L’ultimatum di Conte dietro l’incontro coi i vertici di ArcelorMittal

Lakshmi e Aditya Mittal al tavolo coi ministri Patuanelli e Gualtieri e il premier. Che avverte: «Rispettate gli impegni o sarà battaglia». Mentre l'inchiesta milanese svela il piano dell'azienda per fermare l'Ilva.

Nella tarda serata del 22 novembre l’improvvisata conferenza stampa di Conte e dei ministri Gualtieri e Patuanelli chiude una giornata di alta tensione intorno ai destini dell’Ilva. Il risultato è una momentanea tregua: l’esecutivo ferma temporaneamente l’azione giudiziaria intentata ai padroni dell’Ilva, e in cambio l’azienda si impegna a non spegnere gli altiforni, ovvero a continuare la normale attività produttiva.

Poche ore prima, il premier Giuseppe Conte aveva incontrato Lakshmi e Aditya Mittal, padre e figlio, i vertici del gruppo ArcelorMittal. Al suo fianco i ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli. L’obiettivo: capire se si può trattare o no, per poi entrare nel vivo del negoziato. A riunione in corso, si è aggiunta anche l’ad di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli. Mittal s’è seduta al tavolo dopo aver inviato segnali di apertura. Il premier ha posto agli indiani un aut aut preciso: «O garantite la possibilità di rispettare gli impegni contrattuali o reagiremo adeguatamente alla battaglia giudiziaria che voi avete voluto». E ancora: «Non possiamo accettare un disimpegno dagli impegni contrattuali», ha detto Conte prima di mettersi al tavolo. Ciò vuol dire che il negoziato del governo si svilupperà se ci sarà da parte di ArcelorMittal la sospensione del procedimento per la revoca avviato in tribunale.

Il 27 novembre è in programma a Milano un’udienza per decidere del ricorso presentato dal governo contro quella revoca. Un documento delle parti potrebbe chiedere altro tempo e sospendere la via giudiziaria per lasciare spazio ai tavoli, anche con i sindacati. Ma il tavolo serale a Palazzo Chigi potrebbe essere solo il primo di una serie di incontri e contatti da portare avanti nel weekend, per dare il 25 novembre un segnale anche ai mercati. Appare poco chiaro fin dove si spinga la disponibilità di Mittal, tant’è che più fonti governative invitano alla prudenza. Il sospetto che la multinazionale voglia andar via non è ancora archiviato. Anzi. Se così sarà, l’esecutivo è pronto a mettere subito in campo il “piano B“, con la nomina di un commissario e una nazionalizzazione ponte mentre si cerca una nuova cordata, da affiancare alla “battaglia giudiziaria del secolo” per avere dall’azienda un risarcimento miliardario.

LE CONDIZIONI DEL GOVERNO SULL’ILVA

Se invece si tratterà, il punto di partenza per l’esecutivo è che Mittal ritiri la richiesta di 5 mila esuberi e assicuri la prosecuzione di una produzione a regime, con l’impegno ad andare avanti nelle bonifiche e nel risanamento ambientale. L’esecutivo è pronto a far fronte a una contrazione temporanea della produzione determinata dal mercato e a garantire ammortizzatori sociali per un massimo di 2.500 esuberi (ma secondo alcune fonti si potrebbe arrivare a 3 mila). In più ci sarebbe un decreto per lo scudo penale, uno sconto sugli affitti degli impianti e sulle bonifiche e, in prospettiva, un piano che punti alla decarbonizzazione. Il governo non può dare garanzie, come chiede l’azienda, sull’Altoforno 2, ma i commissari hanno già chiesto alla procura di Taranto più tempo per la messa in sicurezza. A fare da corollario ci sarebbe poi la possibilità di un intervento di Cdp (ma non nell’azionariato con Mittal), un più forte impegno di Intesa e risorse di aziende a partecipazione pubblica come Terna in progetti per Taranto.

LE TESTIMONIANZE DEI DIRIGENTI NELL’INCHIESTA MILANO

Un Consiglio dei ministri straordinario potrebbe essere convocato per il “cantiere Taranto”, il pacchetto di misure (alcune potrebbero entrare in manovra) del governo per la città e a sostegno dell’occupazione (si valuta un decreto ma potrebbe essere un disegno di legge). A indurre il governo a tenere fino all’ultimo la guardia alta con Mittal ci sono comunque le notizie che arrivano dal fronte giudiziario. Dalle testimonianze dei dirigenti nell’inchiesta milanese, emerge che è stato «cancellato l’approvvigionamento delle materie prime» e che «già a settembre Morselli dichiarava che la società aveva esaurito la finanza» per l’operazione.

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Al congresso Cdu rivince Akk con la linea di centro (per ora)

L'erede di Merkel confermata alla presidenza del primo partito di Germania. L'avversario interno Merz in ritirata in attesa della corsa per la cancelleria.

L’erede di Angela Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha riconquistato la sua Cdu. A Lipsia, in Sassonia la leader dei cristiano-democratici si è spinta a mettere in discussione il mandato, chiedendo una posizione chiara al congresso.

MERZ IN RITIRATA IN ATTESA DELLE POLITICHE

«Vi ho illustrato la strada che propongo», ha detto dopo un’ora e 20 di intervento – se ritenete che questa, che vorrei percorrere con voi, non sia quella giusta, allora parliamone oggi. E chiudiamola qui, adesso». Altrimenti «rimbocchiamoci le maniche». Il risultato è stato un’ovazione di sette minuti. Angela Merkel le ha lasciato tutto lo spazio. E l’avversario, Friedrich Merz, vistosamente è arretrato: nella replica che tutti attendevano, molti in apnea, si è limitato a chiarire che la decisione sulla candidatura a cancelliere andrà presa fra un anno, assicurando “lealtà” alla presidente del partito, che lo ha battuto un anno fa ad Amburgo.

«Sono state fatte cose buone in questi 14 anni, di cui possiamo andare fieri», secondo Akk. Ovviamente sono stati commessi anche degli errori, ma demolire tutto ciò che è stato realizzato «non è una buona strategia elettorale». Poi un lungo elenco sulle incognite future: potrebbe accadere che la Germania non avrà più il ruolo di oggi, che dipenderà da altri, che i giovani lasceranno il paese, «se non faremo le scelte giuste», ha detto. Ma non è questo il Paese sognato da Akk, che coniuga il verbo del comando, passando dal «vorrei» al «voglio»”.

Nel discorso ci sono le «biografie spezzate» della Ddr, che spiegano le difficoltà di capire i Laender dell’Est di oggi, dove Afd spopola, come accade nella Sassonia scelta per questo incontro. Parla a lungo dei bambini, che hanno diritto al tempo dei loro genitori: più home-office per tutti, l’infanzia è più serena se i genitori lo sono. Cita gli anziani da assistere, in una vita il più dignitosa possibile. Dà una stoccata ai verdi: «all’industria serve l’energia e questa deve essere pagabile». Ma la sostenibilità, rivendica, è profondamente ancorata in quella ‘C’ che gli attivisti di Greenpeace hanno rubato ieri dal logo della sede del partito. «Non è un’invenzione degli ambientalisti», insomma. C’è un ritorno sulla proposta sulla Siria, che l’ha messa fuori gioco qualche settimana fa: «Non basta dire che sia tutto terribile» e poi non si fa nulla. La Germania deve essere solidale e fare la sua parte. Nettissima è stata infine la distanza da chi, nel partito, vorrebbe allearsi con l’ultradestra: «Con chi dice che il nazionalsocialismo sia stato una cacca di uccello non abbiamo nulla a che fare», dice ripetendo la trovata del leader di Afd, Alexander Gauland. E alla Werteunion, corrente di destra che suggerisce un’alleanza con loro, ribatte: «L’Unione è una sola, con i nostri valori di centro». Il messaggio funziona. «Rivolta disdetta», scrive la Faz. Uno a zero, ha vinto AKK, per la Bild on line. E dunque resta al comando, almeno per ora.

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Il vertice di governo non scioglie il rebus sul fondo salva-Stati

Il M5s prende le distanze: «Non vogliamo una riforma che stritoli il Paese». E il premier Conte si scontra con la Lega. L'Italia dovrà prendere ufficialmente posizione al prossimo Eurogruppo.

Due ore attorno al tavolo per certificare, di fatto, come sul fondo salva-Stati il governo sia ancora diviso. Il vertice che si è svolto a Palazzo Chigi il 22 novembre non ha risolto il nodo del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), che si aggroviglia ulteriormente a pochi giorni dall’Eurogruppo del 4 dicembre, quando l’Italia sarà chiamata a chiarire la sua posizione.

È un nodo che rischia di ingigantirsi e di complicare i rapporti non solo tra Pd e M5s, ma anche tra Roma e Bruxelles. E, non a caso, il premier Giuseppe Conte è costretto a rimettere i panni del mediatore, dispensando assicurazioni: «L’Italia non rischia mai l’isolamento, c’è stato un confronto positivo».

L’atmosfera del vertice, secondo fonti della maggioranza, è stata costruttiva. Ma il M5s, con la sponda di Liberi e uguali, ha voluto mettersi di traverso. Mentre il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri si è fatto portavoce dell’ala favorevole all riforma del Meccanismo. La logica del pacchetto, invocata già a giugno da Conte – ovvero accompagnare alla revisione del Mes la creazione di uno strumento di Bilancio per la competitività e la convergenza nell’Eurozona (Bicc) e l’approfondimento dell’Unione bancaria con la garanzia dei depositi (Edis) – per il titolare del Tesoro sarebbe sostanzialmente rispettata, visto che è stata messa in campo una roadmap. Ma il percorso su questi fronti, rispetto alla riforma del Mes, è in evidente ritardo.

LEGGI ANCHE: Cos’è il Mes e perché Salvini e Meloni attaccano il governo

IL M5S SI OPPONE ALLA RIFORMA

Ad ascoltare Gualtieri c’erano anche i rappresentanti di M5s, Liberi e uguali e Italia viva, oltre che del Pd. E Di Maio non ha nascosto la sua linea divergente, spiegando la necessità di ulteriori approfondimenti: «Non vogliamo una riforma che stritoli il Paese», ha detto il leader pentastellato, negando qualsiasi battibecco con il ministro dell’Economia. La linea Di Maio, di fatto, è quella della gran parte dei gruppi pentastellati. All’assemblea congiunta degli eletti, in programma mercoledì 27 novembre, si parlerà anche di questo.

MOSCOVICI INCORAGGIA IL GOVERNO

Il Mes è stato anche al centro degli incontri che il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha avuto a Roma con Conte e con Gualtieri. «Nessuno vuole mettere l’Italia sotto tutela», ha detto il francese, «il governo italiano sa ciò che va fatto».

LA LEGA ATTACCA CONTE

Opposto il punto di vista del leader della Lega, Matteo Salvini: «Non vorrei che Conte avesse venduto la nostra sovranità per tenersi la poltrona. Se fosse andata così, allora saremmo di fronte ad alto tradimento». Parole che hanno irritato non poco Palazzo Chigi: «L’isolamento lo si rischia quando si sparano slogan contro il mondo e non ci si siede ai tavoli». La Lega, però, non molla. E con Claudio Borghi rilancia: «Lo sa Conte che il M5s è per la liquidazione del trattato?».

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Le Sardine invadono Palermo: migliaia di persone in piazza

In 4 mila al grido di «Populisti, la festa è finita». Tra i manifestanti anche il sindaco Orlando.

