Ceccherini alza il tiro

Dopo la causa civile a Calabresi, Gatti e Pier Luca Santoro per un articolo del 2018 ritenuto diffamatorio, il fondatore dell’Osservatorio Giovani-Editori sta valutando l’azione penale.

Un inizio anno non dei migliori per Claudio Gatti, Mario Calabresi e Pier Luca Santoro, fondatore del sito Datamedia hub. A guastare le feste dei due giornalisti di Repubblica e di Santoro ci ha pensato un vecchio articolo dedicato all’Osservatorio Permanente Giovani-Editori apparso nel marzo 2018 sul Venerdì di Repubblica, considerato fin da subito gravemente diffamatorio dagli interessati, e ripreso poi sul sito online del quotidiano romano.

SCENDONO IN CAMPO I PENALISTI

Inizialmente Andrea Ceccherini, fondatore e anima dell’Osservatorio, sembrava voler limitare la propria azione contro i due giornalisti e Santoro al classico ambito civile. Perciò aveva messo in pista un pool di avvocati di rango, guidato dal professor Guido Alpa, balzato agli onori della cronaca per essere stato storico sodale del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tuttavia qualcosa di nuovo deve essere emerso se solo qualche giorno fa i civilisti sono stati affiancati da un pool di penalisti dai nomi eccellenti (tra cui lo studio fiorentino Taddeucci-Sassolini) cui è stato dato l’incarico di verificare se, nell’ambito della conduzione dell’indagine giornalistica, si siano consumate fattispecie di reati o se invece tutto si sia svolto correttamente. I penalisti dovranno riferire nei primi mesi dell’anno le loro valutazioni, per permettere all’Osservatorio di decidere se procedere o limitarsi all’originaria causa civile.

NO COMMENT DA FIRENZE

L’Osservatorio, che fin dall’inizio aveva reagito al servizio di Gatti con durezza, sembra oggi intenzionato ad alzare ulteriormente il livello dello scontro, probabilmente consigliato dagli stessi legali. Anche se, secondo quanto risulta a Lettera43, sembra che Ceccherini voglia approfondire adeguatamente i fatti e gli atti, prima di muovere un ulteriore passo. Quello che è certo è che il recente cambio di proprietà del giornale, passato dalla famiglia De Benedetti alla Exor di John Elkann, non sembra abbia indotto il manager fiorentino a recedere. Anzi. Interpellati sulle indiscrezioni raccolte da questo giornale, al quartier generale di Firenze hanno preferito non rilasciare dichiarazioni in materia. L’unica cosa di cui sono disposti a parlare è la grande soddisfazione per la partnership strategica con Apple, celebrata in pompa magna a Firenze lo scorso 13 ottobre, che ha contribuito a ispessire il profilo internazionale dell’Organizzazione, tanto da meritare il plauso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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Facebook spiega ai giudici che CasaPound è «odio organizzato»

Il social network ha presentato un reclamo contro l'ordinanza del tribunale di Roma che aveva chiesto di riattivare l'account del movimento neofascista: «Abbiamo una policy sulle organizzazioni pericolose».

Facebook ha presentato un reclamo contro l‘ordinanza del Tribunale di Roma che il 12 dicembre scorso aveva ordinato al social di riattivare gli account di CasaPound. «Ci sono prove concrete che CasaPound sia stata impegnata in odio organizzato e che abbia ripetutamente violato le nostre regole. Per questo motivo abbiamo presentato reclamo», fa sapere un portavoce di Facebook.

«ABBIAMO UNA POLICY SULLE ORGANIZZAZIONI PERICOLOSE»

«Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in ‘odio organizzato’ di utilizzare i nostri servizi», ha dichiarato il portavoce di Facebook.

«LE REGOLE VALGONO AL DI LÁ DELLA IDEOLOGIA»

«Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Il reclamo di Facebook è contro l’ordinanza con cui il 12 dicembre il tribunale civile di Roma ha ordinato al social network la riattivazione immediata della pagina Facebook di CasaPound, oltre che del profilo personale e della pagina pubblica dell’amministratore Davide Di Stefano. Tali account erano stati disattivati da Facebook il 9 settembre.

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Tensione alle stelle tra l’editore Mainetti e il Foglio

Il proprietario del quotidiano prende le distanze dalla battaglia tra redazione e il Dipartimento per l'Editoria, con il quale è in buoni rapporti. Una vendetta per la divergenza di opinioni con la direzione sui governi Conte.

L’editore del Foglio Valter Mainetti prende le distanze dalla battaglia sui contributi pubblici tra la testata e il governo che rischia di portare alla chiusura del giornale fondato da Giuliano Ferrara. Un articolo molto informato di Primaonline racconta come l’immobiliarista editore, in scontro aperto con la redazione, consideri gli accertamenti della Guardia di Finanza come un problema non lo riguarda, perché sono relativi a 6 milioni di contributi versati al giornale nel 2009 e 2010, anni in cui lui non ne era ancora diventato proprietario.

MAINETTI IN BUONI RAPPORTI CON IL DIPARTIMENTO PER L’EDITORIA

Una presa di distanze dovuta anche, secondo le indiscrezioni, al fatto che la direzione del Foglio non l’abbia avvisato prima di sferrare alla vigilia di Natale il suo attacco al governo, e in particolare al Dipartimento per l’Editoria con il quale Mainetti sarebbe in buoni rapporti.

LA VENDETTA PER UN VECCHIO CONTRO-EDITORIALE DELLA DIREZIONE

Un «cavatevela da soli» che suona anche come una vendetta servita fredda per un contro editoriale pubblicato dal Foglio e titolato “La voce del padrone” in cui la redazione si dissociava da un intervento di Mainetti sul quotidiano diretti da Claudio Cerasa a favore del Conte I. Una ferita apertasi nel giornale tra proprietario e direzione nel giugno 2018 che da allora non si è mai rimarginata.

MAINETTI PROPRIETARIO DAL 2016

La società di Mainetti, spiega Primaonline, «ha acquisito il completo controllo della società proprietaria del Foglio solo nel 2016, mentre all’epoca delle contestazioni della Guardia di Finanza le quote appartenevano ancora a Veronica Lario (38%), all’imprenditore Sergio Zancheddu (25%), a Denis Verdini (15%), a Giuliano Ferrara (10 %) e allo stampatore Luca Colasanto (10%)». 

TOTALE AUTONOMIA DEL GIORNALE RISPETTO ALLA PROPRIETÀ

Da quando l’immobiliarista è diventato proprietario, continua il giornale online, «il rapporto con ‘Il Foglio Quotidiano società cooperativa’ (…) editore e destinataria dei contributi statali, è regolato da un dettagliato contratto di affitto per la pubblicazione della testata (…) che prevede a fronte di un ‘canone’ anche la totale autonomia, tanto nella gestione economica che nella linea politica».

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Il Conte bis ha messo nel mirino i contributi al Foglio

L'allarme della testata: «Il governo ci ha escluso dai finanziamenti all'editoria». Secondo il quotidiano, un cavillo burocratico viene usato per coprire un attacco politico.

Dopo gli attacchi alla storica Radio Radicale avvenuti durante il primo governo Conte, sembra che ora nel mirino del governo sia entrato il quotidiano il Foglio, da sempre critico del M5s e non solo. In un editoriale firmato dalla redazione in prima pagina, il giornale fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa parla di un “Tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo”. «Un giornalista già consulente di Vito Crimi, indimenticabile maestro e padrone per un anno e mezzo dei contributi per l’editoria in area governativo-grillina, ha anticipato ieri via blog una decisione del Dipartimento, di cui è direttore il dottor Ferruccio Sepe e responsabile politico il sottosegretario Andrea Martella», si legge, «la decisione è di escludere il Foglio dai contributi all’editoria per il 2018, segnalata nel sito della presidenza del Consiglio». La motivazione dello Stato sarebbe un accertamento fiscale sul biennio 2009-2010. In quegli anni il Foglio non avrebbe raggiunto la diffusione sufficiente a ottenere i finanziamenti e inoltre il giornale sarebbe stato organo di un movimento inesistente. Accuse che la redazione nega e dichiara false. «La pretesa dell’autorità politica e burocratica delegata a confermare o cancellare l’erogazione dei contributi all’editoria è di indurre il Foglio a una grave crisi editoriale, eventualmente alla chiusura», scrive il quotidiano, «intimandogli la restituzione di sei milioni circa di euro per il biennio già menzionato e nel frattempo sospendendo l’erogazione di contributi a titolo di garanzia, procedendo senza nemmeno ancora avere acquisito la controrelazione del giornale rispetto al verbale dei finanzieri».

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Per la Rai è stato un 2019 da dimenticare

Veti incrociati Pd-M5s sulle nomine alle direzioni di tg e reti. La bandiera del cambiamento già ammainata dall'ad Salini. Alle prese con la questione dei soldi da extra gettito gestiti male, il caso dell'intervista ad Assad oltre che la vicenda delle società Stand by Me e Mn Italia.

È la Rai dei veti incrociati, il cui consiglio di amministrazione si ritrova per l’ennesima volta giovedì 19 dicembre, e per l’ennesima volta rischia di concludersi con un nulla di fatto.

VETI DI DI MAIO E ZINGARETTI SU ORFEO E DI MARE

Un esempio di come i veti si incrociano viene dalle tormentate nomine alle direzioni dei telegiornali e delle reti: e per un Luigi Di Maio che mette il veto su Mario Orfeo alla guida del Tg3, c’è un Nicola Zingaretti che non vuole assolutamente vedere Franco Di Mare, in quota grillina, alla direzione della rete che ospita la testata.

ANCHE IN VIALE MAZZINI CONFUSIONE POLITICA

Del resto, da sempre, Viale Mazzini è lo specchio della situazione politica: e se quest’ultima è confusa e caotica, non si può certo pensare che all’interno della tivù di Stato regnino decisionismo e chiarezza.

IL CAMBIAMENTO PROMESSO DA SALINI DOV’È?

Di questa paralisi, questa impossibilità di procedere ad avvicendamenti che si trascinano da tempo, ne paga il prezzo l’amministratore delegato Fabrizio Salini che pure era arrivato pieno di propositi brandendo la bandiera del cambiamento poi laconicamente ammainata. E a nulla serve, evidentemente, che a suo tempo gli siano stati conferiti i pieni poteri: in Rai non si muove foglia che capo partito, di corrente, o di sotto corrente non voglia.

L’ad della Rai Fabrizio Salini (a sinistra) con il presidente Marcello Foa (Ansa).

FARO DEL MISE SULLE RISORSE DA EXTRA GETTITO

L’ultima spina nel fianco dell’ad viene dal capitolo risorse da extra gettito (80 milioni in due anni) gestito in modo non proprio ineccepibile, tanto che dal ministero dello Sviluppo economico è arrivato chiaro l’avvertimento: se mai arrivassero, vogliamo sapere come vengono spesi i soldi fino all’ultimo centesimo.

IL REGOLAMENTO SOCIAL E LA GRANA MAGGIONI

In precedenza, c’è stata la bocciatura in cda del regolamento per l’uso dei social network che aveva fortemente richiesto la commissione di vigilanza sin dall’estate. Infine l’episodio, ai limiti del parossismo, del caso Monica Maggioni, grottesco rimpallo di responsabilità sull’intervista che l’ex presidente della Rai aveva fatto a Bashar al Assad, tenuta per giorni nei cassetti per poi mandarla semi clandestinamente su Rai Play senza alcuna comunicazione preventiva, dopo che i canali siriani e libanesi l’avevano trasmessa.

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L’intervista di Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad.

RETROMARCIA SUI CONTRATTI DI SANREMO E FIORELLO

È poi scoppiato il caso Stand by Me e Mn Italia, due società che furono vicine all’ad e a Marcello Giannotti, il direttore della comunicazione, che hanno portato la Rai alla frettolosa retromarcia sui contratti di Sanremo e Fiorello.

PRESSIONI PER “LA PORTA DEI SOGNI” DELLA VENIER

Ma nonostante la martellante campagna di Striscia la notizia, la vicenda Mn lascia ancora qualche propaggine. Per La porta dei sogni, programma condotto da Mara Venier il venerdì in prima serata su cui punta molto la rete ammiraglia, l’ufficio stampa – seppur a carico dalla società di produzione – è ancora di Mn da cui proviene l’attuale direttore della comunicazione. Non a caso Giannotti si sarebbe attivato con il Tg1 facendo una richiesta del tutto insolita: un servizio lancio su La porta dei sogni da mandare in onda dentro il telegiornale.

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Il sindacato dei giornalisti contro il governo: «Non distruggete l’Inpgi»

La Federazione nazionale stampa italiana si dice pronta allo sciopero contro il piano di pre-pensionamenti previsto in manovra: «Attacco del M5s. L'istituto previdenziale non può sostenere una nuova perdita».

