Conte e Di Maio scelgano da che parte stare in Libia

L'equidistanza di Roma tra al Serraj e Haftar non porterà a nulla. L'Italia potrebbe mediare solo se avesse una posizione di forza. Visto che non ce l'ha, si schieri senza ambiguità.

È impresa ardua e faticosa inanellare tutte le incredibili gaffe inanellate da Luigi Di Maio e da Giuseppe Conte – e quindi, ahimé, dall’Italia – nella gestione della crisi libica. Innanzitutto, il nostro ministro degli Esteri e il nostro presidente del Consiglio non hanno ancora capito che il loro compito non è enunciare principi astratti ispirati ad un pacifismo dozzinale, ma intervenire concretamente nella realtà per difendere gli interessi nazionali dell’Italia. E la realtà è che in Libia si combatte una guerra, dichiarata unilateralmente da Khalifa Haftar che dall’aprile scorso ha lanciato le sue truppe «alla conquista di Tripoli». In una guerra o si sta da una parte o dall’altra. Tertium non datur.

L’INUTILE RICERCA DELL’EQUIDISTANZA DI ROMA

Ma sono passati nove mesi e Di Maio e Conte continuano a dimostrare “equidistanza” tra Bengasi e Tripoli alla ricerca di un ruolo di mediazione che si basa semplicemente sul nulla. Al Serraj (ed Erdogan) avranno tutte le ragioni per sostenere che questa equidistanza fa solo il gioco di Haftar.

L’ITALIA NON È IN POSIZIONE DI MEDIARE

L’Italia potrebbe mediare solo e unicamente se avesse una posizione di forza, argomenti pesanti da mettere sul tavolo per obbligare Haftar o al Serraj a sospendere il fuoco. Ma non ne ha oggi nessuno. Tranne vacui appelli di principio tipo quello tragicomica enunciato da Di Maio che ha proclamato: «Bisogna smetterla di vendere armi, bisogna fermare ogni interferenza esterna in Libia». Chi la ferma? E come? Qui si arriva al tragicomico perché l’ineffabile Di Maio ha dichiarato: «A proposito di quanto riportato da alcuni organi di stampa, in sede europea non si è mai parlato di riattivare Sophia, al contrario». Immediatamente e clamorosamente smentito dal mister Pesc dell’Ue Josep Borrel che ha dichiarato esattamente il contrario: «La missione Sophia ha, fra gli altri, il compito di sorvegliare il rispetto dell’embargo sulle armi su mandato dell’Onu. Ridare alla missione Sophia di nuovo gli elementi operativi è sempre stato sul tavolo e sicuramente ne parleremo». Palesemente Di Maio non legge neanche i dossier.

L’APPELLO DI MINNITI A SOSTENERE AL SARRAJ

Giustamente, Marco Minniti, che a suo tempo aveva pieno controllo della crisi libica e sa come comportarsi di fronte a una guerra guerreggiata, ha invitato Italia ed Europa a «definire insieme un unico interlocutore per la Libia». In trasparenza, l’ex “Lord of Spies” auspica quindi che l’Italia e Bruxelles si schierino con al Serraj e con Tripoli, non certo con gli assalitori. Tertium non datur.

PUTIN NON È LA SPALLA GIUSTA DA CERCARE

Ma non basta, non finiscono qui i fumosi strafalcioni di Di Maio e Conte. Franco Frattini ha rivelato martedì scorso di essere stato contattato da Di Maio nella prospettiva di proporre a Vladimir Putin la sospensione delle sanzioni europee in cambio di un suo allentamento radicale dell’appoggio ad Haftar. Ma Putin non è determinante in Libia, non ha affatto l’egemonia sul terreno, non è in grado di operare in Libia come fece in maniera determinante in Siria. La ragione è semplice: in Siria la Russia ha operato un massiccio dispiegamento militare di terra, di mare e di aria. Ha combattuto pesantemente sotto la propria bandiera. In Libia Putin si è limitato invece ad appoggiare l’invio di qualche centinaio di mercenari dell’organizzazione privata Wagner. Haftar è grato a Putin per l’aiuto eccellente datogli da questi super combattenti russi sul terreno. Ma prende ordini – e soldi – non da Mosca, ma dal Cairo, da Riad e da Abu Dhabi che lo forniscono di centinaia di milioni di dollari coi quali paga i mercenari russi e africani, che gli forniscono mezzi pesanti e munizioni e che soprattutto gli garantiscono l’azione efficace dell’aviazione. Putin è attore secondario in Libia, tanto è vero che nell’incontro con Recep Tayyp Erdogan dell’8 gennaio non ha avuto remore o problemi nel proporre una sospensione dei combattimenti libici a partire dal 12 gennaio.

L’INTERVENTO TURCO SARÀ DETERMINANTE

Tregua che difficilmente Haftar accetterà perché ne può approfittare unicamente al Serraj per consolidare gli aiuti militari turchi che stanno arrivando copiosi a Tripoli (e probabilmente anche ad Algeri, che può accettare la sua richiesta di ospitare aerei ed elicotteri da guerra di Ankara che possono rovesciare le sorti del conflitto). Tregua più che incerta quindi. Infine, ma non per ultimo: Di Maio – e Conte – non hanno la minima cognizione militare (come ampiamente dimostrato in tutti gli strafalcioni che hanno fatto e continuano a fare) e non si rendono conto che sul terreno l’intervento militare turco cambierà radicalmente le sorti della guerra in Libia. I militari turchi, soprattutto se arriveranno ad essere i 3.500 promessi da Erdogan, hanno una professionalità e una capacità operativa bellica incomparabile a quella delle eterogenee forze militari messe in campo da Haftar. Hanno l’esperienza di 36 anni di guerriglia e contro guerriglia nel Kurdistan iracheno nel quale del 1984 ad oggi hanno lasciato non meno di ben 8.000 caduti nei conflitti a fuoco e negli attentati del Pkk.

LA PARTITA INTERNA ALLA GALASSIA SUNNITA

Non si vede la ragione per la quale Erdogan – e il suo alleato al Serraj – non sfruttino l’occasione di infliggere ora una sonora lezione e una sconfitta militare e politica cogente a Haftar (e quindi all’Egitto, all’Arabia Saudita e agli Emirati). In Libia è in gioco una partita determinante per l’egemonia all’interno del mondo sunnita (1 miliardo di fedeli nel mondo), pro o contro i Fratelli Musulmani e sarebbe bene che anche l’Italia ne prendesse finalmente atto perché è la chiave di volta per comprendere il perché di tanti e tali «aiuti militari esterni». Speranza vana, vista la bassissima caratura e l’inesperienza del nostro governo.

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L’incontro Conte-Haftar è l’ultimo flop dell’Italia sulla Libia

La visita del generale della Cirenaica a Palazzo Chigi poteva essere uno dei tanti meeting inconcludenti. Rischia addirittura di essere un boomerang clamoroso per la diplomazia italiana.

Il generale della Cirenaica Khalifa Haftar ha incontrato a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte. In serata era atteso a Roma anche Fayez al Serraj, leader del governo sostenuto dall’Onu. Ma quando ha saputo che anche Haftar era stato a Roma, ha deciso di tirare dritto verso Tripoli. Così quello che doveva essere il tentativo italiano di tornare rilevante sulla questione rischia di diventare un boomerang clamoroso, con il nostro partner di riferimento (Serraj) che perde fiducia nella Farnesina.

IL TENTATIVO IN EXTREMIS DELL’ITALIA

Sul dossier libico l’Italia (con l’Ue) è restata al palo mentre Russia e Turchia entravano prepotentemente nella partita e il governo ha tentato in extremis di ritagliarsi un ruolo di mediazione. E lo ha fatto attraverso l’unico strumento a sua disposizione, quello degli incontri faccia a faccia con i protagonisti dello scontro. Un copione già visto e rivisto, che in passato non ha portato a grandi risultati e che in questo caso si è rivelata addirittura una debacle diplomatica. Il problema di fondo è che Roma da sola ha poco da offrire ai leader avversari, e l’Ue non è mai riuscita a trovare una linea unitaria sulla questione. «Stiamo facendo quello che bisogna fare», spiega una fonte italiana vicina al dossier libico.