Una piazza piena, non solo di giovani, e un messaggio ripetuto: «Populisti, la festa è finita». Lo grida, davanti al teatro Massimo a oltre 4 mila persone, Chiara Puccio, una delle sardine sbarcate a Palermo. Questo è l’esordio del movimento in Sicilia che dice basta alla comunicazione politica aggressiva. «Avete rovesciato odio e bugie, mescolando verità e menzogne», incalza Chiara. «Ma ora la corda, troppo tesa, si è spezzata. Non c’è bisogno che venite a liberarci. Siamo noi a doverci liberare della vostra presenza ossessiva». La piazza applaude. Una ragazza alza un cartello che sul filo dell’ironia proclama: «Sarda si nasce e io siculamente lo nacqui». Il movimento non caccia indietro la politica ma con Leandro Spilla attacca quella che in tivù espone il suo volto peggiore della rissa e dello scontro. «Noi reclamiamo la politica del confronto vero e dei valori. E siamo qui per dire che consideriamo la diversità una ricchezza. Finora c’è stata una narrazione aggressiva. Invece abbiamo bisogno di una politica che sappia prima di tutto ascoltare le ragioni degli altri».

IN PIAZZA SULLE NOTE DI BELLA CIAO

Davanti alla scalinata del teatro si stringono giovani, signore, professionisti, studenti. Gli organizzatori parlano di quasi 10 mila manifestanti. Di certo la piazza davanti al Teatro Massimo è gremita di persone. Confusi tra la folla anche il sindaco Leoluca Orlando e il suo vice Fabio Giambrone; la mattina del 22 novembre l’amministrazione comunale aveva annunciato la propria adesione. Ma i promotori, anche a Palermo, hanno voluto tenere fuori simboli di partito. Si vede solo qualche piccola bandiera arcobaleno, molte sardine disegnate. Uno alza la voce: «Siamo tanti, siamo più forti di loro». Dopo l’attacco ai populisti, dal megafono gracchiante Chiara Puccio mette sotto accusa i social, strumento della «comunicazione vuota» e pieni di insulti. «Avete distrutto la vita delle persone, ci avete intimidito, ma ora ci siamo svegliati». Da qui l’invito che scalda le sardine: «Usciamo dai social, ritroviamoci nelle piazze». E alla fine tutti a cantare Bella ciao. Senza coordinamento musicale ma con tanto ardore.

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Sette anni e mezzo ai due italiani condannati per stupro a Londra

Ferdinando Orlando e Lorenzo Costanzo erano già stati ritenuti colpevoli della violenza commessa in una discoteca di Soho.

I due giovani italiani Ferdinando Orlando e Lorenzo Costanzo, già riconosciuti colpevoli a Londra dello stupro di una ragazza avvenuto il 26 febbraio 2017 in una discoteca di Soho, dovranno fare sette anni e mezzo di carcere ciascuno. Nel verdetto emesso il 15 ottobre scorso il giudice della Isleworth Crown Court di Londra si era riservato di rendere nota in seguito la durata del periodo di detenzione, come avviene nel Common Law anglosassone.

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L’incriminazione di Netanyahu aggrava la crisi in Israele

Tempi bui anche per il capo di Stato Rivlin. Né Bibi né l’avversario Gantz sono in grado di formare un governo. Così il premier accusato di tre reati resta in sella. Fino al voto anticipato di aprile. E forse anche dopo.

Un nuovo primato aggrava la peggiore crisi politica di Israele. Come era nell’aria, Benjamin “Bibi” Netanyahu, a 70 anni il più longevo primo ministro israeliano, è anche il primo premier incriminato durante il mandato. Nell’anno del record del bis delle Legislative, che dall’aprile del 2019 è probabile diventeranno un ter, a marzo 2020. «Giorni duri, cupi negli annali della storia di Israele», anche per il capo di Stato Reuven Rivlin che in questi frangenti dovrebbe essere una roccia. L’annuncio dell’incriminazione del leader del Likud Netanyahu, per bocca del procuratore generale Avichai Mandelblit, è piovuto all’indomani del fallimento del capo dellopposizione Benny Gantz nel tentare di formare un governo. Era stato incaricato da Rivlin, dopo il premier, ma anche il generale della coalizione Blu e Bianco ha dovuto rimettere il mandato. Dal voto anticipato di settembre è impossibile formare un esecutivo. Entro metà dicembre spetta al parlamento della Knesset proporre un candidato premier che raccolga un’improbabile maggioranza. 

LA CORSA ALL’IMMUNITÀ

Altrimenti, e sarà così, si tornerà al voto anticipato entro tre mesi. Netanyahu non sembra aver intenzione di mollare. Ha tenuto botta in tre anni di indagini, con la moglie Sara incriminata e poi condannata per appropriazione di fondi pubblici. Restare primo ministro è l’unica arma per far approvare alla Knesset leggi ad personam che gli risparmino il carcere (e può intanto attivare la procedura per l’immunità da parlamentare). In Israele un premier è tenuto a dimettersi solo alla condanna definitiva in terzo grado, per la quale occorreranno anni. Anche se certo per “Bibi” non è politicamente opportuno insistere: l’opinione pubblica è sensibile ai procedimenti giudiziari. E il Likud – con consensi in calo e dei fuoriusciti – è rimasto leale al leader. Ma il tentativo del governo Netanyahu di far passare una nuova legge sull’immunità, dopo il penultimo voto ad aprile, fece storcere il naso anche a parte dei conservatori. E fu subito abbandonato.

Israele Netanyahu incriminazione crisi Gantz
Il procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit. GETTY.

LA PALUDE DI NETANYAHU E GANTZ

Grazie alla «caccia alle streghe» lamentata da Netanyahu, Gantz e l’alleato Yair Lapid drenano voti verso il cartello centrista partorito meno di un anno fa. La loro campagna era centrata sulle indagini contro Netanyahu per corruzione, frode e abuso d’ufficio, non sul conflitto con la Palestina. Sulla guerra a Netanyahu si era compattata anche la Lista unita degli arabi israeliani. Ma, come il Likud, Gantz e gli altri non hanno una maggioranza sufficiente per governare, non ancora almeno. E per molto: anche i sondaggi di novembre danno un quadro sostanzialmente invariato dalla scorsa primavera. Blu e Bianco (33) ha scavalcato il Likud (32), ma di appena un seggio: e per Gantz, senza il blocco di sostegno della destra estrema e religiosa, raggiungere gli indispensabili 61 seggi è ancora più dura che per Netanyahu. Lista araba e l’ultranazionalista sionista Avigdor Lieberman , l’ex ministro della Difesa killer di “Bibi”, sono incompatibili.

Netanyahu è accusato di aver elargito per anni incentivi dal ministero delle Telecomunicazioni per un valore di oltre 250 milioni di dollari

LE MANOVRE CON I TYCOON

La via d’uscita alla palude esiste: è un governo di grande coalizione tra Blu e Bianco e Likud. Impossibile però senza la testa di “Bibi”. A rigor di logica con l’incriminazione i tempi dovrebbero essere maturi: Mandelblit l’ha disposta per tutti i capi di accusa esaminati («un tentato colpo di Stato» per Netanyahu) e i reati contestati sono particolarmente odiosi. In particolare la corruzione del caso 4000 è infamante: Netanyahu è accusato di aver elargito per anni incentivi dal ministero delle Telecomunicazioni per un valore di oltre 250 milioni di dollari. Verso l’azienda telefonica Bezeq proprietaria anche di un sito web di news, in cambio di una copertura di notizie favorevole. La stessa manovra sarebbe stata intavolata – ma non realizzata – con il tycoon della free press Aron Mozes: non attraverso un’offerta di finanziamenti ma di modifiche legislative favorevoli. Per le quali il premier israeliano è accusato di abuso d’ufficio nel caso 2000

Israele Netanyahu incriminazione crisi Gantz
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu (Likud). GETTY.

BIBI RISCHIA FINO A 13 ANNI 

La frode riguarda invece il caso 1000 e, nello stile, è più simile allo scandalo della moglie Sara che faceva la bella vita a spese dello Stato. Gli indizi portano la procura generale a pensare che il premier israeliano (in carica dal 2009 e già primo ministro tra il 1996 e il 1999) abbia ricevuto regalie per quasi 200 mila dollari tra sigari, gioielli e champagne: «La sua catena di fornitori», ha precisato Mandelblit. Miliardari, nel caso di “Bibi”, incluso il produttore di Pretty Woman di origine israeliana Arnon Milchan, in cambio di visti d’ingresso e altri favori. Se condannato, il leader del Likud potrebbe scontare fino a 10 anni per corruzione e un massimo di tre anni per la frode e l’abuso di potere. Come Lieberman i flop elettorali, il procuratore generale designato proprio da Netanyahu aspettava da tempo questo momento: ha comunicato le incriminazioni di fronte alle telecamere, annunciò di scavare sui casi un mese prima del voto del 9 aprile.

L’interesse pubblico ci richiede di vivere in un Paese dove nessuno è al di sopra della legge

Avichai Mandelblit

IL LIMBO DELL’INTERIM

Mandelblit è uno dei nemici di Netanyahu, da tempo si è distaccato dal premier sempre più spregiudicato non soltanto politicamente. «L’interesse pubblico», ha chiosato, «ci richiede di vivere in un Paese dove nessuno è al di sopra della legge». Per i laburisti le 63 pagine della superprocura sul premier sono «la più grave incriminazione contro un funzionario eletto nella storia di Israele». Un «giorno triste» anche per Gantz e i suoi: Blu e Bianco ha postato il video di 11 anni fa di Netanyahu di condanna contro l’allora primo ministro Ehud Olmert (nel Likud e poi in Kadima) accusato all’epoca di corruzione. Olmert si dimise, prima del verdetto e dei 16 mesi di carcere, e fu rimpiazzato proprio da “Bibi”. Ma per il successore potrebbe andare diversamente. Le tappe verso un vero governo sono una via crucis per i cittadini israeliani. Ma l’interim in mano a Netanyahu dalla crisi di fine 2018 è un limbo perfetto per restare in sella, nonostante tutto.

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L’incriminazione di Netanyahu aggrava la crisi in Israele

Tempi bui anche per il capo di Stato Rivlin. Né Bibi né l’avversario Gantz sono in grado di formare un governo. Così il premier accusato di tre reati resta in sella. Fino al voto anticipato di aprile. E forse anche dopo.

Un nuovo primato aggrava la peggiore crisi politica di Israele. Come era nell’aria, Benjamin “Bibi” Netanyahu, a 70 anni il più longevo primo ministro israeliano, è anche il primo premier incriminato durante il mandato. Nell’anno del record del bis delle Legislative, che dall’aprile del 2019 è probabile diventeranno un ter, a marzo 2020. «Giorni duri, cupi negli annali della storia di Israele», anche per il capo di Stato Reuven Rivlin che in questi frangenti dovrebbe essere una roccia. L’annuncio dell’incriminazione del leader del Likud Netanyahu, per bocca del procuratore generale Avichai Mandelblit, è piovuto all’indomani del fallimento del capo dellopposizione Benny Gantz nel tentare di formare un governo. Era stato incaricato da Rivlin, dopo il premier, ma anche il generale della coalizione Blu e Bianco ha dovuto rimettere il mandato. Dal voto anticipato di settembre è impossibile formare un esecutivo. Entro metà dicembre spetta al parlamento della Knesset proporre un candidato premier che raccolga un’improbabile maggioranza. 

LA CORSA ALL’IMMUNITÀ

Altrimenti, e sarà così, si tornerà al voto anticipato entro tre mesi. Netanyahu non sembra aver intenzione di mollare. Ha tenuto botta in tre anni di indagini, con la moglie Sara incriminata e poi condannata per appropriazione di fondi pubblici. Restare primo ministro è l’unica arma per far approvare alla Knesset leggi ad personam che gli risparmino il carcere (e può intanto attivare la procedura per l’immunità da parlamentare). In Israele un premier è tenuto a dimettersi solo alla condanna definitiva in terzo grado, per la quale occorreranno anni. Anche se certo per “Bibi” non è politicamente opportuno insistere: l’opinione pubblica è sensibile ai procedimenti giudiziari. E il Likud – con consensi in calo e dei fuoriusciti – è rimasto leale al leader. Ma il tentativo del governo Netanyahu di far passare una nuova legge sull’immunità, dopo il penultimo voto ad aprile, fece storcere il naso anche a parte dei conservatori. E fu subito abbandonato.

