Guerra in Ucraina, sarebbero circa 47 mila i soldati russi morti al fronte

Secondo uno studio realizzato dai giornali russi indipendenti Meduza e Mediazona, insieme con un ricercatore dell’università tedesca di Tubinga, dall’inizio della guerra in Ucraina nel febbraio del 2022 sarebbero circa 47 mila (la stima dell’analisi va da 40 a 55 mila) i soldati di Mosca caduti al fronte. Una cifra ben distante da quella comunicata dal Cremlino, che a settembre aveva parlato di 5.937 soldati russi morti in quella che continua a definire ancora «operazione militare speciale». Difficile ci sia stata da allora un’escalation: più probabile che la Russia abbia comunicato numeri al ribasso, fin dall’inizio del conflitto.

Guerra in Ucraina, sarebbero 47 mila i soldati russi morti al fronte. I dati dello studio indipendente sul conflitto.
A settembre, per il Cremlino, in Ucraina erano caduti meno di 6 mila soldati (Getty Images).

In 10 anni di guerra in Afghanistan morirono 15 mila soldati sovietici

in I giornalisti di Meduza e Mediazona, con l’aiuto dello statistico Dmitry Kobak, hanno messo insieme i dati provenienti dai necrologi pubblicati in Russia, quelli sulla mortalità comunicati dal servizio di statistica nazionale e sulle richieste di eredità. Poi li hanno confrontati con quelli relativi agli anni precedenti l’invasione dell’Ucraina. È emerso che nel periodo in esame (24 febbraio 2022-31 maggio 2023) sono morti molti più uomini di età inferiore ai 50 anni, cioè arruolabili per combattere in Ucraina, rispetto al passato. In 15 mesi di combattimenti sarebbero dunque morti tre volte più soldati russi di quelli sovietici in 10 anni (1979-1989) di guerra in Afghanistan.

Guerra in Ucraina, sarebbero 47 mila i soldati russi morti al fronte. I dati dello studio indipendente sul conflitto.
I documenti di un soldato russo morto in Ucraina (Getty Images).

I numeri dello studio sono in linea con quelli dell’intelligence degli Stati Uniti

Kobak non è nuovo a indagini statistiche sulla Russia. In passato ha infatti già realizzato uno studio per calcolare i decessi per Covid nel Paese, mostrando che le cifre ufficiali del governo erano molto inferiori alla realtà. Anche in quel caso aveva considerato necrologi, dati sulla mortalità e richieste di eredità. La stima dello studio è in linea con quella dell’intelligence degli Stati Uniti, che qualche mese fa – in un documento riservato che era stato però pubblicato sui media – aveva stimato tra i 189 e 223 mila le perdite russe in Ucraina, tra morti e feriti, individuando in 43 mila il numero delle vittime.

La Russia addestrerebbe delfini, beluga e foche contro gli incursori nemici

Delfini nel porto di Sebastopoli, beluga e foche nell’Artico. Secondo l’intelligence britannica, la Russia utilizza mammiferi addestrati per difendersi dalle incursioni nemiche. Gli 007 di Londra hanno pubblicato sul profilo Twitter del ministero della Difesa una serie di immagini satellitari in cui si possono osservare numerosi recinti attorno alla base navale di Sebastopoli. «Mosca vi fa ricorso per differenti missioni», hanno scritto i britannici. «Quelli di stanza a Sebastopoli probabilmente servono per contrastare i sommozzatori nemici». Come riporta il Moscow Times, già dagli Anni 60 l’Unione Sovietica utilizzava la base per l’addestramento militare degli animali.

Secondo gli 007 britannici la Russia usa i delfini per difendere il porto di Sebastopoli. E nell’Artico ha schierato beluga e foche.
Un esemplare di delfino tursiope, la specie usata a Sebastopoli (Getty Images).

LEGGI ANCHE: Crimea, turismo in crisi per colpa della guerra in Ucraina

La Russia ha raddoppiato i recinti a Sebastopoli nell’arco di tre mesi

Fra aprile e giugno, la Russia ha intensificato la costruzione di recinti galleggianti per mammiferi nel porto,. Gli 007 ritengono che ospitino principalmente delfini tursiopi, una specie nota per l’elevata capacità cognitiva e la curiosità nei confronti degli esseri umani. Le immagini satellitari mostrano quattro strati di reti e barriere nel porto sul Mar Nero assieme a una serie di fortificazioni. Difficile, come ha sottolineato anche il Moscow Times, stabilire con certezza quali compiti Mosca abbia affidato ai mammiferi marini, ma è probabile che siano stati addestrati ad attaccare i sommozzatori nemici. Già nel 2012 la Marina russa era stata accusata di sviluppare un programma per insegnare ai delfini a colpire con coltelli e pistole posizionati sul capo.

Quanto all’Artico, la Russia farebbe affidamento secondo i britannici su beluga e foche, più adatti al clima rigido della zona. Proprio a fine maggio, a largo delle coste svedesi era riapparso il beluga Hvaldimir, già avvistato in Norvegia nel 2019 e sospettato di essere una “spia” di Mosca per via di un’imbracatura per telecamera sul suo corpo. Secondo le autorità scandinave l’esemplare di età compresa fra 13 e 14 anni sarebbe scappato da un recinto e addestrato dalla Marina russa. Dal canto suo, il Cremlino non ha mai fornito una risposta ufficiale, alimentando così le speculazioni.

