Decreto flussi, sabato 2 dicembre il primo click day per i lavoratori stranieri

Fra sabato 2, lunedì 4 e martedì 12 dicembre avranno luogo i primi tre click day previsti dal ministero dell’Interno, relativi agli ingressi regolari per lavoratori stranieri. Saranno complessivamente 136mila i lavoratori non comunitari che potranno entrare regolarmente in Italia grazie al decreto flussi 2023, di cui 52.770 per lavoro subordinato non stagionale, 680 ingressi per lavoro autonomo e 82.550 ingressi per lavoro subordinato stagionale.

LEGGI ANCHE: Click day colf e badanti del 4 dicembre: come funziona e cosa c’è da sapere

Inoltrate già oltre 600 mila domande

Per agevolare le operazioni, dal 30 ottobre al 26 novembre 2023, era stata data la possibilità di precompilare i moduli di domanda, tramite il “Portale servizi Ali”. Al termine della fase di precompilazione, risultano inserite 607.904 istanze, delle quali, in particolare, 253.473 relative al lavoro subordinato non stagionale, 260.953 relative al lavoro stagionale, 86.074 al settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria. Le domande potranno essere trasmesse, in via definitiva, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, a decorrere dalle 9 di sabato 2 dicembre per i lavoratori non stagionale, dalle 9 del 4 dicembre per il settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria e dalle 9 del 12 dicembre per lavoro stagionale.

 

 

Decreto Rilancio, Franceschini: «Due miliardi per il turismo»

Secondo il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini il decreto Rilancio garantirà fino a 500 euro a famiglia. Una norma che vale 2 miliardi. E che aiuterà il settore turismo a rialzarsi.

La norma del decreto Rilancio «che aiuterà le persone a poter fare le vacanze vale oltre 2 miliardi di euro per il turismo».

Lo ha detto il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini in un’intervista al Corriere della Sera, in cui fa presente che «saranno vacanze diverse; avremo dei limiti con cui convivere, dal distanziamento alle mascherine, alla prudenza. Sarà l’anno delle ‘vacanze italiane’ perché il turismo internazionale, extraeuropeo, difficilmente potrà ripartire».

Poi spiega: «La misura che aiuterà famiglie e imprese è il tax credit vacanze, un bonus da spendere entro il 2020 in alberghi e strutture ricettive per persone sotto un reddito Isee di 40 o 50 mila euro, stiamo definendo. Parliamo di 150 euro per un single e di una somma fino a 500 euro per coppie con figli». Un sostegno, continua Franceschini, che non solo aiuterà le famiglie ma «porterà nel comparto turismo oltre 2 miliardi di euro diretti, perché questo costa la norma, oltre all’indotto che creerà. Un intervento straordinario, tra i più importanti dell’intera manovra».

Sulla riapertura delle frontiere con l’estero, Franceschini spera che la Commissione europea si pronunci già la prossima settimana. Per le spiagge, dice il ministro, «penso che poi andrà lasciato spazio di scelta alle singole Regioni, perché le spiagge italiane sono profondamente diverse tra loro. Le prescrizioni devono arrivare molto in fretta, perché le imprese devono programmare interventi e bilanci». Inoltre, fa presente che «dal 18 maggio potranno riaprire musei e mostre in grado di rispettare le prescrizioni di sicurezza». Per bar e ristoranti, «approveremo una norma temporanea, per questa estate, che esenterà dal pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico e dai permessi delle soprintendenze».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Confcommercio: 270 mila imprese a rischio chiusura

Sono le stime dell'Ufficio studi nel caso non ci fosse una riapertura piena entro ottobre. Tra i settori più colpiti l'alberghiero, la ristorazione e gli ambulanti.

Sono circa 270 mila le imprese del commercio e dei servizi che rischiano la chiusura definitiva se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente, con una riapertura piena a ottobre. È la stima dell’Ufficio Studi Confcommercio.

Quella di Confcommercio è «una stima prudenziale che potrebbe essere anche più elevata perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio, molto probabile, dell’azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%. Un rischio che incombe anche sulle imprese dei settori non sottoposti a lockdown».

TRA I PIÙ COLPITI GLI AMBULANTI E GLI ALBERGHI

Su un totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi, viene spiegato nel rapporto, quasi il 10% è, dunque, soggetto a una potenziale chiusura definitiva. I settori più colpiti sarebbero gli ambulanti, i negozi di abbigliamento, gli alberghi, i bar e i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. Mentre, in assoluto, le perdite più consistenti si registrerebbero tra le professioni (-49 mila attività) e la ristorazione (- 45 mila imprese).

A RISCHIO SOPRATTUTTO LE MICRO IMPRESE

Per quanto riguarda la dimensione aziendale, il segmento più colpito sarebbe quello delle micro imprese – con 1 solo addetto e senza dipendenti – per le quali basterebbe solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell’attività.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Cosa contiene la bozza del decreto Rilancio

Gualtieri assicura lo scioglimento di tutti i nodi politici. Si va verso un taglio dell'Irap per le imprese fino a 250 milioni di fatturato. Sconto Imu per gli alberghi. E stabilizzazione per 16 mila insegnanti.

Calo dell’Irap ma non per tutte le imprese. Via la prima rata dell’Imu per alberghi e stabilimenti balneari. Più fondi per gli ammortizzatori e stabilizzazione di altri 16 mila insegnanti che saranno in cattedra da settembre. Si avvicina a tagliare il traguardo il tanto atteso decreto Rilancio, con le nuove misure per attutire l’impatto economico dell’epidemia del coronavirus. Un provvedimento «molto consistente» ha ribadito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri spiegando che i nodi politici sono stati superati – tranne a quanto si apprende la regolarizzazione dei lavoratori immigrati su cui il M5s ha alzato le barricate – e ora si tratta solo di chiudere le norme nei dettagli.

BONUS DI 500 EURO PER LE VACANZE IN ITALIA

Tra questi, nelle ultime bozze, ne spuntano diversi che vanno dall’ampliamento di chi potrà usare il 730 per fare la dichiarazione dei redditi, a un aumento delle famiglie che potranno sfruttare il bonus per andare in vacanza in Italia. Il tetto di Isee infatti sale da 35 mila a 50 mila euro per un tax credit che si potrà spendere in strutture ricettive e b&b a fronte di pagamenti registrati (fattura elettronica o documenti con codice fiscale del destinatario dello sconto). Il bonus rimane di massimo 500 euro a famiglia (300 euro in due e 150 euro per una persona sola).

TAGLIO DELL’IRAP DA QUASI 2 MILIARDI

Per aiutare il turismo, il settore più martoriato, ci saranno anche sconti per gli affitti (previsti anche per tutti quelli che hanno avuto perdite ma solo fino al 60%) e ora anche l’abolizione della prima rata dell’Imu (con una copertura di circa 120 milioni), a patto che alberghi e pensioni siano gestiti dai proprietari. La cancellazione dell’Imu vale anche per le strutture turistiche di laghi e fiumi. Il pacchetto per le imprese, comunque, resta uno dei più corposi del provvedimento: confermati contributi a fondo perduto per micro-aziende, commercianti, artigiani e autonomi sotto i 5 milioni di ricavi, mentre si sta ancora lavorando agli aiuti per le imprese di medie dimensioni. La novità è quella del taglio dell’Irap che potrebbe valere circa 1,5-2 miliardi. La platea al momento sarebbe quella delle attività tra 5 e 250 milioni di ricavi, come ha confermato Gualtieri: si tratterebbe di circa 54 mila imprese su un totale di 1,8 milioni di attività produttive, artigianali e commerciali sottoposte all’Irap. Ma si starebbe ancora cercando di allargarla anche alle imprese più piccole.

AL VAGLIO MISURE PER LE RICAPITALIZZAZIONI

Le coperture arriverebbero dai 10 miliardi già previsti per gli aiuti a fondo perduto. Difficile indicare comunque sia la platea sia il risparmio effettivo per le imprese che non andranno alla cassa entro il 16 giugno per pagare saldo e acconto dell’imposta, sia perché l’acconto si potrà calcolare tenendo conto dell’andamento reale della propria attività (secondo norme introdotte con i precedenti decreti), sia perché al momento è previsto un paletto legato alle perdite di fatturato legate al Covid (almeno due terzi nel confronto tra aprile 2019 e aprile 2020). Ancora in valutazione anche le misure a sostegno delle ricapitalizzazioni, nelle prime ipotesi un mix tra sconti fiscali e intervento dello Stato attraverso Invitalia, mentre per le grandi imprese dovrebbe essere confermato il coinvolgimento di Cdp con un fondo apposito.

FONDI PER SANIFICAZIONE E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE

Per le imprese sono in arrivo anche altri fondi per rendere più sicuri i luoghi di lavoro e ridurre il rischio contagio. I primi 50 milioni messi a disposizione di Invitalia con il programma Imprese sicure sono finiti il primo giorno, davanti a un boom di domande per oltre un miliardo di richieste di rimborsi per i soli acquisti di mascherine e dispositivi di protezione. Ora dovrebbero esserci altri 600 milioni tra credito d’imposta per le sanificazioni e i dispositivi e aiuti a fondo perduto sempre per adeguare i posti di lavoro: le imprese fino a nove dipendenti potranno avere massimo 15 mila euro, 50 mila euro fino a 50 dipendenti e quelle più grandi massimo 100mila euro.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ma in Confindustria vige ancora il Protocollo Montante?

Sul sito della confederazione degli Industriali si trova un documento del 2010 relativo alle «iniziative per accrescere i livelli di legalità e di concorrenza leale nello svolgimento dell’attività d’impresa». Ma c'è di più: il loro coordinamento risulta affidato all'imprenditore siciliano coinvolto in vari scandali e tuttora colpito da obbligo di dimora ad Asti.

Quando si dice la tempestività della comunicazione. Se vi capita di entrare nel sito della Confindustria – ma ci vuole una password – a sinistra troverete una serie di voci, tra cui una chiamata “Normativa di sistema”.