Israele Netanyahu incriminazione crisi Gantz
Il procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit. GETTY.

LA PALUDE DI NETANYAHU E GANTZ

Grazie alla «caccia alle streghe» lamentata da Netanyahu, Gantz e l’alleato Yair Lapid drenano voti verso il cartello centrista partorito meno di un anno fa. La loro campagna era centrata sulle indagini contro Netanyahu per corruzione, frode e abuso d’ufficio, non sul conflitto con la Palestina. Sulla guerra a Netanyahu si era compattata anche la Lista unita degli arabi israeliani. Ma, come il Likud, Gantz e gli altri non hanno una maggioranza sufficiente per governare, non ancora almeno. E per molto: anche i sondaggi di novembre danno un quadro sostanzialmente invariato dalla scorsa primavera. Blu e Bianco (33) ha scavalcato il Likud (32), ma di appena un seggio: e per Gantz, senza il blocco di sostegno della destra estrema e religiosa, raggiungere gli indispensabili 61 seggi è ancora più dura che per Netanyahu. Lista araba e l’ultranazionalista sionista Avigdor Lieberman , l’ex ministro della Difesa killer di “Bibi”, sono incompatibili.

Netanyahu è accusato di aver elargito per anni incentivi dal ministero delle Telecomunicazioni per un valore di oltre 250 milioni di dollari

LE MANOVRE CON I TYCOON

La via d’uscita alla palude esiste: è un governo di grande coalizione tra Blu e Bianco e Likud. Impossibile però senza la testa di “Bibi”. A rigor di logica con l’incriminazione i tempi dovrebbero essere maturi: Mandelblit l’ha disposta per tutti i capi di accusa esaminati («un tentato colpo di Stato» per Netanyahu) e i reati contestati sono particolarmente odiosi. In particolare la corruzione del caso 4000 è infamante: Netanyahu è accusato di aver elargito per anni incentivi dal ministero delle Telecomunicazioni per un valore di oltre 250 milioni di dollari. Verso l’azienda telefonica Bezeq proprietaria anche di un sito web di news, in cambio di una copertura di notizie favorevole. La stessa manovra sarebbe stata intavolata – ma non realizzata – con il tycoon della free press Aron Mozes: non attraverso un’offerta di finanziamenti ma di modifiche legislative favorevoli. Per le quali il premier israeliano è accusato di abuso d’ufficio nel caso 2000

Israele Netanyahu incriminazione crisi Gantz
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu (Likud). GETTY.

BIBI RISCHIA FINO A 13 ANNI 

La frode riguarda invece il caso 1000 e, nello stile, è più simile allo scandalo della moglie Sara che faceva la bella vita a spese dello Stato. Gli indizi portano la procura generale a pensare che il premier israeliano (in carica dal 2009 e già primo ministro tra il 1996 e il 1999) abbia ricevuto regalie per quasi 200 mila dollari tra sigari, gioielli e champagne: «La sua catena di fornitori», ha precisato Mandelblit. Miliardari, nel caso di “Bibi”, incluso il produttore di Pretty Woman di origine israeliana Arnon Milchan, in cambio di visti d’ingresso e altri favori. Se condannato, il leader del Likud potrebbe scontare fino a 10 anni per corruzione e un massimo di tre anni per la frode e l’abuso di potere. Come Lieberman i flop elettorali, il procuratore generale designato proprio da Netanyahu aspettava da tempo questo momento: ha comunicato le incriminazioni di fronte alle telecamere, annunciò di scavare sui casi un mese prima del voto del 9 aprile.

L’interesse pubblico ci richiede di vivere in un Paese dove nessuno è al di sopra della legge

Avichai Mandelblit

IL LIMBO DELL’INTERIM

Mandelblit è uno dei nemici di Netanyahu, da tempo si è distaccato dal premier sempre più spregiudicato non soltanto politicamente. «L’interesse pubblico», ha chiosato, «ci richiede di vivere in un Paese dove nessuno è al di sopra della legge». Per i laburisti le 63 pagine della superprocura sul premier sono «la più grave incriminazione contro un funzionario eletto nella storia di Israele». Un «giorno triste» anche per Gantz e i suoi: Blu e Bianco ha postato il video di 11 anni fa di Netanyahu di condanna contro l’allora primo ministro Ehud Olmert (nel Likud e poi in Kadima) accusato all’epoca di corruzione. Olmert si dimise, prima del verdetto e dei 16 mesi di carcere, e fu rimpiazzato proprio da “Bibi”. Ma per il successore potrebbe andare diversamente. Le tappe verso un vero governo sono una via crucis per i cittadini israeliani. Ma l’interim in mano a Netanyahu dalla crisi di fine 2018 è un limbo perfetto per restare in sella, nonostante tutto.

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La Consulta colma il vuoto legislativo sul suicidio assistito

Pubblicate le motivazioni della sentenza sul caso dj Fabo. Finché il parlamento non interverrà, saranno valide le stesse norme che regolano il testamento biologico. Per i medici nessun obbligo.

La Corte costituzionale ha chiarito che saranno le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale a verificare l’esistenza delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio e le relative modalità di esecuzione.

Condizioni che ricorrono quando l’aiuto è prestato a una persona tenuta in vita da idratazione e alimentazione artificiali, affetta da una patologia irreversibile fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Un organo collegiale terzo, cioè il Comitato etico territorialmente competente, garantirà la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità. Ma in ogni caso nessun obbligo di prestare l’aiuto al suicidio ricadrà sui medici. Verrà infatti affidato «alla coscienza del singolo scegliere se esaudire la richiesta del malato».

LEGGI ANCHE: Che differenza c’è tra eutanasia e suicidio assistito

LA SENTENZA SUL CASO DJ FABO

Le disposizioni sono contenute nelle motivazioni della sentenza con cui il 25 settembre la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 580 del codice penale, proprio nella parte in cui non esclude l’incriminazione di chi presta aiuto al suicidio nei casi sopra richiamati. Una sentenza nata dalla vicenda di dj Fabo e da molti considerata storica, a partire dall’Associazione Luca Coscioni, ma che una parte della politica, del mondo cattolico e dei medici aveva contestato.

LA LATITANZA DEL PARLAMENTO

I giudici costituzionali, ancora una volta, si rivolgono al parlamento affinché intervenga con una «compiuta disciplina» sul fine vita, dopo la richiesta caduta nel vuoto nel 2017, quando la Corte decise di sospendere il giudizio proprio per dare il tempo alle Camere di legiferare. Ma «in assenza di ogni determinazione da parte del parlamento», l’esigenza di garantire la legalità costituzionale «deve prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore».

LA SOLUZIONE DEI GIUDICI

Per colmare il vuoto legislativo, la Consulta ha quindi deciso di fare riferimento alle Dat, le Dichiarazioni anticipate di trattamento che regolano il testamento biologico. D’ora in poi la volontà di morire con il suicidio assistito dovrà essere documentata in forma scritta o con la video registrazione; il medico dovrà prospettare le possibili alternative e prestare ogni sostegno al paziente, anche avvalendosi dei centri di assistenza psicologica; e ci dovrà essere come pre-condizione il coinvolgimento del paziente in un percorso di cure palliative.

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La Consulta colma il vuoto legislativo sul suicidio assistito

Pubblicate le motivazioni della sentenza sul caso dj Fabo. Finché il parlamento non interverrà, saranno valide le stesse norme che regolano il testamento biologico. Per i medici nessun obbligo.

La Corte costituzionale ha chiarito che saranno le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale a verificare l’esistenza delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio e le relative modalità di esecuzione.

Condizioni che ricorrono quando l’aiuto è prestato a una persona tenuta in vita da idratazione e alimentazione artificiali, affetta da una patologia irreversibile fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Un organo collegiale terzo, cioè il Comitato etico territorialmente competente, garantirà la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità. Ma in ogni caso nessun obbligo di prestare l’aiuto al suicidio ricadrà sui medici. Verrà infatti affidato «alla coscienza del singolo scegliere se esaudire la richiesta del malato».

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LA SENTENZA SUL CASO DJ FABO

Le disposizioni sono contenute nelle motivazioni della sentenza con cui il 25 settembre la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 580 del codice penale, proprio nella parte in cui non esclude l’incriminazione di chi presta aiuto al suicidio nei casi sopra richiamati. Una sentenza nata dalla vicenda di dj Fabo e da molti considerata storica, a partire dall’Associazione Luca Coscioni, ma che una parte della politica, del mondo cattolico e dei medici aveva contestato.

LA LATITANZA DEL PARLAMENTO

I giudici costituzionali, ancora una volta, si rivolgono al parlamento affinché intervenga con una «compiuta disciplina» sul fine vita, dopo la richiesta caduta nel vuoto nel 2017, quando la Corte decise di sospendere il giudizio proprio per dare il tempo alle Camere di legiferare. Ma «in assenza di ogni determinazione da parte del parlamento», l’esigenza di garantire la legalità costituzionale «deve prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore».

LA SOLUZIONE DEI GIUDICI

Per colmare il vuoto legislativo, la Consulta ha quindi deciso di fare riferimento alle Dat, le Dichiarazioni anticipate di trattamento che regolano il testamento biologico. D’ora in poi la volontà di morire con il suicidio assistito dovrà essere documentata in forma scritta o con la video registrazione; il medico dovrà prospettare le possibili alternative e prestare ogni sostegno al paziente, anche avvalendosi dei centri di assistenza psicologica; e ci dovrà essere come pre-condizione il coinvolgimento del paziente in un percorso di cure palliative.

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Processo per 28 militanti di CasaPound: «Riorganizzavano il partito fascista»

La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta in giudizia per gli attivisti di estrema destra con l'accusa di aver violato la legge Scelba e di usare la violenza squadrista come metodo di lotta politica.

Trentatre persone a giudizio, di cui 28 militanti di CasaPound, con l’accusa di aver provato a riorganizzare il partito fascista. La procura di Bari ipotizza che i militanti neofascisti abbiano infatti «attuato il metodo squadrista come strumento di partecipazione politica». E che, in violazione degli articoli 1 e 5 della legge Scelba (645/1952), «abbiano partecipato a pubbliche riunioni, compiendo manifestazioni usuali del disciolto partito fascista».

L’AGGRESSIONE AGLI ATTIVISTI ANTIFASCISTI

Il processo nasce dall’aggressione del 21 settembre 2018 nel quartiere Libertà di Bari a manifestanti antifascisti che avevano partecipato ad un corteo organizzato dopo la visita in città dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta a giudizio di tutti gli indagati, contestando a dieci di loro anche il reato di lesioni personali aggravate.

«VIOLENZA SQUADRISTA COME METODO POLITICO»

Il gruppo di estrema destra aveva, infatti, radunato davanti alla sede di CasaPound, il circolo Kraken di Bari a pochi passi dal luogo del corteo che da allora è sotto sequestro, «ben 30 militanti, 14 dei quali provenienti da altre province pugliesi». Al termine della manifestazione «di impronta dichiaratamente antifascista», alcuni militanti di CasaPound, «schierati a braccia conserte e posizionati di traverso in modo da occupare l’intera sede stradale», avrebbero «brutalmente aggredito» gli attivisti di sinistra di ritorno dal corteo. Il pestaggio sarebbe stato attuato, stando agli atti giudiziari, «con esplicite rivendicazioni del predominio territoriale e ideologico». L’uso della violenza «squadrista» come strategia di repressione di appartenenti «a gruppi sociali e politici portatori di una diversa ideologia» e quindi «come metodo di lotta politica», avrebbe poi trovato conferma nelle successive perquisizioni fatte dalla Digos all’interno della sede di CasaPound e in casa degli indagati.