La giunta esecutiva della Federazione nazionale stampa italiana «considera inaccettabile la decisione del governo, nella manovra di bilancio 2020, di permettere altre uscite anticipate dal mondo del lavoro senza la contestuale messa in sicurezza del bilancio dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani attraverso l’allargamento della platea degli iscritti a professioni affini a quella giornalistica». La Fnsi si è detta pronta a proclamare lo sciopero generale. Il motivo sono le risorse stanziate nella manovra appena passata al Senato per sostenere l’accesso anticipato alla pensione per i giornalisti professionisti iscritti all’Inpgi. Un emendamento ha garantito 7 milioni nel 2020 e 3 milioni l’anno dal 2021 al 2027. Nell’ambito di piani di ristrutturazione aziendale presentati dopo il 31 dicembre 2019, è prevista un’assunzione a tempo indeterminato ogni due prepensionamenti, di giovani sotto i 35 anni di età o di giornalisti che già collaborino con lo stesso gruppo.

PERDITA DI ISCRITTI SENZA L’ALLARGAMENTO DELLA PLATEA

«La situazione dell’Inpgi», ha detto la presidente dell’Inpgi Marina Macelloni, «è fortemente critica, con il rischio di avere un commissario. Noi stiamo chiedendo da molto tempo che ci sia consentito di allargare dal 2021 la platea degli iscritti facendo arrivare all’istituto figure non giornalistiche ma vicine, come i comunicatori o i lavoratori della rete. Questo non è ancora avvenuto, ma nello stesso tempo purtroppo il governo ha stanziato nuove risorse per i prepensionamenti». «Si tratta», ha rilevato, «di risorse importanti che comporteranno una nuova perdita di iscritti per l’istituto, e quindi di risorse. E l’istituto in questo momento non può sostenere questa nuova perdita di contribuenti senza avere un allargamento della platea». «Quindi», ha concluso, «noi insistiamo a chiedere questa possibilità, la legge dice che possiamo avere questa possibilità dal 2023, chiediamo che sia anticipata al 2021».

IL SOTTOSEGRETARIO: «RISOLVEREMO COL MILLEPROROGHE»

«Ho proposto di inserire, nell’ambito del dl milleproroghe, una norma orientata a rendere più rapido ed efficace il processo di risanamento dell’Inpgi», è stata la risposta del sottosegretario alla Presidenza con delega all’editoria Andrea Martella.

LA FNSI PUNTA IL DITO CONTRO IL M5S

Secondo la Federazione nazionale della stampa italiana, dietro alla misura ci sarebbero pressioni del M5s. «La parte più oltranzista del Movimento 5 Stelle cerca di sferrare l’ennesimo attacco al pluralismo dell’informazione e all’autonomia dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani», affermava l’11 dicembre in una nota Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi, «dopo aver escluso con una norma interpretativa ad hoc, inserita in un decreto del luglio scorso dall’allora sottosegretario Vito Crimi, la testata Italia Oggi dai contributi del fondo per il pluralismo dell’informazione, i parlamentari pentastellati si schierano adesso contro l’emendamento correttivo che riammetterebbe la testata ai contributi del fondo, incuranti del fatto che in caso contrario sarebbe costretta a chiudere e a licenziare 25 giornalisti. È un atteggiamento inaccettabile che richiede la reazione di tutte le forze politiche, a prescindere dagli schieramenti. Per questo è auspicabile che su questo tema, così come sugli emendamenti sulla messa in sicurezza e sull’autonomia dell’Inpgi, il governo si rimetta al voto dell’aula, esattamente com’è avvenuto nel recente passato per Radio Radicale».

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Il piano di Elkann per trasformare il gruppo Gedi

Maurizio Scanavino nuovo direttore generale al posto di Laura Cioli, che resta ad fino al completamento della vendita di Cir a Exor. La nuova gestione punterà tutto sulla transizione al digitale. L'obiettivo: raddoppio degli utenti in «pochi mesi».

«Per il settore sono stati anni molto difficili. Per rispondere a queste difficoltà abbiamo deciso di impegnarci in un progetto in cui personalmente credo tantissimo. Un progetto non nostalgico, ma che anzi guarda avanti per accelerare le trasformazioni in Gedi», ha spiegato John Elkann alla redazione della Stampa, nel giorno in cui Laura Cioli ha lasciato il ruolo di direttore generale che il cda ha affidato a Maurizio Scanavino. Cioli mantiene invece la carica di amministratore delegato fino all’esecuzione della cessione della quota detenuta da Cir in Gedi a Exor.

Scanavino – già direttore generale di Itedi e poi amministratore delegato di Gnn, per la divisione La Stampa e Il Secolo XIX – ha messo l’accento sulla transizione digitale: «L’informazione digitale a pagamento sarà la nostra principale sfida: in molti Paesi e anche in Europa il passaggio al digitale sta avvenendo con successo e si stanno consolidando modelli editoriali sostenibili».

Oltre ai casi di successo come il New York Times, ricorda Scanavino «il gruppo svedese Bonnier e gli svizzeri di Tamedia hanno superato i 300 mila abbonati digitali e Le Monde ha annunciato la scorsa settimana la previsione di arrivare a 230 mila a fine anno. I quotidiani del gruppo Gedi hanno superato i 100 mila e dobbiamo puntare a raddoppiarli nei prossimi mesi, facendo leva sul grande potenziale delle nostre testate. Repubblica ha superato i 3 milioni di audience complessiva nel giorno medio ed ha una community di quasi 7 milioni di fan, mentre La Stampa ne conta 1,1 milioni e 2,5 milioni di fan».

«Il futuro è nelle nostre mani», ha spiegato Elkann, «dipende da come ciascuno di noi saprà cogliere la sfida della trasformazione. L’obiettivo è generare maggiore interesse nei lettori, quelli di oggi e quelli di domani, creando prodotti di grande qualità. Siamo portatori di un giornalismo serio, indipendente e fatto con grande senso di responsabilità: e questo continuerà a essere il nostro punto di riferimento. Dobbiamo cambiare la nostra prospettiva e affrontare il 2020 come una grande opportunità: l’occasione per ritornare a cogliere nuove soddisfazioni».

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“Patata bollente”: Feltri a processo per il titolo sulla Raggi

Il direttore editoriale di Libero rinviato a giudizio insieme al responsabile Senaldi con l'accusa di diffamazione aggravata.

«Molti ricorderanno un “raffinatissimo” titolo che mi dedicò oltre due anni fa il quotidiano Libero, “La patata bollente“, ed un articolo di Feltri condito dai più beceri insulti volgari, sessisti rivolti alla mia persona: nessun diritto di cronaca esercitato né di critica politica… semplicemente parole vomitevoli», ha scritto su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi, annunciando che il Gup di Catania «accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri per diffamazione aggravata».

«Avevo annunciato che avrei querelato il giornale e i suoi responsabili per diffamazione. L’ho fatto», ha spiegato la sindaca Raggi sul Facebook, «e oggi voglio darvi un aggiornamento: mi sono costituita parte civile ed il Gup di Catania ieri, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri e per il direttore responsabile Pietro Senaldi. Andranno a processo per rispondere di diffamazione aggravata».

«VITTORIA PER TUTTE LE DONNE»

«È un primo importante risultato. Non tanto per me, ma per tutte le donne e tutti gli uomini che non si rassegnano a un clima maschilista, a una retorica fatta di insulti o di squallida ironia», continua la sindaca di Roma, «e il mio pensiero va a tutti coloro, donne e uomini, che hanno subito violenze favorite proprio da quel clima. Gli pseudointellettuali, i politici e alcuni giornalisti che fanno da megafono ai peggiori luoghi comuni, nella speranza di vendere qualche copia o conquistare qualche voto in più, arrivano persino a infangare la memoria di figure istituzionali come Nilde Iotti o a insultare le donne emiliane e romagnole. Patata bollente e tubero incandescente mi scrivevano..io non dimentico… vediamo come finisce in Tribunale questa vicenda».

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Salini cede ad Agnes e la Rai rifà Check-up

Collocata nel palinsesto 2020 sul secondo canale la trasmissione ideata negli Anni 70 dallo storico direttore generale. Ora la figlia Simona ha convinto l'attuale ad dopo i no di Gubitosi, Campo Dall'Orto e Orfeo. Arriva dunque l'ennesimo programma sulla salute.

La Rai del cambiamento che a detta di presidente e amministratore delegato dovrebbe cambiare linguaggi, contenuti editoriali e modalità di fruizione, sta decidendo in queste ore per un ritorno al passato. L’idea è quella di riprogrammare Check-up, una famosa trasmissione ideata negli Anni 70 da Biagio Agnes che è stato per lungo tempo direttore generale a Viale Mazzini.

SU RAIDUE NEL PERIODO FEBBRAIO-MARZO 2020

Perciò si sta lavorando per trovargli una collocazione in palinsesto e, salvo sorprese, l’ipotesi è che la nuova edizione di Check-up possa essere inserita nella programmazione di RaiDue nel periodo febbraio-marzo 2020.

PRESSING ASFISSIANTE PER IL FORMAT

Simona Agnes, figlia di Biagio, e presidente della fondazione che porta il nome del padre, aveva già tentato più volte in passato di riproporre il format ricevendo sempre un cortese quanto fermo no da parte degli ultimi tre direttori generali della tivù pubblica, ossia Luigi Gubitosi, Antonio Campo Dall’Orto e Mario Orfeo.

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Simona Agnes. (Ansa)

UNA MIRIADE DI PROGRAMMI SULLA SALUTE

Invece con Fabrizio Salini è riuscita nell’impresa, avendo anche trovato una buona sponda in un consigliere del consiglio di amministrazione. L’attuale ad, dopo una serie di riunioni operative che hanno visto coinvolte alcune direzioni, avrebbe dato semaforo verde. L’appalto è esterno, visto che il nuovo Check-up sarà un prodotto fornito chiavi in mano da una società della Agnes. E andrà ad aggiungersi alla miriade di programmi sulla salute che già esistono nei palinsesti delle tre reti.

SULLA RETE DI CUI SALINI È DIRETTORE AD INTERIM

Unica novità rispetto all’originale che andava in onda sul primo canale, per il nuovo Check-up è stata scelta RaiDue, la rete di cui dopo l’uscita di Carlo Freccero l’ad Salini è direttore ad interim.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Greta Thunberg sulla copertina di Time come persona dell’anno

L'attivista svedese che si batte contro i cambiamenti climatici ha conquistato il riconoscimento tributato dal 1927 alle figure più influenti: «Ha trasformato vaghe ansie sul futuro del pianeta in un movimento mondiale».

L’attivista Greta Thunberg è stata scelta da Time come persona dell’anno 2019. La 16enne svedese che si batte contro i cambiamenti climatici ha conquistato la copertina del numero di dicembre, assegnata dal 1927 alla figura capace di segnare l’anno in maniera indelebile, nel bene o nel male.

LEGGI ANCHE: Chi è Greta Thunberg, la giovane attivista che difende il Pianeta

PREFERITA A NANCY PELOSI E AI MANIFESTANTI DI HONG KONG

Greta ha battuto il presidente Donald Trump, la speaker della Camera Nancy Pelosi, la ‘talpa’ che ha messo in moto la procedura per l’impeachment e i manifestanti di Hong Kong. È la più giovane persona dell’anno ad aver mai conquistato la prestigiosa copertina di Time. La foto mostra la ragazza in piedi su uno scoglio davanti al mare, con la scritta: «Il potere della gioventù». La motivazione? «Per aver suonato l’allarme sulla relazione predatrice dell’umanità con l’unica casa che abbiamo, riuscendo a trasformare vaghe ansie sul futuro del pianeta in un movimento mondiale che chiede un cambiamento globale».

L’INTERVENTO ALLA COP25

L’11 dicembre Greta ha parlato alla Cop25, la Conferenza dell’Onu sul clima in corso a Madrid: «I leader dei Paesi più ricchi non provano panico, non hanno un senso d’emergenza» nell’affrontare il tema del riscaldamento globale. «Com’è possibile?», si è chiesta l’attivista, «non abbiamo più tempo per ignorare la scienza, il problema coinvolge tutti e bisogna evitare che le future generazioni respirino solo CO2».

L’APPELLO AD ABBANDONARE IL CARBONE

Oggi, secondo Greta, «le persone sono più consapevoli, ma senza pressioni i politici non si muovono». Quindi ha rivolto un appello ad agire in fretta, «perché ci sono le chance per fermare lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione e gli eventi meteo estremi provocati dal riscaldamento globale». Alla Cop25 gli Stati «hanno l’opportunità di negoziare le loro ambizioni», fissando gli obiettivi per tagliare le emissioni di gas serra che nel 2020 dovranno essere ufficializzate alla Cop26. Ma una cosa va fatta immediatamente: «Abbandonare subito l’uso del carbone».

VON DER LEYEN E IL PIANO PER UN’EUROPA VERDE

Dopo Greta ha preso la parola la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen. Come promesso a luglio, ha presentato una nuova strategia ambientale il cui successo dipenderà però dagli Stati membri, chiamati a fare la loro parte per trasformare l’Europa nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050.