Dentro trovate un documento di 10 anni fa dal titolo “Protocollo di legalità 10 maggio 2010” siglato tra il ministero dell’Interno e Confindustria, i cui contenuti sono poi stati rinnovati il 19 giugno 2012. Trascuratezza, direte voi. Certo, perché un sito con in bella vista documenti così vecchi è a dir poco scarsamente o distrattamente manutenuto.

DIECI ANNI DI NULLA DI FATTO

Ma non finisce qui. Perché, vi si legge, «quel Protocollo si inserisce nel contesto delle numerose iniziative promosse da Confindustria per accrescere i livelli di legalità e di concorrenza leale nello svolgimento dell’attività d’impresa». Allora voi penserete: vuol dire che negli ultimi 10 anni su questo terreno la Confindustria non ha più fatto niente. Imperdonabile, ma c’è ancora di peggio. Perché – si legge sempre – «lo sviluppo e il coordinamento di tali iniziative, sia all’interno del Sistema associativo che nei rapporti con le istituzioni pubbliche e con le principali componenti della società civile ed economica impegnate nel contrasto alla criminalità, è stato affidato ad Antonello Montante, sulla base di una specifica delega per la Legalità, istituita nel 2008 con la Presidenza di Emma Marcegaglia e riconfermata nel 2012 dal Presidente Giorgio Squinzi».

Il Protocollo di Legalità sul sito di Confindustria.

IL PROTOCOLLO MONTANTE È ANCORA VALIDO?

Sì, avete letto bene: Montante. Proprio l’imprenditore siciliano, diventato simbolo della lotta alla mafia e salito ai vertici di Confindustria nazionale, che è stato coinvolto in vari scandali e arrestato, e tuttora colpito da obbligo di dimora in quel di Asti. Domanda: ma quel documento è ancora valido? Le modalità per l’adesione al Protocollo e per la realizzazione dei relativi impegni – poi precisate nelle linee guida attuative e negli altri documenti predisposti dalla commissione per la Legalità, istituita presso il ministero dell’Interno e composta dai rappresentanti delle parti firmatarie del Protocollo – sono ancora attuali per cui le imprese oggi possono farvi riferimento? Perché delle due l’una: o sono cose superate, e allora sarebbe bene toglierle di mezzo, o sono ancora pienamente operative, e allora se si vuole rendere minimamente credibile quel Protocollo sarebbe bene togliere di mezzo il nome di Montante, che ha scritto una delle pagine peggiori della storia della confederazione degli industriali. Come si vede, c’è lavoro da fare per il nuovo Presidente

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La Popolare di Bari ha perso il patrimonio, Banca d’Italia sostiene il ristoro

Secondo il presidente Consob Paolo Savona «si deve presumere che a seguito delle perdite» siano stati persi i 442 milioni residui.

Il patrimonio netto della Banca popolare di Bari, che al 30 giugno scorso era pari a 442 milioni di euro, «si deve presumere che a seguito delle perdite sia stato perso», ha detto il presidente della Consob, Paolo Savona, durante un’audizione alla Commissione Finanze della Camera sul decreto legge per il sostegno al sistema creditizio del Sud. «Si parla di circa 70.000 piccoli azionisti. I bond subordinati sono pari a 291 milioni di euro, tutte le altre obbligazioni sono state già rimborsate», ha detto Savona. Per la Popolare di Bari, sottoposta ad amministrazione straordinaria in vista di una ristrutturazione e un rilancio, «andranno comunque individuate forme di ristoro per i casi di comportamenti scorretti registrati in occasione degli ultimi aumenti di capitale», ha affermato la vice direttrice generale di Bankitalia, Alessandra Perazzelli, durante un’audizione alla Commissione Finanze della Camera sul decreto legge per il sostegno al sistema creditizio del Sud.

 

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Ipotesi maxi multa per Autostrade, M5s in rivolta

La ministra De Micheli chiede un abbassamento dei pedaggi. Oltre a un maxi risarcimento. E poi dice: «Va rivista la cultura del rapporto tra il privato e il pubblico».

In quella che ormai sembra un lungo negoziato fatto di alzate di posta e minacce e poi passi indietro, si fa avanti l’ipotesi che Autostrade per l’Italia possa pagare una maxi multa per evocare la revoca delle concessioni. Ma fonti del Movimento Cinque Stelle rifiutano l’ipotesi. «Maxi multa? Non scherziamo. Lo Stato non accetta carità, solo giustizia per le vittime. Per chi ha causato il crollo del ponte Morandi non ci saranno sconti. Ci sono le famiglie di 43 vittime che ancora attendono giustizia. La revoca della concessione ad Autostrade va inoltre nella direzione di un successivo abbassamento dei pedaggi. Bisogna cambiare il sistema degli affidamenti»

«DA ASPI PROPOSTA INSUFFICIENTE»

In un’intervista a Repubblica la ministra delle Infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli, ha spiegato che per evitare la rottura della concessione, «Aspi ha fatto diverse proposte anche al precedente governo. Le abbiamo ritenute insufficienti per le ricadute a vantaggio dei cittadini. I 700 milioni per la riduzione dei pedaggi? Ci saremmo aspettati una riduzione significativa delle tariffe ai caselli, senza modificare il piano di maggiori investimenti per la rete e per la manutenzione. La proposta è insufficiente». «Autostrade comprende i 600 milioni della ricostruzione del Ponte Morandi nel risarcimento che offre allo Stato? Sono soldi già previsti per legge. Se la discussione comincia così non è solo insufficiente, è anche irricevibile», dice De Micheli, che sottolinea come l’adozione dell’eventuale revoca poggi «su due basi: giuridica ed economica. Vanno valutate entrambe. Le decisioni del caso verranno condivise con il premier e con i ministri».

«DA RIVEDERE IL RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO»

Quanto ai tempi, «non mi sbilancio, ma la verifica è praticamente conclusa». Dalle carte, aggiunge, «sono emerse carenze nella manutenzione e nei controlli che non sono stati fatti a regola d’ arte, come si dice in cantiere. E non riguardano solo il Morandi». Per la ministra, «al di là di Aspi, va rivista la cultura del rapporto tra il privato e il pubblico. Il pubblico ha un interesse prevalente e se non ha la forza di farlo valere si crea uno squilibrio che è un danno anche per il privato perché si abbassa la qualità. La tragedia di Genova purtroppo è una lezione», dice. «Anche lo Stato non può limitarsi a puntare il dito, deve farsi carico di una maggiore capacità di controllo». Nell’intervista, De Micheli rassicura sulla tenuta del governo dopo le elezioni in Emilia Romagna,«anche perché vinciamo». Sul ruolo di Conte come riferimento dei progressisti, «lo è. Nel senso che ha compreso che ogni scelta concreta va avvicinata alla gente. È quello che fa anche Zingaretti».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Terna, con l’hub di Milano si progetta la rete elettrica intelligente

Dopo Torino e Napoli, vede la luce l’innovation hub del capoluogo lombardo. Avrà due laboratori: uno si occuperà di advanced analytics e l’altro servirà a condurre sperimentazioni.

Dopo quelli di Torino e Napoli, il gruppo Terna apre un innovation hub anche a Milano. È stato inaugurato lo scorso 17 dicembre, presso la sede Terna di Pero, alla presenza dell’assessora alla Trasformazione Digitale del Comune di Milano Roberta Cocco, del membro del collegio dell’Arera Stefano Saglia e della presidente di Terna Catia Bastioli. L’Innovation Hub di Milano si muoverà in ambito «Analytics & Energy Systems», per sviluppare strumenti e competenze per una gestione della rete elettrica sempre più intelligente attraverso l’elaborazione e l’interpretazione di dati e lo sviluppo di algoritmi e strumenti avanzati di simulazione e previsione.

DUE LABORATORI PER INNOVAZIONE A ANALISI AVANZATA

L’hub di Milano si articolerà in due distinti laboratori: uno dedicato all’Energy Tech, per abilitare i progetti di innovazione del system operator e condurre sperimentazioni e uno focalizzato sugli Advanced Analytics, per interagire con startup e aziende innovative in un ambiente appositamente realizzato. «L’obiettivo è quello di sviluppare idee e percorsi innovativi a beneficio di una rete elettrica sempre più moderna, efficiente, flessibile, sostenibile e soprattutto in grado di favorire la transizione energetica in atto», ha detto l’amministratore delegato di Terna Luigi Ferraris.

SINERGIE CON LE ECCELLENZE DEL TERRITORIO

«L’hub è uno strumento per portare avanti il nostro sfidante piano nazionale che prevede investimenti per oltre 700 milioni di euro in cinque anni in innovazione e digitalizzazione, elementi imprescindibili per abilitare la transizione energetica», ha commentato invece la presidente di Terna, Catia Bastioli, «e si propone di creare sinergie tra le persone, le professionalità di Terna e le eccellenze del territorio». A tal proposito, attraverso l’interazione e lo scambio con realtà esterne come Università, centri di ricerca, startup e imprese, l’Innovation Hub diventerà un laboratorio dove creare, sviluppare e testare concretamente nuove idee.

LOMBARDIA PRIMA PER INVESTIMENTI PIANIFICATI

Proprio dall’Hub di Milano, così come previsto per quelli di Torino e Napoli, partiranno progetti che puntano a favorire la diffusione della cultura dell’innovazione, la creazione di future professionalità di eccellenza e lo sviluppo di soluzioni industriali che possano avere implementazione su più larga scala. «La Lombardia è la prima regione per investimenti Terna nel Nord Italia con 516 milioni di euro pianificati nei prossimi 5 anni e, proprio a Milano, si è conclusa recentemente la fase più significativa dell’opera di ammodernamento della rete a 220 kV della città con la sostituzione di 47 Km di vecchi cavi in olio fluido risalenti agli anni ’50 con nuovi cavi più efficienti e sostenibili», ha concluso l’ad Ferraris.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Come i Paesi europei gestiscono la fine delle concessioni per le autostrade

Francia, Spagna e Portogallo dimostrano che gli indennizzi sono molto diversi in caso di ritiro o di inadempienza. E il governo italiano dovrebbe fare la differenza.

