Ma in Confindustria vige ancora il Protocollo Montante?

Sul sito della confederazione degli Industriali si trova un documento del 2010 relativo alle «iniziative per accrescere i livelli di legalità e di concorrenza leale nello svolgimento dell’attività d’impresa». Ma c'è di più: il loro coordinamento risulta affidato all'imprenditore siciliano coinvolto in vari scandali e tuttora colpito da obbligo di dimora ad Asti.

Quando si dice la tempestività della comunicazione. Se vi capita di entrare nel sito della Confindustria – ma ci vuole una password – a sinistra troverete una serie di voci, tra cui una chiamata “Normativa di sistema”.

Dentro trovate un documento di 10 anni fa dal titolo “Protocollo di legalità 10 maggio 2010” siglato tra il ministero dell’Interno e Confindustria, i cui contenuti sono poi stati rinnovati il 19 giugno 2012. Trascuratezza, direte voi. Certo, perché un sito con in bella vista documenti così vecchi è a dir poco scarsamente o distrattamente manutenuto.

DIECI ANNI DI NULLA DI FATTO

Ma non finisce qui. Perché, vi si legge, «quel Protocollo si inserisce nel contesto delle numerose iniziative promosse da Confindustria per accrescere i livelli di legalità e di concorrenza leale nello svolgimento dell’attività d’impresa». Allora voi penserete: vuol dire che negli ultimi 10 anni su questo terreno la Confindustria non ha più fatto niente. Imperdonabile, ma c’è ancora di peggio. Perché – si legge sempre – «lo sviluppo e il coordinamento di tali iniziative, sia all’interno del Sistema associativo che nei rapporti con le istituzioni pubbliche e con le principali componenti della società civile ed economica impegnate nel contrasto alla criminalità, è stato affidato ad Antonello Montante, sulla base di una specifica delega per la Legalità, istituita nel 2008 con la Presidenza di Emma Marcegaglia e riconfermata nel 2012 dal Presidente Giorgio Squinzi».

Il Protocollo di Legalità sul sito di Confindustria.

IL PROTOCOLLO MONTANTE È ANCORA VALIDO?

Sì, avete letto bene: Montante. Proprio l’imprenditore siciliano, diventato simbolo della lotta alla mafia e salito ai vertici di Confindustria nazionale, che è stato coinvolto in vari scandali e arrestato, e tuttora colpito da obbligo di dimora in quel di Asti. Domanda: ma quel documento è ancora valido? Le modalità per l’adesione al Protocollo e per la realizzazione dei relativi impegni – poi precisate nelle linee guida attuative e negli altri documenti predisposti dalla commissione per la Legalità, istituita presso il ministero dell’Interno e composta dai rappresentanti delle parti firmatarie del Protocollo – sono ancora attuali per cui le imprese oggi possono farvi riferimento? Perché delle due l’una: o sono cose superate, e allora sarebbe bene toglierle di mezzo, o sono ancora pienamente operative, e allora se si vuole rendere minimamente credibile quel Protocollo sarebbe bene togliere di mezzo il nome di Montante, che ha scritto una delle pagine peggiori della storia della confederazione degli industriali. Come si vede, c’è lavoro da fare per il nuovo Presidente

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Confindustria, si rompe lo storico asse tra Abete e Marcegaglia

I due past president più influenti di Viale dell'Astronomia si dividono sul dopo Boccia. Il primo punta su Bonomi, la seconda incoraggia Mattioli. Ma manda segnali di fumo anche a Illy e Pasini.

Mentre s’intensificano le grandi manovre per la successione di Vincenzo Boccia, le strade dei due past president più influenti di Confindustria, Emma Marcegaglia e Luigi Abete, si sono divaricate in maniera probabilmente irreversibile dopo una vita di “convergenze parallele”.

ABETE PIAZZA LE SUE FICHE SU BONOMI

Abete, riattaccando i cocci di un rapporto che si era rotto proprio in occasione dell’elezione di Boccia, ha deciso di sposare il suggerimento di Aurelio Regina e di piazzare le sue fiche sull’elezione di Carlo Bonomi. E su questa posizione sta convincendo a spostarsi anche i suoi amici fidati, dal vicepresidente nazionale Maurizio Stirpe al presidente di Roma Filippo Tortoriello, dai marchigiani che tengono ai rapporti con la famiglia Merloni e con Diego della Valle ai tanti che non sono insensibili al suo ruolo di presidente della Bnl. Insieme a Regina, poi, Abete sta lavorando per portare a Bonomi i voti degli esponenti delle aziende pubbliche, e in particolare quelli dell’Enel, dove si registra una divergenza di vedute tra la presidente Patrizia Grieco, che ha dato la sua parola a Licia Mattioli, e l’amministratore delegato Francesco Starace, che è con il presidente di Assolombarda. 

