Siamo realisti: l’Arabia Saudita è un interlocutore necessario

Ombre e atrocità pesano su Riad. Ma quando si parla di interessi economici, commerciali e finanziari serve lucidità. E con MbS bisognerà fare i conti ancora a lungo.

L’Arabia Saudita è tornata a far parlare di sé. E questa volta non per l’orrendo omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato di Istanbul e la sparizione del cadavere o per la sconcertante andamento della guerra condotta in Yemen, peraltro più nota per le vittime civili che per le sue ragioni di merito. O ancora per il tasso di assolutismo che continua a contraddistinguere il regime degli Al Saud; o per l’attacco subìto ai suoi siti petroliferi che taluni hanno letto più come l’evidenza di una colpevole fragilità che una violenza terroristica da condannare. Ed è tornato a far parlare di sé il giovane principe ereditario, Mohammed bin Salman, chiamato Mbs, al quale si addebitano le responsabilità di fondo di tutto ciò che è avvenuto, nel bene e nel male – più nel male naturalmente – dal giugno del 2017, da quando cioè è stato nominato in rapida successione vice-primo ministro e ministro della Difesa, presidente del Consiglio per gli Affari economici e titolare di altri settori del Paese, in avanti.

TUTTI IN FILA PER LA “DAVOS DEL DESERTO”

L’Arabia Saudita è tornata a far parlare di sé per due ragioni principali. Innanzi tutto per la terza edizione del Forum finanziario organizzato dal Fondo saudita per l’investimento (Pif), la cosiddetta “Davos del deserto”. Boicottata nel 2018 proprio in conseguenza dell’omicidio Khashoggi ha visto quest’anno il ritorno massiccio di presidenti, primi ministri e uomini d’affari: 6 mila persone da oltre 30 Paesi. Una folta rappresentanza occidentale che andava dagli Usa con i ministri del Tesoro Mnuchin e dell’Energia Rick Perry, l’ex premier britannico David Cameron, gli ex primi ministri François Fillon, Kevin Rudd e il nostro Matteo Renzi. Una non meno cospicua rappresentanza finanziaria che ha compreso, tra gli altri Hsbc, Blackstone, Blackrock e Credit Suisse come ha ben ricordato il Guardian.

LE CRITICHE AL VIAGGIO DI RENZI

La partecipazione di Renzi è stata criticata. Da alcuni per la bizzarra identificazione di quella conferenza con un incontro di produttori di armi; da altri per le nefandezze o comunque per gli errori di quel regime, dimenticando la storia dei robusti e trasversali rapporti che l’Italia ha sviluppato con l’Arabia Saudita dal 1932 in avanti, e non certo per una altrimenti colpevole sottovalutazione delle differenze esistenti tra i due Paesi, principalmente in materia di natura di regime e di rispetto dei diritti umani. Differenze oggi forse un po’ meno marcate che nei decenni precedenti e che in ogni caso sono rilevabili in misura anche maggiore in altri Paesi, a cominciare dalla Cina, con i quali coltiviamo realisticamente relazioni a tutto campo. Ma tant’è, con buona pace delle prospettive che si stanno aprendo con non poche difficoltà, peraltro comprensibili, con il progetto, a dir poco avveniristico di Neom, consistente nella creazione di un’area economica del futuro nel Nord Ovest del Paese stimata in un costo di oltre 500 miliardi di dollari.

L’OPERAZIONE ARAMCO E LA STRADA VERSO VISION 2030

La seconda ragione per la quale si è riparlato e si riparla dell’Arabia Saudita e di Mbs è la gigantesca operazione finanziaria dell’entrata in Borsa dell’Aramco, la struttura petrolifera e del gas più ricca e redditizia del mondo, valutata in circa 1,5 trilioni di dollari. Più volte rinviata per ragioni che si nascondono nella nebbia decisionale della Casa reale, essa viene ora calendarizzata e ne risulta confermato la finalità di riversarne la parte in offerta, che dovrebbe oscillare tra l’1% e il 2%, tra i 20 e i 30 miliardi di dollari, nel già ricordato Pif, il Fondo sovrano saudita per finanziare l’ambizioso programma di progressiva emancipazione dal petrolio. Emancipazione che costituisce il perno della cosiddetta Vision 2030, un programma lanciato a metà del 2016 e che disegna un orizzonte di modernizzazione a tutto campo: dall’identità nazionale alla cultura, dall’occupazione al benessere sociale, dall’apertura al mondo intero, alla diversificazione economica, all’efficienza burocratica, allo sviluppo tecnologico, al riscatto della donna. Insomma, un orizzonte tanto visionario quanto impegnativo da far tremare le vene e i polsi in un Paese dalle profonde caratteristiche tribal-conservatrici come l’Arabia Saudita.

Penso che si possa dare atto alla Casa reale di aver mantenuto in qualche modo la rotta e di averla integrata con proiezioni innovative

In effetti, a distanza di meno di tre anni, i primi passi compiuti nella direzione della Vision 2030, decisamente i più faticosi, sono stati marcati da errori e incertezze e da ostacoli imprevisti come quelli sopra ricordati. Penso tuttavia che si possa dare atto a quella Casa reale, e al binomio re-principe ereditario in particolare, di aver mantenuto in qualche modo la rotta e di averla integrata con proiezioni innovative in materia di politica regionale e internazionale, dalla Siria all’Iraq passando per il Libano e la Giordania, dalla Cina alla Russia con la quale ha collaborato alla formazione della quota del Comitato costituente assegnata all’opposizione siriana oltre che nella stabilizzazione del mercato energetico.

LA MACCHIA DELLA GUERRA IN YEMEN

Lo Yemen continua a rappresentare un’insopportabile palude di sangue, ma le responsabilità della controparte non sono trascurabili; la contrapposizione con l’Iran si è mossa al seguito della pressione sanzionatoria americana, ma sono affiorati anche segnali di disponibilità a propiziare un abbassamento della tensione mentre la stessa Unione europea sta maturando non poche riserve in merito alla sua politica regionale. Mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sta suscitando crescenti perplessità per la sua disinvolta aggressività e la mancanza di scrupoli in materia di partenariato e/o di alleanze.

CI SONO MOMENTI IN CUI LE OSTILITÀ VANNO MESSE DA PARTE

Dico questo in estrema sintesi per sottolineare come in fondo il regime di questo Paese in cui tutto, anche e soprattutto il cosiddetto empowerment delle donne, deve discendere dal vertice e non dal basso, come avveniva tempo addietro anche nei nostri regimi assolutistici, riceva da parte dell’opinione pubblica internazionale un fondato giudizio critico. Ma esso dovrebbe essere mediato non solo dalla consapevolezza e dal rispetto dei vincoli storici e culturali di quel Paese, ma anche dalla disponibilità a mettere da parte riserve e ostilità quando la parola passa sul terreno degli interessi economici, commerciali e finanziari. Di quelli grandi, ma anche di quelli medi e piccoli, come ci dicono i negozi e gli stessi supermercati di Gedda, di Dharhan o di Riad. E l’Arabia Saudita è un interlocutore necessario e non solo per la stabilità del Medio Oriente. Lo è anche per i nostri interessi. Mohammed bis Salman ha solo 34 anni e dunque un prevedibile lungo regno. Tenerne conto è solo segno di realismo politico, tanto più nell’attuale contesto, regionale e internazionale, nel quale i leader democratici e disposti a co-interessenze tutt’altro che trascurabili non abbondano.

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