LA CONFERENZA FLOP DI PALERMO

Nel novembre del 2018 la conferenza di Palermo aveva portato in Italia sia al Sarraj che Haftar. Un meeting su cui il governo aveva puntato molto per ritagliarsi il ruolo da protagonista nella partita, ma dal quale era uscito senza la necessaria investitura delle grandi potenze straniere, che avevano mandato in Sicilia rappresentanti di secondo piano.

LE VISITE DI CONTE IN LIBIA

Il 23 dicembre è stato Conte ad andare in Libia con una missione lampo a Tripoli e Bengazi, ma da allora la situazione non è migliorata, con Mosca e Ankara a far sempre più la parte del leone.

CONTE VERSO IL GOLFO PERSICO

L’agenda futura del premier è destinata ad essere mutuata sulle crisi in Iraq e in Libia. Secondo fonti di governo è probabile dalla che verso la metà del mese Conte si muova per alcune visite nei Paesi del Golfo. Non sarà un vero e proprio tour ma il premier potrebbe fare più tappe nell’area. In quali Paesi ancora non è noto. Di certo il presidente del Consiglio ha sentito lo sceicco Mohamed bin Zayed al Nahyan, principe ereditario di un alleato solido dell’Italia (e sponsor di Haftar in Libia) come gli Emirati Arabi Uniti. L’obiettivo è riprendere quell’azione politico-diplomatica che permetta all’Italia di avere di non essere tagliata fuori dallo scacchiere libico. L’arrivo di Conte in quell’area potrebbe peraltro precedere – o anche succedere di poco – la visita ufficiale del presidente Sergio Mattarella in Qatar, prevista dal 20 al 22 gennaio, e subito dopo in Israele.

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Le mosse diplomatiche di Ue e Italia sulla crisi libica

L'Alto rappresentante Borrell e i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Regno Unito e Germania sono rimasti bloccata a Bruxelles senza sbocchi. E il vertice di pace a Berlino resta un miraggio.

Naufragata la missione diplomatica dell’Unione europea che avrebbe voluto tentare di convincere le due fazioni libiche a deporre le armi, l’Alto rappresentante Josep Borrell e i quattro ministri degli Esteri di Italia, Francia, Regno Unito e Germania hanno dovuto ripiegare su una riunione a Bruxelles. Per ragioni di sicurezza dopo gli ultimi attacchi, è stata la motivazione ufficiale, anche se a pesare sulla decisione con ogni probabilità è stata anche la contrarietà all’iniziativa lasciata trapelare nei giorni scorsi dal governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj, forte ora del sostegno militare garantito dalla Turchia.

L’INCOGNITA TURCA A BENGASI

Nell’incontro, fatto traslocare in fretta e furia nella capitale europea, non si è potuto dunque fare altro che ribadire una serie di appelli di principio già espressi nei giorni scorsi dagli stessi attori che hanno partecipato alla riunione: la necessità del dialogo, l’invito a interrompere le interferenze esterne, la de-escalation. Mentre sul campo la realtà procede a passi spediti in tutt’altra direzione, con il generale Khalifa Haftar che sfrutta ogni secondo utile per cercare di guadagnare terreno con le sue truppe, con i soldati turchi che hanno già iniziato a dispiegarsi nel Paese per aiutare Sarraj, con la possibile presenza di mercenari e mezzi russi a fianco delle forze di Bengasi.

IL TOUR DE FORCE DIPLOMATICO DI DI MAIO

L’Europa pensa che sia ancora possibile riuscire a fermare con le parole questo marchingegno sempre più veloce e complicato. In Libia «bisogna parlare con tutti e convincerli a un cessate il fuoco», ha insistito il ministro Luigi Di Maio prima di volare alla volta della Turchia per mettere subito in pratica il proposito, incontrando il ministro degli Esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu. Il titolare della Farnesina si sposterà poi nel giro di qualche giorno prima in Egitto, Paese vicino invece ad Haftar, e quindi in Algeria e in Tunisia. Una maratona diplomatica che dimostra la volontà italiana di garantirsi un ruolo di mediazione mantenendosi su una posizione equidistante dalle fazioni in lotta. «Ma l’Ue deve parlare con una voce sola», ha ammonito Di Maio a Bruxelles, dicendosi sicuro che le iniziative europee «vedranno un cambio di passo» nei prossimi giorni.

IL MIRAGGIO DEL VERTICE DI BERLINO

Un invito che affonda il coltello in quella che storicamente è una delle debolezze dell’Ue nella sua proiezione sulla politica estera e che fa il paio con l’appello del commissario europeo italiano Paolo Gentiloni, secondo il quale l’Unione europea deve ora «evitare di trovarsi di fronte a fatti compiuti» e farsi superare da una situazione geopolitica che va «più veloce della nostra ambizione». Per ora l’unica iniziativa concreta a livello europeo sembra essere la conferenza sulla Libia di cui si parla da mesi e che a Berlino dovrebbe far sedere intorno a un tavolo tutti gli attori regionali coinvolti in qualche modo nel conflitto. Anche l’Algeria, che era finora stata tenuta fuori, è stata invitata da Angela Merkel a partecipare all’incontro, per il quale tuttavia non è stata fissata ancora nemmeno una data e che continua a slittare.

IL PESO DELLA CRISI IRANIANA SULLA LIBIA

Intanto, mentre tutti osservano gli sviluppi sul terreno, i valzer dei colloqui e delle telefonate incrociate proseguono. Tra i protagonisti c’è naturalmente anche la Russia, con Putin che vedrà prima Erdogan e poi nel fine settimana la cancelliera tedesca. Anche se l’attenzione e la preoccupazione del mondo, probabilmente anche quella dell’Unione europea, in questo momento sembra essere maggiormente concentrata sulla crisi dell’Iran. E tra i corridoi delle istituzioni europee circolano voci, non confermate, sulla possibilità di un vertice a livello di capi di Stato e di governo sulla complessa situazione mediorientale.

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La battaglia tra Haftar e Serraj per il controllo di Sirte

Il generale della Cirenaica è entrato nella città un tempo base dell'Isis in Libia: scatta la controffensiva del governo di Tripoli.

«Le forze dell’operazione al Bunyan al Marsous, che hanno sconfitto l’Isis a Sirte, mobilitano i propri uomini e mezzi per lanciare un contrattacco a Sirte per respingere i gruppi armati di Haftar che hanno preso il controllo della maggior parte della città», si legge in un tweet del The Libya Observer in riferimento al lancio di una controffensiva del governo di Tripoli per la ripresa delle posizioni perse sulle forze del generale Khalifa Haftar che ieri hanno annunciato di aver preso il controllo della città costiera di Sirte.

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Libia, lo scacco della Turchia all’Ue

L’Ue fuori gioco nel Mediterraneo. Dopo il via libera di Ankara all'invio di truppe, nell'ex colonia italiana si va verso una spartizione tra Erdogan e Putin. Come a Damasco e dintorni.

L’accordo sugli armamenti di Ankara con il governo di Tripoli a fine 2019 e, come primo atto del 2020, l’ok del parlamento turco a un contingente in Libia è l’istituzionalizzazione di una proxy war iniziata nel 2011, con le Primavere arabe. Segnata dall’accelerazione del 2014, che portò gli islamisti al governo nella capitale libica, e dalla volata di queste settimane imposta dalla marcia del nemico Khalifa Haftar su Tripoli. I rinforzi sul campo dei contractor russi alle milizie di mercenari del generale libico fanno la differenza, rendendo possibile la battaglia finale contro gli islamisti fallita da mesi da Haftar. Alla minaccia concreta i turchi, che un rapporto dell’Onu ha certificato violare «regolarmente e a volte apertamente» l’embargo sulle armi verso la Libia, sono costretti a uscire allo scoperto. Svelando come la guerra per procura sia anche, se non prima di tutto, una guerra del gas nel Mediterraneo.

