzo si ritira. Lo ha annunciato lo stesso pilota spagnolo, cinque volte campione del mondo, in una conferenza stampa straordinaria convocata alla vigilia del weekend del Gran Premio di Valencia, che chiude il Motomondiale 2019. «Questa sarà la mia ultima gara e poi lascio come pilota professionista, non è facile ma ho deciso così», ha detto Lorenzo, 32 anni. Lo spagnolo è stato due volte campione del mondo nella categoria 250 (nel 2006 e nel 2007) e tre volte campione del mondo nella MotoGP (2010, 2012 e 2015).

SALUTATO DALLA STANDING OVATION DEI GIORNALISTI

«È molto difficile per me, questa sarà la mia ultima gara in MotoGp», sono state le parole di un sorridente Lorenzo, che non ha nascosto l’emozione quando ha ricevuto la standing ovation della platea. «Le persone che hanno lavorato con me sanno che sono un perfezionista, con quanta passione ho sempre lavorato» – ha sottolineato il pilota spagnolo -, «per questo dopo nove anni in Yamaha, che sono stati i più belli della mia carriera, ho sentito di aver bisogno di un cambiamento per avere nuove motivazioni, sono passato in Ducati e ho raggiunto nuove vittorie. Poi ho firmato per la Honda, mi ha dato un’altra grande spinta, non ho potuto essere in condizioni fisiche normali per essere competitivo e poi la moto non era adatta al mio modo di correre. Ma non ho perso la pazienza, ho lavorato sempre con il team pensando che le cose sarebbero andate a posto. Dopo l’incidente brutto al Montmeló e poi l’altra caduta ad Assen con tutte le conseguenze, mentre rotolavo sull’asfalto pensavo ‘vabbè Jorge ne vale davvero la pena? dopo tutto quello che hai fatto, forse è ora di smettere’. Poi però ci ho pensato e ho continuato». Lorenzo, ha annunciato il Ceo della Dorna, Carmelo Ezpeleta, sarà ‘Motogp legend’, entrerà nella Hall of fame riservata ai grandi campioni.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Lara Comi intercettata e quella «spasmodica ricerca di soldi»

Al telefono con la sua avvocata, l'ex europarlamentare di Forza Italia arrestata per tangenti si confidava così: «Dirò che non ho mai preso 17 mila euro». Caianiello, figura chiave del sistema corruttivo, ai pm: «Temeva di non essere rieletta». E spiega la presunta truffa a Bruxelles.

Dopo che il suo nome emerse nella maxi indagine per tangenti in Lombardia, l’ex europarlamentare di Forza Italia Lara Comi, finita agli arresti, parlava così al telefono: «Oggi io dirò che non ho mai preso 17 mila euro, non ho mai avuto consulenze con Afol né a società a me collegate che non esistono… Se mi chiedono “perché dicono questo?” posso dire che eri tu che facevi loro consulenza».

INTERCETTAZIONE CON L’AVVOCATA BERGAMASCHI

La conversazione intercettata, datata 9 maggio, era con l’avvocata Bergamaschi, sua collaboratrice, e fa riferimento al denaro che la Comi avrebbe ottenuto da Afol. Il dialogo si trova nell’ordinanza cautelare.

LEGGI ANCHE: Chi è Paolo Orrigoni, l’imprenditore ai domiciliari per le tangenti in Lombardia

PER 10 ANNI AL PARLAMENTO EUROPEO

Comi, 36 anni, tra la sua passione per il Milan e le sempre più frequenti apparizioni tivù era riuscita nella sua scalata politica passando da Saronno a Bruxelles grazie agli sponsor “giusti”. È stata in Europa per 10 anni, dal 2009 al 2019 (in mezzo la rielezione del 2014), ma all’ultima tornata elettorale europea non le sono bastati 32.365 voti: finì solo terza nel Nord-Ovest dietro a Silvio Berlusconi e Massimiliano Salini, risultando la prima dei non eletti.

L’IMBARAZZO DI FORZA ITALIA E L’ESCLUSIONE NEL 2019

Il Cav, imbarazzato per i guai giudiziari che l’hanno colpita, ha scelto di mantenere il proprio seggio nel Nord-Ovest, nonostante fosse stato eletto anche nel Sud e nelle isole, escludendo così la Comi dall’europarlamento.