ARMI IMPROPRIE, BUSTI DI MUSSOLINI E IL MEIN KAMPF

Lì gli agenti trovarono alcune delle armi improprie usate durante l’aggressione (sfollagente, manubri da palestra, manganello telescopico), un busto di Benito Mussolini, bandiere nere con fascio littorio, oltre a libri su nazismo e fascismo, come il ‘Mein Kampf‘ di Hitler. Nell’aggressione rimasero feriti quattro manifestanti antifascisti, tra i quali l’assistente parlamentare dell’ex eurodeputata Eleonora Forenza, presente al pestaggio. Dinanzi ai giudici baresi saranno processati anche cinque compagni delle vittime, accusati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché dopo l’aggressione, «nel tentativo di sfondare il cordone dei militari», avrebbero minacciato e colpito con calci, pugni e spintoni poliziotti e carabinieri.

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Processo per 28 militanti di CasaPound: «Riorganizzavano il partito fascista»

La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta in giudizia per gli attivisti di estrema destra con l'accusa di aver violato la legge Scelba e di usare la violenza squadrista come metodo di lotta politica.

Trentatre persone a giudizio, di cui 28 militanti di CasaPound, con l’accusa di aver provato a riorganizzare il partito fascista. La procura di Bari ipotizza che i militanti neofascisti abbiano infatti «attuato il metodo squadrista come strumento di partecipazione politica». E che, in violazione degli articoli 1 e 5 della legge Scelba (645/1952), «abbiano partecipato a pubbliche riunioni, compiendo manifestazioni usuali del disciolto partito fascista».

L’AGGRESSIONE AGLI ATTIVISTI ANTIFASCISTI

Il processo nasce dall’aggressione del 21 settembre 2018 nel quartiere Libertà di Bari a manifestanti antifascisti che avevano partecipato ad un corteo organizzato dopo la visita in città dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta a giudizio di tutti gli indagati, contestando a dieci di loro anche il reato di lesioni personali aggravate.

«VIOLENZA SQUADRISTA COME METODO POLITICO»

Il gruppo di estrema destra aveva, infatti, radunato davanti alla sede di CasaPound, il circolo Kraken di Bari a pochi passi dal luogo del corteo che da allora è sotto sequestro, «ben 30 militanti, 14 dei quali provenienti da altre province pugliesi». Al termine della manifestazione «di impronta dichiaratamente antifascista», alcuni militanti di CasaPound, «schierati a braccia conserte e posizionati di traverso in modo da occupare l’intera sede stradale», avrebbero «brutalmente aggredito» gli attivisti di sinistra di ritorno dal corteo. Il pestaggio sarebbe stato attuato, stando agli atti giudiziari, «con esplicite rivendicazioni del predominio territoriale e ideologico». L’uso della violenza «squadrista» come strategia di repressione di appartenenti «a gruppi sociali e politici portatori di una diversa ideologia» e quindi «come metodo di lotta politica», avrebbe poi trovato conferma nelle successive perquisizioni fatte dalla Digos all’interno della sede di CasaPound e in casa degli indagati.

ARMI IMPROPRIE, BUSTI DI MUSSOLINI E IL MEIN KAMPF

Lì gli agenti trovarono alcune delle armi improprie usate durante l’aggressione (sfollagente, manubri da palestra, manganello telescopico), un busto di Benito Mussolini, bandiere nere con fascio littorio, oltre a libri su nazismo e fascismo, come il ‘Mein Kampf‘ di Hitler. Nell’aggressione rimasero feriti quattro manifestanti antifascisti, tra i quali l’assistente parlamentare dell’ex eurodeputata Eleonora Forenza, presente al pestaggio. Dinanzi ai giudici baresi saranno processati anche cinque compagni delle vittime, accusati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché dopo l’aggressione, «nel tentativo di sfondare il cordone dei militari», avrebbero minacciato e colpito con calci, pugni e spintoni poliziotti e carabinieri.

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Cosa dice il rapporto della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria

Il calo dello spread Btp-Bund ha leggermente attenuato i rischi per il nostro Paese. Ma l'elevato debito pubblico rimane una vulnerabilità fondamentale.

Il calo dello spread Btp-Bund e del rendimento dei titoli di Stato italiani ha «leggermente attenuato» i rischi per la stabilità finanziaria del nostro Paese.

Parola della Banca d’Italia, che nell’ultimo report dedicato alla questione sottolinea comunque come «il deterioramento del quadro macroeconomico e l’elevato debito pubblico continuano a rappresentare elementi di forte vulnerabilità ed espongono l’intera economia ai rischi connessi con un riacutizzarsi delle tensioni sui mercati».

Gli obiettivi del governo per i prossimi anni, inoltre, poggiano ancora in misura rilevante sul gettito derivante dalle clausole di salvaguardia, «la cui attivazione è stata sempre rinviata negli ultimi anni». Di qui il consiglio: «Dissipare tempestivamente l’incertezza connessa con il possibile venir meno di quelle entrate rafforzerebbe la fiducia dei mercati sulla credibilità del riequilibrio di bilancio nel medio periodo e contribuirebbe a consolidare il calo del premio per il rischio sovrano».

A livello globale, la forte riduzione dei tassi di interesse da una parte «aumenta la sostenibilità dei debiti e contribuisce a contenere la crescita dei rischi macroeconomici»; dall’altra, tuttavia, «può indurre gli investitori a ricercare maggiori rendimenti in attività rischiose e incentivare l’accumulazione di livelli eccessivi di debito». Una fase prolungata di tassi bassi «può comprimere la redditività delle banche e delle compagnie di assicurazione».

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Cos’è l’animazione sospesa, la nuova frontiera della chirurgia

Consiste nel rallentare i parametri vitali del paziente e sostituire il sangue con una soluzione salina fredda. Le cose da sapere sulla tecnica sperimentata con successo negli Usa.

Abbassare la temperatura corporea del paziente, rallentandone le funzioni vitali, per dare ai chirurghi il tempo di intervenire: non è fantascienza, ma una tecnica innovativa sperimentata al Centro medico dell’università del Maryland, chiamata “animazione sospesa”. A dare la notizia è stato il settimanale di divulgazione scientifica inglese New Scientist.

LEGGI ANCHE: La scienza potrebbe invertire il processo di invecchiamento biologico

UNA PRATICA UTILIZZATA SOLTANTO NEI CASI GRAVI

Nell’animazione sospesa il sangue del paziente viene sostituito, a cuore fermo, da una soluzione salina fredda. Questa blocca l’attività cellulare del corpo, evitando i danni ai tessuti derivanti dalla scarsa ossigenazione. Viene utilizzata soltanto nei casi molto gravi, come nei traumi da arma da fuoco, quando il soggetto versa già in condizioni di parziale dissanguamento. Durante la procedura, il respiro e il battito cardiaco sono ancora rilevabili, ma soltanto con apposite strumentazioni di misura.

I PRIMI ESPERIMENTI SU CANI E TOPI

Il primo esperimento riuscito di animazione sospesa è stato condotto su un gruppo di topi nel laboratorio del biochimico americano Mark Roth. Gli animali sono stati introdotti in una camera contenente 80 ppm (parti per milione) di acido solfidrico per un periodo di sei ore, fino ad abbassare la loro temperatura intorno ai 13 gradi. Un altro tentativo è stato condotto nel 2005, questa volta da un gruppo di scienziati dell’Università di Pittsburgh. Gli animali in questione, dei cani, sono stati rianimati dopo tre ore di morte clinica, ma alcuni di loro hanno riscontrato notevoli danni al sistema nervoso. La sperimentazione sull’uomo è invece recentissima ed è stata messa in pratica, per la prima volta, al Centro medico dell’università del Maryland.

LEGGI ANCHE: Mappatura del genoma: così la scienza prova a vincere la sfida

A METÀ TRA LA SCIENZA E LA FANTASCIENZA

A partire dal XX secolo, l’animazione sospesa è diventato un tòpos della letteratura di fantascienza, utilizzato come artificio narrativo per giustificare la sopravvivenza dei personaggi per lunghi intervalli di tempo. Tuttavia, recentemente, l’idea è stata presa sul serio con l’obiettivo di condurre viaggi interstellari, della durata di centinaia o anche di migliaia di anni.

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Ipotesi sgravio fiscale per le imprese che mantengono le neo mamme al lavoro

L'idea annunciata dalla ministra Catalfo. Ma il Pd è critico: «Era una proposta della Lega. Perché premiare chi rispetta la legge?».

Uno sgravio fiscale per quelle imprese dove le donne restano al lavoro anche dopo la maternità. Sarebbe questa l’idea del governo per aumentare il tasso delle donne al lavoro in Italia, tra i più bassi d’Europa. «Stiamo studiando una norma da inserire in manovra che mantiene la donna dopo la maternità a lavoro dando un esonero contributivo al datore di lavoro», ha dichiarato la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, parlando all’anteprima del Festival organizzato dai consulenti del Lavoro.

IL PD: «PERCHÉ PREMIARE CHI RISPETTA LA LEGGE?»

La ministra quindi ha sottolineato la volontà di intervenire sul fenomeno che vede «le donne spesso lasciare il lavoro dopo il primo anno di maternità». La proposta, tuttavia, è controversa. Dal Partito democratico, Chiara Gribaudo ha commentato: «È una proposta già avanzata dalla Lega, che infatti criticammo», ha ricordato la vice capogruppo alla Camera. «Perché dovremmo premiare un’impresa che semplicemente rispetta le regole? Sarebbe una legittimazione per quelle che costringono alle dimissioni le madri lavoratrici o le licenziano appena la legge lo consente».

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Di Maio chiude ancora al Pd in vista delle Regionali

Il leader del Movimento 5 stelle torna a parlare il giorno dopo la decisione di correre in Emilia- Romagna e Calabria presa su Rousseau. «Andiamo soli, ma non è un voto di fiducia sul governo».

Nessuna alleanza col Partito democratico, al massimo un apparentamento con le liste civiche. Lo ha ribadito ancora una volta Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 stelle all’indomani della votazione sulla piattaforma Rousseau che ha certificato la partecipazione del Movimento alle Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, sconfessando di fatto la linea dettata dal leader.

«NON È UN VOTO DI FIDUCIA SUL GOVERNO»

«Evidentemente andiamo da soli in quelle regioni», ha detto Di Maio rispondendo ai cronisti, prima di aggiungere che l’appuntamento in Emilia-Romagna non costituisce «un voto di fiducia sul governo: nessun partito deve farsi pendere da questa teoria, perché è sbagliato». «Col voto di ieri il M5s ci ha detto a Roma c’è il governo, ma sul territorio c’è il movimento», ha poi proseguito Di Maio. «Non possiamo asservire il M5s alle logiche del governo». E ancora, a difesa di Rousseau: «Senza gli attivisti che votano e chi lavora sul territorio noi non saremo a Roma, nell’Europarlamento e nei Consigli regionali».

DI MAIO SULLA GRATICOLA

Le acque all’interno del Movimento restano agitate. Mentre il presidente della Camera Roberto Fico invita a un «momento di riflessione rispetto all’organizzazione, ai temi e all’identità», Roberta Lombardi e Nicola Morra criticano duramente il modello del capo politico singolo sottolineando la necessità «di gestire il Movimento in maniera più collegiale e plurale». Non a caso Di Maio ha convocato una assemblea dei deputati pentastellini mercoledì 27 novembre. A buttare acqua sul fuoco circa un’eventuale sostituzione di Di Maio al vertice è intervenuto il garante Beppe Grillo, arrivato a Roma: «Il M5s si è biodegradato? Ormai siete voi i comici!», ha tagliato corto.