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La rottura di Barbara D’Amico col Corriere e le difficoltà dei giornalisti freelance

L'addio dopo l'ultimo taglio dei compensi: «Il sistema deve creare condizioni di sostenibilità». Scarse tutele dei collaboratori, frettolosità per gareggiare coi social, informazione sempre più scadente: intervista sui mali di un settore in crisi.

Rinunciare a una collaborazione importante e prestigiosa per una questione di principio. Barbara D’Amico ha detto basta. Quando il Corriere della sera le ha tagliato il compenso per articolo per la seconda volta nel giro di poco tempo, ha deciso di dire addio, motivando la sua scelta con un lunghissimo thread sul suo profilo Twitter.

Non una questione meramente economica, tutt’altro. Perché sì, prendere 15 euro lordi a pezzo quando prima erano 40 è «lavorare quasi gratis», ma ciò che le ha fatto perdere la pazienza è stata l’assenza di comunicazione. Non le hanno detto nulla, l’ha scoperto ancora una volta a cose fatte, ad articoli scritti e pubblicati, all’atto di emettere la fattura.

«LA MIA È UNA STORIA DI LIBERA SCELTA»

Una storia fin troppo comune, ma nei suoi tweet non troverete mai la parola “sfruttamento”. «Sono una vera partita Iva, non una falsa, non ho il giornale che mi ha sfruttato per anni. La mia è una storia di libera scelta. Io ho detto “se non vi potete più permettere di finanziare il progetto non è un problema, basta che me lo diciate”».

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Barbara D’Amico.

DOMANDA. La vita del freelance è dura.
RISPOSTA.
Sì, ma chiariamolo, il lavoro autonomo non è una cosa brutta, cattiva, che non va scelta. Anzi, io sono orgogliosa di essere freelance e voglio continuare a esserlo. Bisogna però capirsi sulla sostenibilità.

In che senso?
La mattina mi sveglio e devo fare io le proposte. Oppure vengo chiamata per fare il mio lavoro. Va bene, bisogna però intendersi sui tempi e le modalità. Se si è chiari fin dall’inizio va benissimo, poi può certamente capitare l’elemento esterno che cambia le carte in tavola, ma non deve mai mancare il rapporto di rispetto reciproco. Anche comunicare come sono messe le cose è una forma di rispetto del lavoro altrui.

Invece a volte questo rispetto viene meno.
Sì, e io ho deciso di fare la mia parte con un gesto di responsabilità e simbolico: quello di interrompere la collaborazione.

Perché l’ha fatto?
Perché questo è un settore che si deve rendere conto che se ha bisogno di certe figure deve creare delle condizioni di sostenibilità.

Molti colleghi freelance sono nella stessa situazione ma non hanno il coraggio di dirlo

E come è andata?
Bene. Ho avuto una grande risposta, messaggi di colleghi freelance che mi ringraziano perché sono nella stessa situazione ma non hanno il coraggio di dirlo e tanti colleghi anche delle redazioni internet che riconoscono lo stato delle cose. So che non è che da domani alzeranno i compensi o cambieranno le cose, ma ho cercato di avviare una riflessione.

Di chi è la colpa della situazione attuale?
Su Twitter i sovranisti dicono che è colpa dell’euro, della svalutazione dei salari, tutte cose che non c’entrano niente.

E allora dov’è il problema?
È un problema di cultura del lavoro. Noi abbiamo un impianto normativo molto completo in Italia che già dovrebbe tutelare il lavoro, ma nella pratica non viene applicato e per farlo applicare bisogna andare in causa. E non credo che sia sempre lo strumento migliore, sebbene a volte sia indispensabile. Serve concertazione di tutti, corpi intermedi, aziende, editori, sedersi su un tavolo e capire cosa si vuole fare da grandi. Perché se l’informazione cala di qualità ci vanno a perdere tutti.

Se nessuno inizia a prendere delle responsabilità interne e continua a dare colpe esterne all’euro o a internet, non si va da nessuna parte

La colpa è solo degli editori?
No, tutta la filiera è colpita. Il punto vero è che se nessuno inizia a prendere delle responsabilità interne e continua a dare colpe esterne all’euro o a internet, non si va da nessuna parte. Bisogna capire quali sono le disfunzionalità e agire.

I giornalisti freelance che responsabilità hanno?
Quella di dire sì incondizionatamente a chiunque. Non c’è niente di male nel collaborare a pezzo, ma attenzione a prestarsi sempre e comunque. Ogni tanto se uno dice no, non succede niente e magari arrivano altre proposte.

A lei è successo?
Sì. Ho ricevuto più proposte di lavoro negli ultimi due giorni che in sei mesi. Ci può essere una via d’uscita.

I sindacati tutelano più i giornalisti dipendenti che i freelance?
Occupandomi di lavoro ho potuto vedere come lavorano i sindacati. La verità è che per tutelare chi è dentro ci sono gli strumenti, per chi è fuori sono molto più scarsi. Il lavoro autonomo non è regolato perché poggia su dei presupposti che sono in parte diversi, anche se le tutele dovrebbero essere uguali per tutti i lavoratori.

A oggi l’unica forma di tutela è una forma di rispetto reciproco, anche se mi rendo conto che sia utopico

E così ancora non è.
È quello che si sta cercando di fare con lo Statuto del lavoro autonomo, che non sarà forte come lo Statuto dei lavoratori del 1970 ma è un primo passo. Sarebbe bello avere uno strumento che non mi costringa a scegliere tra il lavoro e la mia salute quando mi ammalo, e si sta andando in quella direzione. A oggi l’unica forma di tutela è una forma di rispetto reciproco, anche se mi rendo conto che sia utopico.

E come si può migliorare la situazione?
Faccio un esempio. Per i rider, in Belgio, c’è una cooperativa che si chiama Smart che è andata dai grandi player del food delivery e ha detto che avrebbe contrattualizzato lei i rider. Le aziende avrebbero mantenuto il pagamento a consegna lasciando una piccola percentuale alla cooperativa per la previdenza e tutele. Questo modello è una strada. Ci sono anche oggettivi mutamenti di mercato che riguardano l’editoria, coi social e internet che stanno cambiando il contesto, bisogna saper affrontare dotandosi di strumenti.

Si parla tanto di equo compenso, si era anche raggiunto un accordo tempo fa.
Dirò una cosa un po’ forte, ma secondo me l’equo compenso è già uno strumento un po’ superato, andava fatto tempo fa. Oggi il mondo si muove velocemente e non è più un problema di equo compenso. Non è inutile del tutto, sia chiaro, ci sono colleghi che prendono 2 o 3 euro al pezzo, ma il rischio è che nel momento in cui lo fai urti il sistema di formazione del prezzo e rischia di diventare un tetto salariale, non un minimo.

È proprio stupido pagare a pezzo. Noi non scriviamo e basta, noi ricerchiamo e verifichiamo. Il compenso deve essere fatto sul servizio

E cosa si dovrebbe fare?
Coinvolgere esperti di settore nella discussione per valutare pro ed effetti collaterali, come si sta facendo col salario minimo, che potrebbe fare da modello. Che poi il problema è alla base, è proprio stupido pagare a pezzo. Noi non scriviamo e basta, quello è l’ultimo step di un processo più lungo. Noi ricerchiamo e verifichiamo. Il compenso deve essere fatto sul servizio, non a pezzo.

Si dice che manchino i lettori e che il settore sia in crisi per questo. Che ne pensa?
Per me il lettore non ha colpe ed è imbarazzante dargliene. Anzi, la domanda di informazione è cresciuta, aziende come Facebook e Twitter ci campano sopra.

E allora cosa è successo?
Che il settore giornalistico si è azzoppato da solo perché in molti casi ha abdicato al metodo giornalistico. Il lavoro del giornalista non è pubblicare cose, ma verificarle. Andare a rompere le scatole alla fonte, prendere informazioni, incrociarle, ricostruire i fatti.

Il giornalismo ha l’ansia di arrivare prima di uno strumento che non si può battere in velocità, quello dei social network

Una cosa che si fa sempre meno.
Perché il giornalismo ha avuto paura di Twitter e dei social e, all’inizio comprensibilmente, ha cominciato a scimmiottare la comunicazione social per l’ansia di arrivare prima di uno strumento che non si può battere in velocità. Si è prodotta un’informazione di scarsa qualità, frettolosa. Ma se è lo stesso tipo di informazione che si trova gratis online, perché il lettore dovrebbe pagarla?

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Il caso Assad in Rai travolge Salini e Maggioni

L'intervista non ancora trasmessa fatta dalla giornalista al presidente siriano e il successivo ultimatum di Damasco sulla messa in onda imbarazzano Viale Mazzini. Per l'ad non c'era alcuna data concordata. La sua posizione traballa dopo la figuraccia. L'Usigrai: «In gioco la credibilità dell'azienda». Irritato il presidente Foa.

Il caso Bashar al Assad è scoppiato in casa Rai, suscitando imbarazzi, tensioni e irritazione ai vertici. La vicenda ha aperto una tale crisi all’interno dell’azienda che in Viale Mazzini si aspettano persino che voli qualche testa, anche molto in alto. Ma cosa è accaduto?

CONTEMPORANEITÀ PREVISTA DAGLI ACCORDI?

Monica Maggioni, amministratrice delegata di Rai Com, ha realizzato un’intervista al presidente siriano. Il colloquio però non è ancora stato trasmesso dalla Rai. Nella tarda serata di sabato 7 dicembre è arrivato via Facebook l’ultimatum del governo di Damasco: se Viale Mazzini non dovesse mandare in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista, che avrebbe dovuto essere «trasmessa il 2 dicembre su Rainews 24», allora i siriani sarebbero pronti a programmarla sui media del Paese, senza la contemporaneità prevista dagli accordi.

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Monica Maggioni. (Ansa)

MESSA IN ONDA RINVIATA: PERCHÉ?

Secondo la versione di Damasco, RaiNews 24 ha chiesto di posticipare la messa in onda «senza ulteriori spiegazioni». Poi sono seguiti, sempre stando all’ufficio stampa della presidenza Assad, altri due rinvii. Per i siriani insomma «questo è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale».

Statement from Political and Media Office of the Syrian Presidency:On 26 November 2019, President al-Assad granted an…

Posted by Syriana Analysis on Saturday, December 7, 2019

L’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, si è ritrovato al centro della delicata questione senza sapere come comportarsi: prendere provvedimenti o concordare con la Maggioni una linea che tutelasse la Rai dalla figuraccia? La sua è una delle posizioni che traballano, e alla fine in una nota ha provato a rimediare così: «L’intervista non è stata effettuata su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda».

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L’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini.

IMPASSE CON ALCUNE TESTATE RAI

A quanto è trapelato, Salini sarebbe stato informato che la Maggioni, già inviata di punta del Tg1, ex direttore di Rainew24 ed ex presidente Rai, aveva la possibilità di effettuare l’intervista ad Assad e che sarebbe andata a realizzarla in qualità di ad di Rai Com. Il colloquio sarebbe stato poi proposto ad alcune testate della Rai, che tuttavia non lo avrebbero trasmesso rivendicando la professionalità dei propri giornalisti. E quindi l’impasse ha provocato la reazione del governo siriano. Che ora ha fissato la messa in onda per la serata di lunedì.

L’esecutivo Usigrai, il sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, ha commentato così: «Chiarito che né Rainews24 né alcuna altra testata della Rai ha commissionato l’intervista al presidente della Siria Assad, né quindi ha preso impegni a trasmetterla, chi ha assunto accordi con la presidenza della Siria per conto della Rai? E perché? Fermo restando che non si può cedere ad alcun ultimatum da parte di nessuno, men che meno da parte del capo dello Stato di un Paese straniero, siamo di fronte a una vicenda imbarazzante».

Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia


L’Usigrai

Per l’Usigrai «la Rai deve fare chiarezza con urgenza e individuare le responsabilità. Senza alcun tentennamento. Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia».

Il presidente della Rai Marcello Foa.

IL PRESIDENTE FOA VUOLE SPIEGAZIONI

Il presidente della Rai, Marcello Foa, non ha preso bene l’accaduto, manifestando forte irritazione per non essere stato informato dell’intenzione di intervistare Assad e tanto meno dei successivi sviluppi e delle decisioni via via assunte in azienda sulla gestione dell’intervista. Secondo quanto è trapelato, è ferma la volontà del presidente di ottenere spiegazioni e fare quindi chiarezza sull’intera vicenda.

Il presidente siriano Bashar al Assad.