Nonostante la giovane età, Comi ha mostrato una non comune esperienza nel fare ricorso ai diversi, collaudati schemi criminosi


Un passaggio dell’ordinanza

Nell’ordinanza Comi viene descritta con queste parole: «Nonostante la giovane età, ha mostrato nei fatti una non comune esperienza nel fare ricorso ai diversi, collaudati schemi criminosi volti a fornire una parvenza legale al pagamento di tangenti, alla sottrazione fraudolenta di risorse pubbliche e all’incameramento di finanziamento illeciti».

LUNGHE INDAGINI SU CONTRATTI DI CONSULENZA

I pm di Milano da tempo indagano su contratti di consulenza per un valore di 38 mila euro ottenuti da «una società riconducibile alla Comi». Contratti che sarebbero stati ottenuti attraverso Gioacchino Caianiello, ex coordinatore di Forza Italia nel capoluogo lombardo, ritenuto il “burattinaio”, la figura chiave al centro del presunto sistema corruttivo fatto di mazzette, finanziamenti e nomine pilotate.

Comi temeva fortemente per la sua rielezione al parlamento europeo, ragione per la quale ha iniziato ad andare spasmodicamente alla ricerca di finanziamenti e alleanze politiche


Nino Caianiello

Caianiello il 2 settembre ha messo a verbale che Lara Comi «a seguito della mancata candidatura alle elezioni politiche nazionali cui lei fortemente aspirava», ha «iniziato a spaventarsi fortemente per la sua rielezione al parlamento europeo, ragione per la quale ha iniziato ad andare spasmodicamente alla ricerca di finanziamenti e alleanze politiche». Ha raccontato anche che «la Comi voleva che io intercedessi in suo favore nei confronti di Mariastella Gelmini (di cui da giovane fu assistente, ndr)» e ha parlato di un incontro.

IL NODO DEI SOLDI DA GIRARE A CAIANIELLO

Caianiello da tempo sta collaborando coi pm milanesi. Ai quali ha detto: «Più volte avevo espresso alla Comi la necessità di trovare una modalità attraverso cui retrocedere delle somme in favore della mia persona, in ragione dei costi che la quotidiana attività politica mi comportava».

LO STRATAGEMMA: GONFIARE LO STIPENDIO DELL’ADDETTO STAMPA

Il passaggio riguarda la presunta truffa al parlamento europeo – di cui è accusata, tra le altre cose, la Comi – attraverso uno “stratagemma”: gonfiare fino a 3 mila euro al mese lo stipendio dell’addetto stampa dell’epoca dell’eurodeputata, rimborsato dall’europarlamento, per poi girare 2 mila euro a Caianiello. «Comi», ha spiegato il “burattinaio”, «era recalcitrante a retrocedere una parte del suo stipendio per finanziare le strutture del partito di Forza Italia, anche in vista delle imminenti elezioni europee, escogitammo lo stratagemma di far maggiorare lo stipendio del giornalista Aliverti».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Chi è Paolo Orrigoni, l’imprenditore ai domiciliari per le tangenti in Lombardia

Ha ereditato la catena di supermercati Tigros, con più di 60 punti vendita e quasi 2 mila dipendenti. Si era candidato sindaco a Varese per il centrodestra al posto dell'uscente Attilio Fontana. Adesso è accusato di corruzione.

Il presunto “burattinaio” delle tangenti in Lombardia, l’ex coordinatore di Forza Italia a Varese Nino Caianiello, gli consigliava di muoversi «perché questi mi hanno detto che ti vogliono cambiare il progetto giù a Milano». Paolo Orrigoni, proprietario dei supermercati Tigros – 700 milioni di euro di fatturato, più di 60 punti vendita tra Lombardia e Piemonte e quasi 2 mila dipendenti – è finito ai domiciliari insieme all’ex eurodeputata di Forza Italia Lara Comi.