ISLAMISMO CONTRO AUTORITARISMO

Da una parte scorre il corridoio di armi e di vari rifornimenti che parte dalla Turchia e, soprattutto attraverso i porti e lo scalo di Misurata, raggiunge Tripoli e il governo di unità nazionale (Gna) guidato dagli islamisti. Aiuti, militari ed economici, pagati soprattutto dal ricco Qatar verso i gruppi di ribelli sponsorizzati nelle Primavere arabe contro i regimi autoritari, e a capo all’esecutivo di Fayez al Serraj legittimato dalla comunità internazionale (in seguito ai negoziati dell’Onu del 2015), ma sempre più circoscritto a Tripoli. Un governo caotico, frammentato, corrotto e composto da milizie anche violente. Dall’altra, ricorda lo stesso report sulla Libia del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del novembre scorso, c’è il fronte dei regimi sopravvissuti alle Primavere arabe che armano Haftar e conducono raid per lui: l’Egitto (finanziato dai sauditi) e gli Emirati arabi contrastano le mire neo-ottomane dei turchi in Libia, in asse con la Russia amica dei regimi.

Libia Turchia missione Tripoli
Il parlamento turco approva la missione in Libia. GETTY.

ERDOGAN SI IMPOSSESSA DEL MEDITERRANEO

Il Leitmotiv è riportare la stabilità dell’era Gheddafi. Barattare il miraggio della democrazia con l’autoritarismo, nel nome di una sicurezza perduta e inseguita, è una tentazione ormai dalla maggioranza dei libici. Nell’ultimo anno Haftar ha raccolto simpatie anche in zone governate dagli islamisti (inclusi alcuni quartieri di Tripoli) dove da anni le aziende turche ricostruiscono strutture e infrastrutture – rilevando talvolta anche vecchi cantieri italiani. A questi grossi interessi geopolitici, che comprendono anche il Mediterraneo, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un po’ come con i curdi nel Nord della Siria, non intende rinunciare, quand’anche come si profila le Primavere arabe dovessero soccombere alle forze di restaurazione. Il memorandum di novembre tra la Turchia e la Libia sulla giurisdizione dei due Stati nelle acque mediterranee (allegato all’accordo di cooperazione militare) è un’entrata a gamba tesa di Erdogan anche nei dossier energetici.

Complice il vassallo al Serraj, Erdogan ha diviso arbitrariamente il Mediterraneo tra Turchia e Libia

A GAMBA TESA NEL DOSSIER ENERGETICO

Egitto, Grecia, Israele, per non parlare di Cipro in contenzioso storico con la Turchia, sono insorte alla demarcazione unilaterale dei confini marittimi di Erdogan e al Serraj. Un colpo di spugna che dà mano libera ad Ankara alle esplorazioni di gas e petrolio nel Mediterraneo, per le quali i turchi si erano fatti largo nel Mediterraneo orientale già nella scorsa estate, al solito senza chiedere il permesso alla Grecia e a Cipro, lambendo anche la zona economica esclusiva egiziana e i minando i progetti dei gasdotti dei tre Paesi con Israele. Complice il vassallo al Serraj, Erdogan ha diviso arbitrariamente il Mediterraneo per scongiurare  «l’emarginazione della Turchia» a terra. Anche gli accordi militari e di spartizione delle acque territoriali con la Libia furono ratificati a tambur battente dal parlamento di Ankara, in «aperta violazione del diritto di navigazione e dei diritti sovrani della Grecia e di altri Paesi», commentò il titolare della Farnesina Luigi Di Maio.

Libia Turchia missione Serraj
Il premier libico Fayez al Serraj riceve a Tripoli il ministro turco Mevlut Cavusoglu. GETTY.

IL VIA LIBERA ALLE TRUPPE DEL PARLAMENTO TURCO

I memorandum dell’autunno erano l’antipasto della mozione per l’invio di truppe turche a sostegno del governo di Tripoli, approvata il 2 gennaio dai deputati di Ankara (325 favorevoli, 184 contrari) in un parlamento riaperto eccezionalmente dopo Capodanno, in anticipo dalla ripresa dei lavori l’8 gennaio. Curiosamente Erdogan, corso in soccorso alla battaglia finale libica, fa leva sul pretesto della «minaccia alla stabilità anche della Turchia»: con la Libia senza un «governo legittimo» si favorirebbero «gruppi terroristici come l’Isis e al Qaeda», che proprio le violazioni all’embargo anche della Turchia hanno fatto proliferare per anni, in reazione ai regimi autoritari e per sottrarre loro territori con ogni mezzo e scontri anche cruenti. Sebbene l’invio di rinforzi navali, aerei e a terra non si preveda immediato, l’escalation turca favorirà gli scontri in Libia e le tensioni nel Mediterraneo. Mentre l’Italia, e con Roma buona parte dell’Ue, staranno a guardare.

LA SPARTIZIONE TRA ERDOGAN E PUTIN

Alla condanna degli accordi «illegittimi» tra la Turchia e la Libia non seguiranno fatti. I progetti di no fly zone ventilati in un’operazione di Francia, Germania e Italia sono irrealistici, considerati il disastro dell’intervento nel 2011 contro Gheddafi e le manovre francesi inconfessabili di oggi con Haftar. E poi per difendere i libici da chi? L’Ue riconosce il governo filoturco di al Serraj a Tripoli (l’Italia ha una missione di assistenza agli islamisti a Misurata) non quello del generale nell’Est, con il quale tuttavia tiene aperti canali. Gli alt a Erdogan non possono tradursi in azioni, pena l’appoggio degli europei a regimi autoritari quali l’Arabia Saudita e i suoi satelliti (Emirati ed Egitto) e alla Russia di Vladimir Putin. Dalla Conferenza di Berlino sulla Libia di metà gennaio (se si terrà) non si attendono risultati ed è probabile che, nell’impotenza europea, mostrando i muscoli come in Siria Erdogan si ritaglierà la sua fetta di Libia – e di Mediterraneo – in accordo con Putin.

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Haftar invoca il jihad contro l’intervento turco in Libia

Il generale si scaglia contro Erdogan: «Stupido sultano turco». E invita il popolo a combattere contro l'invio di truppe a sostegno di Sarraj.

L’ingresso delle truppe turche, col voto del parlamento di Ankara favorevole all’invio di soldati in sostegno di Fayez Al-Sarraj, è destinato a spostare gli equilibri del conflitto libico. Una mossa che ha spiazzato l’Italia e l’Unione europea, che da tempo cercano una soluzione diplomatica, ma anche gli Stati Uniti, con Donald Trump che ha chiamato Erdogan per esprimergli la sua contrarietà all’intervento. E che ha spinto il generale Khalifa Haftar a lanciare la sua invettiva contro il presidente turco: «Questo stupido sultano turco ha scatenato la guerra in tutta la regione dichiarando che la Libia è una propria eredità», ha detto nel discorso con cui il 3 gennaio ha lanciato un appello ai libici ad armarsi contro la Turchia. A riportare le parole di Haftar è il sito Libya Akhbar.

«GUERRA AL COLONIALISTA»

Haftar ha sostenuto che la battaglia in corso per la conquista di Tripoli, riporta inoltre il sito fuori virgolette, «si amplia per divenire una guerra feroce a un colonialista brutale che vede la Libia come un’eredità storica e sogna di far rivivere un impero costruito dai suoi avi sulla povertà e l’ignoranza». Il generale ha esortato i libici a mettere da parte i propri contrasti, a rafforzare la fiducia nell’esercito e a difendere la loro terra e il loro onore. «Il nemico ha dichiarato guerra e ha deciso di invadere il Paese», ha affermato ancora Haftar secondo quanto riporta il sito, «sostenendo che l’amico popolo turco, con il quale la Libia ha legami fraterni grazie all’islam, si rivolterà inevitabilmente contro questo insensato avventuriero che spinge il proprio esercito a morire e aizza la discordia fra i musulmani».

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Il parlamento turco ha approvato l’invio di truppe in Libia

I soldati verranno schierati a sostegno del governo di Tripoli presieduto da Fayez al-Serraj. Il mandato è valido per un anno.

Il parlamento della Turchia ha approvato l’invio di truppe in Libia a sostegno delle milizie che difendono il governo di Tripoli presieduto da Fayez al-Serraj. La mozione che ha ottenuto l’ok consente al presidente Recep Tayyip Erdogan di inviare soldati da schierare per un anno contro le forze del generale Khalifa Haftar: 325 deputati hanno votato a favore, 184 contro.

LEGGI ANCHE: Le mosse della Turchia in Libia a sostegno di al-Sarraj

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Le mosse della Turchia in Libia a sostegno di al-Sarraj

Conferme sullo sbarco a Tripoli di centinaia di ribelli siriani, cooptati dalla Turchia. Obiettivo: fermare l'avanzata di Haftar. In attesa del voto del parlamento turco sull'invio delle truppe.