LA LEGA: «È UNO SCOOP, VENGA TRASMESSO»

Anche la politica si è intromessa. Alessandro Morelli, deputato e responsabile Editoria della Lega, ha parlato di «pressapochismo in Rai rispetto a rapporti internazionali delicatissimi. Lo scoop sarebbe stato stoppato e non si capisce il motivo: se questa intervista è stata fatta, è una testimonianza e deve andare in onda». E ancora: «La Rai faccia una volta tanto servizio pubblico e non politica. La dirigenza dimostra ancora di essere incapace di gestire un’azienda tanto importante per gli interessi nazionali. Dilettanti allo sbaraglio che rischiano di far saltare difficili equilibri, il cui responsabile, l’ad Salini, deve perdere più tempo a evitare polemiche che potrebbero riguardarlo piuttosto che lavorare per lo sviluppo dell’azienda».

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Ultimatum di Damasco alla Rai per la messa in onda di un’intervista ad Assad

Viale Mazzini ne avrebbe rinviato più volte la trasmissione senza spiegazione. L'ufficio stampa della presidenza siriana dà fino al 9 dicembre. Poi la diffonderà sui media locali.

Meno di 48 ore. Se la Rai non manderà in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, che doveva essere trasmessa il 2 dicembre scorso, Damasco programmerà sui media del Paese il colloquio senza la contemporaneità prevista dagli accordi. Lo rende noto l’Agi.

L’ACCORDO CON DAMASCO

«Il 26 novembre 2019, il presidente al-Assad ha rilasciato un’intervista alla Ceo di RaiCom, Monica Maggioni», ha scritto l’ufficio stampa della presidenza siriana in una nota pubblicata su Facebook in cui spiega i termini dell’accordo. «Si è convenuto che l’intervista sarebbe andata in onda il 2 dicembre su Rai News 24 e sui media nazionali siriani». Così però non è andata. Il 2 dicembre RaiNews24 ha chiesto di posticipare la messa in onda senza, stando alla versione di Damasco, ulteriori spiegazioni. A questo sono seguiti, sempre secondo l’ufficio stampa della presidenza siriana, altri due rinvii. «Questo», conclude la nota, «è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale». Così è scattato l’ultimatum: o l’intervista va in onda oppure la presidenza siriana la trasmetterà alle 21 di lunedì.

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Ultimatum di Damasco alla Rai per la messa in onda di un’intervista ad Assad

Viale Mazzini ne avrebbe rinviato più volte la trasmissione senza spiegazione. L'ufficio stampa della presidenza siriana dà fino al 9 dicembre. Poi la diffonderà sui media locali.

Meno di 48 ore. Se la Rai non manderà in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, che doveva essere trasmessa il 2 dicembre scorso, Damasco programmerà sui media del Paese il colloquio senza la contemporaneità prevista dagli accordi. Lo rende noto l’Agi.

L’ACCORDO CON DAMASCO

«Il 26 novembre 2019, il presidente al-Assad ha rilasciato un’intervista alla Ceo di RaiCom, Monica Maggioni», ha scritto l’ufficio stampa della presidenza siriana in una nota pubblicata su Facebook in cui spiega i termini dell’accordo. «Si è convenuto che l’intervista sarebbe andata in onda il 2 dicembre su Rai News 24 e sui media nazionali siriani». Così però non è andata. Il 2 dicembre RaiNews24 ha chiesto di posticipare la messa in onda senza, stando alla versione di Damasco, ulteriori spiegazioni. A questo sono seguiti, sempre secondo l’ufficio stampa della presidenza siriana, altri due rinvii. «Questo», conclude la nota, «è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale». Così è scattato l’ultimatum: o l’intervista va in onda oppure la presidenza siriana la trasmetterà alle 21 di lunedì.

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Diminuisce la fiducia dei comunicatori: come invertire la tendenza

Davanti alle nuove sfide dovute alla digitalizzazione occorre mettere in piedi sinergie solide tra pubbliche relazioni, giornalisti e leader. Solo così sarà possibile consolidare la corporate reputation.

Le aspettative della società nei confronti del business, delle aziende e dei leader sono in costante aumento.

In un contesto sfidante dove emergono tematiche quali quelle ambientali, della crisi economica e della digitalizzazione è sempre più facile comunicare la propria opinione e parlare alle persone attraverso l’uso delle tecnologie.

In particolare, l’utilizzo di queste ha permesso lo sviluppo della comunicazione disintermediata, quel tipo di comunicazione tramite la quale vengono eliminati i filtri e i corpi intermedi. Questo modo di comunicare aiuta a mantenere vivo il rapporto con la propria platea e a garantire contatti con nuovi soggetti.

ESPORSI SU TEMATICHE CRUCIALI AIUTA A MANTENERE CREDIBILITÀ

In un mondo così complesso, dunque, esporsi in tempo reale su tematiche cruciali per il proprio business è necessario per ottenere e mantenere una certa credibilità. Attraverso genuini scambi di opinione su social, siti web e piattaforme dedicate, è possibile trasmettere i valori della propria azienda alla luce degli obiettivi che questa si è prefissa di perseguire. Mission, vision e valori sono elementi imprescindibili per garantire un buon andamento dell’attività e rappresentano un faro per le attività di comunicazione. La comunicazione è, dunque, uno degli strumenti chiave per la gestione della reputazione ed è una leva di successo per le performance di business, in grado di creare una profonda cultura di impresa. Per questi motivi, anche per i leader di grandi aziende, la comunicazione e il ruolo dei comunicatori sta diventando sempre più centrale. 

LA SFIDUCIA NEI PROFESSIONISTI NELL’ERA DELLA DISINTERMEDIAZIONE

Nonostante il ruolo cruciale che la comunicazione riveste per il business e per il funzionamento di grandi e medie aziende, il ruolo dei comunicatori professionisti sembra sperimentare una profonda crisi. Secondo quanto riportato nel rapporto Euprera (European Public Relations Education and Research Association) realizzato in Germania, Italia e Regno Unito dalla Leipzig University, la Leeds Beckett University e lo Iulm sul livello di fiducia nei confronti dei professionisti della comunicazione, la popolazione generale ha una forte diffidenza. Questo è dovuto, in particolare, alle percezioni confuse sugli obiettivi e le attività di pubbliche relazioni da parte della popolazione. Non è un caso, dunque, che il 50% degli intervistati sia indifferente alle attività di pubbliche relazioni e il 38% degli intervistati non abbia fiducia nei confronti di chi fa attività di pubbliche relazioni. Questi dati risultano essere in forte contrasto con la percezione che i professionisti della comunicazione hanno di se stessi: ritengono di ottenere il 55% della fiducia, mentre in realtà arrivano a sfiorare solo il 12%. L’unico modo per affrontare questa situazione critica risiede, dunque, nello sviluppo di sinergie solide tra pubbliche relazioni, giornalisti, leader e comunicatori. 

QUALE FUTURO PER I LEADER E I COMUNICATORI?

Come ho scritto nel mio ultimo libro Comunicazione integrata e reputation Management, edito dalla Luiss University Press, populismi, cambiamenti climatici, demografici e digitalizzazione stanno influenzando e impatteranno sempre più sul nostro modo di vivere, lavorare e comunicare. I nuovi sistemi di comunicazione sfidano i divari geografici e temporali accorciando le distanze, disintermediando e, allo stesso tempo, accrescendo problemi relativi a reputazione e credibilità. La comunicazione integrata, come ho scritto e ripetuto più volte nel libro, può rispondere a questi problemi, definendo un filo logico in cui gli strumenti comunicativi e le tecniche impiegate in ciascuna delle aree di comunicazione siano allineati con la strategia complessiva dell’impresa. Solo in questo modo sarà garantita la possibilità di far leva sulle tecniche di comunicazione per consolidare la corporate reputation e conseguire una posizione distintiva rispetto ai concorrenti in un orizzonte di lungo termine. Infine, se questa strategia viene accompagnata da una elevata dose di empatia, risulterà certamente vincente, come dimostrato dai risultati della ricerca pubblicata questo mese sul McKinsey Quarterly, basati su sondaggi e interviste con un gruppo di borsisti di Ashoka, una delle comunità di imprenditori sociali più importanti al mondo.

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

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Squid App sarà il fornitore di notizie sugli smartphone Huawei

La società svedese diventa content partner della compagnia cinese. «Il nostro obiettivo è di fare appassionare le giovani generazioni alla lettura di notizie di qualità e allo stesso tempo aiutare le testate giornalistiche ad acquisire più traffico e più ricavi», ha commentato il Ceo Johan Otelius.

Squid, società media-tech di Stoccolma, sarà content partner per il newsfeed in Huawei Browser e Huawei Assistant. Agli utenti verrà fornito un feed consigliato con notizie provenienti da diverse categorie e da una varietà di editori. «Siamo entusiasti che Huawei ci abbia scelto come partner per offrire ai suoi utenti le notizie di attualità più interessanti», ha commentato Johan Othelius, Ceo e fondatore di Squid App. «Il nostro obiettivo è di fare appassionare le giovani generazioni alla lettura di notizie di qualità e allo stesso tempo aiutare le testate giornalistiche ad acquisire più traffico e più ricavi». Squid App offre agli utenti Huawei notizie in 35 lingue e permette ai lettori di personalizzare il proprio newsfeed. L’obiettivo è di aprire le porte dei millennial, soprattutto in Europa e America Latina, a un mondo di notizie dalle fonti più autorevoli.

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Cos’ha deciso la holding dei De Benedetti sulla vendita di Gedi

Accordo con Exor per la cessione delle quote di Cir nel gruppo editoriale (43,78%) al prezzo di 0,46 euro per azione, per un controvalore pari a 102,4 milioni di euro.

Al termine di un cda durato tutta la giornata, la finanziaria controllata dai De Benedetti (Cir) ha firmato un accordo per la cessione a Exor (famiglia Agnelli) della sua partecipazione nel Gruppo Gedi al prezzo di 0,46 euro per azione, per un controvalore pari a 102,4 milioni di euro. Si tratta di quasi il doppio della cifra (0,25 euro ad azione) offerta a metà ottobre da Carlo De Benedetti per riprendere dai figli il controllo del gruppo editoriale. Al termine dell’operazione, da realizzare tramite una società di nuova costituzione, verrà lanciata un’opa allo stesso prezzo. Cir reinvestirà nella nuova società per una quota pari al 5% di Gedi.

ELKANN: «PROGETTO EDITORIALE RIGOROSO»

«Con questa operazione ci impegniamo in un progetto imprenditoriale rigoroso, per accompagnare Gedi ad affrontare le sfide del futuro», ha detto John Elkann, presidente e amministratore delegato di Exor.

RODOLFO DE BENEDETTI: «TESTIMONE A UN AZIONISTA DI LIVELLO»

«Passiamo il testimone ad un azionista di primissimo livello, che da più di due anni partecipa alla vita della Società, che conosce l’editoria e le sue sfide, che in essa ha già investito in anni recenti e che anche grazie alla propria proiezione internazionale saprà sostenere il gruppo nel processo di trasformazione digitale in cui esso, come tutto il settore, è immerso», è stato il commento del presidente di Cir, Rodolfo De Benedetti.

IL GRUPPO GEDI

Gedi è il primo editore di quotidiani in Italia, con La Repubblica, La Stampa e 13 testate locali, edita periodici tra cui il settimanale L’Espresso, è leader per audience nell’informazione digitale ed è uno dei principali gruppi nel settore radiofonico, con tre emittenti nazionali, tra cui Radio Deejay. Opera, inoltre, nel settore della raccolta pubblicitaria, tramite la concessionaria Manzoni, per i propri mezzi e per editori terzi.

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Elkann si compra Gedi dai De Benedetti

I fratelli hanno deciso di vendere il gruppo che edita Repubblica, La Stampa e l'Espresso al rampollo Agnelli. Lunedì il cda.

I fratelli De Benedetti hanno deciso di vendere il gruppo Gedi (Repubblica, Stampa, Espresso) a John Elkann. Cir, la finanziaria della famiglia De Benedetti, è in trattativa con Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, per vendere la quota di controllo del gruppo. Lo ha reso noto la Cir in una nota. Il cda di Cir è convocato per lunedì 2 dicembre. L’affare è stato deciso il 28 novembre a Milano e la cifra messa sul piatto dal presidente di Fca sarebbe stata di quelle che non si possono rifiutare. Il rampollo della famiglia Agnelli è già azionista al 6,2% del gruppo Gedi. Secondo Dagospia, Carlo De Benedetti potrebbe essere intenzionato a ricomprarsi Repubblica da Elkann.

LA FAIDA NELLA FAMIGLIA DE BENEDETTI

Si chiude così la faida famigliare iniziata a ottobre che ha visto il padre attaccare i figli e la loro capacità imprenditoriale. L’11 ottobre l’Ingegnere aveva presentato un’offerta di acquisto cash del 29,9% delle azioni del gruppo. Il cda aveva rifiutato l’offerta. Da tempo i De Benedetti e Elkann meditavano di incontrarsi per decidere sul futuro di una aggregazione rimasta in gran parte sulla carta. Ma l’irrompere sulla scena dell’Ingegnere aveva scompaginato (evidentemente accelerando) i piani.