Nei giorni in cui il governo valuta la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia e la modifica delle condizioni di indennizzo previste dal contratto e la società risponde promettendo battaglia legale, viene da chiedersi come si comportino negli altri Paesi europei.

IL CONFRONTO CON FRANCIA, SPAGNA E PORTOGALLO

Tra le nazioni dell’Ue Francia, Spagna e Portogallo hanno un sistema di concessioni simile a quello italiano ed un simile sistema di calcolo degli indennizzi. Ecco, allora, cosa succede oltre confine secondo uno studio della società di analisi Brattle che ha preso in considerazione 21 concessionarie nei tre paesi.

IN CASO DI RECESSO, REVOCA O RISOLUZIONE

In Francia, è previsto un indennizzo pari a valore attualizzato dei flussi di cassa previsti al netto delle imposte per la durata della concessione; in Spagna invece un indennizzo pari al valore attualizzato dei flussi di cassa netti futuri e la perdita di valore di attrezzature che non devono essere riconsegnate al concedente, al netto dell‘ammortamento; in Portogallo negli ultimi cinque anni della concessione, indennizzo pari ad un pagamento annuale pari alla media dei ricavi operativi netti nei sette anni prima della revoca, in aggiunta al valore delle opere eseguite in seguito alla revoca, ridotto di 1/7 per ogni anno trascorso dal completamento.

IN CASO DI REVOCA PER INADEMPIMENTO

In Francia valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del Mol e investimenti previsti attualizzati. In caso di mancata assegnazione, subentra lo Stato senza alcun indennizzo; in Spagna valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base dei flussi di cassa operativi attualizzati. In caso di mancata assegnazione, nuova asta con base dimezzata; in Portogallo valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del valore degli asset stabilito da un comitato composto da tre esperti. In caso di mancata assegnazione subentra lo Stato senza alcun indennizzo.



Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Secondo l’Abi le banche hanno ridotto i crediti deteriorati del 60% in 4 anni

L'associazione presieduta da Patuelli stima che il totale dei Non performing loans (Npl) alla fine dell'anno sarà sotto gli 80 miliardi, contro gli 84 di giugno e i 197 miliardi di fine 2015.

L‘associazione bancaria italiana ha stimato una riduzione dei crediti deteriorati in pancia alle banche italiane pari al 60% in quattro anni. Secondo la stima dell‘Abi, emersa durante la conference call sul rapporto stilato con Cerved sulla riduzione del tasso di deterioramento del
credito delle imprese, il totale dei Non performing loans (Npl) alla fine dell’anno sarà sotto gli 80 miliardi, contro gli 84 di giugno e i 197 miliardi
di fine 2015. Il processo, è stato spiegato, «è stato favorito dalle operazioni di cessione e dal calo dei flussi di nuovi crediti deteriorati».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Di Maio insiste: «Nel 2020 stop ad Autostrade, concessioni affidate a Anas»

Il leader del M5s nega che il costo dell'operazione possa essere di 23 miliardi: «Un'enorme sciocchezza»

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è tornato a dare battaglia sul nodo delle concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia. «Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l’affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali. Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo.
Non solo a loro, ma a tutto il Paese», ha scritto su Facebook il leader
del M5S Di Maio. Il ministro ha anche definito una «enorme sciocchezza» il fatto che la revoca costi 23 miliardi allo Stato.

Il messaggio postato da Luigi Di Maio il 27 dicembre ANSA / Facebook

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Inchiesta della Corte dei conti sulle autostrade, Atlantia crolla in Borsa

I magistrati contabili in sostegno al governo: clausole troppo favorevoli ai concessionari. Grosse perdite per il titolo della società dei Benetton dopo le modifiche alla legge sugli indennizzi delle concessioni.

Mai era stata realizzata una inchiesta così approfondita sulle autostrade e i loro concessionari. E mai aveva mosso accuse così argomentate al sistema di gestione della rete italiana. Sono 200 le pagine con cui la Corte dei conti spiega quanto il regime attuale abbia favorito i concessionari e non l’interesse dei cittadini: erano attese da mesi dal governo già ai ferri corti con Autostrade per l’Italia dopo il crollo del ponte Morandi. E sono arrivate sul tavolo dell’esecutivo venerdì. Per questo forte della sponda dei magistrati contabili il governo ha emesso il decreto su Aspi.

LEGGI ANCHE: Via libera al Milleproroghe con una mina ai concessionari autostradali

Nella relazione della Corte dei Conti sulle “Concessioni autostradali” si afferma, «l’esigenza di procedere alla rapida introduzione di un sistema tariffario tale da consentire un rendimento sul capitale investito, compatibile con quello di mercato per investimenti di rischio comparabile e di procedere all’accelerazione delle procedure per la messa a gara delle convenzioni scadute». La Corte rileva la necessità di una maggiore effettività dei controlli, anche sulle infrastrutture, accompagnata da una continua verifica sugli investimenti.

ATLANTIA TRASCINA AL RIBASSO PIAZZA AFFARI

Intanto dopo la nuova norma sulle concessioni autostradali nel decreto Milleproroghe, è scivolone in borsa per Atlantia – società dei Benetton che controlla Autostrade per l’Italia – che arriva a sfiorare il -4% per lo scontro col governo. E resta altissima la tensione nella maggioranza sulle autostrade. Per il Movimento Cinque Stelle non ci sono dubbi: è stata aperta la porta alla revoca delle concessioni. Ma il Pd non la pensa così. E Italia Viva, chiede che il tema venga affrontato in Parlamento. Intanto Aspi fa sapere che se confermata norma sulle concessioni, valuterà azioni a propria tutela.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Visco gioca in difesa sulla Popolare di Bari

Dopo le critiche sui mancati interventi sulla banca pugliese, il capo di via nazionale spiega il perché il commissariamento è arrivato solo ora.

«La Banca d’Italia ha sempre svolto il proprio compito rispettando le regole, ha sempre collaborato e continuerà a farlo ed è pronta a fornire, come sempre», tutte le informazioni disponibili, così come è pronta a rendere conto del proprio operato, nelle sedi istituzionali. Intervistato in apertura di prima pagina dal Corriere della Sera, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco interviene sul caso della Popolare di Bari. E spiega che il commissariamento è stato disposto «quando le perdite hanno ridotto i livelli di capitale al di sotto dei minimi stabiliti dalle regole prudenziali».

Una veduta esterna di una filiale della Banca Popolare di Bari davanti alla quale risparmiatori e azionisti hanno inscenato una protesta, Bari, 18 dicembre 2019. ANSA / DONATO FASANO

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’ex presidente di Popolare di Bari Jacobini indagato per corruzione della vigilanza

La vicenda è collegata all'acquisizione di Banca Tercas e ai rapporti con Banca d'Italia. Negli atti della procura non c'è il nome del destinatario del reato.

L’ex presidente della Banca popolare di Bari, Marco Jacobini, sarebbe indagato per corruzione nell’ambito dei suoi rapporti con la Vigilanza della Banca d’Italia. La notizia è pubblicata da Repubblica secondo cui la vicenda sarebbe collegata in qualche maniera all’acquisizione della Banca Tercas.

JACOBINI INDAGATO DA GIUGNO

Il quotidiano precisa che Jacobini, al quale è stato notificato un avviso di proroga delle indagini nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte irregolarità nella gestione dell’istituto di credito barese, è indagato da giugno scorso. Nell’atto, precisa il quotidiano, non è indicato il destinatario della corruzione o in cosa si sarebbe concretizzata.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

L’ex presidente di Popolare di Bari Jacobini indagato per corruzione della vigilanza

La vicenda è collegata all'acquisizione di Banca Tercas e ai rapporti con Banca d'Italia. Negli atti della procura non c'è il nome del destinatario del reato.

L’ex presidente della Banca popolare di Bari, Marco Jacobini, sarebbe indagato per corruzione nell’ambito dei suoi rapporti con la Vigilanza della Banca d’Italia. La notizia è pubblicata da Repubblica secondo cui la vicenda sarebbe collegata in qualche maniera all’acquisizione della Banca Tercas.

JACOBINI INDAGATO DA GIUGNO

Il quotidiano precisa che Jacobini, al quale è stato notificato un avviso di proroga delle indagini nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte irregolarità nella gestione dell’istituto di credito barese, è indagato da giugno scorso. Nell’atto, precisa il quotidiano, non è indicato il destinatario della corruzione o in cosa si sarebbe concretizzata.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Patuanelli: «Sei mesi di tempo per salvare Alitalia o si chiude»

«L'obiettivo è chiudere entro metà anno, con la scadenza del mandato al commissario. Altrimenti si chiude. Sono stati erogati i 400 milioni di euro di prestito. Non ci saranno altri fondi», ha detto il ministro dello Sviluppo economico.

Restano sei mesi nella vicenda infinita di Alitalia. Almeno così ha dichiarato al quotidiano Il Messaggero il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli: «Per salvare Alitalia ci restano sei mesi. L’obiettivo è chiudere entro metà anno, con la scadenza del mandato al commissario. Altrimenti si chiude. Sono stati erogati i 400 milioni di euro di prestito. Non ci saranno altri fondi». Secondo Patuanelli, «Fs deve entrare nella cordata, e poi sfida tra Lufthansa e Air France. Niente spezzatino – dice – sarà una holding». Mentre sull’Ex Ilva, «a fine piano ci saranno zero esuberi» assicura.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Fca rassicura i sindacati su investimenti e posti di lavoro dopo l’accordo con Psa

Il responsabile Europa di Fiat Chrysler ha incontrato le associazioni di categoria: «Avanti con il piano da 5 miliardi per l'Italia e nessuna chiusura di stabilimenti».