CANDIDATO SINDACO A VARESE NEL 2016

Orrigoni era il candidato sindaco del centrodestra alle ultime elezioni comunali di Varese, sostenuto da liste civiche ma anche da Forza Italia, Fratelli d’Italia e soprattutto dalla Lega, che lo voleva al posto dell’uscente Attilio Fontana, diretto alla Regione Lombardia. Ha perso per un soffio al ballottaggio con il candidato del Pd, Davide Galimberti, che ha riportato il centrosinistra al timone di Varese dopo più di 20 anni, e adesso siede in consiglio comunale come capogruppo di una delle civiche che lo hanno sostenuto.

DI COSA È ACCUSATO

Orrigoni, 42 anni, laureato in Giurisprudenza, ha ereditato i supermercati Tigros dal padre Luigi ed è accusato di corruzione. Insieme a un altro imprenditore che lo ha tirato in ballo, Enrico Tonetti, avrebbe versato un anticipo di 50 mila euro per ottenere la variante di destinazione d’uso di un terreno a Gallarate su cui aprire un nuovo supermercato. La somma, secondo gli inquirenti, sarebbe stata fatta passare per un incarico di consulenza affidato a uno studio di ingegneristica. Il denaro era destinato a chi aveva indicato loro di rivolgersi proprio a quello studio, ovvero ad Alberto Bilardo, coordinatore di Forza Italia a Gallarate e consigliere di amministrazione di Accam, consorzio che gestisce la raccolta dei rifiuti in 27 Comuni lombardi. Bilardo è considerato una delle figure “fedeli” a Caianiello.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Chi è Paolo Orrigoni, l’imprenditore ai domiciliari per le tangenti in Lombardia

Ha ereditato la catena di supermercati Tigros, con più di 60 punti vendita e quasi 2 mila dipendenti. Si era candidato sindaco a Varese per il centrodestra al posto dell'uscente Attilio Fontana. Adesso è accusato di corruzione.

Il presunto “burattinaio” delle tangenti in Lombardia, l’ex coordinatore di Forza Italia a Varese Nino Caianiello, gli consigliava di muoversi «perché questi mi hanno detto che ti vogliono cambiare il progetto giù a Milano». Paolo Orrigoni, proprietario dei supermercati Tigros – 700 milioni di euro di fatturato, più di 60 punti vendita tra Lombardia e Piemonte e quasi 2 mila dipendenti – è finito ai domiciliari insieme all’ex eurodeputata di Forza Italia Lara Comi.

CANDIDATO SINDACO A VARESE NEL 2016

Orrigoni era il candidato sindaco del centrodestra alle ultime elezioni comunali di Varese, sostenuto da liste civiche ma anche da Forza Italia, Fratelli d’Italia e soprattutto dalla Lega, che lo voleva al posto dell’uscente Attilio Fontana, diretto alla Regione Lombardia. Ha perso per un soffio al ballottaggio con il candidato del Pd, Davide Galimberti, che ha riportato il centrosinistra al timone di Varese dopo più di 20 anni, e adesso siede in consiglio comunale come capogruppo di una delle civiche che lo hanno sostenuto.

DI COSA È ACCUSATO

Orrigoni, 42 anni, laureato in Giurisprudenza, ha ereditato i supermercati Tigros dal padre Luigi ed è accusato di corruzione. Insieme a un altro imprenditore che lo ha tirato in ballo, Enrico Tonetti, avrebbe versato un anticipo di 50 mila euro per ottenere la variante di destinazione d’uso di un terreno a Gallarate su cui aprire un nuovo supermercato. La somma, secondo gli inquirenti, sarebbe stata fatta passare per un incarico di consulenza affidato a uno studio di ingegneristica. Il denaro era destinato a chi aveva indicato loro di rivolgersi proprio a quello studio, ovvero ad Alberto Bilardo, coordinatore di Forza Italia a Gallarate e consigliere di amministrazione di Accam, consorzio che gestisce la raccolta dei rifiuti in 27 Comuni lombardi. Bilardo è considerato una delle figure “fedeli” a Caianiello.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’Iran e i suoi missili dietro l’attacco da Gaza su Israele

È la Brigata al Qods dei Pasdaran iraniani a definire la strategia degli attacchi e a rifornire di razzi la Jihad islamica palestinese. Un'azione che rischia di riportare la guerra nella Striscia.

