Tiziano Ferro, un miracolo riuscito (a metà)

Con il nuovo cd, il cantautore cerca svecchiarsi. Anche grazie al tocco internazionale di Timbaland. Dimostrando, in questi 50 minuti di autoanalisi, il coraggio di riscriversi. Il risultato è un disco riuscito anche se con qualche caduta nel sentimentalismo prima maniera. Ma lo sforzo va comunque apprezzato.

Tiziano Ferro ha un problema, si chiama Mengoni. Marco Mengoni. Uno che, per molti motivi, gli si può sovrapporre e nei fatti lo fa e lui rischia di uscirne sbiadito.

È sempre un po’ lo specchio di Biancaneve, anche nella musica: «Chi è la popstar più bella del reame?», e lo specchio: «Qualcuna c’è che è più bella di te».

Anche così si spiega, a 40 anni o giù di lì, la scelta di voltare pagina, per non lasciarsi imbrigliare, per non ridursi a clone di se stesso, a inseguitore dell’altrui successo. Oltre all’umanissimo artistico bisogno di mettersi alla frusta, di verificarsi e verificare un pubblico assuefatto.

E allora: via il produttore storico, quel Michele Canova che ha instaurato una sorta di dittatura del gusto sul pop mainstream, dentro il sogno di una vita, il guru sonico che dai 90 detta legge nell’hiphop e nel R&B commerciale americano, dunque mondiale.

IL TOCCO INTERNAZIONALE DI TIMBALAND

L’intento è chiaro: svecchiare il respiro, renderlo internazionale. Timbaland produce così nove pezzi, più i due di Davide Tagliapietra (chi è? L’ex di Mietta, chitarrista, turnista, uomo da palco), più uno a cura dello stesso Ferro; più lo spirito fratino di Jovanotti, altro sogno raggiunto per Tiziano; più la serenità esistenziale che ai quattro venti dichiara d’aver raggiunto; più la tempestiva polemicuzza con Fedez; più la copertina in sfumature di grigio meditabondo. Insomma non ci si fa mancar niente, signore e signori: voilà Accetto Miracoli. Per vendere. Per rimanere se stesso. Per cambiare. Per dire: sono un uomo adulto, un artista adulto, col coraggio di reimpacchettare il successo e giocarmelo. C’è riuscito, Tiziano?

CINQUANTA MINUTI DI AUTOANALISI

Ferro non è Leonard Cohen (che esce anche lui oggi, postumo, con lo struggente Thanks for the dance, assemblato sul figlio che ha cucito suoni e musiche sulle parti vocali lasciate in eredità). Il lavoro comunque si apre con un beat lento, profondo, e un cantato che già chiarisce il senso del gioco: Vai ad amarti, forse vaghissimamente dalle influenze Massive Attack, è l’incipit di questi 50 minuti di autoanalisi dove, in effetti, la mano americana di Timbaland si sente eccome. In modo accorto, senza stravolgere la matrice dell’artista, cui anzi viene lasciato ogni spazio – il tappeto sonoro è fatto più di richiami, echi, sospensioni, battiti, ma resta sempre la voce cantante in prima linea.

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Amici per errore si sposta verso il Beck più folk, ed è un altro pezzo riuscito, sorretto da chitarre acustiche piene e pulite, contrappuntate da singole gocce di piano: rischia la melensaggine, e invece la sua semplicità cattura.

IN BALLA CON ME SI FA PALESE LA SFIDA A MENGONI

Balla con me, giustamente, aumenta le pulsazioni e qui sì che la sfida, discreta ma chiara, a Mengoni, è gettata: spunta un Jovanotti e il gioco è fatto: orecchiabilità a eccedere, risolta con un gioco scaltro di trasporti e modulazioni. Se sfida è, la è sullo stile, sull’esperienza di una semplicità ruffiana che, per usare le parole del pezzo, «ci sta». In mezzo a questo inverno è l’unica prodotta direttamente dall’artista e si sente: recupera calligrafie autoriali fin dalla intro di piano, che, di solito, annuncia qualcosa di zuccherino e però di sciapo. «C’eri tu c’eri tu c’eri tu in mezzo a questo inverno» fa tanto Pausini, ovvero il Tiziano “vecchio”, che, per paradosso, era più vecchio a 20, 30 anni di questo nuovo che ne ha 40. Insomma, il branuccio fila via senza sussulti particolari: la promessa di smielaggine è mantenuta. Come farebbe un uomo è ancora classic Ferro, ma risolta in modo più moderno e conferma che la scelta di Timbaland è stata felice davvero.