Il piano di investimenti da 5 miliardi per l’Italia va avanti. Lo ha detto ti il responsabile delle attività europee di Fca Pietro Gorlier nell’incontro a Mirafiori richiesto dalle organizzazioni sindacali dopo la firma dell’accordo con Psa per la fusione. Lo riferiscono fonti sindacali presenti alla riunione. All’incontro partecipano i segretari generali di Fil, Uilm, Fismic, Ugl metalmeccanici e Quadri. Al termine Gorlier vedrà i vertici della Fiom.

«Piena occupazione entro il 2022»: lo rende noto Marco Bentivogli, segretario generale Fim, al termine dell’incontro tra Fca e sindacati dopo la firma dell’accordo con Psa per la fusione.

«I 3,7 miliardi di euro di risparmi annuali, da conseguire a regime con la fusione Fca-Psa, saranno raggiunti non con chiusure di stabilimento, bensì soprattutto da economie di scala su investimenti e forniture. Il nostro compito resta comunque quello di vigilare su eventuali ricadute occupazionali, poiché ogni fusione per sua natura comporta sia opportunità sia rischi», ha detto Rocco Palombella segretario generale della Uilm dopo l’incontro tra Fca e sindacati.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Autogrill, Barbara Cominelli nominata Amministratore non esecutivo

Il Consiglio di Amministrazione, riunitosi ieri, ha incaricato la manager in sostituzione di Marco Patuano.

Il Consiglio di Amministrazione di Autogrill S.p.A. ha nominato mediante cooptazione Barbara Cominelli quale Amministratore non esecutivo, in sostituzione di Marco Patuano che ha rassegnato le sue dimissioni in data 24 giugno 2019.

Il nuovo Consigliere ha dichiarato di essere in possesso dei requisiti di indipendenza, ai sensi dell’art. 147-ter, comma 4, e dell’art. 148, comma 3, D. Lgs. 58/98, nonché del principio 3.C.1 del Codice di Autodisciplina delle Società Quotate, come recepito dall’art. 3.1 del vigente Codice di Autodisciplina di Autogrill e dall’art. 10 dello Statuto Sociale.

Barbara Cominelli è il COO, Direttore Marketing e Operations di Microsoft Italia, con la responsabilità sulle diverse linee di business. Dal 2010 al 2018 è stata Direttore Digital, Commercial Operations e Wholesale di Vodafone Italia, alla guida di un team di 3000 persone, gestendo i canali fisici e digitali. Le sue esperienze precedenti includono Tenaris, A.T.Kearney, E.V. Capital e Università Bocconi. Laureata con lode in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi, ha un Master in International Management presso la stessa Università. Vanta una significativa esperienza internazionale avendo studiato e lavorato in U.K., Olanda, Lussemburgo e Spagna. Inclusa due volte tra le “50 donne più influenti in Europa nel campo della tecnologia” da InspiringFifty, ha vinto numerosi premi in Italia e all’estero per progetti di Trasformazione Digitale e eccellenza nella Customer Experience.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Smart&Start Italia si rinnova, le novità per le startup

Dal 20 gennaio al via le domande per le agevolazioni con i nuovi criteri, tra questi nuove premialità e l’incremento del finanziamento agevolato

Arrivano nuovi criteri per l’assegnazione degli incentivi che sostengono la nascita e la crescita delle startup innovative su tutto il territorio nazionale. Smart&Start Italia, l’incentivo del Mise gestito da Invitalia, si rinnova e porta in campo, con la Circolare n. 439196 del 16 dicembre 2019 della Direzione generale per gli incentivi alle imprese (secondo la nuova disciplina introdotta dal Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 30 agosto 2019), diverse novità. La semplificazione dei criteri di valutazione e di rendicontazione; l’introduzione di nuove premialità, l’incremento del finanziamento agevolato fino al 90%; fondo perduto fino al 30% per le imprese del Sud e un periodo di ammortamento più lungo, sono solo alcune delle news introdotte secondo le quali sarà possibile presentare domanda di agevolazione a partire dal 20 gennaio 2020.

A CHI SI RIVOLGE NELLO SPECIFICO

Smart&Start Italia finanzia come detto le startup innovative, nello specifico quelle costituite da non più di 60 mesi e iscritte alla sezione speciale del registro delle imprese. Tra gli ammessi a chiedere un finanziamento ci sono tutte le startup innovative di piccola dimensione, costituite da non più di 60 mesi, i team di persone fisiche che vogliono costituire una startup innovativa in Italia, anche se residenti all’estero, o cittadini stranieri in possesso dello “startup Visa” e le imprese straniere che si impegnano a istituire almeno una sede sul territorio italiano.

TUTTE LE NOVITÀ

Si parte dal nuovo anno dunque con i nuovi criteri dell’incentivo rivolto alle startup innovative. Le novità riguardano la semplificazione dei criteri di valutazione per la concessione delle agevolazioni e l’introduzione di nuove premialità in caso di collaborazione con organismi di ricerca, incubatori e acceleratori d’impresa, compresi i Digital Innovation Hub, e di realizzazione di piani di impresa al sud da parte di start up già operative al centro-nord. E ancora in campo una nuova definizione dei piani di impresa e delle spese ammissibili, incluso il riconoscimento di una quota di finanziamento per la copertura delle esigenze di capitale circolante per il periodo di realizzazione del piano; l’incremento del finanziamento agevolato fino all’80% delle spese ammissibili e al 90% nel caso di società costituite da sole donne, da under 36 oppure se un socio ha il titolo di dottore di ricerca. Aumenta anche il fondo perduto per le imprese localizzate al Sud Italia fino al 30% dell’importo concesso per gli investimenti. Le rendicontazioni diventano più semplici, con la possibilità di ottenere le erogazioni per stati di avanzamento con fatture non quietanzate (i cui pagamenti possono essere dimostrati, entro sei mesi, al successivo stato di avanzamento) e contestuale erogazione della quota proporzionale di finanziamento inerente il capitale circolante; rendicontazione dei costi di personale con la modalità dei costi standard. Si estende, infine, il periodo di ammortamento per la restituzione del finanziamento fino a 10 anni.

COSA FINANZIA LA MISURA

Ricordiamo che Smart&Start Italia finanzia progetti compresi tra 100 mila euro e 1,5 milioni di euro, con la copertura delle spese d’investimento e dei costi di gestione. I piani d’impresa possono comprendere spese destinate all’acquisto di beni di investimento, servizi, spese del personale e costi di funzionamento aziendale. Per essere approvato è necessario che il progetto imprenditoriale possegga un significativo contenuto tecnologico e innovativo o sia orientato allo sviluppo di prodotti, servizi o soluzioni nel campo dell’economia digitale, dell’intelligenza artificiale, della blockchain e dell’internet of things o ancora che sia finalizzato alla valorizzazione economica dei risultati della ricerca pubblica e privata.

COME PRESENTARE DOMANDA

La presentazione della domanda è da farsi esclusivamente online sulla piattaforma di Invitalia. Le domande già presentate prima della pubblicazione della nuova circolare, per le quali non vi siano provvedimenti già adottati, potranno essere riformulate entro 60 giorni dalla data del 20 gennaio 2020. Chi ha presentato la domanda prima del 16 dicembre 2019 e non ha ricevuto l’esito della valutazione, può comunicare con Invitalia tramite PEC all’indirizzo smartstart@pec.invitalia.it indicando preferibilmente nell’oggetto l’ID della domanda. Sarà, in ogni caso, possibile presentare una nuova domanda anche oltre questo termine.

Per presentare la domanda per richiedere le agevolazioni previste dalla misura è necessario registrarsi ai servizi online di Invitalia indicando un indirizzo di posta elettronica ordinario, compilare online la domanda e caricare il business plan e gli allegati. Per tutta la procedura è necessario disporre di firma digitale e di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Al termine della compilazione del piano di impresa e dell’invio telematico della domanda e dei relativi allegati, verrà assegnato un protocollo elettronico.

Ricordiamo inoltre che non ci sono scadenze né graduatorie. Invitalia valuta le domande in base all’ordine di arrivo, fino ad esaurimento dei fondi. Ogni valutazione prevede una verifica formale e una valutazione di merito, compreso il colloquio con gli esperti di Invitalia, e si conclude in 60 giorni, salvo eventuali richieste di integrazione dei documenti.

I NUMERI DI SMART&START ITALIA

La misura del MISE è partita con la sua prima edizione, dedicata alle sole regioni del Mezzogiorno, il 4 settembre 2013 per rinnovarsi il 16 febbraio 2015 con l’allargamento della platea a tutte le startup innovative d’Italia. Fino ad oggi sono 1.007 le startup innovative finanziate mettendo in campo 340 milioni di agevolazioni concesse che hanno contribuito a creare tanti nuovi posti di lavoro, 5.504 per la precisione.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La Popolare di Bari e quelle azioni vendute senza contratto

La storia di un socio che dal 2009 al 2013 ha investito tutti i suoi risparmi in titoli dell'istituto. Un'operazione da 105 mila euro. Per cui è stato risarcito cinque mesi prima del commissariamento della banca.

Obbligazioni ed azioni vendute senza nemmeno che esistesse un contratto. È uno dei casi, ma non il solo, per cui l’arbitro per le controversie finanziarie ha dato ragione a uno dei soci della Banca Popolare di Bari in uno dei tanti ricorsi – sono 200 i fascicoli nelle mani solo di Confconsumatori Puglia, e 26 mila su 70 mila il numero dei soci il cui profilo di rischio presenta delle irregolarità – presentati contro l’istituto di credito gestito per 40 anni da Marco Jacobini e appena commissariato. La decisione del collegio, di cui Lettera43.it ha preso visione, è stata adottata il 16 luglio di quest’anno, e cioè cinque mesi prima del commissariamento dalla banca, e mostra bene le pratiche sanzionate dalla Consob con le multe comminate a tutti i vertici dell’istituto nell’ottobre del 2018.