Jihad islamica, agli ordini diretti dell’Iran, sta sommergendo il Sud di Israele di razzi diretti da Gaza contro la popolazione civile.

Questa aggressione a freddo a Israele si inserisce non sulle tensioni israelo-palestinesi (è in atto da mesi a Gaza una tregua funzionante tra Hamas e Gerusalemme) ma nella politica di attacco che l’Iran sta dispiegando da tre anni in qua (dopo gli sciagurati accordi sul nucleare voluti da Barack Obama) installando in Siria, in Libano e a Gaza non meno di 3 mila ogive missilistiche e razzi destinati alla «Entità Sionista».

Una politica di usura aggressiva da tutti i territori confinanti con Israele a Nord, a Est e a Sud, che risponde alla strategia degli ayatollah di preparare e avvicinarsi all’obiettivo strategico principale della rivoluzione iraniana, ribadito anche dalla cosiddetta “ala riformista” di Teheran: «Cancellare Israele dalla faccia della terra».

LEGGI ANCHE: Gaza e Israele hanno trovato l’intesa per un nuovo cessate il fuoco

CENTINAIA DI RAZZI DA GAZA VERSO ISRAELE

La gravità di questi attacchi proditori è tale che lo stesso coordinatore speciale dell’Onu per il processo di pace in Medio oriente, Nickolay Mladenov, lo ha nettamente condannato: «Il lancio indiscriminato di razzi e colpi di mortaio contro centri abitati è assolutamente inaccettabile e deve cessare immediatamente. Non ci può essere giustificazione per gli attacchi contro i civili».

Una bimba israeliana di 7 anni è in gravissime condizioni a causa di un infarto evidentemente provocato dal terrore

Più di 400 razzi sono stati lanciati tra martedì 12 e mercoledì 13 novembre da Gaza verso i centri abitati delle cittadine israeliane di Ashkelon e Sderot, il 90% sono stati intercettati dal sistema anti missile israeliano Iron Dome e non si registrano al momento vittime, ma una bimba israeliana di 7 anni è in gravissime condizioni a causa di un infarto evidentemente provocato dal terrore, mentre si trovava in un rifugio.

HAMAS È ESTRANEA ALL’AGGRESSIONE

Il lancio di razzi era iniziato venerdì 8 novembre e la reazione di Israele è stata immediata: con missili guidati ha ucciso lunedì 11 nella sua abitazione a Gaza il capo della Jihad islamica della zona Nord di Gaza Au al Atta e martedì un altro dirigente, Moawad al Ferraj. È fondamentale notare che Hamas, che governa e controlla la Striscia, è estranea a questa demenziale aggressione contro Israele (nulla, dal punto di vista militare, ma devastante per gli israeliani delle zone colpite dal punto di vista umano) che è invece opera della Jihad islamica, un gruppo che è alle dirette dipendenze della Brigata al Qods dei Pasdaran iraniani comandata dal generale Ghassem Suleimaini. Gli stessi Pasdaran riforniscono tramite il Sinai questi razzi, tutti di fabbricazione iraniana, alla Jihad islamica. Israele ha risposto a questa ennesima – e del tutto gratuita – aggressione con bombardamenti di sedi della Jihad islamica nella Striscia che a mercoledì 13 novembre hanno fatto 23 morti tra i suoi militanti.

LA PAURA DI UNA NUOVA GUERRA NELLA STRISCIA

Naturalmente, la preoccupazione maggiore è che questa aggressione irano-palestinese a Israele inneschi una nuova guerra a Gaza, ma Hamas, a oggi, ha dato segno di non avere intenzione di fare saltare la tregua siglata con Israele con la mediazione egiziana e anche se non fa nulla per impedire alla Jihad islamica di continuare la sua provocazione, anche se la “copre” politicamente, si è ben guardata dal fare atti di aggressione diretta contro Israele.

Un dimostrante palestinese.