Ankara accelera sul sostegno all’esercito libico di Fayez al-Sarraj. Il pomeriggio del 29 dicembre, diversi media internazionali, citando l’Osservatorio siriano per i diritti umani, hanno riferito che circa 300 ribelli siriani, cooptati dalla Turchia, sono stati inviati a Tripoli per combattere a fianco dell’esercito di al-Sarraj, sostenuto da Ankara, contro l’offensiva del generale Khalifa Haftar, che gode dell’appoggio di Russia, Egitto e Francia. Altri 900-1000 miliziani sarebbero stati invece trasferiti in campi di addestramento turchi in attesa di partire per la Libia. Secondo le stesse fonti l’ingaggio avrebbe una durata di 3-6 mesi ed un compenso tra i 2 mila ed i 2.500 dollari.

I VIDEO DELLA DISCORDIA

In mattinata, l’ufficio stampa del Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico (Gna), guidato da al-Sarraj, aveva smentito la veridicità di alcuni video, «pubblicati su pagine di sostenitori del criminale di guerra Haftar» e circolati sui social network, che ritraggono alcuni combattenti siriani in Libia. «Questi video sono stati verificati dai canali di notizie locali e internazionali e risulta che siano stati girati nella città di Idlib, in Siria», si legge sulla pagina Facebook dell’Ufficio media del governo di Tripoli. «Il Gna afferma che perseguirà tutti coloro che contribuiscono alla pubblicazione di queste menzogne e di altre calunnie, che sono un tentativo disperato di distorcere le vittorie sull’aggressore, compiute dall’esercito libico», conclude la nota.

ANKARA ANTICIPA IL VOTO SULL’INVIO DI TRUPPE

Nel frattempo, il Parlamento turco ha anticipato a giovedì 2 gennaio alle 14 locali (le 12 in Italia) il voto sulla mozione dell’Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan che autorizza l’invio di truppe in Libia a sostegno del governo di accordo nazionale di al-Sarraj contro l’offensiva di Haftar. La riapertura ordinaria della Grande assemblea nazionale di Ankara dopo le festività di fine anno era fissata il 7 gennaio. Il testo della mozione dovrebbe giungere in Parlamento già il 30 dicembre, secondo l’agenzia Dogan.

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La Turchia a un passo dal mandare l’esercito in Libia

Il parlamento di Ankara voterà una mozione a inizio gennaio per autorizzare l'invio delle truppe a sostegno di Tripoli.

Le Forze armate turche sono pronte a un possibile impegno in Libia a sostegno del governo di Tripoli contro le forze del generale Khalifa Haftar, come richiesto dal presidente Recep Tayyip Erdogan. L’esercito è «pronto a svolgere qualsiasi compito in patria e all’estero», ha dichiarato la sua portavoce Nadide Sebnem Aktop, durante la conferenza stampa di fine anno. Il parlamento di Ankara voterà una mozione che autorizza l’invio delle truppe dopo la riapertura al termine della pausa di fine anno, il prossimo 7 gennaio.

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Una nuova ondata di mercenari invade la Libia

Almeno 3 mila miliziani sudanesi combattono nel Paese al fianco del generale Haftar. Centinaia di altri sono in arrivo.

Una nuova ondata di mercenari sudanesi è arrivata in Libia per combattere al fianco di Khalifa Haftar contro le forze governative di Tripoli. Lo riferisce il Guardian, citando i comandanti di due formazioni mercenarie sudanesi. «Molti giovani stanno arrivando e abbiamo vari problemi logistici», afferma uno dei comandanti delle milizie sudanesi, secondo il quale ci sono già «almeno 3 mila uomini» che combattono al libro paga di Haftar e centinaia di altri starebbero per arrivare.

LA FINE DELLA GUERRA SEMPRE PIÙ LONTANA

Insieme all’influenza sempre maggiore delle potenze regionali nel Paese, le nuove ondate di mercenari rischiano di prolungare ancor di più una guerra molto lontana dal concludersi.

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La Libia non è un porto sicuro e Sarraj vuole armi

L'allarme dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite: «Tra gennaio e novembre, oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera e riportati indietro dove sono vittime di violenze e abusi». Intanto il premier ricorda la sua richiesta: «Da Roma nessuna risposta ufficiale»

Nel giorno in cui le Nazioni Unite ricordano che la Libia non è un porto sicuro, il primo ministro Fayez Sarraj sottolinea di averci chiesto armi per la guerra di Tripoli.

QUEGLI 8.600 RIPORTATI IN LIBIA

Il 23 dicembre in una nota l ‘Alto Commissariato dell’Onu per i diritti Umani (Ohchr) ha lanciato l’allarme: «Tra gennaio e novembre, oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera libica e riportati in Libia, che ovviamente non può essere considerato in nessun modo come un porto sicuro per lo sbarco». «Migranti e rifugiati in Libia «continuano a essere regolarmente sottoposti a violazioni e abusi tra cui uccisioni extragiudiziali e arbitrarie, detenzione arbitraria, sparizioni forzate, torture, violenza sessuale e di genere, rapimento per riscatto, estorsione e lavoro forzato da parte di funzionari statali, trafficanti e trafficanti », denuncia l’Onu.

SARRAJ CHIAMA L’ITALIA NON RISPONDE

Intanto il premier libico Fayez Sarraj intervistato dal Corriere della Sera ha dichiarato: «Noi avevamo chiesto le armi a tanti Paesi, inclusa l‘Italia, che pure ha diritto di scegliere la politica che più le aggrada e con cui i rapporti restano comunque ottimi. Da Roma, in verità, non sono mai giunte risposte ufficiali». «Con Di Maio – spiega Sarraj – abbiamo avuto un ricco scambio d’opinioni. Quanto invece alla sua tappa a Bengasi dal nostro aggressore (il generale Haftar, ndr) e Tobruk non ho visto alcuna sostanza, oltre a generiche dichiarazioni di amicizia che lasciano il tempo che trovano. Così, la comunità internazionale risulta divisa. Da una parte i Paesi disposti ad armare i nostri avversari-aggressori. A loro – prosegue – si contrappongono altri Paesi, tra cui l’Italia, che credono tutt’ora alla formula per cui l’unica soluzione resta il dialogo politico». «Ma si tenga a mente – sottolinea – che qui siamo sotto attacco militare, con sofferenze indicibili per la popolazione vittima di bombardamenti, morti, feriti, con centinaia di migliaia di sfollati».

TRA PUTIN, ERDOGAN, GLI USA E LA GERMANIA

Alla domanda se alla fine saranno Putin ed Erdogan a dettare le regole del gioco, risponde: «È uno scenario difficile, reso ancora più complesso dagli interventi stranieri. Non credo però che l’intera questione possa venire risolta solo dai colloqui tra Putin ed Erdogan. È un processo caratterizzato da continui contatti bilaterali e multilaterali, in cui non mancano le voci degli Stati Uniti, della Germania impegnata con l’Onu a preparare la conferenza di Berlino e degli altri partner europei. Il nostro aggressore ha già fallito. Al momento del suo improvviso attacco il 4 aprile diceva che avrebbe preso Tripoli entro 48 ore. Nove mesi dopo la guerra continua»

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Alta tensione in Libia: Erdogan pronto ad aumentare gli aiuti militari

Le truppe del generale Haftar hanno sequestrato un cargo turco e Ankara ha fatto sapere che potrebbe mandare più armi e soldati a Tripoli.

Sale alle stelle la tensione in Libia: le forze di Khalifa Haftar hanno annunciato il sequestro di un cargo con a bordo diversi marinai turchi, mentre da Ankara il presidente Recep Tayyip Erdogan afferma di essere pronto a sostenere militarmente Tripoli in ogni modo. La Turchia «può elevare il proprio sostegno militare navale, aereo e terrestre al governo legittimo libico se richiesto», ha ribadito oggi il Sultano dopo la ratifica, ad Ankara e Tripoli, dell’accordo bilaterale sulla cooperazione militare. Erdogan ha poi sottolineato che la politica turca «in Libia e Siria non cambierà», annunciando inoltre che entro il 2027 verranno schierati nel Mediterraneo sei sottomarini di nuova generazione. «Rimarremo al fianco dei nostri fratelli libici finché la pace e la sicurezza non verranno assicurate, come stiamo facendo in Siria», ha sottolineato dal canto suo il ministro della Difesa di Ankara.