LA PARTITA DI MARCEGAGLIA

Viceversa, Marcegaglia non si è ancora dichiarata esplicitamente, ma in un incontro riservato avvenuto prima di Natale con Mattioli, ha speso parole di incoraggiamento alla candidatura dell’imprenditrice torinese. La quale, però, pur potendo contare sull’appoggio di Boccia – maturato dopo il ritiro dalla corsa di Edoardo Garrone – e del conforto morale di Franco Caltagirone, convinto dalle parole spese per Mattioli dalla sua amica Paola Severino, oltre che del voto dei piemontesi (ma non tutti, però, per esempio il novarese Carlo Robiglio, presidente nazionale della Piccola industria, è con Bonomi), nella conta dei voti appare decisamente indietro. Tanto che la furba Marcegaglia – che peraltro ha da giocare in parallelo la partita della sua eventuale riconferma alla presidenza dell’Eni – starebbe già facendo marcia indietro, mandando segnali di fumo sia a Giuseppe Pasini che ad Andrea Illy, gli altri due candidati (il quinto, il modenese Emanuele Orsini, presidente di Federlegno, secondo gli ultimi rumors sarebbe stato convinto dagli imprenditori emiliano-romagnoli a ritirarsi). Peraltro Mattioli ha un’alternativa alla candidatura alla presidenza di Confindustria che le interessa non di meno: succedere a Francesco Profumo alla presidenza della Compagnia Sanpaolo, cosa che le darebbe un peso notevole in Banca Intesa. La sindaca di Torino, Chiara Appendino, è pronta a indicarla, e lei deve sciogliere la riserva entro la fine di gennaio. Proprio quando, dopo la nomina dei saggi, si dovranno formalizzare le candidature in Confindustria.

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Le inutili regole di Confindustria per i candidati alla presidenza

Puntuali, ogni quattro anni, arrivano le raccomandazioni del sindacato degli imprenditori nei confronti di chi vuole iscriversi alla corsa. Peccato che tutti se ne freghino bellamente. Come nel caso dell'orafa Mattioli, di cui è stata annunciata la discesa in campo anche se non si potrebbe.

Ogni quattro anni, puntuale come un orologio svizzero, la corsa alla presidenza di Confindustria si apre al medesimo scenario: candidati che scalpitano, giochi di Palazzo che spesso fanno impallidire quelli della politica, vorace caccia ai voti per arrivare alla meta. E come ogni quattro anni, puntuale come un orologio svizzero, il “Consiglio di indirizzo etico e dei valori associativi” del sindacato degli imprenditori rilascia le sue raccomandazioni. Una sorta di “Order!!”, per parafrasare il famoso appello dello speaker della Camera dei Comuni inglese John Bercow, tanto dettagliato quanto disatteso.

IL TENTATIVO DI FARE UN’ORDINATA CAMPAGNA ELETTORALE

L’ “Order!!” di Confindustria porta la data del 4 dicembre 2019, ed è un documento di tre paginette spedito a consiglieri e presidenti delle territoriali in cui si dettano le regole per procedere a una ordinata campagna elettorale.

VERIFICA DEI REQUISITI RICHIESTI E PROGRAMMI

Tra le varie raccomandazioni, si avvisa con una certa perentorietà che «c’è un momento preciso nel quale poter formalizzare eventuali auto candidature alla presidenza confederale, snodo dal quale poi discende una sequenza di adempimenti che riguardano la verifica dei requisiti richiesti, la formalizzazione dei programmi e l’informativa al sistema associativo che vedranno un impegno coordinato e convergente della Commissione di designazione, del nostro Consiglio e dei probiviri confederali. È assolutamente evidente – fermo restando che ogni assetto normativo può sempre essere migliorato – che l’obiettivo strategico che il nuovo quadro vuole realizzare sia quello di permettere una partecipazione e un dibattito ampi e diffusi ma circoscritti all’interno del perimetro confederale, evitando il trasferimento in sedi esterne ed improprie di un confronto che deve invece restare riservato – nei modi e nei contenuti – agli organi individuati dallo statuto».