Il governo israeliano ha per ora preso atto della prudente posizione di Hamas e non ha colpito nessun suo obiettivo a Gaza. Ma la situazione è sul filo del rasoio. Naturalmente, tutte le forze politiche israeliane hanno dato il pieno appoggio alla risposta decisa dal governo – incluse le uccisioni mirate dei dirigenti della Jihad islamica – ma è evidente il riflesso di queste tensioni nella difficile fase della formazione di un governo a Gerusalemme affidata al generale Benny Gantz, dopo il fallimento del tentativo di Bibi Netanyhau.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Contagia l’amante con l’Hiv, in manette 39enne a Rimini

Un uomo di origini brasiliane è stato posto ai domiciliari con l'accusa di aver volontariamente infettato un'altra partner. Al vaglio altri possibili casi.

Un uomo di 39 anni è stato arrestato dai carabinieri di Rimini per aver contagiato una delle sue amanti con l’Hiv e per averne esposto volontariamente al virus altre tre. L’uomo, di origini brasiliane, si trova agli arresti domiciliari e deve rispondere del reato di lesioni gravi.

Stando alle indagini scattate ad agosto su segnalazione della convivente, l’uomo avrebbe intrattenuto diverse relazioni sessuali anche durature con diverse donne, contagiando una di queste. Le indagini dei carabinieri hanno appurato come il 39enne, positivo all’Hiv da alcuni anni, dal 2017 aveva sospeso volontariamente la terapia farmacologica, l’aveva ripresa poi solo sporadicamente nel 2018, per poi interromperla totalmente aumentando esponenzialmente il rischio di contagio in caso di rapporti sessuali non protetti.

Oltre alla convivente, gli accertamenti dei militari hanno permesso di risalire ad altre tre donne, conosciute tramite alcuni social, le quali, ignare dello stato di salute dell’uomo, hanno confermato di aver avuto rapporti sessuali non protetti con l’indagato. Per una di queste i test medici hanno dato esito positivo.

RICERCE PER STABILIRE EVENTUALI ALTRI CONTAGI

Le indagini dei carabinieri di Rimini, coordinate dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli, hanno portato all’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip del Tribunale di Rimini, Manuel Bianchi. Al momento gli investigatori dell’Arma sono al lavoro per risalire, attraverso l’analisi del pc utilizzato dal 39enne, ad eventuali altre donne conosciute su internet, a chat e alle effettive frequentazioni sentimentali dell’arrestato.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Venezia: notte tranquilla in attesa di un altro picco di marea

La città lagunare prova a tornare alla normalità dopo la grande piena. Attesa per il nuovo picco da 125 centimetri previsto per le 10:50.

Una notte tranquilla a Venezia quella appena trascorsa, senza picchi di marea nè allarmi per il maltempo. La città, dopo 48 ore da incubo, ha potuto tirare il respiro. Il 14 novembre la laguna si è risvegliata con il sole, cielo limpido e temperatura più rigida, perchè lo scirocco non c’è.

Dopo l’emergenza per la mareggiata che ha creato gravi danni a monumenti abitazioni e alberghi comincerà la vera e propria conta dei danni. Alle 10.30 la piena, rilevata alla Punta della Salute, si è fermata a 113 centimetri. Il bel tempo e l’assenza di vento hanno scongiurato una massima prevista di 120 centimetri. Ora l’onda di marea è in calo.

A Venezia c’è anche il premier Giuseppe Conte, che dopo la riunione operativa del 13 e la visita a San Marco, il 14 dovrebbe incontrare anche i commercianti della città. «Per Venezia», ha detto il premier Giuseppe Conte uscendo dall’hotel nel quale ha dormito stanotte, «c’è un impegno a 360 gradi, c’è una situazione drammatica in una città unica, ci dobbiamo essere».

CONTE PROMETTE INDENNIZZI FINO A 20 MILA EURO

Conte, dopo la riunione in Prefettura a Venezia, ha parlato di due fasi per il ristoro dei danni. «La prima», ha sottolineato, «ci consentirà di indennizzare i privati e gli esercenti commerciali sino ad un limite per i primi di 5mila euro e per i secondi di 20mila euro». Il presidente del Consiglio ha assicurato che questi soldi «potranno arrivare subito». «Poi, per chi ha danni più consistenti ovviamente li quantificheremo con più calma e dietro istruttoria tecnica potranno essere liquidati», ha aggiunto.