SEQUESTRATO UN CARGO TURCO

Erdogan è intervenuto dopo l’incidente avvenuto davanti alle coste dell’Est libico, dove le forze navali di Haftar hanno sequestrato un cargo con equipaggio turco. «Nel corso di un pattugliamento delle acque territoriali libiche, al largo delle coste di Derna», si legge in un comunicato sulla pagina Facebook del portavoce di Haftar, al Mismari, «la Brigata navale Sussa ha sequestrato un mercantile battente bandiera di Grenada e comandato da un’equipaggio turco». La nota è a corredo di un video che mostra le fasi salienti dell’operazione. «Il cargo è stato rimorchiato al porto di Ras Lanuf per controllo e perquisizione del carico e per adottare le misure necessarie», si prosegue. A bordo, secondo quanto si è appreso, ci sarebbero almeno tre marinai turchi.

ULTIMATUM DI HAFTAR ALLE MILIZIE DI MISURATA

Le forze navali di Haftar hanno quindi annunciano lo stato di allerta massima in previsione del probabile «invio di armi e soldati dalla Turchia in forza dell’accordo con il governo» di Tripoli, bollato come l’intesa «della vergogna». «Abbiamo le forze necessarie per respingere qualsiasi violazione turca delle acque libiche», ha avvertito il generale Mahdawi. I ribelli dell’Est hanno intensificato nelle ultime 24 ore i raid aerei su Tripoli e altre città libiche, mentre giovedì scorso sono stati dieci, secondo alcune fonti, i raid contro Misurata. E alla mezzanotte scade l’ultimatum di Haftar proprio alle forze militari di Misurata, a cui è stato intimato di lasciare Tripoli e Sirte o sarà un diluvio di fuoco.

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Perché la Libia ha chiesto aiuto all’Italia e altri 4 Paesi

L'esercito di Haftar ha lanciato un ultimatum di tre giorni al governo. Che si è rivolto a noi, Regno Unito, Usa, Algeria e Turchia domandando di intervenire in difesa di Tripoli.

La richiesta è stata lanciata dal palcoscenico più autorevole della comunità internazionale, diretta all’Italia e ad altri quattro Paesi, tra cui non a caso non figura la Francia di Emmanuel Macron. Il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, ha chiesto a Italia, Usa, Regno Unito, Algeria e Turchia di «attivare gli accordi di cooperazione di sicurezza» per «respingere l’attacco a Tripoli, condotto da qualsiasi gruppo armato». Sarraj ha inoltre chiesto ai cinque Paesi di «cooperare con il governo di accordo nazionale nella lotta alle organizzazioni terroristiche», all’immigrazione clandestina e ai trafficanti di esseri umani.

L’ULTIMATUM DI HAFTAR: VERSO LA BATTAGLIA SU MISURATA

Contemporaneamente Ahmed al Mismari, il portavoce dell’ esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar ha lanciato in un video sul canale facebook dell’ Lna un ultimatum. Tre giorni al massimo, con scadenza alla mezzanotte di domenica 22 dicembre perchè Misurata ritiri «le proprie milizie da Tripoli e Sirte». «Prendere per obiettivo Misurata proseguirà ogni giorno senza sosta e in maniera intensiva, senza precedenti, se Misurata non ritirerà le sue milizie da Tripoli e Sirte al massimo in tre giorni, con scadenza domenica a mezzanotte», ha detto Mismari.

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Il disastro di Conte e Di Maio all’ombra della crisi libica

Il premier e il suo ministro non si sono accorti che il quadro nel Paese è radicalmente cambiato. E lasciando strada a Russia e Turchia condannano l'Italia all'irrilevanza.

In una guerra combattuta solo chi combatte armi alla mano può trovare una soluzione politica. Purtroppo né il dilettante Luigi di Maio, né “l’avvocato del popolo” Giuseppe Conte se ne rendono minimamente conto e continuano a cercare una “soluzione politica” per il caos libico, sostanzialmente parlando d’altro, senza neanche accorgersi che il quadro libico è radicalmente cambiato. Pure, Fayez al Serraj il 17 dicembre a Tripoli è stato molto chiaro e a un Di Maio che continuava a fantasticare di una soluzione politica ha bruscamente ricordato che il suo governo ormai è in guerra –guerra vera- che non ha nessuna intenzione di soccombere. E siccome abbisogna di armi le chiede a chi gliele vuol dare: la Turchia.

PRIMA LA BATTAGLIA DI TRIPOLI, POI LA SOLUZIONE POLITICA

La “soluzione politica” verrà solo quando e se la battaglia di Tripoli sarà vinta e Khalifa Haftar se ne tornerà sconfitto a Bengasi. Non prima. E di Maio è affogato nelle sue frasi vuote. Di Maio e Conte hanno una sola scusante: la diafana inconsistenza di un’Unione europea che continua a convocare vertici inutili lasciando tutto lo spazio reale di intervento ai due nuovi “domini” della Libia: la Russia e la Turchia. Approfittando del lassismo europeo e del disinteresse europeo e italiano (Conte si occupò direttamente di Libia nel lontano dicembre 2018, poi più nulla, Di Maio se ne occupa solo ora, con quattro mesi di ritardo), Vladimir Putin e Tayyip Erdogan hanno modificato radicalmente lo scenario libico. Hanno inviato forze militari rispettivamente a Bengasi e a Tripoli che hanno chiuso la lunga fase durata otto anni che vedeva gli avversari, le etnie e le tribù libiche schierate con Bengasi o con Tripoli, in un sostanziale equilibrio. Si è aperta una fase di guerra guerreggiata con escalation da tutte le due parti garantite dai due padrini esterni: Mosca e Ankara, i veri, nuovi, protagonisti della crisi libica.

LE MOSSE DI MOSCA E ANKARA

I finanziamenti russi ad Haftar che gli permettono di assoldare 18 mila miliziani subsahariani e le centinaia di contractor russi della agenzia Wagner dell’amico personale di Putin Evgheni Prighozin –straordinari combattenti- gli hanno finalmente consentito di penetrare dentro Tripoli, dopo che la sua offensiva iniziata ad aprile si era incagliata. Di contro, il governo di Tripoli di al Sarraj ha contrastato questa escalation militare e siglato il 27 novembre un patto sulle acque territoriali con Erdogan, a seguito del quale la Turchia ha inviato efficienti droni di combattimento e un nutrito drappello di militari, comandati dal generale turco Irfan Tur Ozsert e inviato gli efficienti droni-bombardieri Bayraktar (prodotti dal genero di Erdogan).

L’escalation russo-turca si sviluppa con forza, pur senza strappi, ma a tutto vantaggio di Haftar

L’escalation russo-turca si sviluppa con forza, pur senza strappi, ma a tutto vantaggio di Haftar, che è penetrato dentro Tripoli, a soli nove chilometri dalla piazza dei Martiri, e che avanza lentamente solo perché non ha uomini sufficienti per presidiare stabilmente i quartieri conquistati. Al Sarraj per ora non ha richiesto a Erdogan l’invio dei promessi 5 mila militari turchi, ma non è escluso affatto che non lo faccia un domani prossimo a fronte di una sconfitta oggi probabile. Con tutta evidenza è in atto una trattativa politica, che però esclude drasticamente sia l’Italia che l’Europa, ed è quella in corso esclusivamente tra Putin ed Erdogan, che si parlano quasi quotidianamente e si accingono a decidere le sorti del conflitto, forse dopo una ulteriore e definitiva escalation, quella sanguinosa “battaglia per Tripoli” che lo stesso inviato dell’Onu Ghassan Salamè ha annunciato come più che possibile e imminente.

IL DISASTRO DELL’ITALIA (E DELL’EUROPA)

Insomma, vi sono tutti i segni del fatto disastroso che ormai l’Italia non conta più nulla in Libia –per responsabilità diretta di Conte e anche di Di Maio- che sempre più i giochi verranno decisi solo ed esclusivamente tra Mosca e Ankara. Con buona pace dell’imbelle Europa. Un disastro epocale che matura peraltro nel tombale silenzio complice di un Pd che pure solo due anni fa aveva in Marco Minniti il “dominus” della crisi libica.