LEGGI ANCHE: In Ucraina mezzi inutilizzabili e armi obsolete: cosa non va nelle forniture militari

In Ucraina mezzi inutilizzabili e armi obsolete: cosa non va nelle forniture militari

Dall’indipendenza nel 1991, l’Ucraina nel corso degli anni ha venduto un’ampia porzione delle sue vaste scorte di armi dell’era sovietica, ottenendo grossi profitti: l’arsenale del Paese, in particolare, si è ridotto durante la presidenza del filorusso Viktor Yanukovich. Il problema della scarsità degli armamenti è venuto alla luce in occasione dell’annessione unilaterale della Crimea da parte della Federazione Russa, poi con la guerra del Donbass e, ancor di più, con l’invasione su larga scala iniziata il 24 febbraio 2022. Quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, Kyiv si è trovata alla disperata ricerca di armi e munizioni. Come sottolineato a inizio aprile dal segretario generale della NatoJens Stoltenberg, «gli alleati hanno erogato quasi 150 miliardi di euro di sostegno all’Ucraina, inclusi 65 miliardi di euro di aiuti militari». Ma, come riporta un’inchiesta del New York Times, le autorità ucraine hanno pagato più di 800 milioni di dollari ai fornitori occidentali nel corso dell’anno passato, in base a contratti rimasti in tutto o in parte inadempiuti: moltissime le armi che non sono state consegnate, tanti i mezzi incapaci di muoversi o sparare, buoni tutt’al più per recuperare qualche pezzo di ricambio.

Mezzi inutilizzabili e armi obsolete, cosa non va nelle forniture militari all'Ucraina
La bandiera ucraina apposta su un mezzo arrivato dagli Usa (Getty Images).

Il 30 per cento dell’arsenale di Kyiv è costantemente in riparazione

Che qualcosa vada male, nella frenesia della corsa alle armi, ci sta. Molti delle forniture da parte degli alleati occidentali comprendevano armi di ultima generazione, come i sistemi di difesa aerea americani che si sono dimostrati altamente efficaci contro droni e missili russi. Ma in altri casi gli alleati hanno fornito attrezzature finite da tempo nei magazzini che, nella migliore delle ipotesi, necessitavano di ampie revisioni. Come scrive il Nyt, il 30 per cento dell’arsenale di Kyiv è costantemente in riparazione: un tasso elevato, soprattutto per un esercito che ha bisogno di tutte le armi per dare il via all’attesa controffensiva.

Il caso dei 33 obici donati dall’Italia, poi riparati (male) in Florida

L’inchiesta del quotidiano statunitense cita la consegna di 33 obici semoventi M109 messi fuori servizio alcuni anni fa, donati all’Ucraina dall’Italia, «richiesti, comunque, da parte ucraina, nonostante le condizioni, per essere revisionati e messi in funzione, vista la urgente necessità di mezzi per fronteggiare l’aggressione russa», come precisato dal ministero della Difesa. Non è tanto il fatto che gli obici fossero da revisionare: Roma lo ha messo in chiaro e Kyiv li ha voluti lo stesso. Ma quanto successo dopo. Come scrive il New York Times, il governo ucraino ha inviato i pezzi d’artiglieria alla Ultra Defense Corporation di Tampa, in Florida, pagando quasi 20 milioni di dollari per la riparazione. Quando 13 dei 33 obici sono finalmente arrivati in Ucraina, si sono rivelati «non adatti a missioni di combattimento».

Mezzi inutilizzabili e armi obsolete, cosa non va nelle forniture militari all'Ucraina. L'inchiesta del New York Times.
Un Humvee dell’esercito americano (Getty Images).

Gli Humvee arrivati in Polonia con le gomme a terra

Nell’estate del 2022 a un’unità dell’esercito americano è stato ordinato di spedire 29 Humvee in Ucraina da un deposito a Camp Arifjan, una base in Kuwait. Alla fine di agosto, gli appaltatori privati incaricati di revisionare i mezzi avevano riparato trasmissioni, batterie scariche, perdite di fluidi, luci rotte, serrature delle porte e cinture di sicurezza sugli Humvee, facendo sapere che tutti e 29 gli automezzi militare da ricognizione dell’esercito americano erano pronti per l’Ucraina. Il lavoro era stato verificato, a quanto pare, dall’unità dell’esercito Usa di stanza in Kuwait. Ma, quando gli Humvee sono arrivati in Polonia, si è scoperto che le gomme di 26 mezzi su 29 erano inutilizzabili. Ci è voluto quasi un mese per trovare abbastanza pneumatici sostitutivi, il che «ha ritardato la spedizione di altre attrezzature in Ucraina e ha richiesto manodopera e tempo significativi», ha rilevato un rapporto del Pentagono. Ma gli appaltatori si sono fatti comunque pagare a caro prezzo per il loro servizio.