Tiziano Ferro ha preso a metà il coraggio di riscriversi. Ma quella metà c’è, e va apprezzata. Da domani, da oggi la corsa sarà sempre più su se stesso

CON SECONDA PELLE TORNA IL SENTIMENTALISMO FACILE

Quanto a Seconda pelle, insiste nel romanticismo, o se si preferisce sentimentalismo anche facile – «una fotografia della fotografia» -, ma in un disco come questo è proprio il sentimento la chiave che fa entrare nel vissuto, il viatico per i conti con se stesso; se poi sia scelta autentica o solo astuta, è questione che pertiene a Ferro, basti qui dire che è un altro brano che non lascia particolari impressioni. Ma in un disco lungo, prolisso, è chiaro che non tutte le canzoni riescono col buco. Il destino di chi visse per amare è ancora e sempre autobiografia del cuore, virata al passato: la perdita è la carta d’identità, siamo fatti di assenze, di quel che abbiamo lasciato o ci ha lasciato lungo la strada. C’è un raccontarsi qui, tra nostalgie, fischi e successi, che deve anche più di qualcosa al Renato Zero della maturità. Le 3 parole sono 2 gioca sugli equilibri precari, sul ricomporre le scissioni: Tiziano l’italiano, il melodico, che si apre, a volte timidamente, a suggestioni diverse, meno nazionali, meno annunciate. È un brano emblematico dell’album, col suo oscillare tra il già sentito e sprazzi di inaspettato: Ferro avrebbe potuto osare di più, ha tenuto la briglia corta alla tanto annunciata smania di cambiamento, eppure il disco funziona.

PER RINNOVARSI È QUASI SEMPRE NECESSARIO TORNARE AI MAESTRI

Perché un disco, alla fine, vive di un suo carisma, di quella impalpabile atmosfera complessiva, e questa o c’è o non c’è. In questo senso, si può dire che l’obiettivo sia raggiunto. Casa a Natale, ad esempio, al di là di certe ingenuità testuali («di deserto sono esperto») sfodera perfino impensabili acutezze vocali alla Fabio Concato. A conferma che, per rinnovarsi, quasi sempre bisogna ritornare ai maestri.

Accetto Miracoli. Per vendere. Per rimanere se stesso. Per cambiare. Per dire: sono un uomo adulto, un artista adulto, col coraggio di reimpacchettare il successo e giocarmelo

Un uomo pop è tra i momenti più interessanti: di eleganza patinata, si ascolterebbe bene (anche) a una sfilata di moda, ma la costruzione è intrigante, il vestito sonico perfettamente bilanciato nelle sue sincopi e sospensioni, e il testo sembra quasi esaltarsi. È uno dei momenti in cui la cifra adulta di Tiziano risalta, amara, piccata, ironica ma finalmente diretta, scevra da ulteriori implicazioni. Buona (cattiva) sorte è un ballabile pseudolatino, di quelli che francamente hanno stuccato: sembra un riempitivo, o forse un acchiapparadio. Nelle pieghe dei beat si nasconde lo spettro del Battisti di metà Anni 70, ma, probabilmente, è un oltraggio non voluto.

FERRO HA TROVATO IL CORAGGIO DI RISCRIVERSI E VA APPREZZATO

Della chiusura (salvi i due remix in appendice) s’incarica il brano eponimo, Accetto miracoli con le sue ambizioni classicheggianti: tutto è sorretto dal piano, sopra discreti battiti sintetici e una brezza d’archi; è il momento del bilancio definitivo, almeno per ora. Il miracolo, musicalmente parlando, non c’è, c’è una canzone che sconta tutti i limiti di una generazione artistica e che tenta orgogliosamente di sciogliersi da quei limiti. Tiziano Ferro ha preso a metà il coraggio di riscriversi. Ma quella metà c’è, e va apprezzata. Da domani, da oggi la corsa sarà sempre più su se stesso, e meno sugli eredi possibili.


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