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Di Maio non vede che Tripoli sta per cadere in mano russa

La crisi libica mette in risalto tutta l'inadeguatezza del ministro degli Esteri. Troppo preso dalle grane interne al M5s per accorgersi che l'Italia si sta condannando all'ininfluenza.

L’inesperienza e l’insipienza di Luigi di Maio – e del premier Giuseppe Conte – hanno ormai espulso l’Italia da un qualsiasi ruolo nella crisi libica. Il ministro degli Esteri infatti si muove all’insegna di un dogma: «Non esiste soluzione militare: rinnoviamo l’impegno dell’Italia per una soluzione pacifica». Ma il punto è che invece proprio la soluzione militare si sta imponendo con l’imminente conquista armata di Tripoli da parte del generale Khalifa Haftar. L’allarme non è nostro, ma è stato lanciato con toni drammatici dallo stesso inviato dell’Onu Ghassam Salamé che ha dato per certa la caduta di Tripoli, non grazie alla abilità militare di Haftar (che non ha mai vinto né una guerra né una battaglia), ma come conseguenza ovvia della decisione strategica della Russia di Vladimir Putin di gettare nella battaglia attorno alla capitale libica la potente forza d’urto di 1.400-2.000 mercenari della Organizzazione Wagner –una macchina da guerra efficientissima- che stanno facendo capitolare le difese delle milizie di Misurata.

L’ANNUNCIO DI ERDOGAN E LA MINACCIA DI HAFTAR

L’imporsi imminente di una drammatica soluzione militare è tale che immediata e speculare è stata la reazione del presidente turco Tayyp Erdogan che ha annunciato che –su richiesta del governo legittimo di Fayez al Serraj– è pronto a inviare a Tripoli una forza di 5 mila militari per garantirne la difesa. Il governo di al Serraj ha immediatamente accolto con favore questa opzione. Anche Haftar ha preso sul serio questa opzione, tanto che ha minacciato «di affondare tutte le navi turche che portino soldati in Libia». Tuoni crescenti di guerra. Dunque, lo stallo della guerra civile libica che dura da anni, ha avuto una improvvisa accelerazione bellica dovuta alla decisione di Putin di applicare il “modulo ucraino”: un forte e determinante impegno militare russo affidato non già a truppe regolari (come in Siria), ma grazie agli “uomini verdi”, ex membri delle Forze speciali russe –formidabili combattenti reduci dal conflitto ceceno- inquadrati in una organizzazione privata, ma funzionale alla politica di Putin e coordinata col Cremlino.

DI MAIO SI GUARDA BENE DAL VOLARE A MOSCA E AD ANKARA

Il governo italiano non ha minimamente preso atto di questo drammatico cambiamento di scenario e ha rifiutato di compiere l’unica mossa indispensabile se vuole continuare a giocare in Libia: un intervento diplomatico diretto sulla Russia (e sulla Turchia). Ma Di Maio –preso come è dalle grane interne al M5s– si guarda bene dal volare a Mosca e ad Ankara. Pure, vi sarebbe un ampio spazio di manovre diplomatica per il nostro Paese. Putin ed Erdogan, infatti, hanno ampiamente dimostrato in Siria che –pur con interessi a volte divergenti- sono in grado di mediare le proprie strategia. Sono in contatto telefonico sulla crisi libica e si apprestano ad un vertice l’8 gennaio. L’Italia ha (avrebbe) tutti i titoli per inserirsi in questa dinamica di trattativa su Tripoli. Ma dà segno di non essersi nemmeno accorta che la propria visione del conflitto è scaduta, che i vertici non servono a nulla quando è la forza delle armi che determina i rapporti di forza. Un esempio raro e drammatico di dilettantismo.

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Haftar risponde a Erdogan: «In Libia è l’ora delle armi»

Il generale della Cirenaica reagisce all'ipotesi di un sostegno militare turco ad al Sarraj: «Il tempo dei colloqui diplomatici è finito». La Marina libica ha l'ordine di affondare le navi di Ankara.

Alle ipotesi interventiste del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il generale Khalifa Haftar ha risposto affermando che per la Tripoli delle milizie che appoggiano il premier Fayez al-Sarraj non c’è soluzione politica, ma solo militare: visto che Ankara sta per inviare i suoi blindati, è l’ora delle armi e non delle conferenze diplomatiche, a Berlino o altrove. E qualsiasi nave turca dovesse passare davanti a Bengasi per portare soldati in Libia verrà affondata. Haftar ha mandato avanti per dirlo il portavoce del sedicente Esercito nazionale libico (Lna), di cui è comandante generale: «Il tempo dei colloqui diplomatici è finito, ora è il tempo dei fucili», ha scandito Ahmed al-Mismari al megafono panarabo della tv al-Arabiya.

LA CONFERENZA DI BERLINO VERSO IL NAUFRAGIO

Un nuovo siluro contro i pazienti sforzi che la cancelleria tedesca sta profondendo per mettere attorno a un tavolo la comunità internazionale e soprattutto i Paesi (l’Onu ne conta una decina) che ingeriscono nella crisi libica rendendola ormai una classica guerra per procura. Del resto, come ribadito più volte da Mismari, è dall’inizio dell’attacco a Tripoli dell’aprile scorso che il generale considera solo l’opzione militare contro le milizie filo-Sarraj, ai suoi occhi «terroriste» nonostante il premier sia riconosciuto dall’Onu.

IL PORTAVOCE DI HAFTAR: «LA TURCHIA INVIA I BLINDATI»

Il portavoce ha rivelato di avere informazioni secondo le quali la Turchia si appresta ad inviare altri blindati in Libia facendoli atterrare all’aeroporto tripolino Mitiga che riapre proprio nelle prossime ore. E alimentando il clima di tensione, il capo di stato maggiore della Marina militare libica, l’ammiraglio Farag El Mahdawi, ha reso noto di avere in tasca l’ordine di Haftar di «affondare qualsiasi nave turca si avvicini all’area». Il fuoco verbale di sbarramento è una diretta risposta a Erdogan, impegnato assieme al Qatar nell’appoggio a Tripoli estendendo così in Nord Africa la faglia che lo contrappone al fronte egitto-saudita-emiratino alleato di Haftar.

ERDOGAN PRONTO A MANDARE TRUPPE SUL TERRENO

Il presidente turco martedì aveva dichiarato che «se la Libia ce lo chiedesse, saremmo pronti a mandare» truppe, come del resto già apertamente auspicato da Sarraj. La base dell’invio sono le controverse intese di «cooperazione militare e di sicurezza» marittima firmate a fine novembre da Erdogan a Istanbul assieme a Sarraj. «Non abbiamo condiviso gli accordi con la Turchia che, a nostro parere, non sono legittimi perché hanno definito limiti marittimi senza coinvolgere la Grecia. La priorità in Libia resta quella della stabilità», ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. E anche i vertici Ue, secondo indiscrezioni, si preparerebbero a dichiarare l’accordo Ankara-Tripoli contrario alle leggi internazionali. Nel complesso dunque nuova instabilità in un Paese che è l’imbuto della migrazione africana e che, come ha appena segnalato un rapporto dell’Onu, l’Isis ha dichiarato «uno dei principali assi» delle proprie operazioni future.

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I temi al centro dell’incontro fra Di Maio e Lavrov

Il ministro degli Esteri ha chiesto all'omologo russo di rimuovere le sanzioni sul parmigiano reggiano. E sulla Libia ha invitato Mosca ad agire nell'alveo della Conferenza di Berlino.

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha incontrato a Roma Sergej Lavrov, capo della diplomazia russa. Tanti i temi al centro del bilaterale: dalla guerra in Libia alle sanzioni che l’Unione europea ha imposto alla Russia, passando per le contromisure di Mosca che hanno colpito, tra le altre cose, anche le esportazioni italiane di parmigiano reggiano.

ITALIA PREOCCUPATA PER L’ESCALATION MILITARE IN LIBIA

«Questo confronto conferma l’importanza della Russia per l’Italia come interlocutore fondamentale», ha detto Di Maio nella conferenza stampa finale, «ho rappresentato al ministro Lavrov le nostre preoccupazioni per l’intensificarsi della guerra civile in Libia, ribadendo che per noi non esiste una soluzione militare».