Manutenzione pessima, ma pagata a caro prezzo

La stessa cosa, aggiunge il Nyt, è successa con una fornitura di obici M777, sempre da parte della stessa unità. I pezzi di artiglieria erano in condizioni talmente pessime da essere stati rimandati al mittente, che dunque li ha riparati due volte. Ma sono solo alcuni esempi, riguardanti peraltro mezzi e armi che, alla fine, sono arrivate nella disponibilità di Kyiv.

Mezzi inutilizzabili e armi obsolete, cosa non va nelle forniture militari all'Ucraina. L'inchiesta del New York Times.
Lo sparo di un obice M777 a Bakhmut (Getty Images).

Come hanno precisato gli interlocutori del New York Times, che hanno partecipato all’acquisto di armi, in diversi casi la fornitura non è nemmeno avvenuta e non sempre gli intermediari hanno restituito il denaro. Diversi i contratti che non sono stati rispettati dall’inizio della primavera 2023, come persi nella frenesia da controffensiva. Che, forse non a caso, tarda ad arrivare.

Crimea, turismo in crisi per colpa della guerra in Ucraina

L’industria del turismo in Crimea si prepara a una nuova estate di crisi. Per il secondo anno consecutivo, la penisola sul Mar Nero assiste a una diminuzione dei flussi turistici, dato che i vacanzieri russi rivolgono la loro attenzione su mete più sicure e tranquille. Come riporta il Moscow Times, decine di strutture ricettive rischiano la chiusura, in quanto non sono più in grado di comprare l’occorrente per ospitare i viaggiatori. A nulla sono servite le promesse e le rassicurazioni di Vladimir Putin che, dopo l’annessione del 2014, aveva garantito prosperità e ricchezza grazie anche a investimenti di Mosca. Spaventati ristoratori e proprietari di alberghi: «Abbiamo abbassato i prezzi, ma con l’aumento dei costi non ce la facciamo».

La guerra in Ucraina spaventa i vacanzieri russi. In Crimea l’1 per cento delle prenotazioni, tanto che due aziende su tre sono in rosso.
Una veduta delle spiagge di Sebastopoli frequentate dai turisti (Getty Images)

In Crimea appena l’1 per cento delle prenotazioni alberghiere russe

I turisti provenienti dalla Russia sono in costante calo da tre anni. Come mostrano i dati del governo di Mosca, nel 2022 in Crimea si è registrato appena il 3 per cento delle prenotazioni a fronte del 19 per cento di 12 mesi prima. Un dato che, secondo le previsioni, è destinato a scendere quasi allo zero quest’anno, assestandosi attorno all’1 per cento. Non sorprende dunque che il 60 per cento delle strutture turistiche siano in rosso, con perdite complessive di 709 milioni di rubli (circa 7,7 milioni di euro). Nel mezzo, la breve ripresa dovuta alla chiusura dei confini per la pandemia, che aveva spinto oltre 9 milioni di cittadini russi a trascorrere l’estate 2021 in Crimea. Il «gioiello della Corona», come lo ha definito Putin nel 2014, non può nulla però contro la guerra in Ucraina.

La guerra in Ucraina spaventa i vacanzieri russi. In Crimea l’1 per cento delle prenotazioni, tanto che due aziende su tre sono in rosso.
Gli elicotteri russi sul suolo della Crimea (Getty Images)

Cresce intanto la tensione di ristoratori e proprietari di alberghi, che temono di non superare l’anno. «Metà delle strutture potrebbe non aprire più», ha dichiarato al Moscow Times il gestore di un hotel. Ha preferito però mantenere l’anonimato, temendo che i suoi commenti negativi possano fargli perdere i sostegni finanziari di Mosca. Come ha sottolineato nell’intervista, prima della guerra la struttura era perennemente sold out durante l’estate, mentre quest’anno difficilmente riempirà metà camere. Se a luglio e agosto le perdite potrebbero essere contenute, per giugno le prenotazioni coprono appena il 30 per cento della capienza. «I costi sono cresciuti fra il 30 e il 50 per cento», ha ricordato.

Mosca intanto rassicura: «La guerra non minaccia la Crimea»

La crisi del turismo ha spinto diversi funzionari a intervenire per calmare i viaggiatori, ricordando la sicurezza della penisola. «Molti hanno semplicemente paura», ha sottolineato all’agenzia Ria Novosti il governatore della Crimea Sergei Aksyonov. «Nulla minaccia i turisti». La realtà dei fatti però è ben diversa, visto che la penisola è stata oggetto di diversi attacchi. Lo scorso anno, per esempio, varie esplosioni hanno colpito la base aerea di Saki, uno dei tanti siti militari russi alla portata delle armi ucraine.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner»

Sono 32 mila gli ex carcerati che, dopo aver combattuto in Ucraina con il Gruppo Wagner, sono tornati a casa in Russia, come uomini liberi. Lo ha detto il capo della milizia mercenaria Yevgeny Prigozhin. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo che il presidente Vladimir Putin ha confermato pubblicamente i rapporti investigativi secondo cui lo zar aveva graziato personalmente i detenuti russi che si erano arruolati per combattere con il gruppo paramilitare, che ha svolto un ruolo chiave a Bakhmut, nella battaglia più lunga e sanguinosa della guerra in Ucraina.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner». L'annuncio del fondatore della milizia mercenaria.
La sede del Gruppo Wagner a San Pietroburgo (Getty Images)

