Cosa contiene la bozza del decreto Rilancio

Gualtieri assicura lo scioglimento di tutti i nodi politici. Si va verso un taglio dell'Irap per le imprese fino a 250 milioni di fatturato. Sconto Imu per gli alberghi. E stabilizzazione per 16 mila insegnanti.

Calo dell’Irap ma non per tutte le imprese. Via la prima rata dell’Imu per alberghi e stabilimenti balneari. Più fondi per gli ammortizzatori e stabilizzazione di altri 16 mila insegnanti che saranno in cattedra da settembre. Si avvicina a tagliare il traguardo il tanto atteso decreto Rilancio, con le nuove misure per attutire l’impatto economico dell’epidemia del coronavirus. Un provvedimento «molto consistente» ha ribadito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri spiegando che i nodi politici sono stati superati – tranne a quanto si apprende la regolarizzazione dei lavoratori immigrati su cui il M5s ha alzato le barricate – e ora si tratta solo di chiudere le norme nei dettagli.

BONUS DI 500 EURO PER LE VACANZE IN ITALIA

Tra questi, nelle ultime bozze, ne spuntano diversi che vanno dall’ampliamento di chi potrà usare il 730 per fare la dichiarazione dei redditi, a un aumento delle famiglie che potranno sfruttare il bonus per andare in vacanza in Italia. Il tetto di Isee infatti sale da 35 mila a 50 mila euro per un tax credit che si potrà spendere in strutture ricettive e b&b a fronte di pagamenti registrati (fattura elettronica o documenti con codice fiscale del destinatario dello sconto). Il bonus rimane di massimo 500 euro a famiglia (300 euro in due e 150 euro per una persona sola).

TAGLIO DELL’IRAP DA QUASI 2 MILIARDI

Per aiutare il turismo, il settore più martoriato, ci saranno anche sconti per gli affitti (previsti anche per tutti quelli che hanno avuto perdite ma solo fino al 60%) e ora anche l’abolizione della prima rata dell’Imu (con una copertura di circa 120 milioni), a patto che alberghi e pensioni siano gestiti dai proprietari. La cancellazione dell’Imu vale anche per le strutture turistiche di laghi e fiumi. Il pacchetto per le imprese, comunque, resta uno dei più corposi del provvedimento: confermati contributi a fondo perduto per micro-aziende, commercianti, artigiani e autonomi sotto i 5 milioni di ricavi, mentre si sta ancora lavorando agli aiuti per le imprese di medie dimensioni. La novità è quella del taglio dell’Irap che potrebbe valere circa 1,5-2 miliardi. La platea al momento sarebbe quella delle attività tra 5 e 250 milioni di ricavi, come ha confermato Gualtieri: si tratterebbe di circa 54 mila imprese su un totale di 1,8 milioni di attività produttive, artigianali e commerciali sottoposte all’Irap. Ma si starebbe ancora cercando di allargarla anche alle imprese più piccole.

AL VAGLIO MISURE PER LE RICAPITALIZZAZIONI

Le coperture arriverebbero dai 10 miliardi già previsti per gli aiuti a fondo perduto. Difficile indicare comunque sia la platea sia il risparmio effettivo per le imprese che non andranno alla cassa entro il 16 giugno per pagare saldo e acconto dell’imposta, sia perché l’acconto si potrà calcolare tenendo conto dell’andamento reale della propria attività (secondo norme introdotte con i precedenti decreti), sia perché al momento è previsto un paletto legato alle perdite di fatturato legate al Covid (almeno due terzi nel confronto tra aprile 2019 e aprile 2020). Ancora in valutazione anche le misure a sostegno delle ricapitalizzazioni, nelle prime ipotesi un mix tra sconti fiscali e intervento dello Stato attraverso Invitalia, mentre per le grandi imprese dovrebbe essere confermato il coinvolgimento di Cdp con un fondo apposito.

FONDI PER SANIFICAZIONE E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE

Per le imprese sono in arrivo anche altri fondi per rendere più sicuri i luoghi di lavoro e ridurre il rischio contagio. I primi 50 milioni messi a disposizione di Invitalia con il programma Imprese sicure sono finiti il primo giorno, davanti a un boom di domande per oltre un miliardo di richieste di rimborsi per i soli acquisti di mascherine e dispositivi di protezione. Ora dovrebbero esserci altri 600 milioni tra credito d’imposta per le sanificazioni e i dispositivi e aiuti a fondo perduto sempre per adeguare i posti di lavoro: le imprese fino a nove dipendenti potranno avere massimo 15 mila euro, 50 mila euro fino a 50 dipendenti e quelle più grandi massimo 100mila euro.

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Caso Salvini-Gregoretti: Italia viva vuole fare da ago della bilancia

Renzi tiene il governo in stand-by sull'autorizzazione a procedere in Giunta a Palazzo Madama. Entro il 20 gennaio il voto.

«Leggeremo le carte e decideremo, senza isterismi e senza sventolare cappi e manette, come si fa nei Paesi civili», ha scritto in un post su Facebook il capogruppo di Italia Viva in Senato Davide Faraone, tornando sulla vicenda del voto sulla vicenda della nave Gregoretti. «E adesso la domanda è: quindi salvate Salvini dal processo?», scrive Faraone: «Noi non usiamo le questioni giudiziarie a fini politici, non lo abbiamo mai fatto e mai lo faremo. Oppure il garantismo vale per gli amici, mentre per gli avversari politici si diventa giustizialisti?».

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Sondaggi Ixè: la Lega sotto il 30%, Iv al 3,6%

I partiti di governo ottengono insieme meno del 40%, il M5s recupera al 16,3% Pd al 20,2% e Stabili i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni al 10,5%.

La Lega conferma la sua flessione scendendo sotto il 30%, al 29,9 – prima volta per le rilevazioni dell’istituto di ricerca Ixè, che aveva registrato un precedente al 30,6. Ma calano anche M5S al 16 dal 16,3% e Pd al 20,8% dal 20,2% mentre risale ma di poco Iv al 3,6% dal 3,3%. È quanto emerge da un sondaggio Ixè per la trasmissione Carta Bianca in onda sui Rai3. Stabile in doppia cifra Fratelli d’Italia al 10,5 dal 10,6% mentre Forza Italia scende al 7% dal 7,6%.

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Forza Italia e Italia viva: prove tecniche di intesa

Il voto anticipato non è più un tabù. E i renziani continuano a corteggiare l'ala anti-salviniana degli azzurri. A fare da collante il no alla riforma Bonafede. Il confronto sul ddl Costa è il punto di partenza.