SUL CAMPO INTERESSI DIVERGENTI

Mosca, tuttavia, appoggia il generale Khalifa Haftar e sarebbe presente sul campo con alcune migliaia di mercenari: una scelta opposta rispetto a quella fatta da Roma, che al contrario sostiene il governo del premier Fayez al-Serraj. In Libia, ha detto non a caso Di Maio, ci sono «troppe interferenze, mentre ogni iniziativa dovrebbe entrare nell’alveo della Conferenza di Berlino. Non perché ci sia una presunzione di superiorità europea, ma perché se tutti sono impegnati a lavorare sul cessate il fuoco è importante non promuovere fughe in avanti».

LA STOCCATA DI LAVROV ALLA NATO

Lavrov, intervenendo ai Med Dialogues, non ha risparmiato una stoccata all’Alleanza atlantica: «In Libia la Nato ha svolto un’avventura pericolosa, che ha avuto un impatto negativo sull’economia del Paese. Solo con un dialogo inclusivo e internazionale si potrà risolvere la crisi. Plaudiamo all’iniziativa della cancelliera Merkel, che ha organizzato la Conferenza di Berlino per proseguire quella di Parigi e quella di Palermo» Ma la Conferenza di Berlino «ci ha meravigliato perché non sono state invitate le parti libiche e i Paesi vicini, quindi in questo senso è stata un’occasione persa. Spero che in futuro vengano fatti passi in avanti con un approccio più inclusivo».

UNA «RIFLESSIONE POLITICA» SULLE SANZIONI EUROPEE

Quanto alle sanzioni europee in risposta alle azioni russe contro l’integrità territoriale dell’Ucraina, Di Maio ha detto che l’Italia «si muove nel solco dell’Unione europea», ma vuole «promuovere una riflessione politica che preveda gli effetti sulle nostre aziende delle sanzioni e delle contromisure russe».

IL DOSSIER PARMIGIANO

Allo stesso tempo «servono passi avanti sugli accordi di Minsk, fondamentali per riuscire a scongelare la situazione». Il titolare della Farnesina ha quindi chiesto a Lavrov di «rimuovere le sanzioni sul parmigiano reggiano», perché a suo giudizio «non rientrano nei parametri di quelle ideate nei confronti dell’Unione europea». Una mossa spendibile anche in ottica elettorale, visto che in Emilia-Romagna si vota il 26 gennaio. Il leader del M5s ha infine annunciato che a luglio sarà in Russia per ricambiare la visita diplomatica e per partecipare all’Innoprom, la fiera sulla tecnologia.

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I temi al centro dell’incontro fra Di Maio e Lavrov

Il ministro degli Esteri ha chiesto all'omologo russo di rimuovere le sanzioni sul parmigiano reggiano. E sulla Libia ha invitato Mosca ad agire nell'alveo della Conferenza di Berlino.

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha incontrato a Roma Sergej Lavrov, capo della diplomazia russa. Tanti i temi al centro del bilaterale: dalla guerra in Libia alle sanzioni che l’Unione europea ha imposto alla Russia, passando per le contromisure di Mosca che hanno colpito, tra le altre cose, anche le esportazioni italiane di parmigiano reggiano.

ITALIA PREOCCUPATA PER L’ESCALATION MILITARE IN LIBIA

«Questo confronto conferma l’importanza della Russia per l’Italia come interlocutore fondamentale», ha detto Di Maio nella conferenza stampa finale, «ho rappresentato al ministro Lavrov le nostre preoccupazioni per l’intensificarsi della guerra civile in Libia, ribadendo che per noi non esiste una soluzione militare».

SUL CAMPO INTERESSI DIVERGENTI

Mosca, tuttavia, appoggia il generale Khalifa Haftar e sarebbe presente sul campo con alcune migliaia di mercenari: una scelta opposta rispetto a quella fatta da Roma, che al contrario sostiene il governo del premier Fayez al-Serraj. In Libia, ha detto non a caso Di Maio, ci sono «troppe interferenze, mentre ogni iniziativa dovrebbe entrare nell’alveo della Conferenza di Berlino. Non perché ci sia una presunzione di superiorità europea, ma perché se tutti sono impegnati a lavorare sul cessate il fuoco è importante non promuovere fughe in avanti».

LA STOCCATA DI LAVROV ALLA NATO

Lavrov, intervenendo ai Med Dialogues, non ha risparmiato una stoccata all’Alleanza atlantica: «In Libia la Nato ha svolto un’avventura pericolosa, che ha avuto un impatto negativo sull’economia del Paese. Solo con un dialogo inclusivo e internazionale si potrà risolvere la crisi. Plaudiamo all’iniziativa della cancelliera Merkel, che ha organizzato la Conferenza di Berlino per proseguire quella di Parigi e quella di Palermo» Ma la Conferenza di Berlino «ci ha meravigliato perché non sono state invitate le parti libiche e i Paesi vicini, quindi in questo senso è stata un’occasione persa. Spero che in futuro vengano fatti passi in avanti con un approccio più inclusivo».

UNA «RIFLESSIONE POLITICA» SULLE SANZIONI EUROPEE

Quanto alle sanzioni europee in risposta alle azioni russe contro l’integrità territoriale dell’Ucraina, Di Maio ha detto che l’Italia «si muove nel solco dell’Unione europea», ma vuole «promuovere una riflessione politica che preveda gli effetti sulle nostre aziende delle sanzioni e delle contromisure russe».

IL DOSSIER PARMIGIANO

Allo stesso tempo «servono passi avanti sugli accordi di Minsk, fondamentali per riuscire a scongelare la situazione». Il titolare della Farnesina ha quindi chiesto a Lavrov di «rimuovere le sanzioni sul parmigiano reggiano», perché a suo giudizio «non rientrano nei parametri di quelle ideate nei confronti dell’Unione europea». Una mossa spendibile anche in ottica elettorale, visto che in Emilia-Romagna si vota il 26 gennaio. Il leader del M5s ha infine annunciato che a luglio sarà in Russia per ricambiare la visita diplomatica e per partecipare all’Innoprom, la fiera sulla tecnologia.

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La crisi libica si complica, l’Italia batta un colpo

Mentre il conflitto continua e le ingerenze di Russia e Usa si fanno più concrete, sarebbe indispensabile che il nostro Paese si ponesse in prima fila in un’azione politico-diplomatica. Di Maio ne sarà capace?

La Libia torna vistosamente alla ribalta internazionale: per l’abbattimento di due droni, uno statunitense e uno italiano, per il faro che vi hanno acceso gli incontri Usa con Khalifa Haftar e Fayez al Serraj, per le accuse di destabilizzazione rivolte alla Russia, per le attese riposte nella Conferenza alla quale stanno lavorando i tedeschi.

Non invece per gli sbarchi sulle nostre coste dei migranti provenienti dalla Libia che hanno dominato il dibattito politico nostrano, lasciando che rimanesse preda delle nebbie di una vaga laconicità osservata dalla Difesa in merito alla scomparsa del nostro drone: «Nella giornata odierna è stato perso il contatto con un velivolo a pilotaggio remoto dell’Aeronautica MilitareMQ9 Reaper (Predator B) – successivamente precipitato sul territorio libico. Il velivolo, che svolgeva una missione a supporto dell’operazione Mare Sicuro, seguiva un piano di volo preventivamente comunicato alle autorità libiche (Tripoli). Sono in corso approfondimenti per accertare le cause dell’evento».