Per i carcerati che si arruolano c’è la grazia dopo sei mesi al fronte

«Al 18 giugno 2023, 32 mila persone precedentemente condannate e che hanno preso parte all’operazione militare speciale tra i ranghi del Gruppo Wagner sono tornate a casa alla fine dei loro contratti», ha dichiarato Prigozhin, sottolineando che meno dell’1 per cento di tutti i soldati Wagner reclutati nelle carceri della Federazione Russa ha commesso crimini, una volta tornati in libertà dopo aver combattuto in Ucraina. «Le persone rilasciate dal carcere nello stesso periodo senza un contratto con il Gruppo Wagner hanno commesso 80 volte più crimini», ha affermato Prigozhin. La milizia dell’ex “cuoco di Putin” ha iniziato a reclutare prigionieri nel tentacolare sistema penale russo la scorsa estate, offrendo ai detenuti la grazia se fossero sopravvissuti a sei mesi di servizio in Ucraina.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner». L'annuncio del fondatore della milizia mercenaria.
Una pubblicità del Gruppo Wagner: la campagna di reclutamento è finita a febbraio (Getty Images).

Secondo gli attivisti per i diritti dei detenuti i conti non tornano

Secondo Olga Romanova, principale attivista per i diritti dei detenuti, l’esercito privato di Prigozhin avrebbe reclutato in totale quasi 50 mila carcerati, di cui circa 30 mila sarebbero morti in combattimento: in base a queste stime, la cifra indicata da Prigozhin – che ha annunciato la fine della sua campagna di reclutamento di prigionieri a febbraio – risulterebbe dunque esagerata. Dopo aver negato per anni ogni legame con il gruppo mercenario, accusato di brutalità e destabilizzazione nelle zone di conflitto in tutto il mondo, Prigozhin ha confermato l’anno scorso di aver fondato la compagnia militare privata Wagner che, in base alla legge russa, sarebbe illegale.

L’Ucraina, le origini dell’antiamericanismo e la miopia sui piani di Mosca

L’Ucraina, le origini dell’antiamericanismo e la miopia sui piani di MoscaC’è chi spiega la guerra in Ucraina, dopo un breve cenno all’aggressione russa, anche come il frutto avvelenato della Nato e di Wall Street. Sarebbe meglio usare con più dimestichezza la Storia. Si scoprirebbe tra l’altro che l’antiamericanismo degli europei occidentali precede di gran lunga Nato e Wall Street ed è vecchio almeno di due secoli, e in realtà più vecchio ancora. È diverso da quello degli europei orientali che avendo sempre avuto il problema russo sono in genere meno anti-americani. È un sentimento diffuso e non di rado profondo, e fa il paio con l’antico ma persistente antieuropeismo di molti americani, basato una volta sul principio che l’Europa fosse tiranna, altezzosa con i suoi nobili, antidemocratica, papalina, oppure folle con gli eccessi rivoluzionari, mentre oggi ci guarda da tempo come terra déclassée, decaduta, ricca ma imbelle.

Le origini dell’antiamericanismo europeo: da Hegel al nazifascismo fino ai timori britannici 

Per l’antiamericanismo si può risalire come data di nascita, con approssimazione, agli Anni 20 dell’800, quando Georg W.H. Hegel elaborava a Berlino le sue Lezioni sulla filosofia della Storia, da cui emergeva tra l’altro un’immagine degli Stati Uniti destinati a un notevole ma imprecisato futuro, afflitti nel frattempo da un sistema sociopolitico e culturale “immaturo” e “caotico”, oltre che da una dominante ignoranza avendo rotto molti ponti con quel fulcro di civiltà che era l’Europa. Molti europei ripeteranno tutto ciò per l’intero l’800, anche dopo la Prima Guerra mondiale e il passaggio da Londra a New York della capitale finanziaria del globo, e lo ribadiranno con insistenza ancora fino agli Anni 40, con la lettura sdegnosa che nazismo e fascismo, e non solo, avevano della “inferiore” realtà americana, asserita personalmente da Mussolini in varie occasioni e imposta all’informazione e alla letteratura nostrane. Una parte del mondo cattolico, Giuseppe Dossetti in testa, era sulla stessa linea dal 1945 in poi. E non va dimenticato il profondo antiamericanismo che ha sempre contraddistinto parte notevole della cultura francese, basti pensare a un esperto di cose americane come André Siegfried (1875-1959) che tanto ha contribuito alla lettura critica degli Usa, a vari italiani per lo più modesti conoscitori dell’altra sponda, e a molti altri. Per non parlare degli inglesi, che da fine 800 temevano il sorpasso americano, e che si interrogavano ansiosi su quando sarebbe avvenuto (sir Edward Hamilton, Segretario generale del Tesoro, nel 1906, quando il sorpasso economico era da tempo concluso), o che scoppiavano in lacrime in pubblico (sir Edward Holden, presidente della London City and Midland Bank, nel 1916) di fronte all’inaudito e insostenibile attacco della finanza americana ormai più forte di Lombard Street. Il tutto veniva sintetizzato nel 1944-45 dagli inglesi che così commentavano la problematica presenza delle truppe americane pronte a passare oltremanica a combattere Hitler: overfed, oversexed, and over here, troppo nutriti, con troppe donne, e purtroppo qui. Insomma, tra Europa e Stati Uniti non è mai stata una semplice storia d’amore.