UNA BANCA «SANA» AL LIVELLO DI LEHMAN BROTHERS

Il signor V. N. L. che si è rivolto ai giudici è un socio di lungo corso, di quelli che per 10 anni hanno riposto fiducia in quello che si presentava come il «primo istituto del Mezzogiorno», o una «banca sana», come ostentava l’attuale ministro per le Politiche regionali Francesco Boccia in una intervista del 2017 ancora presente sul suo sito. E che invece già un anno fa, nel 2018, aveva un rapporto tra i crediti deteriorati e gli attivi pari a quelli della Lehman Brothers del 2008, come ha commentato in questi giorni in cui tutto è stato portato agli onori delle cronache il professore Francesco Daveri dell’Università Bocconi. Dunque, mentre un ministro difendeva di fronte alla stampa la solidità di un istituto incapace di risollevarsi dalle perdite, un socio si fidava di chi gli aveva offerto un investimento.

TUTTO IL CAPITALE INVESTITO IN TITOLI ILLIQUIDI

Peccato che l’investimento offerto al signor V. N. L. fosse tutto nell’interesse della banca. A partire dal fatto che lui, con una consorte invalida civile al 100%, non avesse «una situazione finanziaria idonea a sostenere l’acquisto» degli strumenti finanziari offerti dall’istituto, e cioè azioni e obbligazioni convertibili per un valore di circa 105 mila euro. E che gli acquisti compiuti tra 2009 e 2013 fossero stati giustificati dalla banca con un questionario del 2016 che mostrava un profilo di rischio basato sugli acquisti precedenti e che l’arbitro ha rigettato perché appunto posteriore alle compravendite, prendendo in considerazione i questionari degli anni precedenti. Per di più, le operazioni iniziate nel 2009 non poggiavano nemmeno su un contratto, erano state raccomandate dalla banca, comportamento vietato perché in conflitto di interessi. E soprattutto rappresentavano il solo investimento del cliente.

In sostanza, la banca aveva suggerito la concentrazione di tutto il capitale da investire nei suoi titoli, un comportamento che di per sé suggerisce che l’operazione sia stata raccomandata

In sostanza, la banca aveva suggerito la concentrazione di tutto il capitale da investire nei suoi titoli, un comportamento che di per sé suggerisce che l’operazione sia stata raccomandata. Alla fine V. N. L ha visto accolto il suo ricorso e riconosciuto il risarcimento danni, ma quanti altri come lui sono stati truffati lo si scoprirà solo quando la magistratura farà luce sul buco nero di Popolare di Bari.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il nuovo allarme di Dombrovskis sul deficit dell’Italia

Intervistato da La Stampa il vice presidente Dombrovskis ha messo in guardia il governo sui conti pubblici: «Riportare i parametri in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita».

«L’Italia è a rischio di non conformità con le regole Ue, sia per quest’anno che per il prossimo. Per questo chiediamo di riportare il deficit in linea con quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita», la mazzata è arrivata da Valdis Dombrovskis, vice-presidente esecutivo della Commissione europea con responsabilità su tutti i portafogli economici, in un’intervista a La Stampa.

LA COMMISSIONE VUOLE NUOVI STRUMENTI D’AZIONE

«In passato abbiamo proposto sanzioni per Paesi con alto deficit, ma poi parlamento e Consiglio le hanno respinte». Per questo, ha spiegato Dombrovskis, la possibilità che la Commissione abbia nuovi strumenti per intervenire con maggiore efficacia «sarà certamente uno dei temi da discutere nel contesto della revisione del Two Pack e del Six Pack», cioè i regolamenti introdotti nel Patto di Stabilità e Crescita. «Al momento prevediamo una revisione non legislativa, ma lanceremo una discussione», ha aggiunto.

VERSO LA REVISIONE DEI PARAMETRI UE

«Ci sono diverse questioni sul tavolo: gli aspetti legati al Green Deal, la semplificazione delle regole, ma anche un meccanismo rafforzato per la loro applicazione». Ci sono alcuni Stati che vogliono più flessibilità, altri che chiedono maggiore disciplina di bilancio. Se ne esce soltanto trovando un accordo. Per questo dico che non si può andare ad aprire il tema delle regole di bilancio, se non c’è la ragionevole possibilità di concludere il lavoro con un risultato migliore rispetto al punto di partenza». Tuttavia, ha aggiunto, «ci sono alcuni elementi su cui molti Stati sembrano essere d’accordo. Per esempio sulla necessità di abbandonare alcuni indicatori come il deficit strutturale».

DOMBROVSKIS: «SERVE CAUTELA SULLA FLESSIBILITÀ»

Sulla possibilità di scorporare gli investimenti green dal deficit, «già oggi abbiamo una clausola di flessibilità per gli investimenti cofinanziati dall’Ue, l’abbiamo introdotta nel 2015. Si può discutere se estenderla a quelli green, ma in ogni caso bisogna essere molto cauti sui limiti da non superare: va garantita la sostenibilità di bilancio», ha aggiunto il vice presidente, che sul Mes ha eslcuso l’ipotesi di un rinvio a giugno: «I negoziati sono già in una fase avanzata. Sono emerse alcune preoccupazioni ‘last minute’ dall’Italia e bisogna vedere come affrontarle nel modo migliore. Ma in ogni caso credo che nel giro di un paio di mesi si troverà un accordo».

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il Cda di CDP approva nuove misure a sostegno degli Enti Locali

In particolare i provvedimenti verteranno sulle nuove modalità di utilizzo dei risparmi provenienti dalle rinegoziazioni e il pagamento differito delle rate dei mutui concessi al Comune di Genova.

Il Consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti, riunitosi oggi, ha approvato due nuove misure finalizzate ad erogare risorse per gli enti locali, con l’obiettivo di garantire una maggiore flessibilità finanziaria e contribuire al superamento dello stato di emergenza della Città di Genova.

RINEGOZIAZIONE DEI MUTUI PER MAGGIORE FLESSIBILITÀ FINANZIARIA

Il Cda ha autorizzato nuove modalità di utilizzo dei risparmi provenienti dall’ adesione alle operazioni di rinegoziazione 2019 dei mutui concessi alle Città Metropolitane, e ai Comuni capoluogo di Regione o sede di Area Metropolitana. Le somme, precedentemente vincolate all’estinzione degli eventuali derivati e alla realizzazione degli investimenti, ora possono essere utilizzate senza vincolo di destinazione. La misura approvata potrà consentire una maggiore flessibilità finanziaria a beneficio degli enti fornendo loro un ausilio per il superamento delle rigidità di bilancio. L’iniziativa rientra nell’ambito delle attività di CDP a supporto degli enti nella gestione del proprio debito.

RATE DEI MUTUI DILAZIONATE SENZA ULTERIORI INTERESSI

Il Cda ha approvato il differimento, senza addebito di ulteriori interessi, delle rate in scadenza nel 2020 dei mutui concessi da CDP al Comune di Genova. Con tale misura, in linea con la proroga dello stato di emergenza approvato dal Governo nel luglio scorso, CDP fornisce un ulteriore supporto al Comune per superare le criticità conseguenti al crollo del viadotto Polcevera contribuendo, più in generale, al potenziamento dei collegamenti viari del territorio ligure. Il differimento del pagamento delle rate dei Prestiti in scadenza nel 2020 consentirà di liberare risorse finanziarie da destinare prioritariamente al superamento della fase di emergenza, alla ricostruzione delle aree colpite dal crollo del viadotto e alla realizzazione di iniziative per il rilancio del territorio.

Le misure approvate oggi riflettono l’attenzione posta da CDP a supporto dello sviluppo sostenibile dei territori quale volano della crescita e del benessere del Paese. L’attività del Gruppo è stata infatti ridisegnata in funzione delle esigenze delle comunità locali, attraverso un rinnovato sostegno alle pubbliche amministrazioni e alle imprese.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il Cda di CDP approva nuove misure a sostegno degli Enti Locali

In particolare i provvedimenti verteranno sulle nuove modalità di utilizzo dei risparmi provenienti dalle rinegoziazioni e il pagamento differito delle rate dei mutui concessi al Comune di Genova.

Il Consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti, riunitosi oggi, ha approvato due nuove misure finalizzate ad erogare risorse per gli enti locali, con l’obiettivo di garantire una maggiore flessibilità finanziaria e contribuire al superamento dello stato di emergenza della Città di Genova.

RINEGOZIAZIONE DEI MUTUI PER MAGGIORE FLESSIBILITÀ FINANZIARIA

Il Cda ha autorizzato nuove modalità di utilizzo dei risparmi provenienti dall’ adesione alle operazioni di rinegoziazione 2019 dei mutui concessi alle Città Metropolitane, e ai Comuni capoluogo di Regione o sede di Area Metropolitana. Le somme, precedentemente vincolate all’estinzione degli eventuali derivati e alla realizzazione degli investimenti, ora possono essere utilizzate senza vincolo di destinazione. La misura approvata potrà consentire una maggiore flessibilità finanziaria a beneficio degli enti fornendo loro un ausilio per il superamento delle rigidità di bilancio. L’iniziativa rientra nell’ambito delle attività di CDP a supporto degli enti nella gestione del proprio debito.

RATE DEI MUTUI DILAZIONATE SENZA ULTERIORI INTERESSI

Il Cda ha approvato il differimento, senza addebito di ulteriori interessi, delle rate in scadenza nel 2020 dei mutui concessi da CDP al Comune di Genova. Con tale misura, in linea con la proroga dello stato di emergenza approvato dal Governo nel luglio scorso, CDP fornisce un ulteriore supporto al Comune per superare le criticità conseguenti al crollo del viadotto Polcevera contribuendo, più in generale, al potenziamento dei collegamenti viari del territorio ligure. Il differimento del pagamento delle rate dei Prestiti in scadenza nel 2020 consentirà di liberare risorse finanziarie da destinare prioritariamente al superamento della fase di emergenza, alla ricostruzione delle aree colpite dal crollo del viadotto e alla realizzazione di iniziative per il rilancio del territorio.