«I MIEI FIGLI NON SANNO FARE GLI EDITORI»

«I miei figli», aveva dichiarato allora De Benedetti senior, «sanno fare bene altri mestieri. Ma non hanno la passione per fare gli editori. Non hanno neanche la competenza; ma prima di tutto non hanno la passione. (…) La grande ingenuità dei miei figli è continuare da tempo a cercare un compratore per il gruppo. Una ricerca inutile: in Italia un compratore non c’è». Alla fine l’hanno trovato proprio nel loro socio.

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Torna Studio in Triennale: il programma dell’edizione 2019

La due giorni di dibattiti e interviste organizzata da Rivista Studio va in scena sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre. Moda, design, mobilità sostenibile, sport e tanto altro ancora.

Studio in Triennale, il festival organizzato da Rivista Studio in collaborazione con Triennale Milano, torna per l’ottava edizione in programma sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre 2019. Teatro dell’evento il Palazzo dell’Arte in viale Alemagna.

Il filo rosso della due giorni di dibattiti e interviste dedicati a media, cultura, innovazione, design, stili di vita, sport e ambiente sarà il superamento di ogni codice, genere, limite e barriera. Tutti gli incontri sono a ingresso libero. Ecco il programma completo.

SABATO 30 NOVEMBRE

Ore 14.00
No Code!
Moda, design, arte, stili di vita: la rottura dei codici
Con: Yong Bae Seok (designer), Lorenza Baroncelli (direttrice artistica Triennale Milano), Michele Lupi (Tod’s), Angela Rui (curatrice).
Modera: Federico Sarica (direttore Rivista Studio)

Ore 15.15
Come ci muoveremo
Dallo skateboard all’elettrico, ragionamenti attorno alla mobilità sostenibile
Con: Pablo Baruffo (skatepark designer, CTRL+Z), Paolo Gagliardo (Ad Qooder), Michele Lupi (Tod’s), Diana Manfredi (regista).
Modera: Serena Scarpello (Rivista Studio)

Ore 16.30
I nuovi femminili
Le donne, i media e le community, fra social e giornali tradizionali
Con: Imen Boulahrajane (esperta di economia e influencer), Francesca Delogu (direttrice Cosmopolitan), Cristina Fogazzi (Estetista Cinica), Annalisa Monfreda (direttrice Donna Moderna).
Modera: Silvia Schirinzi (Rivista Studio)

Ore 17.45
Incontro con David Szalay, scrittore (Turbolenza, Adelphi)
Intervengono: Veronica Raimo, Marco Rossari (autori di Le Bambinacce, Feltrinelli).

Ore 18.45
Incontro con Lawrence Wright, scrittore (Dio salvi il Texas, NR Edizioni)
Intervengono: Giuseppe De Bellis (direttore Sky Tg24), Paola Peduzzi (Il Foglio)

DOMENICA 1 DICEMBRE

Ore 11.00
Fabbrica Futuro
Dalle nuove professioni alla formazione continua, ragionamenti sul futuro del lavoro
Con: Riccardo Barberis (AD ManpowerGroup Italia), Davide Oldani (chef)
Modera: Giuseppe De Bellis (direttore SkyTg24)
Case history: Barbara Cominelli (Microsoft Italia), Giampaolo Grossi (Starbucks Italy) 

Ore 12.00
Il calcio è donna (finalmente!)
La rottura dei codici tradizionali nello sport maschile per eccellenza
Con: Regina Baresi (Inter FC), Carolina Morace (Sky), Francesca Vitale (AC Milan)
Modera: Alessia Tarquinio (Sky Sport)

A seguire
Il tennis come istigazione al racconto
Un monologo breve
di Matteo Codignola (Adelphi)

Ore 14.30
Incontro con Marracash, musicista
Interviene: Giovanni Robertini (autore tv e giornalista)

Ore 15.30
Il caso Fitzcarraldo
Come un editore indipendente può arrivare, in cinque anni, a pubblicare due premi Nobel (e delle copertine bellissime)
Con: Jacques Testard (direttore Fitzcarraldo Editions)
Modera: Cristiano de Majo (Rivista Studio)

Ore 16.45
Contro Milano. Viva Milano
Una riflessione aperta sulla città e il suo rapporto col resto del Paese
Con: Michele Masneri (Il Foglio), Francesco Caldarola (autore tv), Mattia Carzaniga (giornalista), Irene Graziosi (autrice Venti), Virginia Valsecchi (produttrice).
Modera: Federico Sarica (direttore Rivista Studio)

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Rai: le spine di Salini sono le nomine tigì, Fiorello e Mn

L'ad di Viale Mazzini sotto pressione per il cambio dei direttori dei telegiornali. Ma a preoccupare sono anche il presunto conflitto di interessi del capo comunicazione Giannotti e il costo dell'operazione Viva RaiPlay.

Il 26 novembre Fabrizio Salini è pronto a essere ascoltato in Commissione di vigilanza Rai. Per l’amministratore delegato della tivù di Stato si annunciano giorni di passione, cosa che lui, che soffre la troppa pressione, sicuramente vorrebbe evitarsi. Ma oramai la partita Rai non è più rinviabile. Ovvero non è più procrastinabile intervenire su una situazione che è ancora figlia del Conte Uno e dell’alleanza giallo-verde.

Ora, se Giuseppe Conte (bis) e i grillini sono rimasti, sono il Pd e Matteo Renzi che, entrati nella nuova compagine di governo, reclamano a gran voce che il tormentato universo della tivù pubblica ne prenda atto. Come fatto trapelare senza troppi paludamenti, il partito di Nicola Zingaretti punta al Tg1, guidato ora da Giuseppe Carboni in quota M5s. Il suo candidato è il sempreverde (il colore non allude ovviamente a simpatie leghiste) Antonio Di Bella, attualmente alla guida di Rai News.

Di Bella è il candidato più forte, ma non l’unico: c’è il vecchio direttore della testata ammiraglia nonché ex direttore generale dell’ente Mario Orfeo che chiede di essere valorizzato. Momentaneamente parcheggiato a Rai Way, Orfeo vuole tornare a pieno titolo nell’agone delle news. Sconta però un certo ostracismo dei pentastellati, che gli preferiscono di gran lunga Franco Di Mare, da luglio vicedirettore di RaiUno con delega agli approfondimenti e alle inchieste.

ANCORA NESSUNA CERTEZZA PER LE NOMINE DEI TELEGIORNALI

Ma che i telegiornali vengano toccati dall’ondata delle future nomine è ancora tutto da vedere. Salini sa che la materia è incandescente, e nel tentativo di limitare i danni vorrebbe offrire in pasto alla politica solo il rinnovo dei direttori di rete. I corridoi di viale Mazzini segnalano, ma con la dovuta aleatorietà di una situazione che cambia da un giorno all’altro, il seguente organigramma: Stefano Coletta a RaiUno, Marcello Ciannamea alla Seconda Rete, e l’onniprensente Di Mare, sempre non vada al Tg1, al vertice di RaiTre.

A viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale

Ma si sa, a viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale, e dunque la prudenza è d’obbligo. Un puzzle che è ulteriormente complicato dal fatto che Salini, forte dell’approvazione del suo piano industriale da parte del Mise, deve procedere alla nomina dei responsabili delle divisioni trasversali. Lo farà o tergiverserà ancora? Qualcosa forse si saprà nel cda Rai che si terrà due giorni dopo l’audizione dell’ad in Commissione di vigilanza.

Foto di Stefano Colarieti / LaPresse.

E poi c’è una ulteriore grana che non promette nulla di buono. Complice Striscia la notizia, è deflagrato il caso della società di comunicazione Mn, dove Marcello Giannotti ha lavorato dal 2015 al 2018 prima di essere chiamato da Salini a guidare la comunicazione Rai. Quasi sicuro che il cda chiederà a Salini spiegazioni su quello che alcuni giudicano un conflitto di interessi, altri come minimo una evidente caduta di stile. Mn, in trattativa per Sanremo (anche se la società smentisce), segue la comunicazione di Fiorello e della nuova serie I Medici, pagata da Lux Vide ma nell’ambito di una coproduzione Rai.

I DETTAGLI ECONOMICI SUL PROGRAMMA DI FIORELLO RIMANGONO UN MISTERO

Sempre nei corridoi di viale Mazzini si sussurra anche di un altro capitolo che chiamerebbe in causa Giannotti, ovvero una serie di contratti che la Comunicazione avrebbe sottoscritto con alcune testate online per ospitare una serie di redazionali sull’attività della Rai e del suo ad. E poi c’è il caso Fiorello, l’operazione su cui Salini ha puntato, ma i cui contorni sono ancora avvolti nel mistero. Per quello che è stato venduto come l’appuntamento televisivo dell’anno, il ritorno dello showman sulla piattaforma di Rai Play, non sono mai stati comunicati i dettagli economici.

Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione Fiorello di circa 10 milioni di euro

Sarà il prossimo cda l’occasione per fare chiarezza? Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione di circa 10 milioni di euro. Una cifra che comprende l’ingaggio di Fiorello, quello dei suoi autori, la campagna di marketing che ha accompagnato il ritorno dello showman sul piccolo schermo, e la realizzazione di tre set volanti destinati a essere smontati il prossimo dicembre alla fine del programma.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Rai: le spine di Salini sono le nomine tigì, Fiorello e Mn

L'ad di Viale Mazzini sotto pressione per il cambio dei direttori dei telegiornali. Ma a preoccupare sono anche il presunto conflitto di interessi del capo comunicazione Giannotti e il costo dell'operazione Viva RaiPlay.

Il 26 novembre Fabrizio Salini è pronto a essere ascoltato in Commissione di vigilanza Rai. Per l’amministratore delegato della tivù di Stato si annunciano giorni di passione, cosa che lui, che soffre la troppa pressione, sicuramente vorrebbe evitarsi. Ma oramai la partita Rai non è più rinviabile. Ovvero non è più procrastinabile intervenire su una situazione che è ancora figlia del Conte Uno e dell’alleanza giallo-verde.

Ora, se Giuseppe Conte (bis) e i grillini sono rimasti, sono il Pd e Matteo Renzi che, entrati nella nuova compagine di governo, reclamano a gran voce che il tormentato universo della tivù pubblica ne prenda atto. Come fatto trapelare senza troppi paludamenti, il partito di Nicola Zingaretti punta al Tg1, guidato ora da Giuseppe Carboni in quota M5s. Il suo candidato è il sempreverde (il colore non allude ovviamente a simpatie leghiste) Antonio Di Bella, attualmente alla guida di Rai News.

Di Bella è il candidato più forte, ma non l’unico: c’è il vecchio direttore della testata ammiraglia nonché ex direttore generale dell’ente Mario Orfeo che chiede di essere valorizzato. Momentaneamente parcheggiato a Rai Way, Orfeo vuole tornare a pieno titolo nell’agone delle news. Sconta però un certo ostracismo dei pentastellati, che gli preferiscono di gran lunga Franco Di Mare, da luglio vicedirettore di RaiUno con delega agli approfondimenti e alle inchieste.

ANCORA NESSUNA CERTEZZA PER LE NOMINE DEI TELEGIORNALI

Ma che i telegiornali vengano toccati dall’ondata delle future nomine è ancora tutto da vedere. Salini sa che la materia è incandescente, e nel tentativo di limitare i danni vorrebbe offrire in pasto alla politica solo il rinnovo dei direttori di rete. I corridoi di viale Mazzini segnalano, ma con la dovuta aleatorietà di una situazione che cambia da un giorno all’altro, il seguente organigramma: Stefano Coletta a RaiUno, Marcello Ciannamea alla Seconda Rete, e l’onniprensente Di Mare, sempre non vada al Tg1, al vertice di RaiTre.

A viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale

Ma si sa, a viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale, e dunque la prudenza è d’obbligo. Un puzzle che è ulteriormente complicato dal fatto che Salini, forte dell’approvazione del suo piano industriale da parte del Mise, deve procedere alla nomina dei responsabili delle divisioni trasversali. Lo farà o tergiverserà ancora? Qualcosa forse si saprà nel cda Rai che si terrà due giorni dopo l’audizione dell’ad in Commissione di vigilanza.

Foto di Stefano Colarieti / LaPresse.

E poi c’è una ulteriore grana che non promette nulla di buono. Complice Striscia la notizia, è deflagrato il caso della società di comunicazione Mn, dove Marcello Giannotti ha lavorato dal 2015 al 2018 prima di essere chiamato da Salini a guidare la comunicazione Rai. Quasi sicuro che il cda chiederà a Salini spiegazioni su quello che alcuni giudicano un conflitto di interessi, altri come minimo una evidente caduta di stile. Mn, in trattativa per Sanremo (anche se la società smentisce), segue la comunicazione di Fiorello e della nuova serie I Medici, pagata da Lux Vide ma nell’ambito di una coproduzione Rai.