Andrea Purgatori torna con Atlantide. Stasera 9 novembre su La7 il rapporto fra Hitler e Mussolini. Ospite Antonio Scurati, autore di M.
Adolf Hitler e Benito Mussolini (Getty Images).

Le due visioni del futuro ordine mondiale e la scelta dell’Europa occidentale di accettare l’ombrello Nato e Usa

In più si era aggiunta, nel 1917-1918  una duplice e fortemente antagonistica visione del futuro mondiale a partire da quello dell’Europa: da parte russo-sovietica l’appello della rivoluzione bolscevica universale, la Germania postbellica prima candidata auspicata; da parte americana i 14 punti del presidente Woodrow Wilson, studiati per creare in particolare in Europa un sistema collettivo di pace capace di superare le guerre del passato e impedire il declino totale del continente. Il Congresso americano alla fine negò con l’isolazionisimo la partecipazione americana al sistema (Società delle Nazioni), Wall Street però condusse molto attivamente la sua diplomazia finanziaria con l’Europa, ormai legata ai capitali americani dopo il suicidio del 1914-1918. E nel 1942 l’America tornò per raccogliere, con varie titubanze, i cocci di quella che era stata l’Europa. L’idea di un massiccio impegno postbellico in Europa richiese un anno e mezzo per maturare, da fine 1945 ai primi del 1947. Gli Stati Uniti lo fecero nel proprio interesse, per non avere una potenza ostile dominante sull’altro lato dell’Atlantico, come già avevano fatto nel 1917 entrando nel primo conflitto mondiale, contro la Germania. Ora si trattava di fronteggiare la Russia, dall’agosto 1949 potenza atomica. L’Europa occidentale accettava che la sua difesa fosse garantita, come deterrente, dagli ordigni atomici americani, oltre che dalle truppe Nato. La maggioranza degli europei ha dimostrato con il voto, per vari decenni, di accettare questo assetto. Dura da 74 anni, un tempo troppo lungo. Il caso ucraino lo ha reimposto all’attenzione senza che appaiano sul fronte dell’Europa le capacità di trarne tutte le conseguenze, e cioè una vera unione strategica e militare dei Paesi ue, in ambito Nato o parzialmente Nato all’inizio, e fino a quando l’Alleanza esisterà. Ma più Europa. Richiederebbe coraggio e lungimiranza, merci rare in un’Unione il cui Paese leader, la Germania, aveva affidato il proprio futuro energetico a due gasdotti via Baltico che partono (o partivano) dalla Russia. Decisione logica quanto a geografia ed economia, sbagliata quanto a politica e strategia, perché la Russia non è quello che ci piacerebbe fosse.

L'Ucraina, le origini dell'antiamericanismo e la miopia sui piani di Mosca
Woodrow Wilson e il suo Gabinetto (Getty Images).

Il dito puntato contro gli Usa che danneggiano l’Europa e la miopia su ciò che Mosca vuole davvero

Non è più possibile, da 30 anni, reclamare l’esistenza di un campo della pace, quello sovietico-russo, contro il campo della guerra, quello dei capitalisti cioè Washington e dei loro accoliti. Quel campo della pace non è mai esistito, come Ucraina conferma e come alcuni illuminati giudizi sulla neonata Urss – uno del futuro ministro degli Esteri di Weimar Walther Rathenau nel 1919, e l’altro della rivoluzionaria Rosa Luxembourg a fine 1918 – già spiegavano chiaramente. Tuttavia, sono in molti ancora oggi ad avere qualche riflesso condizionato. Anche in Italia qualche analista e commentatore di indubbia qualità si abbandona ad analisi dalle quali filtra chiaramente l’idea che a danneggiare l’Europa sono gli Stati Uniti, attenti ai propri interessi e non ai nostri. È vero, sarebbe strano il contrario, occorre vedere però fino a che punto i due interessi sono più o meno paralleli, e quando divergono, com’è naturale fra due aree geografiche così lontane e con interessi commerciali spesso concorrenti, nonostante una integrazione economica via commerci e investimenti incrociati senza confronti al mondo. Lo stesso commentatore sostiene che ormai l’Ucraina è vista diversamente da Washington perché l’obiettivo americano, la fine dei gasdotti Russia-Germania, è stato raggiunto. Non una parola sulla saggezza o meno di quel legame via Baltico, alla luce dei fatti, e sul fatto se sia un male o un bene avervi posto per ora fine. E non una parola su che cosa vuole Mosca, oltre al Donbass.