Le misure approvate oggi riflettono l’attenzione posta da CDP a supporto dello sviluppo sostenibile dei territori quale volano della crescita e del benessere del Paese. L’attività del Gruppo è stata infatti ridisegnata in funzione delle esigenze delle comunità locali, attraverso un rinnovato sostegno alle pubbliche amministrazioni e alle imprese.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Sull’Ilva Arcelor Mittal attacca la demagogia all’italiana

Il gruppo franco indiano definisce il ricorso dei commissari contro la procedura di retrocessione dei rami d'azienda «intriso di considerazioni politiche». E le condotte delle autorità pubbliche «altalenanti e imprevedibili».

La difesa di Arcelor Mittal depositata dai legali della multinazionale è un attacco frontale allo Stato italiano e ai suoi rappresentanti commissari dell’ex Ilva. Il gruppo franco indiano ha chiesto di sciogliere il contratto di acquisizione degli stabilimenti. Secondo fonti vicine al dossier, più che una mossa ‘aggressiva’ l’iniziativa del gruppo franco-indiano sarebbe da interpretare come un passaggio procedurale obbligato visto che non c’è ancora un’intesa nelle trattative per arrivare ad un accordo di principio sui temi principali. Eppure, nelle 57 pagine della memoria depositata, i toni usati sono tutt’altro che concilianti.

«IL RICORSO? TUTTO POLITICA E PRESSIONE MEDIATICA»

Secondo la multinazionale, il ricorso dei commissari contro la procedura di retrocessione dei rami d’azienda, è «intriso di considerazioni politiche e demagogiche, tenta chiaramente di cavalcare l’onda della pressione mediatica e istituzionale che è montata negli ultimi mesi». Ed ancora riferendosi allo scudo penale rimosso: non si può «indurre una società a effettuare un enorme investimento perché ha confidato su un’apposita norma di legge e poi cambiare le ‘regole del gioco durante l’esecuzione del contratto». Dopo aver «investito 345 milioni di euro» e aver «dismesso rilevanti beni in conformità alle indicazioni della Commissione europea ed esattamente eseguito il contratto per oltre un anno», il gruppo franco-indiano sostiene di essersi trovato «in una situazione completamente diversa da quella concordata a causa di decisioni e condotte altalenanti e imprevedibili di autorità pubbliche e soggetti istituzionali»

IL RISCHIO DI SPEGNERE GLI ALTRI DUE ALTIFORNI

In più, «è vero che lo stabilimento Ilva è un bene di interesse strategico nazionale», «è altrettanto vero, però, che il rilievo strategico attribuito a uno stabilimento industriale non può essere strumentalizzato» per imporre a un investitore di «continuare a svolgere l’attività produttiva come se nulla fosse e di accettare assurdamente il rischio di responsabilità penali che erano state escluse al momento e proprio in funzione del suo investimento». Nell’atto si parla anche dell’altoforno 2, ritenuto «vitale per l’impianto di Taranto» sostenendo che il suo spegnimento imporrebbe «di spegnere anche gli altri due altiforni attivi perché hanno caratteristiche tecniche analoghe».

IL 30 DICEMBRE IL RIESAME SULL’ALTOFORNO

A. Mittal sottolinea che la magistratura penale ha stabilito «che l’omessa esecuzione delle prescrizioni non è imputabile» alla multinazionale ma «ad ‘anni di inadempimento colpevole‘ dei commissari dell’ex Ilva». Sulla vicenda di Afo2, si attende ora la fissazione dell’udienza da parte del Tribunale del riesame di Taranto. La prima data utile potrebbe essere il 30 dicembre. L’altra, il 7 gennaio 2020, sarebbe troppo ravvicinata all’ultima fase delle operazioni di spegnimento già avviate su disposizione del giudice Francesco Maccagnano, che ha respinto la proroga della facoltà d’uso. Intanto, prosegue la trattativa tra governo e azienda, ma c’è un punto non ancora risolto: la mancata definizione dell’entità, della misura e della modalità degli interventi degli eventuali soggetti pubblici e privati italiani che potrebbero entrare nell’operazione per rivitalizzare il polo siderurgico italiano.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Le vere cause della bancarotta della Popolare di Bari

Parlare di «fallimento della logica di mercato» è un controsenso: il crack è arrivato, come sempre, per colpa di chi ha agito al di fuori delle regole della compravendita. E di chi gli ha permesso di farlo.

Da Taranto a Bari ci sono meno di 90 chilometri. Due città colpite duramente da vicende economiche rilevanti: la crisi Ilva, con annessa questione spegnimento altiforni da parte di ArcelorMittal e Banca Popolare di Bari di cui Bankitalia ha dovuto avviare (l’ennesimo) commissariamento.

IL PROBLEMA NON È IL MERCATO

Il commento che si sente più spesso fare, quando assistiamo a una bancarotta, è che si tratta di un «fallimento della logica di mercato». Un ragionamento che parla direttamente ad un ventre ferito, lacerato da una ferita fresca che reclama una cura, ma si tratta di un ragionamento che è un vero controsenso. La logica di mercato è tale proprio perché prevede che le cose che non funzionano falliscano. «Follow the money» si ripete più volte nel film Tutti gli uomini del presidente, che racconta – tra l’altro – il mestiere del giornalismo investigativo, un processo lungo e noioso pieno di vicoli ciechi e compiti monotoni, ma che risulta necessario per non delegare ai lettori l’intero percorso.

UNA CRISI CHE ARRIVA DA LONTANO

La situazione della Banca Popolare di Bari era critica da molto tempo, almeno dal 2010 quando iniziarono a girare insistenti voci sull’utilizzo delle sue risorse; non era buona nemmeno quando lo Stato le chiese di intervenire in “salvataggio” di Banca Tercas (Cassa di Teramo), la quale – va ricordato – fu fatta acquisire dalla Pop Bari quando era già in amministrazione controllata, ma nonostante il regime di commissariamento era riuscita comunque a generare esigenze di bilancio.

IL VALORE DELLE AZIONI DETERMINATO DALLA BANCA STESSA

Esigenze che la Popolare di Bari ha “risolto” come molte altre volte (e come molte altre banche: Pop Bari è infatti la dodicesima banca italiana che salta dal 2015), facendosi sottoscrivere nuove azioni da correntisti ignari o con operazioni “baciate” (sottoscrizione di azioni in contropartita a finanziamenti offerti dalla banca stessa), tutte pratiche realizzabili solo “grazie” al fatto che le azioni della banca non sono quotate, non hanno un prezzo di mercato e ai correntisti veniva così comunicato il “valore” delle azioni determinato dalla banca stessa. Esattamente come fecero le banche Venete a loro tempo.

LO SCHEMA RICORRE DI BANCA IN BANCA

A conferma di ciò, il caso Banca Etruria è emblematico: visto che la banca era quotata, invece di raccogliere sottoscrittori sulle azioni, venivano emesse obbligazioni non quotate e fatte sottoscrivere agli ignari clienti della banca stessa. Lo schema è ricorrente: l’abuso verso i correntisti si è perpetrato sempre e solo attraverso gli strumenti non di mercato. Quando Pop Bari ha usato strumenti di mercato, emettendo prestiti obbligazionari subordinati, si sono trovati sottoscrittori di dubbia identità come veicoli di diritto maltese della cui consistenza patrimoniale nulla si sa.

INACCETTABILE L’INDIGNAZIONE DELLA POLITICA

È normale che il comune cittadino “scopra” ora, con l’annuncio del decreto da parte del governo, che la Banca Popolare di Bari entri a far parte dell’elenco delle banche fallite, molto meno normale (anzi inaccettabile) che i protagonisti della politica facciano i consueti proclami e “J’accuse”. Sono tanti e di vario colore i governi che abbiamo avuto dal 2010, nessuno ha mai voluto fare qualcosa sulle banche che sono poi fallite.

LO SCARICABARILE DI CHI GOVERNA

Ogni governo spera che il cerino rimanga in mano a qualcun altro (il che offre anche l’opportunità di denunciare, dall’opposizione, lo scandalo), ma questo accade perché il consenso popolare premia questi comportamenti. La Banca Popolare di Bari è stata esentata dall’adeguarsi alle regole imposte per le Popolari, che le obbligava a trasformarsi in SpA. La bancarotta della banca pugliese, come quella delle banche venete, non è il fallimento della logica di mercato, ma il fallimento di chi ha agito al di fuori del perimetro delle regole di mercato. E l’ha fatto perché gli è stato permesso di farlo.

LE SOLUZIONI NON RISOLVONO MAI LE CAUSE

Ancora oggi, alla dodicesima banca dell’elenco, la soluzione che viene proposta è un misto di statalismo, interventismo, idee come la creazione di una banca d’investimenti pubblica per il Sud, tutto ignorando deliberatamente che l’efficacia delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno si è dimostrata nulla, se non addirittura negativa, trascurando che il caso di Tercas ci ha già insegnato che una banca commissariata può continuare ad allargare il buco che si è scavata. Invochiamo l’intervento di uno Stato risolutore, come se gli organismi pubblici di vigilanza fossero al di sopra di ogni dubbio.

NON LASCIARE AL MANAGEMENT LA POSSIBILITÀ DI AGIRE FUORI DAL MERCATO

Quella che emerge, in questa vicenda, è l’ennesima richiesta di un risolutore che si faccia carico dei problemi e li possa sgarbugliare. Ma ciò che ha permesso il realizzarsi di questo ennesimo caso che coinvolge correntisti, risparmiatori, dipendenti e contribuenti, è la facoltà data al management di agire al di fuori della disciplina di mercato. La confusione che viene alimentata è fra le vicende delle persone coinvolte e le regole di sistema: dietro l’intento nobile di voler proteggere le persone dagli eventi, si nasconde la mancata assunzione di responsabilità, e promettere come soluzione l’intervento pubblico per sterilizzare gli effetti della logica di mercato è, nella migliore delle ipotesi, l’errore del medico clemente che – nella vecchia massima – fa la piaga purulenta.