I DETTAGLI ECONOMICI SUL PROGRAMMA DI FIORELLO RIMANGONO UN MISTERO

Sempre nei corridoi di viale Mazzini si sussurra anche di un altro capitolo che chiamerebbe in causa Giannotti, ovvero una serie di contratti che la Comunicazione avrebbe sottoscritto con alcune testate online per ospitare una serie di redazionali sull’attività della Rai e del suo ad. E poi c’è il caso Fiorello, l’operazione su cui Salini ha puntato, ma i cui contorni sono ancora avvolti nel mistero. Per quello che è stato venduto come l’appuntamento televisivo dell’anno, il ritorno dello showman sulla piattaforma di Rai Play, non sono mai stati comunicati i dettagli economici.

Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione Fiorello di circa 10 milioni di euro

Sarà il prossimo cda l’occasione per fare chiarezza? Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione di circa 10 milioni di euro. Una cifra che comprende l’ingaggio di Fiorello, quello dei suoi autori, la campagna di marketing che ha accompagnato il ritorno dello showman sul piccolo schermo, e la realizzazione di tre set volanti destinati a essere smontati il prossimo dicembre alla fine del programma.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Le anticipazioni di Amadeus sul Festival di Sanremo 2020

I big in gara saranno non meno di 20 e non più di 24. I nomi verranno resi pubblici il 6 gennaio, durante la puntata speciale dei "Soliti ignoti" dedicata alla Lotteria Italia. Spunta l'ipotesi Chiara Ferragni sul palco dell'Ariston.

I big in gara al Festival di Sanremo 2020 li conosceremo ufficialmente il 6 gennaio, durante la puntata speciale dei Soliti ignoti su Rai 1 dedicata alla Lotteria Italia. Lo show sarà condotto da Amadeus, che come tutti sanno è anche il direttore artistico della 70esima edizione del Festival. Ma nelle ultime ore si sta facendo largo un’ipotesi suggestiva: accanto a lui, sul palco dell’Ariston, potrebbe esserci Chiara Ferragni.

Amadeus ha dato qualche anticipazione sul Festival che verrà durante l’incontro ‘Milano-Saremo’, che ha aperto la Milano Music Week. Il numero dei cantanti in gara, ha spiegato l’ex dj, è ancora incerto, ma «saranno non meno di 20 e non più di 24, per motivi televisivi». Gli otto artisti che si contenderanno il Sanremo Giovani si conosceranno il 19 dicembre, mentre il cast dei conduttori sarà presentato a metà gennaio, nella tradizionale conferenza stampa ufficiale del Festival.

In Rete, tuttavia, circola con insistenza un’indiscrezione. A Sanremo 2020 potrebbe approdare l‘influencer più famosa d’Italia, ovvero Chiara Ferragni. Lei stessa, intervistata dal quotidiano il Messaggero, ha in qualche modo contribuito ad alimentare queste voci. Alla domanda: «A Sanremo va oppure no?», ha infatti risposto: «Mi dicono di dire no comment su Sanremo». Una frase che – naturalmente – ha scatenato le speculazioni. Dopo l’esperienza al cinema con il documentario Chiara Ferragni Unposted, non è quindi escluso che la moglie di Fedez possa misurarsi anche con la televisione. E il debutto a Sanremo sarebbe un colpo mediatico di grande richiamo.

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Gian Micalessin spiega come è cambiato il giornalismo di guerra

L'inviato del Giornale racconta 30 anni di reportage. Ma anche la paura e la perdita di amici come Almerigo Grilz. E mette in guardia dall'informazione mordi e fuggi sui social. L'intervista.

Raccontare i conflitti del mondo. Quelli lontani, dimenticati, sconosciuti. E quelli più vicini. Dall’Afghanistan alla Birmania, dall’Ucraina alla ex Jugoslavia. Dall’Africa fino al Medio Oriente. Al seguito di guerriglie, eserciti e soldati di ventura. Nel deserto o nella giungla. Tra speranze, violenze e sogni. È quello che da più di 30 anni fanno Gian Micalessin e Fausto Biloslavo che hanno raccolto molti dei loro lavori nel libro Guerra, guerra, guerra, uscito per Mondadori nell’aprile del 2018 e ora in edicola con Il Giornale.

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UN’AVVENTURA COMINCIATA IN AFGHANISTAN NEL 1983

Quello scelto dagli autori è un titolo con due significati ben precisi. «Guerra tre volte perché attraverso i reportage raccontiamo i cambiamenti intercorsi nell’arco di tre decenni», spiega a Lettera43.it Gian Micalessin. Il lavoro dei due reporter, infatti, inizia al seguito dei mujaheddin nell’Afghanistan del 1983 invaso quattro anni prima dall’Unione Sovietica. «Il mondo era ancora diviso tra Usa e Urss, l’Italia si affacciava sulla scena internazionale con la missione in Libano, internet e telefoni cellulari appartenevano alla fantascienza e noi eravamo dei ragazzini poco più che ventenni», racconta il giornalista. «Sotto i nostri occhi, mentre corriamo da una guerra all’altra, si susseguono i grandi cambiamenti politici e tecnologici che modificheranno la nostra vita e il mondo. Tutto questo si  riflette, inevitabilmente, anche nelle guerre e nel nostro modo di raccontarle»

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IL RICORDO DI ALMERIGO GRILZ

Nei racconti scritti nel libro, con Micalessin e Biloslavo continua a viaggiare e vivere anche il ricordo di Almerigo Grilz, «l’amico e compagno di viaggi con cui iniziammo questa lunga avventura». Il reporter ucciso e il 19 maggio 1987 mentre raccontava la guerra civile in Mozambico, è stato il primo giornalista italiano a cadere dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma è anche il più ignorato dagli ambienti  giornalistici del nostro Paese. «Questo libro», precisa Micalessin, «è anche un modo per contribuire al suo ricordo e a quello di altri amici persi lungo la strada».

QUELLA PAURA CHE NON SCOMPARE MAI

A distanza di oltre 30 anni, la vicinanza con la morte continua a fare paura. «La paura c’è sempre. C’è prima di partire, quando ti dici non può andare sempre bene. C’è prima di andare in battaglia perché sai che non ci sono garanzie», mette in chiaro Micalessin. «In due occasioni ho avuto più paura del solito, in Congo nel 1995 e in Iraq nel 2016.  In Congo perché andai a raccontare non una guerra, ma la seconda grande epidemia di Ebola. E lo feci direttamente dall’epicentro del contagio a Kikwit. Qui l’incubo maggiore fu ignorare, per oltre 20 giorni dopo il ritorno a casa, se il virus aveva colpito anche me». E poi nel 2016, in Iraq, quando il reporter era insieme alle milizie sciite che andavano all’attacco dell’aeroporto di Tal Afar sotto scacco dello Stato Islamico. «Alle tre di notte mia moglie, che era incinta, mi mandò l’immagine della prima ecografia in cui si vedevano i 23 millimetri di mio figlio Almerigo. Andare in battaglia alle sei di mattina con quell’immagine negli occhi non fu per niente facile». 

IL VIAGGIO INDIMENTICABILE IN BIRMANIA

Uno dei reportage a cui Micalessin è più affezionato e che viene raccontato anche su Guerra Guerra Guerra, è un lungo viaggio nel Sud-Est dell’Asia. «Nel 1985 io e Almerigo tornammo nelle terre dei Karen in Birmania per realizzare uno speciale di Jonathan, la trasmissione condotta da Ambrogio Fogar sul giornalismo di guerra. Viaggiammo per un mese seguendo una colonna di combattenti che prima risalì il fiume Salween e poi con gli elefanti attraversò le giungle e le montagne del Paese spingendosi ai limiti estremi dei territori controllati da questa minoranza dimenticata ancora in guerra». Un viaggio avventuroso in una terra fuori dal tempo e dalla civiltà che Micalessin sogna di rifare. «Ancora oggi sogno di tornare a inseguire quelle lunghe colonne di elefanti e uomini immergendomi in un reportage lontano dalle frenesie dei collegamenti via satellite e degli articoli quotidiani».

INTERNET E I SOCIAL HANNO SOSTITUITO IL “VECCHIO” GIORNALISMO

Già, perché il giornalismo è cambiato. E purtroppo lo spazio per raccontare le guerre dimenticate è sempre di meno. «Al tempo stavamo via mesi e quando tornavamo vendevamo le nostre storie alle grandi reti televisive che le mandavano in onda come se fossero state girate qualche ora prima. Oggi sarebbe impossibile, i telefonini e internet ci raccontano quel che succede anche nei posti dove i giornalisti non arrivano», spiega il reporter. Questo, però, diffonde solo la sensazione di sapere tutto e conoscere tutto anche senza il tramite dei professionisti, perché «quel che vediamo e conosciamo è solo un post o un tweet, non certo un racconto giornalistico vissuto in prima persona». 

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Se il business mette a rischio le nostre democrazie

Le grandi società possono influire sulle istituzioni. Arrivando persino a distorcere la realtà, manipolando l'opinione pubblica. Per questo è necessario un serio processo di responsabilizzazione.

Gli attacchi alla democrazia sono sempre più frequenti, strutturati e imprevedibili. Le minacce, al giorno d’oggi, provengono da più fronti: dalla finanza al web fino alla globalizzazione, sono tantissimi i fattori che influenzano negativamente l’andamento delle democrazie globali e minano il ruolo delle istituzioni. Non è un caso, infatti, che il premio Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, lo scorso sabato a Roma al Festival Economia Come: l’impresa di crescere, abbia ribadito che i sistemi democratici sono sotto attacco, incrinando così il rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni. Nel suo discorso, Stiglitz, una delle voci più autorevoli nella critica della globalizzazione e del liberismo, ha sottolineato che l’aspetto più inquietante del presente momento politico risiede nell’attacco al nostra conoscenza con effetti di vasta portata sulla civiltà, sul nostro standard di vita e sul funzionamento dei nostri sistemi di organizzazione politica e sociale. Un chiaro esempio di questi effetti, ha aggiunto Stiglitz, risiede nella negazione del cambiamento climatico e nella disinformazione perpetrata a riguardo negli ultimi anni. Tale negazione e manipolazione di informazioni ha provocato, infatti, effetti «esistenziali», come li ha definiti lo stesso premio Nobel, mettendo in crisi la credibilità delle istituzioni stesse.

PIÙ UN’ISTITUZIONE È NEUTRALE E PIÙ È CONSIDERATA AFFIDABILE

I continui attacchi alla democrazia hanno instillato sospetto e incertezze nei confronti delle istituzioni, accrescendo sentimenti di sfiducia da parte dei cittadini. I recenti studi condotti da Fondapol.org (Fondation pour l’innovation politique), think tank francese liberale, insieme con l’Iri (International Republican Institute), un’organizzazione no profit e non profit, già richiamati in altri articoli, hanno rilevato, a riguardo, un dato sorprendente: il governo (64%), il parlamento (59%), i partiti politici (77%), i sindacati (55%) e i media (66%) non sono ritenuti affidabili dalla maggioranza degli intervistati. Più un’istituzione appare neutrale e non legata alla politica, più questa viene percepita come essenziale e affidabile per rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini. Non è un caso, quindi, che le Ong (60%) ottengano un livello di fiducia maggioritario. Si tratta, quindi, di una relazione che associa fiducia e prossimità, servizi forniti e neutralità politica.

TRA I BIG TECH SCRICCHIOLA SOLO FACEBOOK

Diversa è, invece, la percezione e la fiducia dei cittadini nei confronti delle imprese. Nonostante la maggior parte degli intervistati affermi di non fidarsi delle grandi imprese e di prediligere le piccole e medie (78%), Microsoft (77%), Google (75%), Amazon (71%) e Apple (69%) ricevono un buon tasso di fiducia. Solo Facebook genera la maggior parte della sfiducia (58%). Questa è causata dal coinvolgimento dell’azienda in numerose controversie, compresa la sua influenza politica, la sua associazione con le notizie false e il suo trattamento dei dati personali degli utenti.

GLI ATTACCHI DI WARREN A EXON MOBIL

Nonostante il loro successo in termini di credito, le Big Tech e le grandi imprese pesano sulla democrazia e sono in grado di inficiare il lavoro delle istituzioni democratiche, dei politici e del sistema giudiziario attivando processi mirati di disinformazione, come ricordato dallo stesso Stiglitz. Proprio martedì, la candidata alle primarie democratiche per le Presidenziali Usa del 2020, Elizabeth Warren, di cui abbiamo già avuto modo di parlare relativamente alla sponsorizzazione intenzionale di fake news su Mark Zuckerberg, ha lanciato una nuova campagna su Twitter contro alcuni operatori dell’industria accusati di fornire consapevolmente informazioni false e fuorvianti alle agenzie di regolamentazione federali, fornendo così materiale da utilizzare come scusa per invalidare le regole vigenti. Nello specifico, la campagna di Warren si rivolge alla Exxon Mobil, uno dei principali gruppi mondiali del settore energetico. Gli scienziati del gigante petrolifero, pur avendo confermato negli Anni 70 e 80 che i combustibili fossili hanno contribuito al riscaldamento globale, avrebbero poi successivamente chiuso la loro ricerca sul clima, secondo quanto riportato, abbracciando una campagna di pubbliche relazioni per diffondere dubbi sulla scienza del clima e finanziare la negazione del cambiamento climatico. Dunque, secondo la candidata, la Exxon avrebbe speso milioni di dollari in think tank per generare incertezza sulla scienza del clima, pubblicando e promuovendo una scienza non revisionata per fuorviare il popolo americano sui cambiamenti climatici.