8 marzo, il discorso di Putin alle donne russe: «Avete scelto la missione più alta: difendere la patria», ha detto in un videomessaggio.
Vladimir Putin (Getty Images).

I piani segreti di Stalin per la Russia e il Vecchio continente non si discostano molto da quelli di Putin

Fino all’apertura degli archivi ex sovietici, negli Anni 90, mancava un capitolo alla storia della strategia dell’Urss per l’Europa dal 1939 in poi, quello dei documenti segreti, che spiegano ciò che Mosca voleva con Stalin. Più o meno ciò che, partendo da una posizione ben più svantaggiata poiché ha perso la Guerra fredda, vuole con Putin. Adesso almeno in parte (gli archivi non sono più da tempo facilmente accessibili) conosciamo di più e sarebbe utile la lettura ad esempio di un saggio storico di 25 pagine reperibile via Google digitando: “Vladimir O. Pechatnov, The Big Three After World War II. New Documents… Wilson Center 1995″. Dice in sostanza che Mosca pensava di emergere dal conflitto come unica potenza militare di terra in Europa, e di avere quindi, direttamente dove arrivava l’Armata Rossa, indirettamente altrove, il controllo dell’Europa occidentale, Gran Bretagna esclusa. Da altre fonti emerge la volontà di impedire qualsiasi alleanza fra due o più Paesi europei, e tantomeno un organismo multilaterale a crescente integrazione come è oggi l’Unione europea, da sempre vista con sospetto e ostilità e ritenuta ufficialmente come la Nato uno strumento della Guerra fredda. Pochi ricordano queste posizioni, e pochi in Occidente, a partire dai tedeschi e da molti italiani, sono disposti ad ascoltare che opinioni hanno gli europei dell’Est, i baltici e gli scandinavi, convinti a grande maggioranza che l’Ucraina è solo una prima mossa per vedere se l’Occidente tiene.

Si può essere anti-Usa ma non si può rinnegare la storia
Stalin (Getty Images).

L’Ue e l’intera Europa non possono sperare in eterno nella copertura Usa

Finora ha tenuto, anche se gli uccelli di malaugurio abbondano. Il tempo però dice che l’Unione europea, e l’intera Europa, non possono sperare in eterno sulla copertura strategica americana, e non possono aspettare in eterno che la Russia diventi un Paese democratico dove sia l’opinione pubblica, alla fine, attraverso libere elezioni a decidere che politica estera seguire. Se da noi molti sono stanchi dell’America, forse da sempre, molti americani applicano da tempo all’intera Europa ciò che nel 1962 l’ex Segretario di Stato Dean Acheson disse della Gran Bretagna: «Ha perso un Impero e non ha ancora ritrovato un ruolo». Joe Biden è un vecchio democratico in politica da oltre mezzo secolo e allievo diretto degli uomini che fecero il Piano Marshall e la Nato e spinsero per l’Unione europea, e si è sempre occupato di Europa. Un’altra dirigenza americana, si è visto con Donald Trump, potrebbe pensarla diversamente. Sarebbe molto miope per Washington non cercare di avere amica l’altra sponda, ma nessuno può escluderlo. Quanto all’antiamericanismo, all’antipatia per l’America, chi ce l’ha dovrebbe cercare di non confonderla con gli interessi dell’Italia e dell’Europa, e farne buon uso. In fondo era un grande amico dell’America, Alexis de Tocqueville, che già nel 1835 osservava come «gli americani trattando con gli stranieri sembrano infastiditi dalla più piccola critica e insaziabili di elogi. Insistono per averli. E se non ottengono soddisfazione, alla fine si elogiano da soli». E aggiungeva: «Si direbbe che, dubbiosi circa i propri meriti, amino vederli costantemente esibiti di fronte ai propri occhi».

L’Ucraina, le origini dell’antiamericanismo e la miopia sui piani di Mosca

L’Ucraina, le origini dell’antiamericanismo e la miopia sui piani di MoscaC’è chi spiega la guerra in Ucraina, dopo un breve cenno all’aggressione russa, anche come il frutto avvelenato della Nato e di Wall Street. Sarebbe meglio usare con più dimestichezza la Storia. Si scoprirebbe tra l’altro che l’antiamericanismo degli europei occidentali precede di gran lunga Nato e Wall Street ed è vecchio almeno di due secoli, e in realtà più vecchio ancora. È diverso da quello degli europei orientali che avendo sempre avuto il problema russo sono in genere meno anti-americani. È un sentimento diffuso e non di rado profondo, e fa il paio con l’antico ma persistente antieuropeismo di molti americani, basato una volta sul principio che l’Europa fosse tiranna, altezzosa con i suoi nobili, antidemocratica, papalina, oppure folle con gli eccessi rivoluzionari, mentre oggi ci guarda da tempo come terra déclassée, decaduta, ricca ma imbelle.