LE LEZIONI DELLA STORIA E LE RESPONSABILITÀ DEI SINGOLI

La Storia ci ha già insegnato che quando un lato del mondo aspettava da Mosca l’indicazione di quanto grano seminare perché tutte le informazioni e le decisioni erano accentrate, un’altra parte del mondo consentiva ad ognuno di provare a fare ciò che riteneva, assumendosene benefici e rischi. Uno dei due sistemi ha dovuto cedere il passo all’altro, riconoscendogli maggiore efficienza, riconoscendogli il ruolo di miglior generatore e distributore di prosperità. Ragionare di quale sistema sia migliore su base aggregata è diverso dal discutere degli alti e bassi del destino di singoli individui, ma un’offerta politica sana e affidabile si occuperebbe di presentare proposte per generare e distribuire prosperità e benessere, cercando – con i dovuti ammortizzatori – di tutelare le persone che vivono delle difficoltà, anziché sfruculiarle per cavare consenso dai loro drammi personali.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Reddito e pensione di cittadinanza valgono in media 484 euro

In Campania sale a 554 euro. Ma per oltre 200 mila destinatari la somma percepita si ferma a 200 euro.

Reddito e Pensione di cittadinanza per oltre un milione di nuclei. L’importo per famiglia viaggia sui 484 euro, con un massimo in Campania, dove sale a 554 euro. Ma per oltre 200 mila destinatari la somma percepita si ferma a 200 euro.È il quadro che emerge dall’Osservatorio dell’Inps sulla misura introdotta con la manovra dal precedente governo M5s-Lega, con i dati aggiornati all’inizio di dicembre. Tra aprile e novembre sono 1.066.000 le domande di Reddito e Pensione di cittadinanza (il beneficio riconosciuto agli over 67) accolte dall’Istituto di previdenza, ma di queste 51.681 sono decadute e quindi le famiglie beneficiarie di Reddito (890.756) e Pensione di cittadinanza (123.673) sono nel complesso 1.014.429. Le richieste respinte sono 444.494, mentre oltre 112.000 risultano in lavorazione.

A NAPOLI E PROVINCIA QUASI 120 MILA BENEFICIARI

È il Sud che continua a prevalere e Napoli risulta la provincia con più percettori di Reddito e Pensione di cittadinanza con quasi 120.000 beneficiari (118.193): tanto che il capoluogo campano risulta avere più beneficiari rispetto all’insieme di Lombardia (84.952) e Veneto (30.531). Nel complesso, la Campania ne conta quasi 200.000 (196.494) concentrando quasi un quinto di tutti i percettori in Italia. Se si guardano gli importi, la somma varia in base al numero dei componenti ma la gran parte degli ‘assegni’ per le famiglie si ferma sotto i 600 euro. anche considerando che in media la somma pagata per la Pensione di cittadinanza è decisamente più bassa del Reddito (219 euro euro contro 522). Oltre il 20% dei nuclei beneficiari del Reddito o della Pensione di cittadinanza percepisce una somma fino a 200 euro: si tratta di oltre 207 mila nuclei (207.372) rispetto al totale che supera un milione (1.014.429).

1200 EURO AD OLTRE 5MILA NUCLEI

All’opposto, ad oltre 5 mila nuclei (5.226) vengono corrisposti oltre 1.200 euro. Quasi 177 mila nuclei (176.956) percepiscono tra i 200 e i 400 euro; oltre 303 mila (303.854) tra i 400 e i 600 euro. Sommando quindi queste fasce più basse, emerge che 688.182 nuclei arrivano fino a 600 euro, ovvero il 67,8% del totale. Le altre classi di importo più alte sono meno numerose: quasi 185 mila (184.097) si collocano tra i 600 e gli 800 euro; 100.962 tra 800 e mille euro; 35.962 tra mille e 1.200 euro. Nel complesso, dai 600 euro ad oltre 1.200 euro ci sono quindi 326.247 nuclei, il 32,1% del totale.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Non solo cannabis light: la manovra esce col lifting

Il Senato approva la Finanziaria con 166 sì e 128 no. Che però è trasformata. Quindici norme stralciate, a partire dalla legalizzazione della canapa. E po i 3 miliardi in meno di tasse sul lavoro, ma anche plastic e sugar tax e nuove clausole Iva.

Il primo sì è finalmente arrivato. Il Senato ha dato il via libera alla fiducia sulla legge di bilancio con 166 voti favorevoli e 128 no. Gianluigi Paragone, del M5s, come annunciato ha votato no. Al momento della proclamazione del voto, la maggioranza in Aula ha applaudito.

LEGGI ANCHE: La manovra blindata approvata dal Senato

STRALCIATE IN EXTREMIS 15 NORME

A due mesi esatti dal Consiglio dei ministri che la varò, la manovra riceve il primo via libera parlamentare. Il Senato la approva con voto di fiducia dopo settimane assai turbolente, lo stralcio in extremis di 15 norme e una settantina di correzioni finali. Fa discutere la decisione di Elisabetta Casellati di dichiarare inammissibile la norma per legalizzare la cannabis leggera: il centrodestra la applaude, maggioranza e governo protestano e il M5s chiede le dimissioni da presidente del Senato. Il testo deve ora essere approvato dalla Camera blindato, senza più modifiche, per essere approvato a ridosso del Natale. Salvo imprevisti, la manovra non cambia più: passa senza la legalizzazione della canapa, con lo stop all’aumento dell’Iva, con un taglio da 3 miliardi delle tasse per i lavoratori, con plastic e sugar tax ma anche con una nuova tegola da 47 miliardi di aumenti di Iva e accise nel 2021 e nel 2022 che dovranno essere disinnescati.

SÌ CONVINTO DI PD E LEU, SALVINI CONTRO LO “STATO SPACCIATORE”

Il voto del Senato sulla manovra arriva con il “sì convinto” di Pd e Leu, con un sì con riserva di Iv e con un sì condito da qualche mal di pancia per i Cinque stelle: una manciata di senatori 5s fino all’ultimo si mostra in dubbio se partecipare al voto e Gianluigi Paragone vota no. In Aula il clima si surriscalda davvero solo a inizio di seduta, quando Casellati dichiara inammissibili 15 norme, tra cui quella introdotta da un emendamento M5s che avrebbe l’effetto di legalizzare la cannabis light. Il centrodestra applaude il presidente. La maggioranza protesta: «una scelta tecnica» perché le norme ordinamentali non possono andare in manovra, se questa misura per voi è importante fatevi un disegno di legge“, ribatte il presidente. “Ci tengo a ringraziarla ‘tecnicamente’ per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore”, sorride Matteo Salvini.

IL M5S CHIEDE LE DIMISSIONI DI CASELLATI

Dal governo il ministro Federico D’Incà protesta con garbo: «Rispetto la decisione ma sono amareggiato, non era una liberalizzazione ma una regolamentazione del mercato della canapa». Il capogruppo Pd Andrea Marcucci dice di «non capire» la scelta. Il M5s, con Giuseppe Brescia, chiede le dimissioni di Casellati. E per tutto il giorno i senatori continuano ad accapigliarsi sul tema. «Drogato!» urla Ignazio La Russa a un senatore M5s. Mentre Loredana De Petris sfida tutti i senatori del centrodestra a fare un test antidroga dopo le vacanze. Il viceministro 5s Stefano Buffagni sfida Salvini: «Facciamo il test, non solo sulla cannabis». Intanto però la norma salta. Il vaglio finale della Ragioneria dello Stato sul maxi emendamento su cui il governo mette la fiducia porta anche altre novità. Sono circa 70 le norme che vengono cambiate in extremis per errori di forma o mancanza di coperture. Salta il rinvio da luglio 2020 a gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l’energia e salta anche la sospensione del reddito di cittadinanza in caso di lavori brevi, così come l’estensione ai pediatri dei fondi per avere macchinari per gli esami in studio.

ZINGARETTI RIVENDICA: MANOVRA SALVA ITALIA

Nicola Zingaretti a nome del Pd mette l’accento su quanto di buono si è fatto: «È una manovra ‘Salva Italia‘ e il risultato sul piano economico è positivo: l’obiettivo, con fatica, è stato raggiunto ed è utile per chiudere una stagione e aprirne una che ridia speranza». Molto più critici i toni di Matteo Renzi, che prende la parola nell’Aula del Senato e – citando implicitamente una vecchia frase del premier Giuseppe Conte – dice che «non è stato un anno bellissimo». Poi annuncia già la prossima battaglia in Parlamento per abolire la sugar tax e la plastic tax (che è stata già ridotta e rinviata, portando alle casse dello stato non più 1 miliardo ma 140 milioni). Poi attacca:«Il 2020 è l’anno delle scelte: il governo deve cambiare passo». Per ora, denuncia dall’opposizione Emma Bonino: «Non c’è stata discontinuità: è una pseudofarsa indecorosa, come l’anno scorso fece il Conte 1, per rispetto del Parlamento non voto»

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

La ristrutturazione di Alitalia la fa il commissario, ma deve piacere a Lufthansa

Atteso al Mise il nuovo amministratore Leogrande. A cui è affidata la riorgnizzazione della compagnia. Che però guarda a Lufthansa come solo partner possibile

Lufthansa resta a bordo per il salvataggio di Alitalia: il governo ha ufficialmente aperto al controllo straniero e ora il piano per rilanciare la compagnia di bandiera deve vedere la luce. Con il super commissario Giuseppe Leogrande che domani farà il suo esordio al tavolo al Mise convocato dal ministro Patuanelli con i sindacati, si attende di capire come si tradurrà nei prossimi mesi la nuova rotta della compagnia, all’insegna della riorganizzazione, dopo due anni e 7 mesi di inutili tentativi di vendita.