L’UTOPIA DI REGOLARE LO SPREGIUDICATO GIOCO DELLE PARTI

Insomma, nel florilegio di manovre, candidature annunciate, vorticosa girandola di nomi che spesso nascondono uno spregiudicato gioco delle parti, il sindacato degli industriali vorrebbe porsi come regolatore. «La raccomandazione e l’auspicio», vi si legge ancora, «sono quelli di osservare puntualmente – fino al momento dell’insediamento della Commissione di designazione di fine gennaio 2020 – un rigoroso allineamento ai meccanismi che sono stati ritenuti, nell’ultima revisione statutaria, i più adatti ed efficaci ad evitare l’accreditarsi di una sensazione falsata di come l’organizzazione confederale si appresta a vivere e ad interpretare l’avvicendamento nella presidenza».

PREVISTE (SULLA CARTA) SANZIONI PER CHI SGARRA

Alle raccomandazioni seguono le sanzioni per chi trasgredisce. Se qualcuno si autocandida o viene candidato prima del gennaio 2020, data in cui si insedierà la Commissione di designazione, scatteranno provvedimenti. Si afferma infatti che «l’utilizzo dei media per anticipare una disponibilità a candidarsi ovvero declinazioni programmatiche per un eventuale incarico di vertice, così come manifestazioni di sostegno formalizzate fuori dalle consultazioni della Commissione di designazione, rappresenteranno comportamenti rispetto ai quali gli organi confederali deputati al controllo e alla verifica dovranno necessariamente intervenire, con le conseguenze previste dalle norme».

MA L’ULTIMO CASO DI MATTIOLI CONFERMA L’INFRAZIONE DELLE NORME

E i candidati che fanno? Se ne fregano bellamente. È giusto di mercoledì 18 dicembre, tanto per citare l’ultimo caso, l’Ansa contenente le dichiarazioni con cui il presidente degli industriali piemontesi Fabio Ravanelli e quello dei torinesi Dario Gallina lanciano la discesa in campo dell’industriale orafa Licia Mattioli (cui auguriamo una felice corsa), trincerandosi dietro l’artificio retorico della «candidatura probabile ma che sarà eventualmente ufficializzata solo a fine gennaio». Insomma, Mattioli c’è, non si potrebbe dire, ma lo diciamo fingendo di non dirlo ufficialmente. Come si comporteranno al riguardo gli inflessibili custodi (Floriano Botta, Daniela Gennaro Guadalupi, Michele Matarrese, Mario Mazzoleni, Aurelio Regina, Marta Spinelli) dell’ortodossia confindustriale?

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Confindustria, a Sud non regge il patto della sfogliatella

Sfuma l'accordo per sostenere Bonomi. Colpa della fuga in avanti del presidente partenopeo Grassi. Così si è sbriciolata l'unità d'intenti degli industriali del Mezzogiorno.

È durato poco l’accordo di unità delle Confindustrie del Sud per sostenere Carlo Bonomi e, come sta avvenendo per le territoriali lombarde, ci si avvia in ordine sparso al confronto per la designazione del nuovo presidente di Confindustria. Ma facciamo un passo indietro. Al Mezzogiorno spetta di diritto un posto nella squadra del presidente, frutto dell’alternanza Nord/Sud prevista dalla riforma Pesenti. Nell’ultimo quadriennio nella squadra di Vincenzo Boccia era stato designato per il Nord il presidente di Bolzano, Stefan Pan. Nel prossimo mandato toccherà dunque a un presidente di una territoriale del Sud.

L’OK A BONOMI IN CAMBIO DI DUE POSIZIONI DI VERTICE

Un paio di mesi fa ci fu il “patto della sfogliatella“. Tutti i presidenti delle territoriali meridionali si ripromisero unità nella corsa al successore di Boccia, promettendo di avere un occhio benevolo verso il lombardo Bonomi, in cambio di due posizioni di vertice, quella di diritto e quella frutto dello scambio per portare compatti i voti del Sud. L’importante è stare uniti e non fare fughe in avanti, si dissero convinti. Strette di mano, pacche sulle spalle e tutti tornarono nelle proprie territoriali. Ma come spesso sanno i cultori delle materie confindustriali, spesso queste intese durano lo spazio di un mattino.

