Il razzismo negli stadi si combatte anche con le parole giuste

Quelli contro Balotelli sono «versi di scimmia», non «buuu». Chi li fa non è solo un «imbecille». La «goliardia» è un'altra cosa. Fare la conta di chi insulta non serve. Così come prendersela con le vittime. Piccoli accorgimenti per un racconto più efficace del fenomeno.

Gli stadi italiani sono pieni di razzisti. Diciamolo chiaramente, una volta per tutte. Anche se lo saranno un po’ meno visto che il capo ultrà dell’Hellas è stato bandito fino al 2030. Il campionato è appena iniziato e gli episodi già si moltiplicano. È successo a Verona, Bergamo, Cagliari, Roma. Praticamente ogni domenica. Il 3 novembre è esploso il caso Mario Balotelli. Con strascichi di polemica e i consiglieri comunali di Verona che vogliono denunciarlo per aver diffamato la città. Ci si ritrova sempre a discuterne dividendosi, cercando alibi e scuse, e spesso usando termini sbagliati anche sui giornali. Perché il racconto di un fenomeno è fondamentale per la sua percezione, e comunicare bene un problema è spesso il primo passo per risolverlo. Ecco allora alcune cose che bisognerebbe fare quando si parla di razzismo negli stadi.

CHIAMIAMOLI VERSI DI SCIMMIA, NON BUUU

Non sono fischi, non sono buuu, non sono nemmeno ululati. Sono versi di scimmia e definirli appropriatamente non è affatto secondario, perché il loro contenuto razzista sta proprio in ciò che rappresentano. L’accostamento dei neri alle scimmie è da sempre uno dei mezzi retorici più utilizzati per asserirne l’inferiorità, negando loro umanità e riducendoli a un ambito bestiale. Cominciamo a chiamarli «versi di scimmia» e già una buona parte dell’equivoco verrà risolto.

EVITARE IL CONFRONTO COI FISCHI AI BIANCHI

Non se ne può più di sentire frasi come: «L’hanno fatto anche a quel giocatore bianco» o per dirla come il presidente della Lazio Claudio Lotito, «anche a quelli con la pelle normale». Ammesso anche che sia vero, fare il verso della scimmia a un bianco non è uguale a farlo un nero, e questo per il semplice fatto che i bianchi non sono mai stati accostati alle scimmie per denigrarne le qualità. Inutile e dannoso anche sostenere che se fosse vero razzismo colpirebbe anche i giocatori della squadra sostenuta dalla tifoseria razzista di turno. Il razzismo non deve per forza essere democratico per essere tale.

PARLARE DI RAZZISTI, NON DI IMBECILLI

Non sono imbecilli, sono razzisti. Le due cose vanno quasi sempre e braccetto, è vero, ma la scelta semantica di un termine invece dell’altro è un fatto politico che tende a negare l’esistenza del problema. Il razzismo esiste, a volte è consapevole altre volte meno. In ogni caso sembra esprimersi e dar sfogo in determinati contesti sociali.

NON DEFINIRLA GOLIARDIA

Non importa nemmeno l’intenzione con cui l’insulto viene fatto. Fosse anche solo «per infastidire l’avversario», ricorrere al razzismo e farlo sentire inferiore per via del colore della sua pelle è inaccettabile. C’è una lunga storia di disumanizzazione, tratta, schiavitù e privazione di diritti a motivare l’inaccettabilità di un coro razzista. E non c’è niente di goliardico nel razzismo, con buona pace di Luca Castellini, capo ultrà dell’Hellas Verona.

EVITARE L’INUTILE E DANNOSA CONTA

Quante volte si sentono frasi come «erano solo quattro gatti» o «i soliti 10 imbecilli». Come se il numero contasse davvero qualcosa. È lapalissiano che se a ricorrere all’insulto razzista fosse uno stadio intero la situazione sarebbe ancora più grave, ma sminuire l’impatto numerico del fatto ha come effetto quello di individualizzare il problema dimenticandone la natura socio-culturale. Il problema non sono solo i «quattro gatti» o «10 imbecilli» che fanno il verso della scimmia in Curva, ma anche tutti quelli che ne sminuiscono le azioni parlando di goliardia o di intento provocatorio.

SMETTERLA COL VICTIM BLAMING

«Eh, però Mario Balotelli lo conosciamo». «Ma Moise Kean ha provocato la Curva». «Sulley Muntari ha passato tutta la partita a picchiare». Sono solo alcune delle frasi a cui spesso si ricorre per giustificare l’insulto razzista. In un insopportabile ribaltamento della responsabilità, la colpa finisce per ricadere sempre sul giocatore. Che, beninteso, può benissimo avere atteggiamenti poco educati e fastidiosi per il pubblico, ma non per questo merita di ricevere un insulto razzista che non colpisce solo lui individualmente, ma chiunque abbia il suo stesso colore di pelle.

NON DARE VOCE A QUESTI SOGGETTI

Di tutte le cose, forse la più importante da fare è non dare voce ai razzisti. Dell’intervista di Radio Café al capo ultrà dell’Hellas Verona non se ne sentiva il bisogno. Cosa ci aspettavamo dal leader di una tifoseria tradizionalmente legata all’estrema destra e che in un passato non troppo remoto usava impiccare fantocci in Curva per manifestare il proprio dissenso all’ingaggio da parte del club di un giocatore nero? Così Castellini, iscritto a Forza Nuova, ha potuto portare fuori dallo stadio il vecchio e stantio slogan per cui «non ci sono ne*ri italiani», sostenendo davanti a un microfono che Balotelli non potrà mai essere considerato del tutto un suo connazionale.

ESALTARE IL PESCARA, CRITICARE IL VERONA

Ora, davanti a episodi del genere, una società può reagire in due modi: prendere le distanze dai propri tifosi razzisti o fingere che non siano razzisti. Il Pescara ha scelto la prima strada, cacciando via social un suo ormai “ex sostenitore” iscritto a CasaPound che si lamentava per le prese di posizione antirazziste del club.

Il Cagliari, dopo un primo tentativo di negare il problema in occasione della sfida alla Juventus e degli insulti a Kean nella stagione 2018-2019, ne ha preso atto e ha firmato un comunicato in cui definiva «sparuti ma non meno deprecabili» quelli rivolti a Romelu Lukaku nella partita con l’Inter di fine agosto. Il Verona ha scelto invece una strada diametralmente opposta, negando ogni insulto razzista prima per bocca del suo allenatore Ivan Juric («nessun razzismo, solo sfottò»), poi col presidente Maurizio Setti («nessun coro, Verona non è razzista»). Esaltiamo i primi, critichiamo i secondi. Sempre.

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