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Bosnia, bimbi disabili torturati nel centro di Pazaric

Lo scandalo che coinvolge l'istituto è stato sollevato da una parlamentare all'opposizione. I dirigenti sono stati licenziati. Ma secondo la stampa ci sono altri casi nel Paese.

Legati ai termosifoni, picchiati, sedati e lasciati senza cibo. È il trattamento che hanno subito alcuni bambini con disturbi mentali in Bosnia-Erzegovina, nel centro di Pazaric, poco lontano da Sarajevo, dove ci sono circa 350 ospiti. A fare emergere il dramma dei piccoli è stata la parlamentare Sabina Cudic, del partito all’opposizione Nasa Stranka, che ha mostrato le foto degli abusi. La scoperta ha generato una catena di proteste da parte dei rappresentanti delle associazioni di genitori e di diverse Ong che, insieme alla parlamentare, hanno chiesto il licenziamento immediato dei vertici dell’istituto. Il governo della Federazione croato-musulmana ha esaudito le richieste e ha sollevato dall’incarico il direttore della struttura Redzep Salic oltre a cinque membri del Consiglio d’amministrazione e tre del comitato di sorveglianza.

«Sabina Cudic risponde alle critiche e spiega come ha avuto le fotografie»

LA BOSNIA HA RISPOSTO CON PROTESTE DI PIAZZA

«Dov’è la vostra umanità?». «Adesso vogliamo delle indagini». «Il governo ora deve punire i responsabili». Questi sono alcuni dei commenti apparsi sugli striscioni, durante le proteste dilagate nella capitale bosniaca, davanti al palazzo del Parlamento. Le foto, pubblicate sul principale quotidiano bosniaco Oslobodjenje, mostrano i piccoli inermi, sdraiati sui lettini con le mani legate dietro la schiena e le caviglie strette con delle corde ai termosifoni. Sempre sul quotidiano, si legge che la parlamentare ha denunciato anche «la somministrazione ai piccoli di medicinali vietati agli under 12. I bambini vengono legati ai mobili durante la notte, quando c’è soltanto una persona, spesso inesperta, a seguirli». Sebbene il governo abbia preso provvedimenti contro l’istituto-lager di Pazaric, secondo il quotidiano Oslobodjenje non è l’unico centro del Paese in cui i bambini vengono maltrattati.

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Bosnia, bimbi disabili torturati nel centro di Pazaric

Lo scandalo che coinvolge l'istituto è stato sollevato da una parlamentare all'opposizione. I dirigenti sono stati licenziati. Ma secondo la stampa ci sono altri casi nel Paese.

Legati ai termosifoni, picchiati, sedati e lasciati senza cibo. È il trattamento che hanno subito alcuni bambini con disturbi mentali in Bosnia-Erzegovina, nel centro di Pazaric, poco lontano da Sarajevo, dove ci sono circa 350 ospiti. A fare emergere il dramma dei piccoli è stata la parlamentare Sabina Cudic, del partito all’opposizione Nasa Stranka, che ha mostrato le foto degli abusi. La scoperta ha generato una catena di proteste da parte dei rappresentanti delle associazioni di genitori e di diverse Ong che, insieme alla parlamentare, hanno chiesto il licenziamento immediato dei vertici dell’istituto. Il governo della Federazione croato-musulmana ha esaudito le richieste e ha sollevato dall’incarico il direttore della struttura Redzep Salic oltre a cinque membri del Consiglio d’amministrazione e tre del comitato di sorveglianza.

«Sabina Cudic risponde alle critiche e spiega come ha avuto le fotografie»

LA BOSNIA HA RISPOSTO CON PROTESTE DI PIAZZA

«Dov’è la vostra umanità?». «Adesso vogliamo delle indagini». «Il governo ora deve punire i responsabili». Questi sono alcuni dei commenti apparsi sugli striscioni, durante le proteste dilagate nella capitale bosniaca, davanti al palazzo del Parlamento. Le foto, pubblicate sul principale quotidiano bosniaco Oslobodjenje, mostrano i piccoli inermi, sdraiati sui lettini con le mani legate dietro la schiena e le caviglie strette con delle corde ai termosifoni. Sempre sul quotidiano, si legge che la parlamentare ha denunciato anche «la somministrazione ai piccoli di medicinali vietati agli under 12. I bambini vengono legati ai mobili durante la notte, quando c’è soltanto una persona, spesso inesperta, a seguirli». Sebbene il governo abbia preso provvedimenti contro l’istituto-lager di Pazaric, secondo il quotidiano Oslobodjenje non è l’unico centro del Paese in cui i bambini vengono maltrattati.

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Il silenzio degli asinelli

La loro pelle viene utilizzata in Cina per la realizzazione di un antico farmaco, l'ejiao: vengono richiesti 4,8 milioni di capi all'anno. L'allarme di Donkey Sanctuary: la popolazione mondiale di questi animali potrebbe essere dimezzata in 5 anni.

La metà della popolazione mondiale di asini potrebbe essere spazzata via nell’arco dei prossimi cinque anni: è questo l’allarme lanciato da Donkey Sanctuary, un’organizzazione di beneficenza britannica che si occupa del benessere di questi animali dal 1969. Il motivo risiede nella costante richiesta da parte del mercato cinese della loro pelle, impiegata per la produzione di una medicina tradizionale chiamata ejiao.

LA POPOLAZIONE MONDIALE DI ASINI DIMEZZATA IN CINQUE ANNI

Secondo un rapporto pubblicato dall’organizzazione, ogni anno sono necessari 4,8 milioni di pelli d’asino per soddisfare la domanda delle aziende che producono ejiao. E ammontando la popolazione globale di questi animali ad appena 44 milioni di unità, nell’arco di cinque anni essi corrono il rischio di essere più che dimezzati.

LA CINA SI RIVOLGE ALL’ESTERO PER OTTENERE LE PELLI D’ASINO

Non a caso, in Cina, il principale consumatore di pelli d’asino al mondo, a partire dal 1992 la popolazione totale di questi animali è calata del 76%. Nella Repubblica popolare, il pellame dei somari viene immerso in acqua calda e bollito fino a ricavarne una specie di gelatina. Questa è poi impiegata nella produzione dell’ejiao, una “medicina” prescritta per combattere diversi tipi di malattie, tra cui l’anemia, le vertigini e l’insonnia.

18 PAESI HANNO PRESO PROVVEDIMENTI

Visto che né le lesioni né le malattie incidono sulla qualità del pellame, questi animali ricevono trattamenti inumani nei Paesi esportatori: vengono, ad esempio, trasportati per lunghe tratte senza ricevere cibo o acqua, oppure trascinati, pur di farli camminare, per le orecchie e per la coda. «Le violazioni sono assolutamente terribili in alcuni dei luoghi in cui i somari vengono macellati per questo commercio», ha infatti confermato Faith Burden, direttore della ricerca e supporto operativo presso il Donkey Sanctuary, «l’entità del problema è molto più seria di quanto pensassimo». Fino a oggi, i Paesi che hanno preso provvedimenti per contrastare l’industria della pelle d’asino sono soltanto 18.

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Per Zingaretti la crisi del M5s accelera il ritorno del bipolarismo

Il segretario del Pd analizza così le difficoltà dei pentastellati dopo il voto su Rousseau per le regionali in Emilia-Romagna e Calabria. E apre alla riforma della legge elettorale con la Lega.

All’indomani del voto su Rousseau con cui la base del M5s ha deciso che il partito deve correre alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, è arrivata l’analisi politica del segretario del Pd, Nicola Zingaretti.

Secondo il leader dei dem, i tempi sono maturi per un ritorno del bipolarismo. Zingaretti ha detto infatti che «il processo politico va verso una netta bipolarizzazione». Ed è chiaro che nel futuro «il confronto e la competizione saranno sempre di più tra un campo democratico civico e progressista, di cui il Pd è il principale pilastro, e la nuova destra sovranista. Il travaglio, che rispettiamo, e le difficoltà del M5s hanno origine nell’accelerazione di questo scenario e accentuano una crisi di sistema che va rapidamente affrontata con gli strumenti della democrazia».

L’analisi si lega alla posizione del Pd sulla riforma della legge elettorale. I dem vorrebbero «evitare una legge puramente proporzionale», puntando piuttosto a introdurre meccanismi che «aiutino la semplificazione e la formazione di coalizioni di governo chiare e stabili, con un impianto maggioritario». Per questo «non va fatta cadere la proposta di Giancarlo Giorgetti», numero due della Lega, «di un tavolo di confronto su questi temi, da attivare nei tempi più rapidi».

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Tiziano Ferro, un miracolo riuscito (a metà)

Con il nuovo cd, il cantautore cerca svecchiarsi. Anche grazie al tocco internazionale di Timbaland. Dimostrando, in questi 50 minuti di autoanalisi, il coraggio di riscriversi. Il risultato è un disco riuscito anche se con qualche caduta nel sentimentalismo prima maniera. Ma lo sforzo va comunque apprezzato.

Tiziano Ferro ha un problema, si chiama Mengoni. Marco Mengoni. Uno che, per molti motivi, gli si può sovrapporre e nei fatti lo fa e lui rischia di uscirne sbiadito.

È sempre un po’ lo specchio di Biancaneve, anche nella musica: «Chi è la popstar più bella del reame?», e lo specchio: «Qualcuna c’è che è più bella di te».

Anche così si spiega, a 40 anni o giù di lì, la scelta di voltare pagina, per non lasciarsi imbrigliare, per non ridursi a clone di se stesso, a inseguitore dell’altrui successo. Oltre all’umanissimo artistico bisogno di mettersi alla frusta, di verificarsi e verificare un pubblico assuefatto.

E allora: via il produttore storico, quel Michele Canova che ha instaurato una sorta di dittatura del gusto sul pop mainstream, dentro il sogno di una vita, il guru sonico che dai 90 detta legge nell’hiphop e nel R&B commerciale americano, dunque mondiale.

IL TOCCO INTERNAZIONALE DI TIMBALAND

L’intento è chiaro: svecchiare il respiro, renderlo internazionale. Timbaland produce così nove pezzi, più i due di Davide Tagliapietra (chi è? L’ex di Mietta, chitarrista, turnista, uomo da palco), più uno a cura dello stesso Ferro; più lo spirito fratino di Jovanotti, altro sogno raggiunto per Tiziano; più la serenità esistenziale che ai quattro venti dichiara d’aver raggiunto; più la tempestiva polemicuzza con Fedez; più la copertina in sfumature di grigio meditabondo. Insomma non ci si fa mancar niente, signore e signori: voilà Accetto Miracoli. Per vendere. Per rimanere se stesso. Per cambiare. Per dire: sono un uomo adulto, un artista adulto, col coraggio di reimpacchettare il successo e giocarmelo. C’è riuscito, Tiziano?

CINQUANTA MINUTI DI AUTOANALISI

Ferro non è Leonard Cohen (che esce anche lui oggi, postumo, con lo struggente Thanks for the dance, assemblato sul figlio che ha cucito suoni e musiche sulle parti vocali lasciate in eredità). Il lavoro comunque si apre con un beat lento, profondo, e un cantato che già chiarisce il senso del gioco: Vai ad amarti, forse vaghissimamente dalle influenze Massive Attack, è l’incipit di questi 50 minuti di autoanalisi dove, in effetti, la mano americana di Timbaland si sente eccome. In modo accorto, senza stravolgere la matrice dell’artista, cui anzi viene lasciato ogni spazio – il tappeto sonoro è fatto più di richiami, echi, sospensioni, battiti, ma resta sempre la voce cantante in prima linea.