Prove tecniche di intesa. Per allargare l’area di centro. Matteo Renzi guarda ormai alle elezioni, senza farne segreto: è pessimista sulla tenuta del governo e ha iniziato un’offensiva dal sapore elettorale. In questo scenario ha una sola possibilità: cercare la strada per crescere nei sondaggi. Così è scattato un serrato corteggiamento a Forza Italia, o meglio alla sua ala più scettica nei confronti della salvinizzazione del partito. E il confronto avviene sul terreno della condivisione dei contenuti. Tutt’altro che secondari. «È innegabile che ci siano più convergenze tra Renzi e Forza Italia che con il M5s», confermano a Lettera43.it fonti della maggioranza.

NO TAX E RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: LE AFFINITÀ TRA FI E IV

Sulla riforma della Giustizia, in particolare sul capitolo della prescrizione, Italia viva e Forza Italia sembrano ben avviate verso la suggestione di “Forza Italia Viva“, evocata appena qualche settimana fa. Stesso copione sulla questione tasse. L’ex Rottamatore ha presentato il suo partito come quello dei “no tax”. Uno slogan che ai sostenitori di Silvio Berlusconi non è dispiaciuto, così come dai banchi degli azzurri è stata apprezzata la battaglia contro la plastic tax e la tassazione sulle auto aziendali. Il terreno delle convergenze si sta preparando, insomma, in ottica elettorale. Anche perché Renzi ha dato al 50% le possibilità che il governo cada. «Ed è stata una stima ottimista…», osserva un deputato di Iv, lasciando presagire il totale avvitamento della maggioranza nelle prossime settimane. Nessuno immagina che l’incidente possa arrivare sulla Manovra su cui la maggioranza pare aver trovato la quadra. Dopo, chissà. Gli attriti abbondano.

MARIA ELENA BOSCHI IN PRIMA LINEA CONTRO BONAFEDE

Nell’entourage dell’ex presidente del Consiglio le elezioni non sono lo sbocco forzato. Anzi. La scorsa estate ha insegnato che tutto è possibile. Ma nel dubbio è arrivato l’ordine di prepararsi al voto. Il garantismo è il primo collante che può unire una parte di Forza Italia e i renziani. Maria Elena Boschi, non proprio una figura di secondo piano, si è mobilitata in prima persona contro il disegno del Guardasigilli Alfonso Bonafede. I renziani sono orientati a votare la proposta di legge del deputato forzista Enrico Costa che si pone come principale obiettivo il blocco della riforma del ministro della Giustizia. E quindi lo stop alla cancellazione della prescrizione. 

LE PRIME AVVISAGLIE

Una presa di posizione che si è manifestata già nell’astensione a Montecitorio a un ordine del giorno dello stesso Costa presentato nel corso nel dibattito sul decreto fiscale. Una mossa che suona un avvertimento per le prossime settimane, quando comunque il ddl Costa sarà discusso alla Camera. La riforma della Giustizia diventa sempre più un passaggio cruciale dell’esecutivo e della legislatura. «È chiaro che se Partito democratico e Movimento 5 stelle pensano di trovare un accordo tra di loro senza coinvolgerci ne prenderemo atto», fanno sapere da Italia viva. «E sarebbe opportuno che fossero coinvolte tutte le forze di maggioranza. Perché non si può pensare di fare un intervento del genere in una settimana».

I MOVIMENTI DI CARFAGNA E DEGLI ANTI-LEGHISTI

Il leader di Italia viva, del resto, aveva parlato di «porte aperte», in riferimento soprattutto a Mara Carfagna, la più in difficoltà di fronte alla deriva leghista del suo partito. La linea resta quella di restare su un altro versante rispetto a Iv, nonostante nei giorni scorsi all’azzurra fosse sfuggita una frase sibillina: «Forza Italia Viva è una suggestione se cade il governo». Nelle ultime ore Carfagna ha criticato «il linguaggio pieno di odio che caratterizza l’Italia» e ha chiesto un chiarimento nel centrodestra sulle tentazioni no euro. «Nessuno ha intenzione di tornare a una moneta debole e svalutata che ridurrebbe il valore degli stipendi e dei conti correnti degli italiani», ha scandito Carfagna. Un doppio monito sui rapporti con la Lega. Al momento non risultano contatti ufficiali, ma il confronto sul ddl Costa è un punto di partenza. Per quale traguardo, a breve, si vedrà.

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Indagata per falso la deputata di Italia viva Giusy Occhionero

Avrebbe fatto passare il Radicale Antonello Nicosia, poi arrestato per mafia, per suo assistente, consentendogli di entrare nelle carceri. Ma la collaborazione tra i due sarebbe stata formalizzata solo successivamente.

La deputata Giusy Occhionero, di Italia viva, è indagata dalla procura di Palermo per falso in concorso. Avrebbe fatto passare l’esponente dei Radicali italiani Antonello Nicosia, poi arrestato per mafia, per suo assistente, consentendogli di entrare nelle carceri. Ma il rapporto di collaborazione tra i due, secondo i pm, sarebbe stato formalizzato solo successivamente. All’onorevole Occhionero è stato notificato un avviso di garanzia.

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Lo spettro della crisi dietro la fumata nera nel governo sulla manovra

Niente accordo nel vertice di maggioranza. Italia viva punta i piedi: vuole la cancellazione delle tasse su zucchero, plastica e auto aziendali. Conte apre. Ma Renzi gela tutti: «L'esecutivo ha il 50% di possibilità di restare in piedi».

Fumata nera sulla manovra. Col solito spettro della crisi che aleggia. Nella maggioranza restano fibrillazioni, soprattutto quando si parla di tasse. Come se non bastasse la difficile partita sulla riforma della prescrizione e il monito dell’agenzia di rating Fitch sull’incertezza politica giallorossa che agita i mercati, anche sulla legge di bilancio non si trova la quadra.

MAGGIORANZA IN BILICO AL SENATO

Un altro vertice si è trasformato in un nulla di fatto. Nel giorno in cui la Camera ha votato la fiducia al decreto fiscale con 310 sì, i renziani di Italia viva sono tornati ad alzare la posta. Chiedendo di cancellare del tutto la plastic tax, la sugar tax e la tassa sulle auto aziendali. Il centrodestra ha minacciato di votare la proposta di Iv: in quel caso la maggioranza sarebbe battuta. Allarme rosso.

RENZI DÀ «IL 50% DI POSSIBILITÀ» AL GOVERNO

Confermato ancora di più dalle parole serali di Matteo Renzi: «Se si continua così, ci sta che si torna a votare. Litigano su tutto! Noi non stiamo litigando. All’incontro di domenica quando hanno litigato noi non c’eravamo», ha detto a Piazza Pulita prevedendo «il 50% di possibilità che il governo rimanga in piedi».