Le origini dell’antiamericanismo europeo: da Hegel al nazifascismo fino ai timori britannici 

Per l’antiamericanismo si può risalire come data di nascita, con approssimazione, agli Anni 20 dell’800, quando Georg W.H. Hegel elaborava a Berlino le sue Lezioni sulla filosofia della Storia, da cui emergeva tra l’altro un’immagine degli Stati Uniti destinati a un notevole ma imprecisato futuro, afflitti nel frattempo da un sistema sociopolitico e culturale “immaturo” e “caotico”, oltre che da una dominante ignoranza avendo rotto molti ponti con quel fulcro di civiltà che era l’Europa. Molti europei ripeteranno tutto ciò per l’intero l’800, anche dopo la Prima Guerra mondiale e il passaggio da Londra a New York della capitale finanziaria del globo, e lo ribadiranno con insistenza ancora fino agli Anni 40, con la lettura sdegnosa che nazismo e fascismo, e non solo, avevano della “inferiore” realtà americana, asserita personalmente da Mussolini in varie occasioni e imposta all’informazione e alla letteratura nostrane. Una parte del mondo cattolico, Giuseppe Dossetti in testa, era sulla stessa linea dal 1945 in poi. E non va dimenticato il profondo antiamericanismo che ha sempre contraddistinto parte notevole della cultura francese, basti pensare a un esperto di cose americane come André Siegfried (1875-1959) che tanto ha contribuito alla lettura critica degli Usa, a vari italiani per lo più modesti conoscitori dell’altra sponda, e a molti altri. Per non parlare degli inglesi, che da fine 800 temevano il sorpasso americano, e che si interrogavano ansiosi su quando sarebbe avvenuto (sir Edward Hamilton, Segretario generale del Tesoro, nel 1906, quando il sorpasso economico era da tempo concluso), o che scoppiavano in lacrime in pubblico (sir Edward Holden, presidente della London City and Midland Bank, nel 1916) di fronte all’inaudito e insostenibile attacco della finanza americana ormai più forte di Lombard Street. Il tutto veniva sintetizzato nel 1944-45 dagli inglesi che così commentavano la problematica presenza delle truppe americane pronte a passare oltremanica a combattere Hitler: overfed, oversexed, and over here, troppo nutriti, con troppe donne, e purtroppo qui. Insomma, tra Europa e Stati Uniti non è mai stata una semplice storia d’amore.

Andrea Purgatori torna con Atlantide. Stasera 9 novembre su La7 il rapporto fra Hitler e Mussolini. Ospite Antonio Scurati, autore di M.
Adolf Hitler e Benito Mussolini (Getty Images).

Le due visioni del futuro ordine mondiale e la scelta dell’Europa occidentale di accettare l’ombrello Nato e Usa

In più si era aggiunta, nel 1917-1918  una duplice e fortemente antagonistica visione del futuro mondiale a partire da quello dell’Europa: da parte russo-sovietica l’appello della rivoluzione bolscevica universale, la Germania postbellica prima candidata auspicata; da parte americana i 14 punti del presidente Woodrow Wilson, studiati per creare in particolare in Europa un sistema collettivo di pace capace di superare le guerre del passato e impedire il declino totale del continente. Il Congresso americano alla fine negò con l’isolazionisimo la partecipazione americana al sistema (Società delle Nazioni), Wall Street però condusse molto attivamente la sua diplomazia finanziaria con l’Europa, ormai legata ai capitali americani dopo il suicidio del 1914-1918. E nel 1942 l’America tornò per raccogliere, con varie titubanze, i cocci di quella che era stata l’Europa. L’idea di un massiccio impegno postbellico in Europa richiese un anno e mezzo per maturare, da fine 1945 ai primi del 1947. Gli Stati Uniti lo fecero nel proprio interesse, per non avere una potenza ostile dominante sull’altro lato dell’Atlantico, come già avevano fatto nel 1917 entrando nel primo conflitto mondiale, contro la Germania. Ora si trattava di fronteggiare la Russia, dall’agosto 1949 potenza atomica. L’Europa occidentale accettava che la sua difesa fosse garantita, come deterrente, dagli ordigni atomici americani, oltre che dalle truppe Nato. La maggioranza degli europei ha dimostrato con il voto, per vari decenni, di accettare questo assetto. Dura da 74 anni, un tempo troppo lungo. Il caso ucraino lo ha reimposto all’attenzione senza che appaiano sul fronte dell’Europa le capacità di trarne tutte le conseguenze, e cioè una vera unione strategica e militare dei Paesi ue, in ambito Nato o parzialmente Nato all’inizio, e fino a quando l’Alleanza esisterà. Ma più Europa. Richiederebbe coraggio e lungimiranza, merci rare in un’Unione il cui Paese leader, la Germania, aveva affidato il proprio futuro energetico a due gasdotti via Baltico che partono (o partivano) dalla Russia. Decisione logica quanto a geografia ed economia, sbagliata quanto a politica e strategia, perché la Russia non è quello che ci piacerebbe fosse.

L'Ucraina, le origini dell'antiamericanismo e la miopia sui piani di Mosca
Woodrow Wilson e il suo Gabinetto (Getty Images).