LEGGI ANCHE:Gianna si tuffa nel passato e fa davvero La differenza

Amici per errore si sposta verso il Beck più folk, ed è un altro pezzo riuscito, sorretto da chitarre acustiche piene e pulite, contrappuntate da singole gocce di piano: rischia la melensaggine, e invece la sua semplicità cattura.

IN BALLA CON ME SI FA PALESE LA SFIDA A MENGONI

Balla con me, giustamente, aumenta le pulsazioni e qui sì che la sfida, discreta ma chiara, a Mengoni, è gettata: spunta un Jovanotti e il gioco è fatto: orecchiabilità a eccedere, risolta con un gioco scaltro di trasporti e modulazioni. Se sfida è, la è sullo stile, sull’esperienza di una semplicità ruffiana che, per usare le parole del pezzo, «ci sta». In mezzo a questo inverno è l’unica prodotta direttamente dall’artista e si sente: recupera calligrafie autoriali fin dalla intro di piano, che, di solito, annuncia qualcosa di zuccherino e però di sciapo. «C’eri tu c’eri tu c’eri tu in mezzo a questo inverno» fa tanto Pausini, ovvero il Tiziano “vecchio”, che, per paradosso, era più vecchio a 20, 30 anni di questo nuovo che ne ha 40. Insomma, il branuccio fila via senza sussulti particolari: la promessa di smielaggine è mantenuta. Come farebbe un uomo è ancora classic Ferro, ma risolta in modo più moderno e conferma che la scelta di Timbaland è stata felice davvero.

Tiziano Ferro ha preso a metà il coraggio di riscriversi. Ma quella metà c’è, e va apprezzata. Da domani, da oggi la corsa sarà sempre più su se stesso

CON SECONDA PELLE TORNA IL SENTIMENTALISMO FACILE

Quanto a Seconda pelle, insiste nel romanticismo, o se si preferisce sentimentalismo anche facile – «una fotografia della fotografia» -, ma in un disco come questo è proprio il sentimento la chiave che fa entrare nel vissuto, il viatico per i conti con se stesso; se poi sia scelta autentica o solo astuta, è questione che pertiene a Ferro, basti qui dire che è un altro brano che non lascia particolari impressioni. Ma in un disco lungo, prolisso, è chiaro che non tutte le canzoni riescono col buco. Il destino di chi visse per amare è ancora e sempre autobiografia del cuore, virata al passato: la perdita è la carta d’identità, siamo fatti di assenze, di quel che abbiamo lasciato o ci ha lasciato lungo la strada. C’è un raccontarsi qui, tra nostalgie, fischi e successi, che deve anche più di qualcosa al Renato Zero della maturità. Le 3 parole sono 2 gioca sugli equilibri precari, sul ricomporre le scissioni: Tiziano l’italiano, il melodico, che si apre, a volte timidamente, a suggestioni diverse, meno nazionali, meno annunciate. È un brano emblematico dell’album, col suo oscillare tra il già sentito e sprazzi di inaspettato: Ferro avrebbe potuto osare di più, ha tenuto la briglia corta alla tanto annunciata smania di cambiamento, eppure il disco funziona.

PER RINNOVARSI È QUASI SEMPRE NECESSARIO TORNARE AI MAESTRI

Perché un disco, alla fine, vive di un suo carisma, di quella impalpabile atmosfera complessiva, e questa o c’è o non c’è. In questo senso, si può dire che l’obiettivo sia raggiunto. Casa a Natale, ad esempio, al di là di certe ingenuità testuali («di deserto sono esperto») sfodera perfino impensabili acutezze vocali alla Fabio Concato. A conferma che, per rinnovarsi, quasi sempre bisogna ritornare ai maestri.

Accetto Miracoli. Per vendere. Per rimanere se stesso. Per cambiare. Per dire: sono un uomo adulto, un artista adulto, col coraggio di reimpacchettare il successo e giocarmelo

Un uomo pop è tra i momenti più interessanti: di eleganza patinata, si ascolterebbe bene (anche) a una sfilata di moda, ma la costruzione è intrigante, il vestito sonico perfettamente bilanciato nelle sue sincopi e sospensioni, e il testo sembra quasi esaltarsi. È uno dei momenti in cui la cifra adulta di Tiziano risalta, amara, piccata, ironica ma finalmente diretta, scevra da ulteriori implicazioni. Buona (cattiva) sorte è un ballabile pseudolatino, di quelli che francamente hanno stuccato: sembra un riempitivo, o forse un acchiapparadio. Nelle pieghe dei beat si nasconde lo spettro del Battisti di metà Anni 70, ma, probabilmente, è un oltraggio non voluto.

FERRO HA TROVATO IL CORAGGIO DI RISCRIVERSI E VA APPREZZATO

Della chiusura (salvi i due remix in appendice) s’incarica il brano eponimo, Accetto miracoli con le sue ambizioni classicheggianti: tutto è sorretto dal piano, sopra discreti battiti sintetici e una brezza d’archi; è il momento del bilancio definitivo, almeno per ora. Il miracolo, musicalmente parlando, non c’è, c’è una canzone che sconta tutti i limiti di una generazione artistica e che tenta orgogliosamente di sciogliersi da quei limiti. Tiziano Ferro ha preso a metà il coraggio di riscriversi. Ma quella metà c’è, e va apprezzata. Da domani, da oggi la corsa sarà sempre più su se stesso, e meno sugli eredi possibili.


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Chi è Francesco Aiello, candidato del M5s in Calabria

Dopo il via libera di Rousseau, il Movimento punta sul docente universitario e fondatore del portale di economia Open Calabria.

Il Movimento 5 stelle ha scelto il candidato da presentare alle Regionali in Calabria, dopo il via libera dato dalla piattaforma Rousseau nella giornata del 21 novembre. Si tratta del docente universitario Francesco Aiello, la cui candidatura dovrebbe essere ufficializzata a breve, ma è di fatto già stata anticipata dal M5s calabrese. Aiello, docente di Politica economica all’Università della Calabria e fondatore del portale di economia Open Calabria, si è preso qualche giorno per sciogliere la riserva sull’accettazione della proposta.

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Andrea Viero verso la presidenza di Invitalia

Accordo politico sulle due caselle più importanti della controllata del Mef. Al posto dell’uscente Tesauro potrebbe sedersi il manager Fincantieri. Confermato l’ad Domenico Arcuri. Sempre che dopo 14 assemblee si riescano a fare le nomine per il cda.

Tredici assemblee non sono state sufficienti a rinnovare i vertici di Invitalia, la holding per lo sviluppo del governo. La prima si è tenuta all’inizio di giugno. Non solo: da una decina di giorni la guida dell’azienda di proprietà del Mef e vigilata dal Mise, è affidata – come prevede la legge – al Collegio sindacale, che può occuparsi solo dell’ordinaria amministrazione.

Una situazione che di fatto ha sostanzialmente bloccato le attività dell’Agenzia e delle sue controllate, a partire da Mediocredito Centrale e Infratel, solo per citare quelle più importanti. Un dato per tutti: il gruppo, nell’ultimo anno ha movimentato circa 8 miliardi di euro in incentivi, gare e appalti pubblici. Ovvero mezzo punto di Pil. Oggi, l’ennesimo rinvio: l’assemblea si è aggiornata a venerdì 29 novembre, nella speranza che l’esecutivo trovi un’intesa.

Per la verità il tema era già arrivato a Palazzo Chigi giovedì 21 novembre, quasi al termine di una riunione del Consiglio dei ministri dedicata quasi per intero a Taranto e poco prima che il premier Giuseppe Conte invitasse a cena la squadra di governo. E, a quanto risulta, sarebbe stato raggiunto un accordo politico sulle due caselle più importanti. In particolare, sulla poltrona del presidente, al posto dell’uscente Claudio Tesauro, potrebbe sedersi un manager Fincantieri, Andrea Viero.

Confermato, invece, l’attuale amministratore delegato, Domenico Arcuri, fortemente voluto dal presidente del Consiglio, da Pd e da un’importante parte del M5s. Poi, però, tutto si è arenato quando si è passato a discutere gli altri tre nomi da scegliere per il nuovo Cda dell’Agenzia. Se ne parlerà, probabilmente, la prossima settimana. In tempo utile per la quattordicesima assemblea. Sperando che, finalmente, qualcuno decida di decidere.

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Berlusconi cade a Zagabria nella ressa per i selfie

Per il leader di Forza Italia solo uno spavento, ma nessuna frattura. Accertamenti all'ospedale San Raffaele di Milano.

Terminato il congresso del Ppe, Silvio Berlusconi ha aspettato la proclamazione di Antonio Tajani a vicepresidente, poi, uscendo dall’arena di Zagabria, si è concesso ai selfie. Nella ressa ha sbattuto. Per questa ragione, una volta tornato in Italia il 21 novembre, i medici hanno disposto alcuni accertamenti, eseguiti all’ospedale San Raffaele di Milano, dai quali è emerso un ematoma intramuscolare. Non ci sono, invece, fratture, come confermato da fonti azzurre che hanno negato un rientro urgente. Ora si sta proseguendo con altri controlli alle costole tenuto conto della rilevanza della caduta. Quindi ci saranno altri esami per verificare se ci siano fratture o microfratture alle piccole ossa.

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Economia su richiesta: come cambia il business nell’era digitale

Dati, customer experience e social sono sempre più cruciali. Per questo è necessario affrontare i cambiamenti del mercato digitale, studiando e anticipando le scelte dei consumatori per essere così pronti ad affrontare il futuro.

Veloce, personalizzata e tecnologica. Queste le tre caratteristiche principali della dell’Economy on-demand che in pochissimi anni ha radicalmente cambiato il modo di pensare, fare e vivere il business. Dalle catene di approvvigionamento alle normative, dalla concorrenza agli investimenti, l’economia su richiesta ha alterato, e continua a farlo inesorabilmente, le abitudini dei consumatori. Per le imprese tradizionali è dunque diventato sempre più difficile rispondere alle mutevoli aspettative dei suoi fruitori, mettendo in crisi modelli consolidati di business e marketing.

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È STATA SCARDINATA LA CORRELAZIONE DOMANDA-OFFERTA

Scardinando la classica correlazione tra domanda e offerta, l’economia on-demand prevede la fruizione di un prodotto o di un servizio a partire dalla richiesta del consumatore, a cui deve seguire un servizio quasi immediato, on-demand appunto. Da non confondere con gig economy, sharing economy e crowdsourcing, l’economia su richiesta rappresenta un termine generico che include tutte queste diverse categorie e che necessita di essere compresa attraverso costanti processi di innovazione che soddisfino e anticipino i desideri del consumatore.

L’ON-DEMAND MARKETING

Dalla creazione di una nuova classe di imprenditori e lavoratori, all’istituzione dell’on-demand marketing, l’economia su richiesta ha portato una profonda ventata di novità. In particolare, a causa del grande aumento del potere dei consumatori indotto dall’era digitale, il marketing ha dovuto iniziare ad affrontare sfide sempre più impegnative. Ad alimentare il marketing su richiesta è la continua e simbiotica evoluzione della tecnologia e delle aspettative dei consumatori. Dunque, per comprendere al meglio come indirizzare il proprio business è necessario giocare di anticipo. Attraverso la raccolta e lo studio di dati è possibile identificare i gusti e le necessità dei consumatori, creando così un’interconnessione profonda tra le tecnologie di ricerca, i social media e dispositivi mobili.

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CENTRALE IL MONITORAGGIO SUI SOCIAL

Nonostante tutto questo stia iniziando ad apparire come semplice routine e venga dato per scontato dalla maggior parte dei suoi fruitori, ragionare sulle esigenze del cliente e ottimizzare il posizionamento della ricerca da questo effettuata è diventata una delle maggiori spese mediatiche dei marketer. Le aziende hanno incrementato le loro attività di pubblicazione e monitoraggio sui canali social, sperando di creare esperienze mediatiche positive che i clienti vorranno condividere con il proprio pubblico. Si tratta, quindi, di un circolo virtuoso che si autoalimenta e che necessita di nuovi strumenti, idee e figure professionali per essere analizzato e indirizzato strategicamente. 