CONTE PROMETTE SFORZI PER ABBASSARE LE TASSE

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva convocato tutti nel pomeriggio a Palazzo Chigi, al ritorno del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dall’Ecofin. Dopo due ore di vertice molto tese il premier ha chiesto ai tecnici del ministero dell’Economia e della Ragioneria dello Stato di fare «un ulteriore sforzo» per trovare le risorse per ridurre le imposte rimaste in quella che «già adesso è una legge di bilancio che non aumenta la tassazione».

LA LEGA PRONTA A VOTARE CON ITALIA VIVA

Intanto la Lega, sorniona, ha provato ad approfittarne, valutando di mettere la firma sotto le proposte di Iv. Già alla Camera i renziani hanno votato contro il carcere agli evasori del decreto fiscale: la differenza è che in Senato i numeri sono risicati e se Iv si dovesse smarcare mancherebbe la maggioranza.

Le tasse contro la plastica e lo zucchero sono un autogol per le aziende e rischiano di far licenziare 5 mila persone


Matteo Renzi

A ridosso del vertice a Palazzo Chigi Renzi aveva già fatto capire di non voler deporre le armi, con frecciatina implicita al Movimento 5 stelle: «Le tasse contro la plastica e lo zucchero “funzionano” mediaticamente per i populisti, ma sono un autogol per le aziende e rischiano di far licenziare 5 mila persone».

SI LAVORA A UNA MEDIAZIONE

All’incontro con Conte e Gualtieri la delegazione di Iv ha puntato i piedi: le urla si sono sentite anche fuori dalla stanza. Alla fine niente intesa: ci si rivede venerdì 6 dicembre e intanto si lavora a una mediazione. La tassa sulla plastica, prevista da aprile, potrebbe slittare almeno alla metà del 2020, anche se Iv cerca un rinvio al 2021.

LUPI PRONTO A RICORRERE ALLA CONSULTA

Conte dal canto suo ha respinto la narrazione di una manovra di tasse: «Siamo tutti d’accordo che va fatto un ulteriore sforzo per abbassare le imposte». Ma i giorni passano. Maurizio Lupi ha fatto già sapere che è pronto a ricorrere alla Consulta (come fece nel 2018 il Pd) se alla Camera non dovesse esserci il tempo adeguato per esaminare la legge di bilancio.

DALL’IMU ALLA CHIESA AI VIGILI: GLI EMENDAMENTI

E al Senato ancora si ragiona di emendamenti. Roberto Speranza lavora per aumentare di almeno mille le borse di studio per le specializzazioni in medicina. Dario Franceschini ha ipotizzato di estendere anche agli alberghi il “bonus facciate” al 90%. Il M5s ha proposto un emendamento per equiparare gli stipendi dei vigili del fuoco a quelli delle altre forze dell’ordine e rilanciato la proposta di un bonus fino a 250 euro per gli airbag delle moto. Elio Lannutti ha denunciato però il «veto del Pd sull’emendamento per far pagare 5 miliardi di Imu alla Chiesa». Tra grida, scontri e piedi puntati, l’alleanza giallorossa non trova mai un equilibrio.

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Vertice di maggioranza sulla manovra a Palazzo Chigi

I renziani chiedono di eliminare del tutto la plastic tax, già ridotta a 50 centesimi al chilo dal maxi emendamento presentato dal governo. Il 6 dicembre si cominciano a votare al Senato le proposte di modifica.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte vedrà alle 17 a Palazzo Chigi tutti i partiti di maggioranza, per un vertice sulle proposte di modifica alla manovra che si voteranno in Senato a partire dal 6 dicembre. I lavori della commissione Bilancio dovrebbero concludersi entro il fine settimana. Il 9 è previsto l’approdo in Aula e il 10 potrebbe essere già posta la questione di fiducia.

Italia viva, tuttavia, ha chiesto un incontro dopo aver lasciato il tavolo in dissenso su plastic tax e tassa sulle auto aziendali, fortemente ridotte ma non del tutto cancellate dal maxi emendamento messo a punto il 4 dicembre dal governo. Ai renziani non piacciono nemmeno la sugar tax e la Robin tax, ovvero l’aumento dell’Ires del 3% per le società concessionarie di servizi pubblici.

Il maxi emendamento preparato dall’esecutivo contiene una ventina di misure per un totale di 1,7 miliardi. E per coprire lo stop alle microtasse introduce una clausola di salvaguardia che – se non sterilizzata – farebbe aumentare di circa 900 milioni di euro le accise sulla benzina nel 2021.

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Nel governo è tutti contro tutti sulla prescrizione

Bonafede dice no a tempi certi per il processo penale. Il M5s preme sul Pd: «Siano leali, poniamo fine all'era Berlusconi». Ma i dem si appellano a Conte per una correzione. Mentre Italia viva è pronta a sostenere la proposta di Forza Italia, che farebbe slittare la riforma.

Se per quanto riguarda la riforma del Mes le tensioni nella maggioranza sembrano destinate a calare, continua invece lo scontro che riguarda l’entrata in vigore – a partire dal primo gennaio 2020 – della nuova legge sulla prescrizione. Il testo prevede l’interruzione dei termini dopo la sentenza di primo grado, sia in caso di assoluzione, sia in caso di condanna. Oggi invece la prescrizione scatta dal giorno in cui il fatto è stato commesso e non si blocca dopo il verdetto. «Non voglio rompere con nessuno o provocare una crisi di governo», ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, «se ci sono altre proposte sono pronto a vagliarle», ma l’idea di dare tempi certi oltre i quali il processo decade «è un modo per far rientrare la prescrizione dalla finestra».

Tutto il M5s fa pressione sul Pd: «Con le minacce non si va da nessuna parte. È opportuno, invece, dimostrare chiaramente di essere leali e andare avanti in maniera compatta. Con la riforma della prescrizione abbiamo la possibilità di mettere la parola fine all’era Berlusconi, che ha fatto solo del male al nostro Paese. Siamo certi che il Pd farà la scelta giusta pensando all’interesse dei cittadini».

Ma i dem, che puntano proprio a inserire lo stop alla prescrizione in una più ampia riforma dei tempi del processo penale, attraverso il capogruppo al Senato Andrea Marcucci si appellano al premier Giuseppe Conte: «La riforma della prescrizione è nelle mani del presidente del Consiglio, non certo delle veline del M5s. Serve un intervento correttivo, decida Di Maio se vuole condividerlo con la maggioranza o lasciare che il parlamento si esprima liberamente». Il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, si dice «convinto che troveremo una soluzione». Mentre il vicesegretario Andrea Orlando segnala che «si è riaperta una vaga interlocuzione» con i pentastellati.