LA FUGA IN AVANTI DI NAPOLI

Passata qualche settimana, la prima a smarcarsi è stata Napoli: il posto di diritto spetta a noi, ha detto all’orecchio di Bonomi il presidente partenopeo Vito Grassi, che tra l’altro si è fatto votare dai suoi iscritti una proroga per non arrivare scaduto al maggio prossimo quando si incoronerà il nuovo leader degli imprenditori italiani. È allora che pugliesi, calabresi, siciliani e tutti gli altri del patto della sfogliatella sono insorti. Ma come, hanno obiettato irritati, noi ci impegniamo a essere uniti e Grassi negozia per conto suo con Bonomi?

Dal Sud sussurrano che a mettere pepe nel sistema ci si sia messo anche il past president D’Amato che ha fatto filtrare la disponibilità di Illy a scendere in campo

Risultato? Si è sbriciolata l’unità di intenti del Sud con grande scorno del presidente di Assolombarda e con il sorriso degli altri contendenti, il bresciano Giuseppe Pasini, il re del legno emiliano Emanuele Orsini, e l’industriale orafa torinese Licia Mattioli. E dal Sud sussurrano che a mettere pepe nel sistema ci si sia messo anche il past president Antonio D’Amato che ha fatto filtrare la disponibilità del triestino Andrea Illy (il più importante cliente della sua società, la Seda) a scendere in campo nella corsa alla presidenza di Confindustria.

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Confindustria, per il dopo Boccia prende quota il nome di Andrea Illy

Volto autorevole del made in Italy, risponde al profilo gradito ai salotti del Nord. E può sparigliare tutti i giochi fatti fin qui in viale dell'Astronomia.

In Confindustria se ne comincia a parlare molto, specie dalle parti dell’Emilia e del Veneto: per il dopo Boccia alla presidenza ci vuole un imprenditore autentico, autorevole, autonomo, con alle spalle un’azienda digrandi dimensioni, con un marchio riconoscibile e internazionale, campione dell’Italia nel mondo. Insomma, uno rappresentativo della grande manifattura italiana. E nei salotti del Nord all’identikit dell’imprenditore giusto di cui si parla è stato anche dato un nome, quello di Andrea Illy, presidente di Illycaffè e capo di un gruppo del settore alimentare di fascia altissima che fattura oltre mezzo miliardo di euro.

VOLTO DEL MADE IN ITALY E UOMO DI PENSIERO

Cinquantacinque anni, fratello più giovane di Riccardo che è stato per diversi impegnato in politica, Andrea Illy ha appena terminato i sei anni di mandato come presidente di Altagamma, che raggruppa i marchi più prestigiosi del made in Italy. Per questo chi lo frequenta racconta di una sua disponibilità a prendere un impegno importante in Confindustria. Inoltre è uomo di pensiero – ha appena scritto per Piemme un libro, Italia Felix. Uscire dalla crisi e tornare a sorridere, in cui analizza con rigore il declino italiano e, sferzando il mondo del lavoro, dell’economia e della politica, indica le strade percorribili per uscire dal tunnel prima che sia troppo tardi – e questo non guasta in un mondo come quello della rappresentanza degli interessi oggi fortemente disintermediato rispetto ai processi decisionali.

UNA CANDIDATURA CHE PUÒ SPARIGLIARE TUTTI I GIOCHI

Per ora il nome viene tenuto coperto e lui non ha ancora manifestato le sue intenzioni, ma c’è chi scommette che l’eventuale candidatura di Illy alla successione di Boccia potrebbe davvero sparigliare tutti i giochi fin qui fatti – con largo e forse eccessivo anticipo – in Confindustria. Dove, per ora, si sono candidati il numero uno di Assolombarda Carlo Bonomi, il bresciano e leader degli imprenditori locali Giuseppe Pasini, la torinese Licia Mattioli, che è il nome su cui ora puntano i romani di viale dell’Astronomia, ed Emanuele Orsini, gran capo di Federlegno.

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Confindustria, si complica la corsa di Bonomi

Il sostegno di Bonometti è finito in un nulla di fatto e il presidente di Assolombarda perde terreno tra le territoriali. Brescia e Lecco si sono schierate con Pasini mentre la Brianza e alcuni imprenditori milanesi guardano con favore una discesa in campo di Orsini.