VERSO LA CONVOCAZIONE DEL “COMITATONE”

Alla domanda se l’impegno per finire il Mose basterà, «Speriamo, confidiamo di sì, è un’opera su cui ormai sono stati spesi tantissimi soldi ed è in dirittura finale, ora va completata e poi manutenuta». E ai veneziani: «Siamo vicini a voi e speriamo di prevenire queste situazioni drammatiche, perchè non si ripetano più». A margine della riunione in prefettura il premier ha anche annunciato che il 26 novembre verrà convocato il Comitatone interministeriale per la salvaguardia di Venezia. «Discuteremo anche», ha precisato, «la governance per i problemi strutturali di Venezia, grandi navi, Mose, e un maggiore coordinamento tra le autorità competenti».

ELISABETTA SPITZ NOMINATA COMMISSARIO PER IL MOSE

Paola De Micheli in giornata ha confermato che Elisabetta Spitz, ex direttrice dell’Agenzia del Demanio, sarà nominata super commissario per il Mose. La ministra delle Infrastrutture parlando a Circo Massimo su Radio Capital, ha spiegato anche che sul Mose: «Ci sono stati forti rallentamenti sul progetto che oggi però è compiuto al 93%. Mancano gli ultimi 400 milioni. Sono stati appostati dal governo, non sono fermi per motivi burocratici. Non c’è niente di fermo, i lavori stanno andando avanti». L’obiettivo è di completarlo entro il 2021: «spero però che ci siano utilizzi parziali anche prima», ha aggiunto.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Venezia: notte tranquilla in attesa di un altro picco di marea

La città lagunare prova a tornare alla normalità dopo la grande piena. Attesa per il nuovo picco da 125 centimetri previsto per le 10:50.

Una notte tranquilla a Venezia quella appena trascorsa, senza picchi di marea nè allarmi per il maltempo. La città, dopo 48 ore da incubo, ha potuto tirare il respiro. Il 14 novembre la laguna si è risvegliata con il sole, cielo limpido e temperatura più rigida, perchè lo scirocco non c’è.

Dopo l’emergenza per la mareggiata che ha creato gravi danni a monumenti abitazioni e alberghi comincerà la vera e propria conta dei danni. Alle 10.30 la piena, rilevata alla Punta della Salute, si è fermata a 113 centimetri. Il bel tempo e l’assenza di vento hanno scongiurato una massima prevista di 120 centimetri. Ora l’onda di marea è in calo.

A Venezia c’è anche il premier Giuseppe Conte, che dopo la riunione operativa del 13 e la visita a San Marco, il 14 dovrebbe incontrare anche i commercianti della città. «Per Venezia», ha detto il premier Giuseppe Conte uscendo dall’hotel nel quale ha dormito stanotte, «c’è un impegno a 360 gradi, c’è una situazione drammatica in una città unica, ci dobbiamo essere».

CONTE PROMETTE INDENNIZZI FINO A 20 MILA EURO

Conte, dopo la riunione in Prefettura a Venezia, ha parlato di due fasi per il ristoro dei danni. «La prima», ha sottolineato, «ci consentirà di indennizzare i privati e gli esercenti commerciali sino ad un limite per i primi di 5mila euro e per i secondi di 20mila euro». Il presidente del Consiglio ha assicurato che questi soldi «potranno arrivare subito». «Poi, per chi ha danni più consistenti ovviamente li quantificheremo con più calma e dietro istruttoria tecnica potranno essere liquidati», ha aggiunto.

VERSO LA CONVOCAZIONE DEL “COMITATONE”

Alla domanda se l’impegno per finire il Mose basterà, «Speriamo, confidiamo di sì, è un’opera su cui ormai sono stati spesi tantissimi soldi ed è in dirittura finale, ora va completata e poi manutenuta». E ai veneziani: «Siamo vicini a voi e speriamo di prevenire queste situazioni drammatiche, perchè non si ripetano più». A margine della riunione in prefettura il premier ha anche annunciato che il 26 novembre verrà convocato il Comitatone interministeriale per la salvaguardia di Venezia. «Discuteremo anche», ha precisato, «la governance per i problemi strutturali di Venezia, grandi navi, Mose, e un maggiore coordinamento tra le autorità competenti».