LEGGI ANCHE: Perché sulla prescrizione Di Maio e il governo si giocano il futuro

ITALIA VIVA MANIFESTA CONTRO LA RIFORMA BONAFEDE

Italia viva, da parte sua, ha manifestato contro la riforma voluta dal ministro Bonafede prendendo parte alla protesta delle Camere penali davanti alla Corte di Cassazione. «Sulla prescrizione noi sosteniamo la proposta di Enrico Costa», ha spiegato la capogruppo dei renziani alla Camera, Maria Elena Boschi. Ovvero la proposta di legge avanzata da Forza Italia, che sta all’opposizione e che bloccherebbe gli effetti della riforma, rinviandone l’entrata in vigore.

IL PESO DEI RENZIANI

Alla Camera i voti di Italia viva sono già stati decisivi quando si è votato sulla richiesta di procedura d’urgenza per la proposta di legge Costa, che l’Aula ha respinto. I renziani, dopo un incontro con il premier Conte, si sono astenuti. Ma avrebbero potuto far finire il voto in parità (244 sì e 244 no) o addirittura mandare sotto il governo, potendo contare su una truppa di 25 deputati.

LE COMPLESSITÀ DEL DOSSIER GIUSTIZIA

I risvolti della riforma della giustizia, del resto, sono molteplici e tutti piuttosto problematici per l’esecutivo, che ha ricevuto la delega a intervenire da parte del parlamento.

  • Il processo civile è forse l’unico settore ad avere il pieno sostegno della maggioranza giallorossa. Il testo mira a velocizzare l’iter processuale con diverse soluzioni: potenziare la negoziazione assistita, favorendo la risoluzione delle controversie fuori dai Tribunali; eliminare la mediazione obbligatoria in molte materie; potenziare il processo civile telematico, aumentandone l’efficienza; promuovere la class action.
  • Decisamente più complicata la questione del processo penale. Anche qui lo scopo dichiarato è velocizzare l’iter, partendo dalle indagini preliminari. Il Csm dovrà dettare i principi con cui selezionare le notizie di reato per dare loro un ordine di priorità. Si prevedono inoltre il rafforzamento dell’udienza preliminare, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e modifiche sui riti speciali.
  • Ma il punto più contestato riguarda per l’appunto la prescrizione. La riforma Bonafede prevede, come detto sopra, lo stop dei termini dopo la sentenza di primo grado. Così, per i favorevoli, si eviterebbe che il trascorrere del tempo faccia estinguere il reato in caso di ricorso in Appello e Cassazione. Ma gli oppositori sostengono che la riforma – già approvata con la cosiddetta legge Spazzacorrotti, che ne ha fissato l’entrata in vigore al primo gennaio 2020 – allungherebbe ulteriormente i tempi della giustizia e il numero dei procedimenti pendenti, aggravando la già cronica lentezza del sistema giudiziario italiano.

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Ilva, manovra, riforma del Mes: gli ostacoli del governo per arrivare a fine 2019

Da qui alla fine dell'anno il governo Conte bis rischia di inciampare. Tutti i fronti caldi che possono spaccare la maggioranza entro la fine dell'anno.

Aumentano gli ostacoli sul cammino del governo Conte bis. Tanto che potrebbe rivelarsi persino ottimistica la previsione che fissa la scadenza della maggioranza M5s-Pd-Italia viva-Leu al prossimo 26 gennaio, giorno delle Regionali emiliano-romagnole. Una sconfitta in casa potrebbe infatti convincere i democratici a strappare l’alleanza, soprattutto considerato che Matteo Renzi sembra voler trascinare l’esperienza governativa al solo scopo di logorarli. Ma da qui alla fine di gennaio c’è comunque ancora da portare a casa la legge di Bilancio, discutere sulla riforma della giustizia e sullo Ius soli, senza dimenticare la necessità di trovare un accordo sulle sorti dell’Ilva. L’inciampo, insomma, rischia di essere dietro l’angolo. Ecco una veloce rassegna delle prove che l’esecutivo dovrà affrontare nei prossimi giorni.

IUS SOLI E IUS CULTURAE: LA BATTAGLIA DEL PD

La prima fibrillazione potrebbe arrivare dalla decisione del Pd di provare a portare a compimento l’introduzione nel nostro ordinamento dello Ius soli. Nicola Zingaretti ne ha bisogno per far ritrovare al partito una propria identità di sinistra. L’alleato pentastellato teme invece di perdere altro consenso tra gli elettori. «Col maltempo che flagella l’Italia, il futuro di 11 mila lavoratori a Taranto in discussione, qui si parla di ius soli: sono sconcertato», ha sibilato Luigi Di Maio. Non è la prima volta che questo tema mette in difficoltà un esecutivo. Accadde anche tra il 2015 e il 2017, quando il partito di Angelino Alfano congelò l’azione del governo Renzi prima e Gentiloni poi. La riforma, auspicata da Leu, dovrebbe essere sostenuta anche dai renziani.

L’intervento del segretario nazionale del Partito democratico Nicola Zingaretti alla convention del Pd a Bologna il 17 novembre.

BARUFFA SU QUOTA 100

C’è un altro tema che potrebbe registrare una inedita convergenza tra Partito democratico e Italia viva: l’abrogazione di Quota 100, che è per sua stessa natura destinata comunque a sparire, quindi bisognerà vedere come intendano concretamente anticiparne la chiusura. Eppure, sulla fine della riforma leghista il governo giallorosso discute da quando è nato. In ottobre, i malumori interni alla maggioranza (in quell’occasione la partita si giocò tra renziani e grillini, con i democratici alla finestra) fecero persino slittare alle ultime ore disponibili il Consiglio dei ministri per sciogliere i nodi sul documento programmatico di bilancio da inviare improrogabilmente alla Commissione europea. Ora il tema sembra essere cavalcato con prepotenza anche da Zingaretti, cui Di Maio ha già replicato in modo stizzito: «Qui siamo all’assurdo che si vuole fare lo Ius soli da una parte e togliere Quota 100 dall’altra per ritornare alla legge Fornero. Mi sembra un po’ eccessivo».

Matteo Renzi, leader di Italia Viva.