COME CAMBIA L’ESPERIENZA DEI CONSUMATORI

L’esperienza del consumatore cambierà radicalmente nei prossimi anni, stanziandosi in una strada a metà tra il mondo fisico e virtuale e le tecnologie per far sì che questo avvenga sono già disponibili. È dunque necessario attuare piani strategici per collezionare dati, esperienze e anticipare, così, le aspettative e i bisogni del cliente. Quel che è certo è che consumatori e clienti chiederanno sempre più prodotti e servizi che siano nuovi, facili da usare e personalizzabili e che, soprattutto, permettano di interagire con altri individui ovunque e in qualsiasi momento. 

IL FUTURO VA CAVALCATO

In conclusione, è importante richiamare l’attenzione sui processi di mercato che stiamo sperimentando e vivendo sulla nostra pelle senza spesso rendercene conto. Infatti, nonostante questi processi sembrino aver raggiunto un elevato livello di tecnologia e operabilità, siamo solo agli inizi. Spingere le esperienze di marketing oltre il limite è necessario per ottenere risultati gratificanti ed essere competitivi sul crescente mercato digitale. Per fare ciò, è necessario oltrepassare la linea di demarcazione della comfort zone, allineando tutto il team esecutivo coinvolto dall’azienda intorno a una esplicita strategia di dati end-to-end. Il mercato globale, caratterizzato da un elevato livello di connettività mobile, non perdona momenti di stasi. I linguaggi e i format sono in continuo mutamento e le dinamiche progettazioni di spazi online sono in grado di creare nuovi competitor e annientarne di vecchi. I consumatori potranno essere presto in grado di cercare in Rete attraverso comandi vocali e gestuali; partecipare a eventi con altre persone scattando semplicemente una foto e scoprire nuove opportunità con dispositivi che aumentano la realtà nel loro campo visivo. Questo è il futuro e per cavalcarlo è necessario essere pronti a spingersi oltre i limiti e, soprattutto, pensarne e anticiparne strategicamente di nuovi. 

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

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Massimo Perotti è l’Imprenditore dell’Anno

Ieri sera a Milano la cerimonia di consegna del premio nazionale giunto alla sua XXIII edizione organizzato da EY

È stato premiato a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana a Milano, Massimo Perotti,Executive Chairman di Sanlorenzo S.p.A., vincitore nazionale della XXIII edizione del Premio EY L’Imprenditore dell’Anno® che si è svolto con il supporto di Banca Akros (Gruppo Banco BPM) e Board International. Il riconoscimento conferito da EY, leader mondiale nei servizi professionali di revisione e organizzazione contabile, assistenza fiscale e legale, transaction e consulenza, è riservato agli imprenditori italiani alla guida di aziende con un fatturato di almeno 25 milioni di euro che creano valore, con spirito innovativo e visione strategica, contribuendo alla crescita dell’economia.

Oltre a Perotti altri sei vincitori di categoria, più un Premio Speciale della Giuria e il Premio EY Start Up. Tutti i riconoscimenti sono stati assegnati dalla giuria che, presieduta da Gianni Mion, Presidente di Edizione, e composta dall’imprenditore Alberto Baban, da Paolo Boccardelli, Direttore di LUISS Business School; Guido Corbetta, Professore ordinario di Corporate Strategy presso l’Università Bocconi di Milano; Monica Mandelli, Managing Director in KKR &  Co. a New York; Marco Nocivelli, Presidente e Amministratore Delegato Gruppo Epta; Cristina Scocchia, Amministratore Delegato di KIKO S.p.A.; Paolo Scudieri, Amministratore Delegato di Adler Plastic S.p.A. e Nunzio Tartaglia, Responsabile CDP Imprese, ha dichiarato specifiche motivazioni per ogni premio assegnato.

TUTTO SUL VINCITORE

La giuria ha decretato Massimo Perotti imprenditore dell’anno «per essere riuscito a trasformare una bella realtà italiana in un brand riconosciuto a livello mondiale come massima espressione dell’eleganza e dell’esclusività del Made in Italy, affrontando il percorso di crescita con coraggio e determinazione, investendo costantemente sul territorio e sulle persone».

Grande la soddisfazione da parte dell’imprenditore che appresa la notizia ha commentato: «È per me un grande onore ricevere questo riconoscimento che premia innanzitutto l’impegno e la dedizione che l’intera azienda ha profuso in questi anni – ha detto Perotti – All’origine di ogni successo c’è sempre un lavoro di squadra e se abbiamo raggiunto i vertici della produzione mondiale di yacht e superyacht, devo ringraziare gli uomini e le donne che lavorano in Sanlorenzo. È soprattutto merito loro se siamo in grado di realizzare progetti la cui qualità e cura ineguagliabile sono apprezzate in tutto il mondo grazie a una combinazione unica di artigianalità, tecnologia, design e passione».

LE IMPRESE ITALIANE DEVONO FARE SISTEMA

«L’Italia, nel corso della sua storia, ha continuato a creare imprese straordinarie, realtà imprenditoriali eccellenti e uniche che hanno saputo superare le difficoltà, crescere e spesso affermarsi anche su scala internazionale – ha precisato Donato Iacovone, Amministratore Delegato di EY in Italia e Managing Partner dell’area Mediterranea – EY le ha sostenute e, con questo Premio, celebrate. Oggi l’accresciuta competitività a livello globale impone nuove sfide. Per vincerle, le imprese italiane devono investire e fare sistema con l’obiettivo di recuperare produttività, puntando soprattutto sulle aree in cui siamo più distintivi, come la meccanica, il design, il manifatturiero e l’automazione. E devono agire da stimolo per il rinnovamento della Pubblica Amministrazione, fattore determinante per la progressione del sistema paese».

«Attraverso il Premio EY L’Imprenditore dell’Anno da ventitré anni premiamo le eccellenze italiane. Le storie di questa edizione includono Family Business longeve e imprenditori di prima generazione che in poco più di un decennio hanno saputo conquistare una leadership internazionale – ha puntualizzato Luca Pellizzoni, Partner EY, Responsabile italiano del Premio L’Imprenditore dell’Anno – Sono storie che testimoniano come l’imprenditoria italiana sia rinomata a livello mondiale per l’eccellenza delle proprie aziende capaci, creative e all’avanguardia».

SEI CATEGORIE, I PREMIATI

Perrotti non è stato l’unico ad ottenere un riconoscimento. Affianco a lui altri sei grandi imprenditori che si sono distinti nel loro lavoro.

Va ad Angelo Benedetti, Presidente e Amministratore Delegato di Unitec S.p.A ilpremioIndustrial & Diversified Products «per essere riuscito a creare un gruppo diventato leader nel proprio settore attraverso una lungimirante direzione strategica che ha sempre posto al centro innovazione e affidabilità». Per la categoria Food & Beverage, invece, premiato Michele Andriani, Presidente e Amministratore Delegato di Andriani S.p.A., «per il suo grande impegno per la sostenibilità che ha consentito di coniugare crescita economica con la salvaguardia dell’ambiente e della società».

Giancarlo e Alberto Zanatta, rispettivamente Fondatore e Presidente di Tecnica Group S.p.A., hanno ricevuto il Premio Fashion, Design & Luxury «per essere riusciti a costruire un gruppo riconosciuto a livello internazionale per i marchi di assoluta eccellenza simboli di qualità, innovazione, tecnologia e design italiano». Il Premio Innovation è andato a Emidio Zorzella e Massimo Bonardi, rispettivamente CEO e Founder e Managing Director e Founder di Antares Vision S.p.A., «per la passione, lo sviluppo tecnologico e la fiducia nelle persone che hanno consentito di trasformare in poco più di 10 anni un “laboratorio di idee” in un gruppo leader a livello internazionale nel proprio settore».

Si affianca il Premio Globalization che quest’anno è stato consegnato a Laura Colnaghi Calissoni, Presidente e Amministratore Delegato di Gruppo Carvico, «per la tenacia con cui è riuscita ad affermarsi a livello globale, attraverso importanti investimenti, sperimentazione continua e diversificazione dell’offerta, sempre all’insegna della più alta qualità». Chiudono la rosa dei premiati i fratelli Attilio Zanetti, Vice Presidente e Consigliere Delegato, Matteo Zanetti, Vice Presidente e Consigliere Delegato, e Paolo Zanetti, Consigliere Delegato, che rappresentano la quarta generazione alla guida dell’azienda di famiglia Zanetti S.p.A. a cui va il premio Family Business «per aver portato l’eccellenza italiana in tutto il mondo conciliando tradizione e innovazione, legame con il territorio e rispetto per l’ambiente. Un filo conduttore che si tramanda con grande passione di padre in figlio da oltre 100 anni».

PREMIO SPECIALE E EY START UP

La giuria 2019 ha, inoltre, assegnato altri due riconoscimenti. Il Premio Speciale della Giuria a Paolo Maggioli, Presidente e Amministratore Delegato di Maggioli S.p.A., «per l’importante contribuito alla trasformazione digitale, all’innovazione e alla semplificazione della Pubblica Amministrazione, delle aziende e dei professionisti» e il Premio EY Start Up, giunto alla quinta edizione e sostenuto da P10, a Mattia Capulli, Co-fondatore, e Andrea Riposati, Co-fondatore e CEO di Dante Labs «per aver portato la scienza alla portata di tutti, contribuendo allo sviluppo del territorio e all’affermazione dell’Italia in un settore all’avanguardia».

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A Verona è iniziata la nona edizione del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa

L'evento 2019 si terrà dal 21 al 24 novembre. Al centro il tema della presenza dei cristiani nella vita sociale e politica anche per rilanciare la dottrina sociale della chiesa.

Il 21 novembre è iniziata la nona edizione del Festival della Dottrina sociale della Chiesa a Verona che si protrarrà fino al 24. L’importanza e i contenuti di quest’anno sono stati ripercorsi dallo stesso papa Francesco in un videomessaggio dalla Thailandia dove si trova in visita per un viaggio pastorale. «C’è bisogno di tutti per ricostruire il tessuto sociale. Ognuno deve fare ciò che sa fare», ha detto il pontefice, «Il cambiamento duraturo», ha proseguito il Pontefice, «parte sempre dal basso. Non abbiamo bisogno di uomini forti ma, uniti nell’impegno, tutti costruttori di fraternità e tutti importanti: operai, imprenditori, professionisti, cittadini, umili e dotti. Non bisogna imbrigliare la libertà di fare il bene. Essere presenti è fisicità concreta, combatte l’isolamento e l’esclusione. È lievito, forza di un popolo e pasta per l’umanità».

IL RITORNO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Monsignor Adriano Vincenzi, coordinatore del Festival, assistente nazionale di Confcooperative e delle Banche di credito cooperativo oltre che dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti, ha scritto che oggi «c’è bisogno oggi della Dottrina Sociale, della sua attualizzazione, della sua declinazione, perché non possiamo più governare uno sviluppo economico senza etica. Fino a ora abbiamo fatto tante cose per poi dire che abbiamo sbagliato. Abbiamo affermato la cultura dello scarto, non abbiamo rispettato l’ambiente, abbiamo invaso di plastica il pianeta. Non erano soluzioni, erano danni per la collettività. La dimensione etica dovrà essere sempre di più parte integrante nella valutazione delle scelte».