La situazione in Lombardia nella corsa alla presidenza di Confindustria sta prendendo una piega difficilmente immaginabile fino a qualche mese fa dai sostenitori di Carlo Bonomi, numero uno della potente Assolombarda, nonché da chi sperava nel buon esito del sostegno di Marco Bonometti in versione king maker. L’ultima conta doveva essere fatta lo scorso 14 novembre, ma è terminata in un nulla di fatto

IL TENTATIVO DI BONOMETTI NON È ANDATO A BUON FINE

Prima del Consiglio delle territoriali lombarde, previsto nel pomeriggio, Bonometti aveva organizzato un pranzo con lo scopo di far confluire l’orientamento su una candidatura unitaria, appunto quella di Bonomi. Ma il tentativo non è andato a buon fine, perché Bergamo e Brescia non hanno partecipato al pranzo (i Consigli sono in agenda da tempo, questi pranzi sono organizzati all’ultimo momento e scontano sempre qualche defezione degli imprenditori per impegni precedenti) e perché altre territoriali hanno volutamente evitato di prendere una posizione netta. In più è emerso che i presidenti delle associazioni di Bergamo e Como non vogliono pronunciarsi prima di passare dai loro rispettivi Consigli generali. Per Bonometti il 14 novembre non è certo stata una giornata facile, perché oltre al pranzo che si è chiuso con un nulla di fatto, è arrivata anche la notizia dell’arresto di Lara Comi, l’ex eurodeputata di Forza Italia che, secondo la Dda di Milano, il presidente di Confindustria Lombardia avrebbe illecitamente finanziato.

BRESCIA E LECCO APPOGGIANO PASINI, LA BRIANZA CON ORSINI

Il gran regista deve dunque fare i conti con il fatto che nella sua corsa pro Bonomi gli sta venendo a mancare buona parte della spina dorsale della manifattura lombarda. Non ha Brescia e Lecco, che si sono schierate con Giuseppe Pasini, il presidente degli industriali bresciani che è finora l’unico a essere sceso apertamente in campo. Ha le territoriali di Como e Bergamo alla finestra (Alberto Bombassei, patron di Brembo, tiene infatti nel giusto conto anche gli orientamenti dei suoi grandi clienti della Motor Valley emiliana) mentre, sembra, che anche Mantova si stia portando su posizioni più attendiste. Senza contare la Brianza dei mobilieri o alcuni illustri imprenditori milanesi schierati con Emanuele Orsini, presidente di FederlegnoArredo, o quanti nella stessa Milano si stanno attrezzando per la successione a Carlo Bonomi in Assolombarda e preferirebbero l’attuale presidente sconfitto nella corsa a Viale dell’Astronomia e quindi non in grado di avere voce in capitolo a via Pantano. 

MATTIOLI PRONTA A SCENDERE IN CAMPO PER IL DOPO BOCCIA

Pare che nel pranzo del 14 si sia anche ipotizzata la soluzione di un voto di maggioranza, che però sarebbe una molto debole per Bonomi, vista la sua golden share in termini di peso in un voto maggioritario delle territoriali lombarde. «Chi porta il pallone e fa anche le squadre funziona all’oratorio, non nel calcio professionistico», hanno commentato alcuni presidenti. Alzando lo sguardo dall’orizzonte lombardo, niente di nuovo rispetto a quanto trapelato nelle scorse settimane. Ovvero la rinuncia di Edoardo Garrone a correre per il dopo Boccia, e la conferma che Orsini e la piemontese Licia Mattioli hanno invece tutta l’intenzione di farlo.

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Confindustria boccia la manovra del governo giallorosso

Il giudizio degli imprenditori: «È insufficiente rispetto alle esigenze del Paese». Nel mirino soprattutto le tasse sulla plastica e sulle auto aziendali.

Una manovra «insufficiente rispetto alle esigenze del Paese». Confindustria ha bocciato in parlamento la legge di bilancio presentata dal governo giallorosso. Gli imprenditori, rappresentati dal direttore generale dell’associazione Marcella Pannucci, non hanno usato mezzi termini: «Manca un disegno di politica economica capace di invertire la tendenza negativa. Anzi, in alcuni casi, si produce un effetto opposto».