LA GRANDE BATTAGLIA SULLA LEGGE DI BILANCIO

L’ultima batosta elettorale subita dalle forze di maggioranza alle Regionali umbre di fine ottobre sembra averle spronate ad avanzare proposte dal forte sapore propagandistico in sede di legge di Bilancio. E così una manovra quasi integralmente dedicata al reperimento di risorse per il disinnesco delle clausole Iva rischia ora di tramutarsi in tutt’altro, se si considera la gragnuolata di 4.550 emendamenti presentati in commissione Bilancio al Senato. Di questi, 921 sono piovuti dal Partito democratico, 435 portano la firma di Movimento 5 stelle e 230 sono stati presentati dai renziani, segno che nei prossimi giorni si giocherà una intensa battaglia muscolare. Tra i punti di maggior frizione, la richiesta del Pd di abbassare la plastic tax voluta dai pentastellati da 1 euro a 80 centesimi al chilo mentre potrebbe essere più facile una intesa sulle tasse sulle auto aziendali inquinanti, oggetto di emendamenti firmati tanto dai dem quanto dai grillini. Su questo fronte, sarà Italia viva la più difficile da accontentare, dato che i renziani si trincerano dietro la volontà di espungere dalla manovra tutte le “micro-tasse” e non sembrano disponibili a trattare.

Matteo Salvini (Foto LaPresse/Filippo Rubin).

L’INCOGNITA SULL’ABOLIZIONE DEI DECRETI SALVINI

Sembra che il “nuovo” Pd che Zingaretti sta provando a tratteggiare sia intenzionato a chiedere agli alleati di governo un altro coraggioso passo avanti per rimarcare le differenze rispetto all’era gialloverde: l’abolizione dei decreti Salvini. «Creano discriminazioni e insicurezza», ha detto il segretario dem da Bologna. Ma quei decreti, nonostante se li fosse intestati il leader della Lega, portano anche le firme di Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio, immortalati sorridenti accanto all’allora ministro dell’Interno al momento del varo. Difficile per loro rimangiarsi l‘intero testo, più facile che si vada verso un ammorbidimento per cercare una quadra. Anche in questo caso, si avrebbe una convergenza tra Pd, Italia viva e Leu e una contrapposizione comune con M5s.

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

LA RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE

Nubi oscure si addensano anche sulla riforma della prescrizione voluta dai 5 stelle contenuta nella Spazzacorrotti. I pentastellati, che un anno fa riuscirono a convincere la Lega a sostenerla, la consideravano ormai portata a casa. Invece il Pd sembra tentato di ridiscuterne i contorni approfittando del nuovo testo di riforma della giustizia su cui il governo sta lavorando. Secondo le nuove norme, dal primo gennaio 2020 le lancette dell’orologio della prescrizione si congeleranno dopo la sentenza di primo grado. «Il cittadino resterà dunque in balia della giustizia penale per un tempo indefinito, cioè fino a quando lo Stato non sarà in grado di celebrare definitivamente il processo che lo riguarda», ha già denunciato l’Unione delle Camere penali.

LO SCUDO DELL’ILVA SPACCA I 5 STELLE

Finora non sono serviti gli appelli all’unità che il presidente del Consiglio Conte ha rivolto ai sostenitori della maggioranza. I giallorossi rischiano infatti di arrivare al tavolo con l’Ilva separati e litigiosi. Il punto del contendere è sempre lo stesso: il ripristino dello scudo penale, che Pd e Italia viva sarebbero disponibili a concedere ad ArcelorMittal per toglierle facili pretesti. Anche Di Maio sembra possibilista, ma teme di spaccare il partito, già incrinato da tutte le batoste elettorali subite nell’arco del 2019, e non sembra avere la forza per opporsi all’irremovibilità della fronda pugliese capitanata da Barbara Lezzi.

manovra conte di maio evasione fiscale
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

LE TRIBOLAZIONI SULLA RIFORMA DEL MES

Studiato nel 2012 per sostituire e unire due istituti analoghi (il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria), il Mes (o Esm secondo l’acronimo inglese) è il Fondo salva-Stati che l’Unione europea riserva ai Paesi membri in difficoltà in cambio di riforme strutturali imposte dalla Commissione. Ora Bruxelles ha stabilito di riformarlo, decisione che sta causando l’insonnia del governo. Secondo le nuove condizioni d’accesso (non essere in procedura d’infrazione, avere da almeno un biennio un deficit sotto il 3% e un debito pubblico sotto al 60%), l’Italia verrebbe automaticamente esclusa dal programma di aiuti e, per potervi accedere, dovrebbe accettare, spalle al muro, una pesante ristrutturazione del debito con un cronoprogramma scritto a Bruxelles che rischia di essere lacrime e sangue. I sovranisti sono già all’attacco e sostengono persino che Conte abbia firmato «l’eurofollia» (credit di Giorgia Meloni) di nascosto.

LEGGI ANCHE: Perché per uscire dalla spirale dei rendimenti negativi serve un’unione bancaria

In realtà, l’iter per una eventuale ratifica non è nemmeno stato avviato, ma bisognerà vedere come intende procedere l’esecutivo e se si apriranno crepe anche su un fronte che rappresenta per Salvini e Meloni una ghiotta opportunità di muovere guerra ai giallorossi. Il leader della Lega è partito all’attacco: «Conte subito in parlamento a dire la verità, il sì alla modifica del Mes sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della sovranità nazionale».

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Governo, pronta la squadra che si occuperà delle nomine

Il team, composto dai dem Franceschini e Marcucci, i pentastellati Fraccaro e Buffagni, i renziani Boschi e Marattin, nella prima riunione avrebbe già deciso di non riconfermare Marcegaglia all'Eni. Ma il tavolo dovrà fare i conti anche con LeU. E con il convitato di pietra D'Alema.

Sei, più un convitato di pietra e il presidente del Consiglio. È questa la squadra che, se il governo Conte bis tiene al giro parlamentare della legge di Bilancio e all’esito del voto di fine gennaio in Emilia-Romagna, si occuperà di fare le nomine nelle società a partecipazione statale. Il tavolo è formato da due esponenti del Pd, il ministro Dario Franceschini e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci; da altrettanti dei 5 stelle, peraltro tra loro distanti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Riccardo Fraccaro e il parlamentare semplice ma con delega alle questioni di potere da parte di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, Stefano Buffagni; e per Italia viva da Maria Elena Boschi e Luigi Marattin, fedelissimi di Matteo Renzi

D’ALEMA CONVITATO DI PIETRA

Questi sei hanno già fatto una prima riunione, che si sono giurati sarebbe rimasta segreta, nella quale hanno cercato di darsi un metodo di lavoro e hanno iniziato a ragionare su scenari e nomi. Un primo approccio, è ovvio, ma nel quale qualche situazione in negativo si è già delineata, tipo la non riconferma di Emma Marcegaglia alla presidenza dell’Eni. Ma il tavolo dei sei dovrà fare i conti anche con un’altra forza di maggioranza, la sinistra di LeU, e segnatamente con Massimo D’Alema che, in proprio e per conto del partito da lui creato con Pier Luigi Bersani, è già attivamente al lavoro sui dossier più scottanti. È lui il convitato di pietra, con cui prima o poi i sei dovranno fare i conti. Così come dovranno confrontarsi anche con Giuseppe Conte, che ha mandato segnali inequivocabili circa l’intenzione di dire la sua.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Governo, pronta la squadra che si occuperà delle nomine

Il team, composto dai dem Franceschini e Marcucci, i pentastellati Fraccaro e Buffagni, i renziani Boschi e Marattin, nella prima riunione avrebbe già deciso di non riconfermare Marcegaglia all'Eni. Ma il tavolo dovrà fare i conti anche con LeU. E con il convitato di pietra D'Alema.