ELISABETTA SPITZ NOMINATA COMMISSARIO PER IL MOSE

Paola De Micheli in giornata ha confermato che Elisabetta Spitz, ex direttrice dell’Agenzia del Demanio, sarà nominata super commissario per il Mose. La ministra delle Infrastrutture parlando a Circo Massimo su Radio Capital, ha spiegato anche che sul Mose: «Ci sono stati forti rallentamenti sul progetto che oggi però è compiuto al 93%. Mancano gli ultimi 400 milioni. Sono stati appostati dal governo, non sono fermi per motivi burocratici. Non c’è niente di fermo, i lavori stanno andando avanti». L’obiettivo è di completarlo entro il 2021: «spero però che ci siano utilizzi parziali anche prima», ha aggiunto.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ambrosini paga i guai di Astaldi e deve lasciare Finpiemonte

L'avvocato coinvolto nel suo ruolo di commissario giudiziale nelle indagini sulla procedura di concordato preventivo del colosso delle costruzioni è stato messo alla porta da Cirio. Che per la presidenza della finanziaria regionale pensa a Ravanelli.

Costa caro a Torino l’essere finita sotto inchiesta a Roma. Parliamo di Stefano Ambrosini, il professionista piemontese che è stato coinvolto con l’accusa di corruzione, nel suo ruolo di commissario giudiziale del gruppo Astaldi, nelle indagini relative alla procedura di concordato preventivo della grande impresa di costruzioni, ora in procinto di essere salvata da Cdp nell’ambito del piano che la vede unirsi a Impregilo in Progetto Italia. Ambrosini sarà infatti costretto a lasciare la presidenza di Finpiemonte, la finanziaria della Regione. 

LEGGI ANCHE: Buia e Salini, la ministra De Micheli tra due fuochi

IL GOVERNATORE CIRIO STA PENSANDO A RAVANELLI

Il governatore Alberto Cirio gli ha brutalmente chiesto di farsi da parte e per accelerare le operazioni di uscita – il cda in programma alla fine della settimana prossima potrebbe essere l’occasione giusta – sta già pensando al successore. Si tratta dell’imprenditore novarese Fabio Ravanelli, attuale presidente di Confindustria Piemonte. Amministratore delegato della Mirato, azienda leader nel settore dei prodotti per l’igiene e la bellezza con marchi famosi come Intesa e Malizia, Ravanelli ha in curriculum una presenza nel cda del Banco Popolare, cosa che lo rende adatto a coniugare le esigenze delle imprese e quelle della banche, che è appunto il cup of tea di Finpiemonte, specie ora che sta smaltendo le scorie dello scandalo dei 50 milioni passati dalla Regione alla filiale Vontobel Bank per il quale tra poco inizia a Torino il processo contro l’allora presidente della finanziaria Fabrizio Gatti, di cui Ambrosini era sodale. 

IL PRIMO PESANTE STOP

Ed è proprio per colpa di un Gatti, questa volta di nome Corrado, attestatore di Astaldi accusato insieme allo stesso Ambrosini e a un altro commissario, Francesco Rocchi, per una parcella da 36 milioni di euro, che l’uomo a suo tempo scelto da Sergio Chiamparino è finito nei guai. Cinquantenne, figlio di un giudice costituzionale, avvocato rampante da 4 milioni di redditi personali annui e dalle decine di incarichi, già commissario straordinario di Alitalia e Tirrenia, e presidente di Veneto Banca per un breve periodo, per Ambrosini è arrivato un primo pesante stop.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.


Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ambrosini paga i guai di Astaldi e deve lasciare Finpiemonte

L'avvocato coinvolto nel suo ruolo di commissario giudiziale nelle indagini sulla procedura di concordato preventivo del colosso delle costruzioni è stato messo alla porta da Cirio. Che per la presidenza della finanziaria regionale pensa a Ravanelli.