I GUAI GIUDIZIARI DEL GIGANTE PETROLIFERO

La Exxon è attualmente coinvolta in molteplici cause legali che sostengono che l’azienda abbia ingannato i suoi azionisti sui rischi climatici. New York ha citato in giudizio l’azienda per presunte frodi climatiche ed è in attesa di una sentenza del giudice della Corte Suprema di New York, Barry Ostrager. Qualora le accuse trovassero fondamento, si tratterebbe di una delle tante falsità intenzionalmente diffuse da grandi aziende per agevolare il business, ostacolando, però, la comprensione dei fatti per i cittadini e influenzando agenzie federali come l’Epa (United States Environmental Protection Agency). Le agenzie federali, in alcuni casi, sollecitano il pubblico a fornire informazioni sulle regole proposte attraverso un processo chiamato notice-and-comment, che dovrebbero aiutare l’agenzia a sollecitare il feedback degli esperti, rendendo chiaro, trasparente e responsabile il processo.

SONO NECESSARI PROCESSI DI RESPONSABILIZZAZIONE

Investimenti finalizzati alla disinformazione possono minare, dunque, i processi democratici. Se questi provengono da aziende, in particolare grandi aziende, risulta essere sempre più necessario dare vita a processi di responsabilizzazione. Questo può avvenire, non solo attraverso l’istituzione di una legge sulla “falsa testimonianza aziendale“, come suggerito da Warren, ma attraverso la creazione di una nuova sensibilità e di un piano strategico di comunicazione istituzionale interna ed esterna volta a evitare quanto preannunciato da Stiglitz, ovvero un attacco incontrastato al sistema epistemologico di base. 

SONO IN GIOCO LA REPUTAZIONE E IL BUSINESS DELL’AZIENDA

Comunicazione e digitalizzazione ricoprono un ruolo fondamentale in questo campo e rappresentano attori cruciali e preziosi per lo sviluppo di una coscienza responsabile, in grado di mettere al primo posto il benessere dei cittadini e ispirare loro fiducia e solidità. Per quanto difficile possa essere trasmettere la complessità delle istituzioni e verificare la serietà e responsabilità aziendale, questo risulta essere necessario per il futuro, non solo delle istituzioni, ma delle aziende stesse: il conseguimento di una buona responsabilità aziendale può rappresentare un’ottima leva per incrementare la reputazione dell’azienda stessa e il suo business.  

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

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Avere il cancro al tempo dei social network

Sono sempre di più le persone che, specialmente su Twitter, rivelano in Rete di avere un tumore cercando conforto nelle interazioni. Lo strazio di una verità che nessuno vorrebbe pronunciare ma un giorno ci si ritrova a urlare a una platea virtuale, sperando che diventi vera e curi almeno la solitudine.

Si parla tanto di tendenze in Rete, di insulti e controinsulti, di hate speech e free speech e c’è chi vuole metter dei sacchi di sabbia vicino alle finestre dei social, per dire il controllo anagrafico, capillare, maniacale che poi non serve a niente. Ecco, si parla sempre delle autostrade dell’odio che viaggiano tra Facebook e Twitter e non c’è dubbio, perché la pianta storta dell’umanità non può raddrizzarsi nel mondo virtuale, anzi si esalta nelle sue contorsioni, l’uomo storto nasce e storto muore.

Però, poi, c’è un però. Però non è solo questo, la Rete. Non sono solo questi, i social. Qui c’è tanta solitudine. Qui c’è paura, e disperato urlo muto di speranza, e sconcertata richiesta di qualcosa, qualcuno cui aggrapparsi anche per finta, anche senza conoscerlo. Qui c’è il grido: io sono vivo, io voglio restare vivo. Malgrado tutto, a dispetto della cattiveria degli umani, della loro distanza, di un domani che mi aspetta tremendo come un percorso di guerra.

Perché sui social, Twitter in particolare, sono sempre di più quelli che annunciano: ho un cancro, comincio la chiemioterapia, restatemi vicino. E li vedi, ci inciampi contro, e non sai come reagire, non sai cosa pensare: è giusto, dare in pasto il proprio male? È normale, chiedere aiuto in questo modo così drammatico e volatile? Serve a qualcosa, o è solo patetico? Ma poi, non siamo tutti patetici di fronte al nostro male, che minaccia di spegnerci? Che senso ha chiedere parole sconosciute, se siamo lastre di vetro dove parole scorrono?

QUELLE GRIDA DI AIUTO COSÌ DIVERSE E COSÌ UGUALI

Eppure, i social scoppiano di queste grida quiete, gentili, quasi titubanti, quasi esitanti. C’è la signora in età, i capelli bianchi, vaporosi, c’è la ragazzina che non penseresti mai, così fresca, così ragazzina. E c’è la donna fatta, coi suoi percorsi speciali, la fatica e il lavoro, donna madre con figli da rassicurare, mentre è lei a tremare. E c’è il signore che ti guarda fisso, vorrebbe dimostrarsi uomo, forte, sicuro anche in questa prova, ma cos’è un uomo senza la paura da sfidare?

Ho paura, non so chi sei, ma stammi vicino perché la vita mi sta mettendo alla prova più estrema e allora non c’è più spazio per l’odio, l’anonimato, il mondo virtuale, quello reale

Sono tanti, e sono sempre di più; anche a voler sospettare che qualcuno cerchi solo attenzione, o che, pure in buona fede, sia caduto nell’emulazione di quella spinosa tendenza tra i vip a raccontare proprio tutto, anche questo, anche la malattia, buona ultima Emma Marrone, la cantante di cui non si è mai capito del tutto il nemico, ma tutti abbiamo immaginato il peggiore, e finalmente, dopo un mese, eccola sulle pareti di tutte le stazioni della metropolitana col volto del suo nuovissimo disco; anche a calcolare la malizia degli uomini e donne che restano piante deboli e storte, la maggior parte di questi profili sono umani, troppo umani.

A questi non serve l’anonimato, non lo cercano. Vogliono solo che qualcuno, o tanti, tutti sconosciuti, che non incontreranno mai, che non li vedranno mai sulle loro poltrone di dolore, però si prendano cura di loro per un attimo: ho paura, non so chi sei, ma stammi vicino perché la vita mi sta mettendo alla prova più estrema e allora non c’è più spazio per l’odio, l’anonimato, il mondo virtuale, quello reale, le autostrade della follia.

LA RICERCA DI QUALCUNO NELLA SOLITUDINE DELLA MALATTIA

Adesso è solo assenzio, che brucia e, speriamo, guarisce, e pazienza, e dietro le vetrate quel sole che speriamo di poter riprendere in mano un giorno. Presto. Stammi vicino, ho un tumore, «domani inizio la chemioterapia, ma io sono forte, ce la farò». E, sotto, le centinaia le migliaia di cuori, di condivisioni, di auguri magari di circostanza, ma almeno ci sono: non sarebbe atroce se un urlo così cadesse in un imbuto di disattenzione? Forse, malgrado le storture, nella pianta umana qualcosa da salvare ancora c’è. C’è la fragilità di chi è colpito, la solidarietà automatica, distante, distratta, ma presente, di chi se ne accorge. «Aiutami», l’invocazione che rende umano un essere umano. «Ci sono», la risposta che rende umano un essere umano.

Nei social ci sono anche istanti di eternità, c’è lo strazio di una verità che nessuno vorrebbe pronunciare ma un giorno si ritrova ad urlare a una platea possibile, sperando che diventi vera

Magari, è solo un’illusione. Magari invece fa bene per davvero. Ma, ecco, è per dire che le autostrade dei social non sono solo piene di scontri di ego, carambole di meschinità, epocali cazzate senza speranza, finzioni di finzioni avvolte nella bugia. Ci sono anche istanti di eternità, c’è lo strazio di una verità che nessuno vorrebbe pronunciare ma un giorno si ritrova ad urlare a una platea possibile, sperando che diventi vera. L’incubo di tutti, ho un cancro, comincio una cura difficile, aleatoria, statemi vicino, vi cercherò inchiodato alla mia poltrona di dolore, mentre l’assenzio scorre in me insieme alla paura e alla speranza.

Non è un discorso d’odio e non lo è di libertà. È solo spavento, pietà. E sono così tanti, e poi sempre di più. Sì, probabilmente qualcuno ha pensato che se succede a un vip, se lo fa anche un vip, allora può farlo anche lui. E dopo di lui un altro, e un altro, e un altro. Tu ci inciampi e ti chiedi se sia giusto poi metterci un cuore, se sia giusto tirare via. In tutti i casi è strano, imbarazzante e ingrato. Ma, mentre vai via, più o meno leggero di un cuore distante, non puoi fare a meno di specchiarti. Perché un giorno quel grido muto su Twitter potresti lanciarlo tu.

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Corriere della Sera: per la direzione Cairo pensa a Molinari

Più nell'editore matura l’idea di scendere in politica, sempre meno Fontana - il cui contratto scade a fine anno - gli pare adatto a guidare il giornale. Meglio il numero 1 della Stampa. Forte di relazioni internazionali che un giorno potrebbero tornare utili.

Dopo averci pensato per parecchio tempo, ora Urbano Cairo avrebbe preso la decisione con lo stesso spirito con cui chiede a Walter Mazzarri di cambiare i giocatori del suo Torino: fuori Luciano Fontana e dentro Maurizio Molinari. Sono mesi che l’azionista di controllo di Rcs non è più soddisfatto del direttore del Corriere della Sera, che una volta portava in palmo di mano.

IL CONTRATTO DI FONTANA SCADE NEL 2019

Via via che in Cairo cresceva l’idea di imitare il suo maestro e idolo Silvio Berlusconi e di scendere in politica, sempre meno Fontana gli pareva adatto a guidare “politicamente” il suo giornale. «Troppo morbida e indefinita la linea politica, poco pop il profilo editoriale del giornale», ha confidato Cairo agli amici più fidati, cui ha svelato che il contratto di Fontana è in scadenza a fine 2019. Così aveva accarezzato l’idea di affidare le redini del quotidiano di via Solferino ad Aldo Cazzullo, capace, tra libri sfornati a getto continuo e molte presenze televisive, di una forte popolarità mediatica

A PESARE LE RELAZIONI INTERNAZIONALI DI MOLINARI

Poi però ci ha ripensato. Meglio il direttore della Stampa, Molinari, più sofisticato politicamente ma soprattutto dotato di un tale portafoglio di relazioni internazionali – più di altri Stati Uniti e Israele dove è stato a lungo corrispondente – che farebbe assai comodo a Cairo se decidesse di rompere gli indugi e mettersi alla testa di quel “partito di centro che non c’è” di cui tanto si parla. Naturalmente a Molinari non pare vero di approdare al soglio Solferino. E non solo per il prestigio del Corsera. Non gli dispiace affatto di lasciare Gedi, dove è sì finito lo scontro dentro la famiglia De Benedetti ma il futuro del gruppo è ancora tutto da scrivere.


Quello di cui si occupa la rubrica 
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Gerd Leonhard: «Vi spiego perché l’uomo ringrazierà i robot»

In 20 anni cambierà tutto. Anche tanti media, di carta e online, spariranno. Con molto meno lavoro ma molti più profitti. Pure per lo Stato. La sfida nell’etica e nella redistribuzione. Il futurologo a L43.

Un mondo senza auto a carburante e call center. Dove lavorare da indipendenti per tre ore al giorno, mantenuti da un reddito minimo di base, garantito dagli introiti statali di energie potenzialmente illimitate e dai costi di produzione massicciamente abbattuti. Un mondo dove andare poi a svagarsi in locali magari con l’insegna no smartphone accanto a no smoke. O accendendo radio e tivù on demand. Navigando con la voce su una Rete molto più veloce e snella di siti web, grazie al 5G e all’intelligenza artificiale (Ai) che sbrigherà tutte le ricerche dati e i compiti di routine. Quel mondo, secondo le previsioni del futurologo tedesco Gerd Leonhard, pensatore e da anni studioso dell’impatto delle tecnologie digitali, non sarà la società mostruosa dei film sul futuro di Hollywood. Ma potrebbe diventarlo se l’etica umana non riuscirà a dominarla.