LEGGI ANCHE: Ecco quanto il governo incasserà e perderà dalla manovra

Nel mirino ci sono soprattutto la tassa sulla plastica e l’aumento delle imposte sulle auto aziendali. La prima, pur comportando benefici ambientali, secondo Confindustria «penalizza i prodotti e non i comportamenti». Dunque «rappresenta unicamente una leva per rastrellare risorse», «danneggia pesantemente un intero settore produttivo» e «determina un aumento medio pari al 10% del prezzo di prodotti di larghissimo consumo, contribuendo a indebolire la domanda interna». L’impatto sulla spesa delle famiglie viene stimato in «circa 109 euro all’anno».

LEGGI ANCHE: Di Maio difende la manovra

Ancora più dura la presa di posizione contro l’innalzamento della tassazione sulle auto aziendali: «Rappresenta una vera e propria stangata per circa due milioni di lavoratori, oltre a incidere su un settore economico, quello dell’automotive, già penalizzato su altri fronti. Di fatto si tassa un bene già tassato e lo si fa intervenendo sulla busta paga dei dipendenti e sugli oneri contributivi dei datori di lavoro». Una «contraddizione» anche rispetto al «condivisibile» taglio del cuneo fiscale, che costituisce al contrario uno dei pochi «interventi positivi» contenuti nella manovra.

LEGGI ANCHE: Sulle modifiche alla manovra s’infiamma lo scontro Zingaretti-Renzi

In conclusione, se la disattivazione delle clausole di salvaguardia era «necessaria per non deprimere i consumi», l’inasprimento della tassazione «finisce comunque per ripercuotersi, con impronta settoriale, sul consumo di specifici beni e servizi: dalla plastica monouso alle bevande zuccherate, passando per i giochi, i servizi digitali, i tabacchi e i prodotti accessori, per finire alle auto aziendali». Un’azione di bilanciamento «irragionevole per il mondo produttivo».

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Confindustria boccia la manovra del governo giallorosso

Il giudizio degli imprenditori: «È insufficiente rispetto alle esigenze del Paese». Nel mirino soprattutto le tasse sulla plastica e sulle auto aziendali.

Una manovra «insufficiente rispetto alle esigenze del Paese». Confindustria ha bocciato in parlamento la legge di bilancio presentata dal governo giallorosso. Gli imprenditori, rappresentati dal direttore generale dell’associazione Marcella Pannucci, non hanno usato mezzi termini: «Manca un disegno di politica economica capace di invertire la tendenza negativa. Anzi, in alcuni casi, si produce un effetto opposto».

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Nel mirino ci sono soprattutto la tassa sulla plastica e l’aumento delle imposte sulle auto aziendali. La prima, pur comportando benefici ambientali, secondo Confindustria «penalizza i prodotti e non i comportamenti». Dunque «rappresenta unicamente una leva per rastrellare risorse», «danneggia pesantemente un intero settore produttivo» e «determina un aumento medio pari al 10% del prezzo di prodotti di larghissimo consumo, contribuendo a indebolire la domanda interna». L’impatto sulla spesa delle famiglie viene stimato in «circa 109 euro all’anno».

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Ancora più dura la presa di posizione contro l’innalzamento della tassazione sulle auto aziendali: «Rappresenta una vera e propria stangata per circa due milioni di lavoratori, oltre a incidere su un settore economico, quello dell’automotive, già penalizzato su altri fronti. Di fatto si tassa un bene già tassato e lo si fa intervenendo sulla busta paga dei dipendenti e sugli oneri contributivi dei datori di lavoro». Una «contraddizione» anche rispetto al «condivisibile» taglio del cuneo fiscale, che costituisce al contrario uno dei pochi «interventi positivi» contenuti nella manovra.

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In conclusione, se la disattivazione delle clausole di salvaguardia era «necessaria per non deprimere i consumi», l’inasprimento della tassazione «finisce comunque per ripercuotersi, con impronta settoriale, sul consumo di specifici beni e servizi: dalla plastica monouso alle bevande zuccherate, passando per i giochi, i servizi digitali, i tabacchi e i prodotti accessori, per finire alle auto aziendali». Un’azione di bilanciamento «irragionevole per il mondo produttivo».

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Garrone scioglie la riserva: non correrà per il dopo Boccia

Il presidente del Sole 24 Ore abbandona l'idea di candidarsi alla guida di Confindustria. Ma la soddisfazione di Carlo Bonomi che temeva la sua concorrenza al Nord è durata poco. Gira voce che a scendere in campo sarà la torinese Licia Mattioli.