Costa caro a Torino l’essere finita sotto inchiesta a Roma. Parliamo di Stefano Ambrosini, il professionista piemontese che è stato coinvolto con l’accusa di corruzione, nel suo ruolo di commissario giudiziale del gruppo Astaldi, nelle indagini relative alla procedura di concordato preventivo della grande impresa di costruzioni, ora in procinto di essere salvata da Cdp nell’ambito del piano che la vede unirsi a Impregilo in Progetto Italia. Ambrosini sarà infatti costretto a lasciare la presidenza di Finpiemonte, la finanziaria della Regione. 

LEGGI ANCHE: Buia e Salini, la ministra De Micheli tra due fuochi

IL GOVERNATORE CIRIO STA PENSANDO A RAVANELLI

Il governatore Alberto Cirio gli ha brutalmente chiesto di farsi da parte e per accelerare le operazioni di uscita – il cda in programma alla fine della settimana prossima potrebbe essere l’occasione giusta – sta già pensando al successore. Si tratta dell’imprenditore novarese Fabio Ravanelli, attuale presidente di Confindustria Piemonte. Amministratore delegato della Mirato, azienda leader nel settore dei prodotti per l’igiene e la bellezza con marchi famosi come Intesa e Malizia, Ravanelli ha in curriculum una presenza nel cda del Banco Popolare, cosa che lo rende adatto a coniugare le esigenze delle imprese e quelle della banche, che è appunto il cup of tea di Finpiemonte, specie ora che sta smaltendo le scorie dello scandalo dei 50 milioni passati dalla Regione alla filiale Vontobel Bank per il quale tra poco inizia a Torino il processo contro l’allora presidente della finanziaria Fabrizio Gatti, di cui Ambrosini era sodale. 

IL PRIMO PESANTE STOP

Ed è proprio per colpa di un Gatti, questa volta di nome Corrado, attestatore di Astaldi accusato insieme allo stesso Ambrosini e a un altro commissario, Francesco Rocchi, per una parcella da 36 milioni di euro, che l’uomo a suo tempo scelto da Sergio Chiamparino è finito nei guai. Cinquantenne, figlio di un giudice costituzionale, avvocato rampante da 4 milioni di redditi personali annui e dalle decine di incarichi, già commissario straordinario di Alitalia e Tirrenia, e presidente di Veneto Banca per un breve periodo, per Ambrosini è arrivato un primo pesante stop.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.


Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Come funziona Facebook Pay, il nuovo servizio per i pagamenti digitali

Mark Zuckerberg entra ufficialmente nel mondo dei pagamenti digitali con Facebook Pay, il nuovo servizio destinato agli utenti che usano..

Mark Zuckerberg entra ufficialmente nel mondo dei pagamenti digitali con Facebook Pay, il nuovo servizio destinato agli utenti che usano Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp e che promette «un’esperienza di pagamento comoda, sicura e coerente» tra tutte le applicazioni.

DEBUTTO NEGLI STATI UNITI, POI NEGLI ALTRI PAESI

Facebook Pay debutterà questa settimana negli Stati Uniti, per poi diffondersi in altri Paesi. Potrà essere utilizzato per fare acquisti, effettuare donazioni o trasferire denaro.

CIRCUITO DISTINTO DA LIBRA

La società spiega che Facebook Pay «si basa su infrastrutture finanziarie e su partnership già esistenti ed è separato dal portafoglio Calibra, che si appoggerà al network Libra», la moneta elettronica che Facebook si prepara a introdurre. Pay supporterà la maggior parte delle principali carte di credito e carte di debito e anche PayPal.

DATI «ARCHIVIATI E CRITTOGRAFATI IN MODO SICURO»

Ma come funziona Facebook Pay? Per utilizzarlo bisognerà aggiungere un metodo di pagamento tra le impostazioni dell’applicazione, oppure sceglierlo nel momento in cui si decide di fare una delle operazioni consentite. Deborah Liu, vice presidente Marketplace and Commerce di Facebook, assicura che le coordinate delle carte e dei conti correnti bancari verranno archiviati e crittografati in modo sicuro: «Gli utenti già usano i pagamenti sulle nostre app per fare acquisti, donazioni oppure mandare denaro. Facebook Pay renderà più semplici queste transazioni, continuando a mantenere le informazioni di pagamento sicure e protette».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

1 2