I TEMI AL CENTRO DEL FESTIVAL 2019

Monsignor Vincenzi ha spiegato anche che «la presenza sarà il filo conduttore della nona edizione del Festival. Si parla tanto di presenza dei cristiani oggi, ma poi nei fatti non si è presenti da nessuna parte. Se vogliamo affrontare temi importanti come la difesa dell’ambiente, il futuro dell’Ilva, l’immigrazione ecc. dobbiamo innanzitutto capire chi è che sta dentro a tutte queste cose. La presenza diventa una dimensione indispensabile, e in questo senso è necessario che si cominci a mettere la faccia nelle decisioni che si prendono. Coi tweet non si risolvono le questioni. Dobbiamo ripensare anche il sistema della comunicazione».

I PARTECIPANTI AGLI EVENTI

«A Verona», ha scritto in una nota Barbara Blasevich, vicepresidente di Cattolica Assicurazioni, «ci saranno esponenti del mondo del lavoro, del sindacato, dell’impresa, della politica, delle istituzioni, della scuola, dei giovani, del volontariato e anche associazioni famigliari. Nomi prestigiosi dal sottosegretario all’Economia e Finanze, Pier Paolo Baretta al segretario confederale Cisl Giorgio Graziani, da docenti universitari come Rocco Pezzimenti della Lumsa, a Stanislaw Skobel, dell’Università di Varsavia, fino all’assessore alla Sanità della Regione Veneto Stefano Bertacco e al governatore della Regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga.

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Le super multe di De Laurentiis per i “ribelli” del Napoli

In arrivo le raccomandate con le sanzioni per i giocatori che si sono ammutinati al termine del match col Salisburgo. Insigne e compagni dovranno riconoscere al club una cifra sui 2,5 milioni di euro.

Ha vinto la linea dura, quella del presidente Aurelio De Laurentiis. I giocatori del Napoli protagonisti dell’ammutinamento dopo il match di Champions League col Salisburgo pagheranno a caro prezzo la loro ribellione. Secondo quanto riportato dal Corriere dello Sport, le raccomandate con le multe per i calciatori partiranno lunedì 25 novembre.

IN ARRIVO SANZIONI TRA IL 25% E IL 50% DELLO STIPENDIO LORDO

Secondo la strategia messa a punto dal numero uno partenopeo e dagli avvocati della società, sono in arrivo sanzioni che oscilleranno fra il 25 e il 50% lordo dello stipendio mensile. Sanzioni diversificate per poter “tarare” la multa secondo responsabilità singole. Sempre stando alla ricostruzione del Corsport fra danni d’immagine e danni morali Insigne e compagni dovranno riconoscere al club una cifra che si aggira sui 2,5 milioni di euro, soldi che verranno detratti dalle buste paga del mese corrente.

ALCUNI CALCIATORI PRONTI A RIVOLGERSI AL COLLEGIO ARBITRALE

Alcuni calciatori si sarebbero già consultati e sarebbero pronti a rivolgersi, dopo l’arrivo delle raccomandate, al giudizio del collegio arbitrale. Altri come Allan starebbero provando a ricucire la frattura, porgendo le proprie scuse a Edoardo De Laurentiis e dimostrando voglia di ripartire. Di sicuro c’è che Aurelio De Laurentiis è irremovibile e non intende fare retromarce .

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Violenza sulle donne: 88 vittime al giorno

I numeri del rapporto "Questo non è amore" della polizia di Stato. Le italiane rappresentano l'80% e nella maggiorparte dei casi gli abusi sono perpetrati da partner ed ex partner.

Sono numeri che fanno ancora rabbrividire quelli del rapporto Questo non è amore diffuso dalla polizia di Stato. Ogni giorno sono 88 le donne vittime di atti di violenza nel nostro Paese. Una ogni 15 minuti prendendo il mese di marzo 2019. Trentasei i casi di maltrattamenti, 27 di stalking, 9 le violenze sessuali e 16 le percosse.

L’80% DELLE VITTIME È ITALIANA, COME IL 74% DEI PRESUNTI AGUZZINI

L’80,2% delle vittime di violenza sono italiane così come la maggior parte dei presunti aguzzini: il 74%. Senza distinzione regionali o di censo: le percentuali sono le medesime in Piemonte e in Sicilia. Le vittime straniere rappresentano invece il 19,8%, i presunti aggressori stranieri il 26%. Nell’82% dei casi chi commette violenza su una donna ha le chiavi di casa. A rappresentare una minaccia sono ancora partner ed ex partner che mettono in atto il 60% degli atti persecutori. Nell’ultimo decennio i numeri del femminicidio non hanno subito alcuna frenata. Nel 2019, il 34% delle vittime di omicidio è donna e in sei casi su dieci l’assassino è il partner o l’ex partner.

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«Ecco il piano di ArcelorMittal per fermare l’Ilva»

Un dirigente dell'azienda ai pm di Milano: «Il programma prevedeva di lasciare una scorta minima di materie prime, solo per un altoforno, per un mese». L'ad Morselli «ci disse che erano stati fermati gli ordini». Per la procura l'abolizione dello scudo penale è solo un pretesto.

I pm di Milano che si occupano del caso Ilva hanno depositato l’atto di intervento nella causa civile tra il gruppo franco-indiano e i commissari dell’acciaieria. I magistrati non hanno dubbi: la «vera causa» della “ritirata” dell’azienda è «riconducibile alla crisi d’impresa», mentre il «venir meno del cosiddetto scudo penale» sarebbe un motivo utilizzato «pretestuosamente».

Inoltre, poiché sussiste «il pericolo di diminuzione delle garanzie patrimoniali per il risarcimento di eventuali danni», è urgente una pronuncia dei giudici che imponga di «astenersi dalla fermata degli impianti e adempiere fedelmente e in buona fede alle obbligazioni assunte».

L’atto contiene, tra le altre cose, le dichiarazioni rese alla procura da un dirigente di ArcelorMittal Italia, Giuseppe Frustaci, ascoltato come testimone pochi giorni fa. Il funzionario ha spiegato ai pubblici ministeri cosa prevedeva il piano dell’azienda per fermare la produzione a Taranto, piano che dopo il ricorso d’urgenza presentato dai commissari la multinazionale ha dovuto sospendere.

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«CANCELLATO L’APPROVVIGIONAMENTO DELLE MATERIE PRIME»

Il programma, secondo la testimonianza del manager, «prevedeva di lasciare una scorta minima di materie prime, solo per un altoforno, per un mese». E oggi, nonostante la sospensione, «l’azienda non ha tutto quel che serve per proseguire l’attività, in quanto l’approvvigionamento delle materie prime è stato cancellato».

LA SCELTA DI FERMARE GLI ORDINI

Il dirigente ha aggiunto che l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, «ha dichiarato ufficialmente» in un incontro «ai primi di novembre» con «i dirigenti e i quadri» che erano stati fermati gli ordini, «cessando di vendere ai clienti».

I DANNI DERIVANTI DAL RAFFREDDAMENTO DEGLI ALTOFORNI

Il manager ha inoltre voluto ricordare che «ogni fermata di un altoforno e il successivo raffreddamento, seppur operato seguendo le migliori pratiche, non è mai senza danni». Danni la cui entità «si può verificare solo quando si riparte».

ABBATTERE I COSTI RIDUCENDO LA QUALITÀ

I «manager esteri» del gruppo ArcelorMittal, per giunta, avrebbero sostenuto che per il funzionamento degli impianti a caldo destinati a produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio «la qualità delle materie prime fosse troppo alta e che occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbattere i costi».

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Banche tradizionali, il vostro tempo è ormai giunto al termine

Gli istituti di credito classici ascoltano più il loro management che i clienti. Così le nuove realtà fin-tech stanno guadagnando terreno conquistando la fiducia dei risparmiatori.

Le banche hanno perso il loro capitale di fiducia ma continuano a immaginare (basta guardare gli spot pubblicitari) «un mondo che non c’è» basato sui residui deliri di onnipotenza o, peggio ancora, su incompetenze e scarsa visione strategica.

Secondo il Barometro della fiducia di Edelman, la più grande società di consulenza in comunicazione e relazioni pubbliche a livello globale, la fiducia negli istituti finanziari è la più bassa registrata se paragonata ai livelli di fiducia di tutti gli altri settori di business.

Tuttavia, secondo una ricerca, fornitaci in anteprima, condotta da Trustpilot, la piattaforma di recensioni più influente al mondo, il settore del fin-tech costituisce un’eccezione. Più del 40% degli intervistati, infatti, ritiene che le aziende di questa branca del settore finanziario siano «altamente affidabili». Il motivo è semplice: queste attività nate in tempi più recenti non si portano dietro lo stesso pesante bagaglio delle aziende finanziarie tradizionali.

L’ASCOLTO DEL CLIENTE, LA COSA PIÙ IMPORTANTE

La sfida per queste giovani aziende è, dunque, quella di mantenere e rafforzare la fiducia dei clienti. E per questo la riprova sociale è per loro un fattore essenziale. Ma esiste un altro fattore determinante per queste start-up e scale-up: ascoltano il cliente. L’importanza dell’esperienza del cliente è tale da pesare più dell’innovazione agli occhi dei manager di aziende fin-tech.

Per un cliente di una banca sembra che non sia più importante esibire il libretto di assegni di Unicredit o di Deutsche Bank per accreditarsi con gli stakeholders

Secondo un sondaggio effettuato dalla società di ricerca e consulenza London Research, quasi la metà di esse (il 46%) è, infatti, dell’idea che ciò che realmente fa la differenza per il proprio business sia la qualità dell’esperienza del cliente, rispetto al 38% che ritiene «il prodotto/l’innovazione» il fattore più importante, solitamente visto come la stessa ragion d’essere di una startup.

L’esperienza del cliente è, inoltre, ritenuta significativamente più importante della notorietà del brand (7%), della reputazione online (5%) e del prezzo (4%). Per un cliente di una banca sembra quindi che non sia più importante, così come avveniva nel secolo scorso, esibire il libretto di assegni di Unicredit o di Deutsche Bank per accreditarsi agli occhi dei propri stakeholders, in primis i fornitori.

SUPERARE LE BANCHE TRADIZIONALI OFFRENDO SERVIZI NUOVI

Eppure i ragionamenti che fanno i giovani manager delle fin-tech sono di una linearità logica che accentuano ancor di piu l’arretratezza e l’obsolescenza del management delle banche tradizionali. Non sono sicuramente filantropi ma hanno capito che le start-up e le scale-up necessitano di trarre profitto dalla qualità dell’esperienza del cliente per ragioni di marketing. E da cio che dice effettivamente il cliente e non ciò che, nelle indagini di customer satisfaction delle banche tradizionali, gli si fa dire.

Sembra che la rassicurazione più efficace per i consumatori sia quella data dalle recensioni positive e dai punteggi alti lasciati dai clienti

La ricerca mostra, infatti, che più di un terzo delle aziende che hanno partecipato al sondaggio (35%) reputa le recensioni positive «fondamentali» perché un cliente potenziale si trasformi in un cliente effettivo e il 47% le ritiene «importanti». Non fanno altro che trarre buon uso dell’insoddisfazione del cliente legata ai metodi tradizionali di operare delle banche “classiche”, usandola come opportunità per mettere in buona luce la propria attività.

Nonostante le aziende fin-tech possano sempre evidenziare il fatto di operare in un settore altamente regolato, sembra che la rassicurazione più efficace per i consumatori sia quella data dalle recensioni positive e dai punteggi alti lasciati dai clienti che già si affidano a loro. Nel frattempo, dopo Facebook con la sua moneta (Libra), dal 2020 Google offrirà anche il suo conto corrente chiamato Cache. I mostri stanno arrivando e, citando simpaticamente Pippo Baudo, «io lo avevo detto cinque anni fa» (Io so e ho le prove – Chiarelettere, ottobre 2014) e qualche illustre professore di finanza (e anche qualche illustre giornalista) arricciava il naso disgustato da tanto catastrofismo.

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