Sei, più un convitato di pietra e il presidente del Consiglio. È questa la squadra che, se il governo Conte bis tiene al giro parlamentare della legge di Bilancio e all’esito del voto di fine gennaio in Emilia-Romagna, si occuperà di fare le nomine nelle società a partecipazione statale. Il tavolo è formato da due esponenti del Pd, il ministro Dario Franceschini e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci; da altrettanti dei 5 stelle, peraltro tra loro distanti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Riccardo Fraccaro e il parlamentare semplice ma con delega alle questioni di potere da parte di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, Stefano Buffagni; e per Italia viva da Maria Elena Boschi e Luigi Marattin, fedelissimi di Matteo Renzi

D’ALEMA CONVITATO DI PIETRA

Questi sei hanno già fatto una prima riunione, che si sono giurati sarebbe rimasta segreta, nella quale hanno cercato di darsi un metodo di lavoro e hanno iniziato a ragionare su scenari e nomi. Un primo approccio, è ovvio, ma nel quale qualche situazione in negativo si è già delineata, tipo la non riconferma di Emma Marcegaglia alla presidenza dell’Eni. Ma il tavolo dei sei dovrà fare i conti anche con un’altra forza di maggioranza, la sinistra di LeU, e segnatamente con Massimo D’Alema che, in proprio e per conto del partito da lui creato con Pier Luigi Bersani, è già attivamente al lavoro sui dossier più scottanti. È lui il convitato di pietra, con cui prima o poi i sei dovranno fare i conti. Così come dovranno confrontarsi anche con Giuseppe Conte, che ha mandato segnali inequivocabili circa l’intenzione di dire la sua.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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I sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019

Matteo Salvini e Matteo Renzi sono i principali sconfitti dei sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019. Secondo la rilevazione..

Matteo Salvini e Matteo Renzi sono i principali sconfitti dei sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019. Secondo la rilevazione di Swg per il TgLa7, la Lega passa dal 34,5% dell’11 novembre al 34% e Italia viva cala dal 5,6% al 5%.

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Perché M5s e Italia viva litigano sul carcere agli evasori

Per i grillini è una misura chiave: «Non si gioca su un aspetto così fondamentale». Ma i renziani vogliono togliere l'inasprimento delle pene: «Servono altri strumenti come la fatturazione elettronica». Lo scontro.

Il tintinnio di manette agli evasori sta dividendo la maggioranza, ancora una volta. Da una parte c’è Italia viva di Matteo Renzi, che vuole cancellare l’inasprimento delle pene per i grandi evasori. Tanto che l’ex rottamatore è stato dipinto come “San Matteo patrono degli evasori” in prima pagina su il Fatto Quotidiano, giornale vicino ai cinque stelle. Dall’altra parte infatti c’è proprio il Movimento, che tramite le parole del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha ribadito che «non si possono fare passi indietro» e non si possono trovare «soluzioni di compromesso».

ANCHE LIBERI E UGUALI CON I GRILLINI

Il blog del M5s ha poi confermato: «Italia viva è la stessa forza politica che ha partecipato ai vertici di maggioranza che hanno chiuso l’accordo. Noi non crediamo che si possa “giocare” su un aspetto così fondamentale». Anche Liberi e uguali (Leu) ha difeso le manette agli evasori. Nicola Fratoianni ha attaccato: «Iv dice che spaventano chi vuole investire? No, è l’evasione fiscale che spaventa chi fatica per pagare le tasse».

La tensione è rimasta alta anche fra Partito democratico, che difende la manovra, e Italia viva, che non perde occasione per criticarla. Il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci ha detto: «Il mio obiettivo è battere la destra sovranista. Al contrario di Renzi, io penso e spero che Pd e Iv possano convivere pacificamente».

Non vogliamo che un imprenditore che subisce un accertamento si ritrovi in carcere o veda la propria azienda sequestrata


Luigi Marattin di Italia viva

Luigi Marattin, vicepresidente dei deputati di Iv, ha spiegato che per combattere l’evasione servono nuovi strumenti, come la fatturazione elettronica, la trasmissione telematica dei corrispettivi, l’incrocio di banche dati e non rischiare che «un imprenditore che subisce un accertamento si ritrovi in carcere o veda la propria azienda sequestrata».

GLI ASSORBENTI RESTANO CARI

Intanto fra i 300 emendamenti al decreto legge Fisco finiti sotto la scure della commissione Finanza ce ne sono alcuni che avevano una certa carica simbolica. Come quello presentato da una trentina di deputate di maggioranza e opposizione, prima firmataria Laura Boldrini (Pd), per ridurre l’Iva sugli assorbenti dal 22% al 10%. E quello del M5s che prevedeva agevolazioni per l’acquisto di airbag per motociclisti.

IL NODO DELLA STRETTA SU APPALTI E SUBAPPALTI

Uno dei punti più criticati del dl fisco è l’articolo che introduce una stretta su appalti e subappalti per limitare l’elusione. Il governo starebbe valutando di aggiustare il tiro come proposto da un emendamento del Pd, che prevede una comunicazione alle Entrate con tutti i dati di contratto di appalto e subappalto, controlli mirati e, per alcune violazioni, anche una pena fino a 5 anni.

QUOTA 100 SULLE PENSIONI RIMANE COSÌ

Altro tema di discussione in maggioranza è Quota 100 sulle pensioni, introdotta dal governo gialloverde. Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha ribadito: resta così.

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Mara Carfagna smetta di illudere i moderati

L'azzurra, al netto dell'errore di legarsi a Toti, è una stella politica. Ma rischia di sparire se resta alla finestra e non si propone come leader di un centrodestra alternativo al duo Salvini-Meloni.