LA RIVOLUZIONE PIÙ RAPIDA

L’autore di Technology vs. Humanity (2016) non minimizza sulle distopie di un avvenire pervaso da macchine in potenza superuomini. «Potremo fare delle bombe o dei miracoli, una responsabilità tremenda», spiega a Lettera43.it dall’Internet Festival di Pisa, «il mondo cambierà più nei prossimi 20 anni che non negli ultimi 300. Il decollo concomitante di più tecnologie – dal 5G, all’Internet delle cose (Idc), all’ingegneria genetica che modificherà il genoma – porterà al più grande e repentino cambio di paradigma della storia». Per Leonhard, con alle spalle oltre 1500 speech anche tra i big del tech, settori come il bancario verranno smantellati. La gran parte dei giornali sparirà, anche online, se non diverranno un brand con più offerta digitale. «Ma l’umanità creativa» assicura «vincerà i robot e li guiderà».

Internet tecnologie futuro intervista Gerd Leonhard
Il futurolo Gerd Leonhard.

DOMANDA. Che input riceve quando raccomanda per esempio agli staff di Google o di Microsoft a restare umani, di collaborare per creare insieme i Consigli etici digitali?
RISPOSTA.
Sono fiducioso, anche loro sono esseri umani che non vogliono diventare macchine. Il problema delle tecnologie più potenti dell’uomo è che non hanno discrimine tra bene e male. Anche il Dalai Lama ritiene l’etica più importante della religione. Predico con urgenza una rete di Consigli etici digitali a livello di città, Paesi, regioni e infine del mondo, perché il gioco non sfugga di mano. Al momento sono una 20ina. Solo con questo sistema capillare e gerarchico potremo accordarci su cosa sia etico o meno. Dilemma tanto difficile quanto cruciale.

Non ci siamo riusciti nell’analogico su questioni come l’eutanasia o la maternità surrogata.
Spesso si fraintende che l’etica sia dire sempre no. Invece è discernere caso per caso. Se per esempio con le tecnologie dell’ingegneria genetica posso prevenire l’insorgere del cancro, salvando anche solo una vita umana, ho il dovere di sforzarmi come scienziato. Ma non di creare un super soldato o un dio.

È ottimista anche sulle ricadute della perdita di centinaia di professioni: davvero, come sostiene, dopo la grande contrazione torneranno a circolare soldi, tanti, che verranno distribuiti?
Per forza, i progressi saranno inevitabili, enormi e non graduali. E saranno un grosso business: comunicare diventerà come l’aria o l’acqua. L’energia pulita, solare e nucleare, sostituirà il petrolio e sarà illimitata. A basso costo come la gran parte della merce: con l’intelligenza artificiale, i computer quantistici e in 3d, le superconnessioni in 5G, si potrà produrre di più e in massa, a un costo infinitamente inferiore. I governi devono ancora incassare i soldi dai benefit: la sfida più grande, con l’etica, sarà la redistribuzione.

Ma i governi lo capiranno? Anche i partiti sono in una fase di rottura.
Ogni politico dovrebbe superare il test del futuro con patentino. Tanti vivono ancora nel passato ma se, come credo, comprenderanno i margini di guadagno del cambiamento, gli Stati potranno offrire servizi di base a tutti e un reddito minimo garantito. Basterà lavorare 2 o 3 ore al giorno, con gli stessi compensi di oggi, per tutta una serie di impieghi. Adesso lavoriamo di più proprio a causa delle nuove tecnologie, ma presto sarà l’opposto. L’idea del lavoro dovrà essere ridefinita.

Quali impieghi crolleranno drasticamente?
Le macchine faranno tutto il banking. Come parte dello scientifico e del sanitario: i robot operano già, in modo più invasivo e più economico dei chirurghi, e con più precisione. Tra 10 anni tutte le operazioni semplici, di contabilità e di routine saranno svolte dall’intelligenza artificiale in modo più efficiente e corretto: le informazioni per servizi si potranno avere in automatico parlando con le app: 20 milioni di operatori dei call center sono in estinzione. Come i contabili sostituiti da grandi calcolatori.

Lei prevede servizi pubblici più economici del 90% per i cittadini. Anche nell’informazione: libri e giornali di carta spariranno tra i media?
Toccare la carta dà piacere, nella mente si attivano circuiti diversi che quando navighiamo su Internet: sono convinto che l’80% dei libri resterà, leggeremo di più per il tempo libero. Con la gran parte dei giornali andrà diversamente: prima la stampa era un modello di business per la pubblicità, ma oggi non più. Non è affatto necessario comprare un giornale all’edicola per informarsi. Ci sono tante altre fonti.

Soprattutto sui siti Internet.
Distinguere tra carta e web è fuorviante. Tra 10 anni non ci saranno più neanche i siti web, tanto uomo  e macchina si comprenetreranno. Non servirà più digitare a mano per trovare informazioni sulle pagine online: roba di 20 anni fa. Sarà tutto disponibile a voce, on demand. E comunicheremo a distanza con audio, video, ologrammi…

Così anche il giornalismo morirà.
Affatto. Come altre professioni creative e umane sopravviverà, soprattutto nello storytelling. Il giornalismo non verrà soppiantato da macchine incapaci di comprendere e di intuire situazioni e relazioni, di indagare e di verificare dati, di creare video e immagini originali. I computer sono ottimi database e potranno anche simulare storie, ma in modo dozzinale: capire il mondo non è un dato di fatto. Certo di sicuro cambieranno i mezzi: vedremo le radio sparire dalle auto connesse a Internet. Tra i quotidiani reggeranno solo quelli molto buoni come il New York Times, l’Economist, il Guardian o der Spiegel in Germania, che da fogli di carta si stanno trasformando in brand digitali del lifestyle. Cioè in potenti società tecnologiche.

Internet tecnologie futuro intervista Gerd Leonhard
Il cervello artificiale di un umanoide. GETTY.

Due multinazionali digitali per eccellenza, Google e Facebook, cercano di fare informazione.
Ma siamo già a una crisi dei social media, per la spazzatura generata dagli algoritmi. Che di per sé sono insufficienti a fare informazione, devono incontrarsi con gli old media. Con questo abbaglio negli ultimi 10 anni sono stati persi molti soldi, molti media hanno chiuso e quel che abbiamo è un cattivo giornalismo. Ma con la redistribuzione assisteremo a un grande revival, soprattutto dei media pubblici. Anche su questo sono ottimista.

Cos’altro non diventerà mai macchina, nonostante corpi contaminati dai chip, estensioni di robot?
Ci sarà molta assistenza dell’Ai. Ma difficilmente guidare un’auto sarà totalmente automatizzato, a causa dell’imprevedibilità del traffico. Parte dei negozi resterà gestito da persone, per via delle relazioni umane indispensabili per la nostra natura. Pensiamo ai contatti in un café, al lavoro di uno chef… C’è principio paradossale nella scienza: tutto ciò che è semplice per un computer è difficile per l’uomo, e viceversa. Gli uomini hanno dei limiti logici che le macchine non hanno. In compenso riescono a comprendere e a sentire.  

Però le menti dei bambini potrebbero essere plasmate dalle tecnologie, diventando macchine: si vedono navigare negli smartphone prima di imparare a leggere e a scrivere.
È un’urgenza, come detto, proteggere la parte umana circondata da tecnologie potenti, accattivanti come le droghe. Ma c’è una strada già tracciata: i bambini per esempio non dovrebbero poter usare gli smartphone a scuola. E nei ristoranti sarebbe una bella regola il no smartphone – su base volontaria, non come obbligo per i ristoratori – oltre al no smoke.

Quali Paesi sono più avanti nella gestione responsabile delle nuove tecnologie?
Paesi nordici come Finlandia e Danimarca. In Finlandia si educano già i bambini a essere più umani in un mondo digitale: lo scontro con le nuove tecnologie si vince grazie alla cultura. Occorre capire che insegnare la meccanica ai giovani li renderà disoccupati: se diventeremo macchine saremo oscurati dai robot.


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Jimmy Wales lancia la Wikipedia delle notizie contro le fake news

Il fondatore della enciclopedia libera ha deciso di applicare lo stesso modello a una piattaforma social dedicata all'informazione. Si chiama Wt.social e ha già 25 mila iscritti.

Il modello Wikipedia come arma nella guerra contro le fake news. È quello che ha pensato Jimmy Wales, co-fondatore dell’enciclopedia libera più famosa del mondo e attivista da sempre schierato a favore della libertà della Rete e che lo ha portato a lanciare Wt.social, una piattaforma social dedicata alle notizie. «Mi sono reso conto che il problema delle fake news e della disinformazione ha molto a che fare con le piattaforme social», spiega Wales dal suo profilo Twitter, specificando che questa nuova piattaforma è una evoluzione di WikiTribune, sito fondato nel 2017 in cui giornalisti e volontari, in stile Wikipedia, scrivono notizie neutrali e verificate. «Gli attuali social network si reggono su un modello di business legato alla pubblicità. Questo porta ad una dipendenza, a rimanere incollati ad un sito e ad essere trasportati in discorsi di odio e radicali, non nella cura del lato umano», aggiunge Wales. Per iscriversi alla piattaforma bisogna registrarsi ed essere maggiori di 13 anni. «Non venderemo mai i vostri dati – specifica il sito – ci manterremo sulle donazioni per assicurare la protezione della privacy e che lo spazio social sia privo di annunci». Insomma, lo stesso modello su cui si basa Wikipedia. L’interfaccia di Wt.social è solo in inglese ma si può pubblicare in qualsiasi lingua.

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Il Corriere della Sera e il contributo non condizionante

In occasione dell'evento Tempo della salute, in Rcs si sono inventati una dicitura inedita nel mondo dei contenuti sponsorizzati: una genialata destinata ad aprire nuovi orizzonti per l'editoria agonizzante.

Peculiarità del tempo, anzi dei Tempi, direbbe la nota influencer Taylor Mega. Dopo quello delle donne, gigantesca macchina che alterna eventi, ospiti e sponsor generalmente catalogati come powered by in quanto fornitori di generoso contributo, il marketing del Corriere della sera replica con il Tempo della salute, una due giorni che inizia sabato 9 novembre e dove ciascuno può ritrovare l’universo mondo dei propri acciacchi e fior di esperti che pensosamente ne dibattono. Con tanto di aziende che per ciascun incontro aprono il portafoglio e finanziano.

Solamente che, a differenza delle Donne, qui lo sponsor puzza, trattandosi per la gran parte di aziende farmaceutiche che evidentemente potrebbero pesantemente condizionare il libero contenuto degli eventi. Naturalmente nessuno dubita della correttezza deontologica per cui se parlo di mal di testa non citerò ai quattro palmenti il marchio di una nota aspirina.

Però siccome a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca, in Rcs si sono inventati una dicitura inedita: il contributo non condizionante. Cosa vuol dire? Beh, che se si parla di osteoporosi e si illustreranno le medicine prodotte dalla Amgen non è perché il nome dell’azienda americana figura il calce come contributore, visto che il suo apporto è specificatamente indicato come non condizionante.

I NUOVI ORIZZONTI DEL CONTENUTO SPONSORIZZATO

Voi capite bene che nel rutilante e sempre più invasivo universo del contenuto sponsorizzato (del resto i giornali da soli faticano a stare in piedi) l’ingresso del contributo non condizionante è una genialata destinata ad aprire nuovi orizzonti. Prendiamo un caso: di recente il cdr del quotidiano si è lamentato dello spazio dato dalle sue austere colonne alla presentazione del calendario di For men magazine, che ha per protagonista una prorompente, sensuale e poco coperta Taylor Mega.

Siamo entusiasticamente convinti che il contributo non condizionante sarà la nuova frontiera, oltre che la panacea, dell’editoria agonizzante

I giornalisti hanno subito storto il naso, biasimando che la loro autorevole testata dedicasse spazio a un calendario per camionisti, ancorché realizzato su iniziativa di un periodico del loro editore. Ebbene, se Rcs avesse accompagnato all’occasione la performance di Taylor Mega con la dicitura di «contributo non condizionante della Cairo communication» si sarebbero evitata la ridda di mal di pancia. Siamo dunque entusiasticamente convinti che il contributo non condizionante sarà la nuova frontiera, oltre che la panacea, dell’editoria agonizzante. Fin da subito.

Urbano Cairo.

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Infatti a guardare il calendario di Tempo della salute è tutto un florilegio di contributi non condizionanti. Con qualche effetto di involontaria ironia che deve essere sfuggito agli organizzatori. Quando per esempio si illustrano i contenuti della conferenza sull’emicrania, si definisce l’emicranico come «un malato in libertà condizionata tra una crisi e l’altra». Chissà che il contributo non condizionante della Novartis possa essere un benaugurante segno di guarigione possibile dalla fastidiosa malattia.

P.s. Questo articolo è stato scritto senza alcun contributo non condizionante, ma se qualcuno volesse farsi avanti, sempre senza condizionare, il marketing di Lettera43 è a diposizione.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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