I TEDESCHI: GIUSTO PARTNER, GIUSTA RISTRUTTURAZIONE

La prima indicazione l’ha data il Governo aprendo al controllo straniero. Si pensa sempre a Lufthansa, che con tempismo torna a farsi sentire, suggerendo la propria ricetta: giusto partner e giusta ristrutturazione. Una sorta di candidatura indiretta, che però resta vincolata a quello che per Francoforte è un imperativo: prima di investire, serve una compagnia ristrutturata e profittevole. «Perché Alitalia abbia un futuro di lungo termine, avere il giusto partner è importante quanto avere la giusta ristrutturazione», afferma il presidente e ceo di Lufthansa Carsten Spohr parlando ad alcuni giornalisti italiani. «Questa è la mia logica quando ho parlato ai player italiani nelle scorse settimane. Altrettanto importante» è sapere che questi due fattori non possono andare «uno senza l’altro», prosegue il manager con la licenza da pilota, che dal maggio 2014 guida un Gruppo con oltre 135 mila dipendenti, un fatturato vicino ai 36 miliardi e che ha già acquisito altre compagnie europee in crisi come Swiss e Austrian airlines.

LUFTHANSA ASPETTA LE MOSSE DEL COMMISSARIO

Lufthansa è da anni con gli occhi puntati su Alitalia ma non ha mai cambiato il proprio mantra: prima la si ristruttura, poi vi si può iniettare denaro. Inoltre serve un partner, perché qualunque compagnia in Europa da sola è troppo piccola: quindi o si trovano tanti partner o se ne trova uno come Lufthansa che te ne garantisce tanti, ragionano a Francoforte, dove pensano invece che con Delta Alitalia verrebbe sacrificata. Quindi al momento l’ipotesi di comprare una quota di maggioranza di Alitalia va rimandata: l’interesse c’è ma prima va completamente ristrutturata. Nel frattempo la strada potrebbe essere quella di una partnership commerciale, che però difficilmente si concretizzerà a gennaio: i tedeschi vogliono prima vedere che la ristrutturazione la si sta facendo davvero, a quel punto si potrebbe guardare ad un accordo commerciale senza investire forse a maggio (il 31 scade il termine fissato dal decreto per la vendita). Su come questa ristrutturazione vada fatta l’idea dei tedeschi, che non intendono sostituirsi al neo commissario con il quale comunque avrebbero già preso dei primi contatti, parte da una considerazione: più si abbassano i costi, più le rotte diventano profittevoli e più servono posti di lavoro.

LO SCORPORO DELLE ATTIVITÀ DI VOLO

L’idea è che il numero giusto per Alitalia sarebbe una flotta di 90 aerei (dai 113 di fine 2019) che potrà in un secondo momento anche crescere, come già fatto con Swiss. Guardando al perimetro della nuova Alitalia, invece, i tedeschi pensano ad una newco con dentro attività di volo (passeggeri e cargo) e manutenzione di linea, asset che oggi impiegano più o meno 5-6000 dipendenti. Fuori invece il resto della manutenzione e l’handling, che comunque Francoforte considera un valore. Intanto mentre si attende la messa a punto della squadra di Leogrande, che starebbe preparando un tandem con Giancarlo Zeni come direttore generale, i sindacati guardano all’incontro di domani su Alitalia al Mise per capire le intenzioni del Governo. Domani parte anche la trattativa tra azienda e sindacati sulla nuova procedura di cigs per 1.180 dipendenti fino al 23 marzo 2020: accordo da raggiungere entro il 31 dicembre, quando scade l’attuale cassa.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Banche, il private via maestra della riscossa

Anche il 2019 è stato un anno positivo per i mercati ma non semplice per le banche alle prese con tassi negativi e margini sotto pressione. Tra gli esempi virtuosi: Banca Generali nel private banking che ritorna sul Ftse Mib e guida i rialzi delle banche.

I titoli del comparto bancario a Piazza Affari sono saliti di oltre il 20% quest’anno, attestandosi sopra i 9.400 punti. Ma guardando al loro andamento negli ultimi anni, il quadro che emerge resta sconfortante. Rispetto a 10 anni fa, il calo è ancora dei due terzi, mentre anche in raffronto ai picchi toccati nell’estate del 2015 si ottiene un -50%.

Le banche hanno dovuto fronteggiare la profonda recessione che ha colpito l’Italia e la lunghezza delle procedure di recupero hanno concorso a determinare un elevato livello di crediti deteriorati che hanno toccato il picco del 20% per gli istituti commerciali.

ECONOMIA ITALIANA DEBOLE

Una crisi che in alcuni momenti ha visto un credito su cinque deteriorato. Ora il rapporto è sceso a circa 1 su 25, ma solo perché nel frattempo sono state effettuate cessioni di cosiddetti Npl a veicoli esterni e si sono così “puliti” i bilanci.

Su tutto, poi, resta la debolezza cronica dell’economia italiana sullo sfondo di una realtà creditizia caratterizzata dai tassi negativi. Gli istituti non riescono a maturare margini sufficienti sui prestiti erogati, a causa dei bassi interessi imperanti in questa lunga fase di accomodamento monetario. Un quadro complesso, tanto che un recente report della società di consulenza Oliver Wyman si intitolava “Banche Italiane su un piano inclinato”.

Gian Maria Mossa, Amministratore Delegato di Banca Generali

RISULTATI RECORD PER BANCA GENERALI

Dunque, per risollevarsi è indispensabile rivedere i modelli di business tradizionali basati su sportelli e commissioni bancarie ormai considerate commodity, puntando di più sulla tecnologia e il risparmio gestito. La strada maestra ai modelli di business più competitivi e considerati sostenibili per il futuro la fornisce ancora una volta il mercato. Andando ad analizzare la lista dei titoli più comprati nel 2019 sul listino principale di Piazza Affari (Ftse Mib) troviamo tra le migliori banche non i grandi istituti commerciali ma una banca private come Banca Generali che è salita di oltre il 70% in termini di total return tornando nel listino principale della Borsa italiana al posto di Unipol Sai proprio con il riesame dei titoli di dicembre. La società guidata da Gian Maria Mossa ha aumentato gli utili del 44% nei 9 mesi e la raccolta si avvicina ai 5 miliardi nel 2019 confermano la solidità nella crescita in un business che ha saputo riorganizzare il modello d’offerta riducendo i costi e allargando i servizi di protezione patrimoniale. Il titolo risulta anche il migliore allargando lo sguardo agli ultimi 10 anno dove il guadagno sfiora il 950% avvantaggiandosi della forte crescita messa a segno nel periodo (le masse sono passate da meno di 20 miliardi a 67 nei 9 mesi del 2019).

Guardando sempre all’andamento delle banche quest’anno troviamo a debita distanza le performance di Intesa col 20% circa di guadagno, Fineco con un +25% e Unicredit con un +32% e Ubi con un +16%. A conferma che la strada del consolidamento e dell’efficienza operativa anche tra chi ha effettuato operazioni straordinarie è risultata in salita quest’anno e che la sfida della competitività per i prossimi anni si gioca sul terreno sì delle dimensioni, ma anche dell’efficienza operativa e dell’innovazione.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

Il piano del governo per salvare la Banca Popolare di Bari

Un miliardo di fondi dallo Stato tramite Invitalia e la creazione di un polo creditizio tra banche popolari del Sud. Alle 21 il cdm.

Il salvataggio della Popolare di Bari sarà l’occasione per la creazione di un polo creditizio tra alcune banche popolari, una ‘Banca del Sud’ in grado di fare massa per il rilancio dell’economia meridionale. Il decreto messo a punto dal governo prevede l’attribuzione di fondi fino ad un miliardo ad Invitalia, che li girerà alla sua controllata Mediocredito Centrale attraverso un aumento di capitale. Sarà quest’ultima, poi, ad entrare nel capitale della Popolare di Bari: un ingresso azionario che sarà affiancato dal ricorso allo strumento ‘privato’ messo in campo dal sistema bancario, cioè dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd).

IL BRACCIO OPERATIVO DI INVITALIA

Il provvedimento d’urgenza predisposto dal ministero dell’Economia non parla e non cita mai la Popolare di Bari, anche se è chiaro che è stato proprio il precipitare degli eventi, con il commissariamento dell’istituto, a spingere i ministri a riunirsi di domenica. L’impegno economico è diretto a Invitalia, controllata al 100% dal ministero dell’Economia, che sempre di più si trasforma nel braccio operativo pubblico della politica economica e industriale del Paese, una sorta di nuova Iri.

Nell’infografica realizzata da Centimetri la scheda della Banca popolare di Bari. ANSA/CENTIMETRI

Il disegno tracciato punta al sostegno del sistema del credito del Sud, che richiede la presenza di intermediari focalizzati sul territorio in grado di aiutare le famiglie e favorire la crescita delle imprese meridionali. Le risorse previste, per ora, arrivano ad un miliardo, cioè all’importo che è stato identificato come quello necessario per ricapitalizzare la Popolare di Bari e garantire la liquidità dell’istituto. Ma non è escluso che possa servire meno. Molto dipende dalle esigenze che emergeranno dalle verifiche che stanno compiendo i commissari e dall’intervento del Fitd, che riunirà il comitato di gestione il 18 dicembre e il consiglio il 20 dicembre, mercoledì e venerdì.

L’OPERAZIONE SULLO STAMPO DI CARIGE

Al momento l’ipotesi economica punta su intervento del Fondo Interbancario da 500 milioni, al quale si affianca l’apporto dello stesso peso del Mediocredito centrale. Per questo già lunedì un Cda di Invitalia potrebbe ‘girare’ alla sua controllata Mediocredito i primi 500 milioni, attraverso un aumento di capitale e questo a sua volta acquistare le azioni – a 2,38 euro nell’ultima quotazione – della Popolare di Bari. L’operazione segue la falsa riga di quella Carige e trova precedenti anche in Germania e Francia, tanto da non temere rilievi dell’Ue. E punta ad aggregare anche altri intermediari. Si guarda per questo alla partecipazione di altre banche popolari del Sud per realizzare un polo creditizio meridionale che raggiunga una massa tale da diventare un volano per la crescita del Mezzogiorno.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

1 2 3 4