Ogni tanto riemerge la candidatura di Mara Carfagna per qualcosa di importante. È stata una delle berlusconiane di ferro tuttavia priva di eccessiva piaggeria, quando arrivò in parlamento aveva gli occhi puntati su di sé (indubbiamente era, ed è, la più bella) ma vestì i panni dell’austera parlamentare e dette prova immediata di serietà e di capacità di lavoro. Molto spesso a destra hanno pensato a lei come al vero personaggio che avrebbe potuto prendere il posto di Silvio Berlusconi. A mano a mano le sue posizioni si sono anche fatte più limpide e spesso si sono discostate dal suo benefattore facendola diventare una icona del moderatismo politico. Infine è per tanti la candidata ideale per battere Vincenzo De Luca nella gara per la presidenza della Campania. Pur essendo una giovane politica ha, insomma, accumulato molte aspettative ma non sappiamo quanti meriti

L’ERRORE DI LEGARSI A GIOVANNI TOTI

Carfagna ha anche commesso alcuni errori evidenti, l’ultimo dei quali è stato legarsi a Giovanni Toti il presidente per caso della Liguria, avendo perso di vista Berlusconi, alla ricerca di una paterna mano sulle spalle da parte di Matteo Salvini. Questo errore Carfagna l’ha compensato schierandosi con grande nettezza come l’esponente di Forza Italia, o quel che resta, che osteggia ogni estremismo di destra (oggi in pratica tutta la destra, si potrebbe dire) e in particolare il sovranismo di Matteo Salvini.

LE VOCI SU UN POSSIBILE ACCORDO CON ITALIA VIVA

Nascono da qui le ricorrenti voci sul possibile incontro politico con Matteo Renzi solitamente accompagnate dall’odioso pettegolezzo che solo Maria Elena Boschi, invidiosa, impedisca che l’accordo si faccia. Insomma Carfagna è una stella politica che non è ancora scomparsa dall’orizzonte ma che rischia di sparire se questi andirivieni dal palcoscenico parlamentare non la vedranno finalmente dentro un progetto vero.

PER UNA COME CARFAGNA IL PROGETTO VERO È IL CENTRO

Il progetto vero per una come lei è quella cosa che in tempi meno selvaggi chiamavamo “centro”, cioè il luogo ideale del moderatismo italiano, nella consapevolezza che è vero che fra gli italiani l’animo di destra è molto forte, ma è anche vero che dopo un po’ gli italiani si stancano dei contafrottole e di chi vuole dividerli in bande che si odiano e anelano a un partito moderatissimo. La Dc non si può rifare, resta però l’ipotesi di lanciare una chiamata alle armi di chi non si rassegna, anche nel campo del centrodestra, all’affermarsi del duo Salvini-Meloni che non ci porterebbe al fascismo ma certamente darebbe il Paese nelle mani di persone ancora più inadeguate di quelle che oggi lo governano. Salvini in particolare è, e sarà sempre, quello del Papeete. Per quanti sforzi possa fare l’intelligente Giancarlo Giorgetti non si cava sangue dalle rape, come si usava dire. Ecco, quindi, che la sfida, se lanciata in grande, per una leadership moderata potrebbe, passo dopo passo, spingere molti italiani, tranne quelli come me che voteranno sempre a sinistra, a scegliere l’offerta centrista sia che si voglia far da sponda per una sinistra dissanguata sia che vogliano temperare i facinorosi del populismo sovranista.

GLI AUTOCANDIDATI ALLA LEADERSHIP MODERATA

I candidati a questo ruolo sono stati tanti. Diciamo, gli autocandidati. Gli ultimi Carlo Calenda, troppo GianBurrasca, Renzi, troppo antipatico, Urbano Cairo che molti invocano o temono, infine Mara Carfagna. Lei potrebbe farcela ma dovrebbe prendere dalle donne che hanno guidato i vari Paesi del mondo quel tanto di decisionismo, di amore per il rischio, di linguaggio diretto che ancora le mancano. Le manca soprattutto decidere quel che farà da grande. Può scegliere di correre per la Campania. Può scegliere invece la battaglia, inizialmente minoritaria e solitaria, per diventare il punto di riferimento di chi non vuole che l’Italia faccia parte del gruppo di Visegrad. Può deciderlo solo lei. Ma se resta alla finestra ancora a lungo, la dimenticheranno. 

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Italia viva propone di ripristinare lo scudo penale sull’Ilva

Presentato un doppio emendamento al decreto fiscale. Ma Conte precisa: «Prima la garanzia che Mittal rispetterà gli impegni». E i commissari straordinari preparano un ricorso contro il recesso del colosso indiano.

Italia viva ha presentato un doppio emendamento al decreto fiscale per ripristinare lo scudo penale per ArcelorMittal. Si tratta della norma che metteva al riparo i manager dai processi per quel che concerne l’attività di esecuzione del piano ambientale dell’ex Ilva. Con gli emendamenti di Italia viva si introdurrebbero due ‘scudi’, uno generale che vale per tutte le aziende e uno specifico per l’Ilva, che copre la società dal 3 novembre (data di decadenza del precedente scudo penale) fino alla fine del risanamento.

CONTE: «MITTAL RISPETTI GLI IMPEGNI, POI PENSIAMO ALLO SCUDO»

Sulla questione, il premier Giuseppe Conte in un’intervista dell’11 novembre al Fatto Quotidiano ha spiegato: «Soltanto se Mittal venisse a dirci che rispetterà gli impegni previsti dal contratto – cioè produzione nei termini previsti, piena occupazione e acquisto dell’ ex Ilva nel 2021 – potremmo valutare una nuova forma di scudo». Il premier, però, ha aggiunto: «Per stanare il signor Mittal sulle sue reali intenzioni, gli ho offerto subito lo scudo: mi ha risposto che se ne sarebbe andato comunque, perché il problema è industriale, non giudiziario. Quindi chi vuole reintrodurre lo scudo per levare un alibi a Mittal trascura il fatto che Mittal non lo usa, quell’alibi».

SLITTA IL DEPOSITO DELL’ATTO DI RECESSO

Nel frattempo, è slittato al 12 novembre il deposito in Tribunale a Milano dell’atto con cui ArcelorMittal chiede di recedere dal contratto di affitto dell’ex Ilva. Il procedimento, una volta presentato l’atto, dovrà essere iscritto a ruolo dalla cancelleria centrale che poi trasmetterà la causa al presidente del tribunale il quale la assegnerà alla Sezione specializzata imprese. Sempre al Tribunale di Milano sarà presentato nei prossimi giorni un ricorso dai legali dei commissari straordinari, secondo cui non ci sono le condizioni giuridiche per un recesso.

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Le parole di Renzi al Festival de Linkiesta

Il leader di Italia Viva allontana il voto e auspica che il governo vada avanti. Poi si rivolge a Mara Carfagna: «Porte aperte per tutti, è solo questione di tempo».