Ha scelto la sua Genova per manifestare la decisione di non concorrere alla successione di Vincenzo Boccia. C’era attesa per la scelta di Edoardo Garrone: lasciare la presidenza del Sole 24 Ore e mettersi in gara per la presidenza di Confindustria o giocare in difesa e tenersi fuori dalla mischia? Dopo averci pensato su molto, lasciando intendere che lo avrebbe fatto ora che era infastidito di essere indicato come il candidato del presidente uscente, cui certo non verrà riservata una standing ovation, alla fine ha scelto di restare a casa. Lo ha detto, privatamente, allo stesso Boccia, al presidente della Piccola Industria, Carlo Robiglio, e al presidente di Confindustria Genova nonché suo parente, Giovanni Mondini, in occasione del Forum della Piccola Industria che si è svolto sabato 9 novembre nel capoluogo ligure presso Ansaldo Energia, ospiti del past president genovese Giuseppe Zampini.

LEGGI ANCHE: Per il dopo Boccia il Veneto prenota due vice: Bauli e Piovesana

LICIA MATTIOLI, UNA NUOVA PREOCCUPAZIONE PER BONOMI

Naturalmente la notizia è immediatamente rimbalzata a Milano, dove Carlo Bonomi attendeva ansioso di sapere cosa avrebbe fatto Garrone. Anche se il presidente di Assolombarda non ha (ancora) formalizzato la sua candidatura, è ormai sceso apertamente in campo. E temeva la concorrenza del presidente del Sole, che avrebbe spaccato il fronte del Nord che Bonomi, a torto o a ragione, ritiene di poter coalizzare sul suo nome. Ma la sua soddisfazione per non avere tra i piedi Garrone è durata poco. Nel giro di ore è infatti subito esplosa la voce che a scendere in campo sarebbe stata la torinese Licia Mattioli, ora vicepresidente nazionale con lo specifico incarico dell’internazionalizzazione. Una candidatura su cui lo stesso Boccia si è affrettato a mettere cappello. 

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Taranto accende lo scontro Confindustria-Cgil sugli esuberi

Per Vincenzo Boccia sarebbe un errore tenerli e quindi finanziare la disoccupazione. Parole che secondo Maurizio Landini della Cgil sono senza senso.

Di fronte alla crisi dell’ex Ilva, che il colosso ArcelorMittal non vuole più gestire restituendola ai commissari, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha chiesto di agire con «buon senso e serietà» invitando a non pretendere che di fronte a «crisi congiunturali le imprese debbano mantenere i livelli di occupazione, quindi finanziare disoccupazione. Così facciamo un errore madornale». Una dichiarazione a cui hanno risposto subito i sindacati. A infiammare la polemica è il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che prima era stato a capo delle tute blu del sindacato di Corso d’Italia.

BOCCIA: «CI SONO GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI»

Boccia ne ha parlato ad un convegno di Confindustria presso Ansaldo Energia a Genova commentando i cinquemila esuberi chiesti da ArcelorMittal per rimanere nell’ex Ilva. «Se c’è una crisi congiunturale legata all’acciaio, è inutile far finta che non ci sia. Bisogna capire come gestire questa fase permettendo di ‘costruire’, come accade in tutte le aziende del mondo», ha detto il numero uno degli industriali italiani. Ci sono gli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione «che si attivano in momenti negativi delle imprese». Secondo Bocca la soluzione è creare sviluppo in quel territorio, costruire altre occasioni di lavoro, ma non sostitutive, complementari.

LANDINI: «C’È UN ACCORDO DA FAR RISPETTARE»

Di tutt’altro avviso Landini che, durante un convegno a Firenze, ha definito «senza senso» le parole del presidente di Confindustria: «C’è un accordo da far rispettare, firmato nel 2018, che prevede degli impegni». Secondo il leader della Cgil, inoltre, «non sono cali temporanei di mercato che modificano piani strategici che prevedono quattro miliardi di investimenti. Quegli accordi lì vanno fatti rispettare: e anche lui dovrebbe chiedere alla multinazionale di rispettare il nostro Paese, e di rispettare gli accordi. Credo che l’affidabilità nel rispetto degli accordi sia una regola delle parti sociali».

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