Il dito puntato contro gli Usa che danneggiano l’Europa e la miopia su ciò che Mosca vuole davvero

Non è più possibile, da 30 anni, reclamare l’esistenza di un campo della pace, quello sovietico-russo, contro il campo della guerra, quello dei capitalisti cioè Washington e dei loro accoliti. Quel campo della pace non è mai esistito, come Ucraina conferma e come alcuni illuminati giudizi sulla neonata Urss – uno del futuro ministro degli Esteri di Weimar Walther Rathenau nel 1919, e l’altro della rivoluzionaria Rosa Luxembourg a fine 1918 – già spiegavano chiaramente. Tuttavia, sono in molti ancora oggi ad avere qualche riflesso condizionato. Anche in Italia qualche analista e commentatore di indubbia qualità si abbandona ad analisi dalle quali filtra chiaramente l’idea che a danneggiare l’Europa sono gli Stati Uniti, attenti ai propri interessi e non ai nostri. È vero, sarebbe strano il contrario, occorre vedere però fino a che punto i due interessi sono più o meno paralleli, e quando divergono, com’è naturale fra due aree geografiche così lontane e con interessi commerciali spesso concorrenti, nonostante una integrazione economica via commerci e investimenti incrociati senza confronti al mondo. Lo stesso commentatore sostiene che ormai l’Ucraina è vista diversamente da Washington perché l’obiettivo americano, la fine dei gasdotti Russia-Germania, è stato raggiunto. Non una parola sulla saggezza o meno di quel legame via Baltico, alla luce dei fatti, e sul fatto se sia un male o un bene avervi posto per ora fine. E non una parola su che cosa vuole Mosca, oltre al Donbass.

8 marzo, il discorso di Putin alle donne russe: «Avete scelto la missione più alta: difendere la patria», ha detto in un videomessaggio.
Vladimir Putin (Getty Images).

I piani segreti di Stalin per la Russia e il Vecchio continente non si discostano molto da quelli di Putin

Fino all’apertura degli archivi ex sovietici, negli Anni 90, mancava un capitolo alla storia della strategia dell’Urss per l’Europa dal 1939 in poi, quello dei documenti segreti, che spiegano ciò che Mosca voleva con Stalin. Più o meno ciò che, partendo da una posizione ben più svantaggiata poiché ha perso la Guerra fredda, vuole con Putin. Adesso almeno in parte (gli archivi non sono più da tempo facilmente accessibili) conosciamo di più e sarebbe utile la lettura ad esempio di un saggio storico di 25 pagine reperibile via Google digitando: “Vladimir O. Pechatnov, The Big Three After World War II. New Documents… Wilson Center 1995″. Dice in sostanza che Mosca pensava di emergere dal conflitto come unica potenza militare di terra in Europa, e di avere quindi, direttamente dove arrivava l’Armata Rossa, indirettamente altrove, il controllo dell’Europa occidentale, Gran Bretagna esclusa. Da altre fonti emerge la volontà di impedire qualsiasi alleanza fra due o più Paesi europei, e tantomeno un organismo multilaterale a crescente integrazione come è oggi l’Unione europea, da sempre vista con sospetto e ostilità e ritenuta ufficialmente come la Nato uno strumento della Guerra fredda. Pochi ricordano queste posizioni, e pochi in Occidente, a partire dai tedeschi e da molti italiani, sono disposti ad ascoltare che opinioni hanno gli europei dell’Est, i baltici e gli scandinavi, convinti a grande maggioranza che l’Ucraina è solo una prima mossa per vedere se l’Occidente tiene.

Si può essere anti-Usa ma non si può rinnegare la storia
Stalin (Getty Images).

L’Ue e l’intera Europa non possono sperare in eterno nella copertura Usa

Finora ha tenuto, anche se gli uccelli di malaugurio abbondano. Il tempo però dice che l’Unione europea, e l’intera Europa, non possono sperare in eterno sulla copertura strategica americana, e non possono aspettare in eterno che la Russia diventi un Paese democratico dove sia l’opinione pubblica, alla fine, attraverso libere elezioni a decidere che politica estera seguire. Se da noi molti sono stanchi dell’America, forse da sempre, molti americani applicano da tempo all’intera Europa ciò che nel 1962 l’ex Segretario di Stato Dean Acheson disse della Gran Bretagna: «Ha perso un Impero e non ha ancora ritrovato un ruolo». Joe Biden è un vecchio democratico in politica da oltre mezzo secolo e allievo diretto degli uomini che fecero il Piano Marshall e la Nato e spinsero per l’Unione europea, e si è sempre occupato di Europa. Un’altra dirigenza americana, si è visto con Donald Trump, potrebbe pensarla diversamente. Sarebbe molto miope per Washington non cercare di avere amica l’altra sponda, ma nessuno può escluderlo. Quanto all’antiamericanismo, all’antipatia per l’America, chi ce l’ha dovrebbe cercare di non confonderla con gli interessi dell’Italia e dell’Europa, e farne buon uso. In fondo era un grande amico dell’America, Alexis de Tocqueville, che già nel 1835 osservava come «gli americani trattando con gli stranieri sembrano infastiditi dalla più piccola critica e insaziabili di elogi. Insistono per averli. E se non ottengono soddisfazione, alla fine si elogiano da soli». E aggiungeva: «Si direbbe che, dubbiosi circa i propri meriti, amino vederli costantemente esibiti di fronte ai propri occhi».