Il governo non deve morire. Perché «andare a votare ora significa consegnare il Paese a Salvini, si chiama masochismo». Ad affermarlo è stato Matteo Renzi, leader di Italia Viva, dal palco di Linkiesta Festival. «Se il Pd e il M5s scelgono di andare a votare oggi di fatto disintegrano la propria rappresentanza in parlamento», ha aggiunto. «Spero che il governo non crolli, lavoro perché vada avanti. Se ci sarà una crisi di governo seguiremo la Costituzione ma ora dobbiamo pensare a risolvere i problemi».

«ITALIA VIVA, UN GRANDE CAMBIAMENTO»

Renzi ha rivendicato il ruolo svolto dal suo partito nel portare «un grande cambiamento nella politica italiana». Italia Viva, ha detto, «sta provocando scossoni più profondi di quello che sembra. Quando sarà chiaro cosa accadrà a febbraio e marzo, sarà sempre più evidente che è in corso un riposizionamento anche nella destra». Persino «Salvini, che ha fatto i conti, sa perfettamente che non si va a votare. Noi cresceremo molto, ed è il motivo per cui sono molto preoccupati». E «siccome si aprirà, Italia Viva emulerà ciò che ha fatto Macron negli anni scorsi, indipendentemente da me. Lo ha capito Salvini e non l’ha capito qualche mio ex compagno di partito…».

PORTE APERTE ALLA CARFAGNA

L’idea di allargare Italia Viva non esclude nessuno: «Porte aperte a chi vorrà venire a far parte del progetto non come ospite ma come dirigente», ha detto Renzi, «vale per Mara Carfagna e altri dirigenti, ma non tiriamo la giacchetta. Italia Viva è l’approdo naturale per tutti, è questione di tempo». Le parole di Renzi sono arrivate poco dopo quelle di Mara Carfagna: «Se Renzi dichiarasse di non voler sostenere più il governo di sinistra ma di avere altre ambizioni, Forza Italia Viva potrebbe essere una suggestione. Oggi io e Renzi siamo in due metà campo diverse. Non so cosa accadrà nei prossimi giorni, ma molti dopo 25 anni non si sentono a proprio agio in Forza Italia, oggi si sentono a casa d’altri».

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Col voto anticipato Renzi sparirebbe dalla scena politica

In un'intervista a Repubblica il leader di Italia viva implora di non far cadere il Conte bis. Sa che se si andasse a elezioni ora per lui sarebbe finita.

Matteo Renzi alla Repubblica dell’8 novembre dice che il voto anticipato sarebbe un suicidio, soprattutto annichilirebbe Pd e Italia viva separandoli definitivamente. Per il resto l’intervista è solo autopromozione.

È del tutto evidente che Renzi abbia capito che tirando la corda questa può spezzarsi e che dopo Giuseppe Conte c’è solo il voto e che il voto ravvicinato dopo il Conte 2 porta al governo Salvini prima ancora che si possano manifestare appieno i primi cenni di una competition fra lui e Giorgia Meloni alla quale i sondaggi danno già il 10%.

Detto tra parentesi, questo dato della Meloni richiede una riflessione. Perché dice che c’è una destra che torna a casa, avendone trovata una e segnala un trend che ha accompagnato tutte le altre avventure precedenti, come quelle di M5s e Lega, cioè dapprincipio una lenta ma inesorabile ascesa, infine una esplosione nel voto. Non so se accadrà, so solo che la descrizione di una destra pacificata che va verso la vittoria e che con serenità governa è una sciocchezza come l’idea che il primo Conte dovesse durare 20 anni.

IL PD SE CORRESSE DA SOLO POTREBBE OTTERE IL 20% DEI VOTI

Torniamo a Renzi. Al medesimo sfuggono due ipotesi di lavoro che sono davanti al Pd nel caso si rompesse l’alleanza: che cinque stelle e Italia viva rompano talmente i cabasisi al povero Nicola Zingaretti da costringerlo a far saltare il tavolo. Oppure, altra soluzione, che Matteo Salvini si “compri” un po’ di deputati grillini facendo crollare l’attuale maggioranza. Il Pd messo alle strette potrebbe andare al voto da solo o con pochi alleati al centro e a sinistra dichiarando di aver fatto di tutto per dare una mano al Paese dopo l’estate alcolica di Salvini e l’autunno giovanilistico di Renzi e Luigi Di Maio. Potrebbe assestarsi su una cifra intorno al 20% dei voti o poco più che è il dato di molte socialdemocrazie europee e da qui potrebbe tentare la risalita avendo come vantaggio di non avere in parlamento nessun renziano, Renzi compreso, e pochi pentastellati, ma non Di Maio.

SERVE UNA COALIZIONE NUOVA DA OPPORRE AI SOVRANISTI

Il Pd potrebbe, soluzione che io suggerisco, affrontare il trauma della chiusura anticipata della legislatura facendo una sorta di Big bang, cioè formando un cartello elettorale in cui si scioglierebbero i partiti e si darebbe vita a una coalizione di italiani che non vogliono prender ordini da Vladimir Putin, che non vogliono svendere le imprese ai francesi, che vogliono mantenere una società industriale di nuovo tipo, avendo al centro il tema di lavori straordinari e di una operazione sul cuneo fiscale, non da rimandare come vuole Renzi, ma da rendere più efficace. Di fronte alla minaccia di destra con una coalizione di italiani veri. Direi risorgimentale e digitale. Anche in questo caso Renzi e i grillini andrebbero a ramengo e ci sarebbe la possibilità di accogliere convergenze fra la società civile che è stufa di politicanti come i due Mattei e di signori o signorine come Di Maio e Barbara Lezzi.

PER ORA RENZI ELETTORALMENTE NON ESISTE

Renzi vuole evitare queste due soluzioni? Sia costruttivo. Deve semplicemente togliersi dalla testa ciò che lo ha mosso negli anni dell’ascesa, del successo e della sua attuale fragile resurrezione. Cioè che la sinistra, e in particolare gli ex comunisti, quelli non sbianchettati come la sua Teresa Bellanova, non sono un deposito di consensi da saccheggiare ostentando disprezzo. Renzi elettoralmente, per ora, non esiste. È figlio degli errori della sinistra non della sua evoluzione.

Chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana

Non è caduto perché la sinistra lo voleva morto, ma perché lui voleva uccidere ogni ombra che venisse dalla sinistra. Renzi ha bisogno di fare chiarezza mentale nei suoi pensieri. Il prossimo voto, e la prossima sconfitta, diranno che chi ha difeso la Ditta, essendo così colpevole di coservatorismo, tuttavia attrae ancora una buona parte di italiani, chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana. In sintesi, se la attuale coalizione non è in grado di emettere un solo suono dignitoso, lasci il fiato per le trombe del ritiro. Un ritiro ordinato e pieno di idee per il futuro, può almeno salvare la bandiera.

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