Da allora il silenzio; anche in risposta alla dura reprimenda del portavoce dell’Esercito nazionale libico Ahmed al-Mesmari che nello stesso giorno bollava il volo (area di Tarhuna, roccaforte del generale Haftar a una 70ina di chilometri da Tripoli) come «una violazione dello spazio aereo e della sovranità della Libia». Si è probabilmente voluto evitare di incorrere in ritorsioni suscettibili di mettere a repentaglio il nostro contingente a Misurata anche se altrettanto verosimilmente è stato letto come un segnale di debolezza di cui tenere conto,

CAMBIA IL RAPPORTO DEGLI USA CON HAFTAR

Conforta comunque sapere che il nostro governo si occupa della Libia, e lo fa non solo in relazione al fenomeno migratorio, che pure è un problema per noi importante, ma anche alla sfibrante conflittualità che la attraversa e alle minacce che ne stanno derivando sul terreno della sicurezza di fronte a un riaffiorante terrorismo – dell’Isis ma anche di Ansar al Sharia – che sta investendo un po’ tutta l’area saheliana. Si tratta di una conflittualità che sta inducendo anche gli Usa ha riposizionare il proprio faro su questo Paese anche in termini pubblici. E ciò sia con una robusta sollecitazione al generale Haftar venuta dal Dipartimento di Stato a cessare le operazioni su Tripoli sia con un monito alla Russia di «non sfruttare il conflitto» contro la volontà del popolo libico.

Una serie di indicazioni che stanno facendo emergere un accresciuto supporto militare russo, con attrezzature e mercenari, a fianco di Haftar

Un linguaggio, quello rivolto ad Haftar, ben diverso dal “riconoscimento” della Casa Bianca rivolto da Donald Trump al generale nell’aprile del 2019 per il suo ruolo nella lotta al terrorismo con la cosiddetta operazione Dignità che aveva indotto più di un osservatore a leggere in quel giudizio una sorta di sganciamento da Serraj, il capo del governo riconosciuto internazionalmente, a favore dell’uomo forte della Cirenaica.

Da sinistra, Giuseppe Conte e Haftar.

Un linguaggio che ha segnalato e sta segnalando una rinnovata preoccupazione Oltreoceano per una serie di indicazioni che stanno facendo emergere un accresciuto supporto militare russo, con attrezzature e mercenari, a fianco di Haftar. E forse non è un caso se più o meno in contemporanea un giudice del Tribunale di Stato della Virginia ha emesso un mandato d’arresto contro Khalifa Haftar – che ha anche la cittadinanza americana – per crimini di guerra.

IL RUOLO DELLA RUSSIA PER SOSTENERE IL GENERALE

Su questo sfondo ha colto di sorpresa l’annuncio di Mesmari, portavoce del generale, dell’imposizione di una no fly zone «sopra e intorno all’area delle operazioni militari dentro e intorno a Tripoli». Intanto perché solo Serraj (Tripoli) avrebbe una legittimazione a decretare una misura del genere; poi perché non risulta che quest’ultimo disponga dei mezzi necessari per garantirne il rispetto e infine perché dalla no fly zone sarebbe escluso l’aeroporto di Mitiga, l’unico funzionante nella zona anche se provvisoriamente chiuso per le vicende belliche vi si stanno sviluppando.

L’accusa mossa alla Russia da David Shenker è di aver dispiegato in Libia regolari forze militari in numero significativo per sostenere l’attacco a Tripoli di Haftar

Si tratta di un annuncio che prelude a un’avanzata sulla capitale o semplicemente un segnale di vitalità del contingente armato? Vi ha fatto seguito un incontro svoltosi tra lo stesso Haftar e una delegazione americana di alto livello (vice consigliere per la sicurezza in Medio Oriente e rappresentanti dello stesso Dipartimento di Stato, dell’Energia e delle forze armate) per «discutere i passi necessari per giungere ad una sospensione delle ostilità e una soluzione politica al conflitto libico», sottolineando il pieno supporto degli Stati Uniti a favore della sovranità e integrità territoriale della Libia e la loro preoccupazione per l’azione della Russia.

Vladimir Putin.

Azione che a stretto giro di posta è stata seguita dall’accusa mossa sempre alla Russia da David Shenker, l’Assistant Secretary del Dipartimento di Stato per il vicino oriente, di aver dispiegato in Libia regolari forze militari in numero significativo per sostenere l’attacco a Tripoli del generale Haftar, sottolineandone l’effetto altamente destabilizzante anche perché destinato a provocare un gran numero di vittime civili.

LA CONFERENZA SULLA LIBIA E GLI INTERESSI DELL’ITALIA

Intanto prosegue il lavoro di preparazione della Conferenza sulla Libia da parte tedesca. Con determinazione, ma anche con una punta di scetticismo per l’ostentata negatività che si manifesta da parte dei più stretti collaboratori di Haftar che continuano a dichiarare che non c’è possibilità di alcuna soluzione politica, essendo quella militare ormai l’unica praticabile.

Sarebbe davvero indispensabile che l’Italia, bilateralmente e in seno all’Ue finalmente rinnovata nei sui vertici, si ponesse in prima fila in un’azione politico-diplomatica

Sarà proprio così? Difficile dire, stante le obiettive difficoltà in cui versano entrambi gli schieramenti e il peso della delusione/frustrazione degli sponsor di Haftar per una guerra che doveva portare in un lampo alla conquista di Tripoli e che dopo sette mesi versa al contrario in uno stallo dal quale nessuna vittoria militare di uno dei due contendenti sull’altro sembra a portata di mano. A meno che, beninteso, non intervenga la classica “mossa del cavallo”, cioè un deciso intervento esterno che nelle condizioni date avrebbe un esito dirompente.

Luigi Di Maio.

Stando così le cose, sarebbe davvero indispensabile che l’Italia, bilateralmente e in seno all’Unione europea finalmente rinnovata nei sui vertici, si ponesse in prima fila in un’azione politico-diplomatica bilaterale e multilaterale volta a far prevalere le ragioni del negoziato per la stabilizzazione della Libia che stanno alla base della Conferenza in preparazione ad opera della Germania. Non dimentichiamoci mai che in Libia abbiamo anche forti interessi energetici. Ma è lecito chiedersi se il nostro ministro degli Esteri saprà/vorrà muoversi con la necessaria tempestività in tale direzione.

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Giacimento dell’Eni chiuso in Libia a causa dei combattimenti

Attività sospese a El Feel. Le forze fedeli al premier Sarraj e quelle del generale Haftar si stanno scontrando nel Sud del Paese.

Il giacimento di El Feel che si trova nei pressi di Sabha, nel Sud della Libia, è stato chiuso a causa dei combattimenti in corso tra le forze fedeli al governo di Tripoli, presieduto dal premier Fayez al-Sarraj, e quelle del generale Khalifa Haftar. Il giacimento è gestito dall’Eni e dalla Noc, la compagnia petrolifera nazionale libica. Le attività saranno sospese fino al termine delle operazioni militari.

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Un drone italiano è precipitato in Libia

Lo ha comunicato lo Stato maggiore della Difesa. Il velivolo svolgeva una missione a supporto dell'operazione Mare sicuro. Approfondimenti in corso per accertare le cause.

Un drone militare italiano è precipitato il 20 novembre in Libia. Lo ha comunicato lo Stato maggiore della Difesa, spiegando che è stato perso «il contatto con un velivolo a pilotaggio remoto dell’Aeronautica militare, successivamente precipitato sul territorio libico».

APPROFONDIMENTI PER ACCERTARE LE CAUSE

Il velivolo, «che svolgeva una missione a supporto dell’operazione Mare sicuro, seguiva un piano di volo preventivamente comunicato alle autorità libiche», ha aggiunto la Difesa. Sono in corso approfondimenti per accertare le cause.

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«Patto segreto sui migranti tra Libia e Malta»

Secondo i media della Valletta, l'intesa prevede che le forze armate dell'isola segnalino alle motovedette di Tripoli le imbarcazioni in viaggio per riportarle indietro. Alarm Phone: «Così si impedisce di fuggire da una zona di guerra».

Un accordo segreto tra Malta e Libia, per un coordinamento tra le forze armate dell’isola – la Marina in particolare – e la controversa Guardia costiera di Tripoli. L’intesa, secondo il quotidiano Times of Malta, prevede che i barconi dei migranti vengano segnalati dalla Marina maltese alle motovedette libiche prima che facciano ingresso nelle acque della Valletta, affinché vengano intercettati e riportati indietro. Per Alarm Phone si tratta di un fatto gravissimo, perché l’accordo «impedisce alle persone di fuggire da una zona di guerra e viola le convenzioni internazionali sui diritti umani»

UN INCONTRO IMBARAZZANTE

Il sito web del Times of Malta ha pubblicato la foto di un incontro tra il colonnello maltese Clinton O’Neil, capo delle forze armate e dell’intelligence militare, e il vicepremier libico Ahmed Maiteeq, organizzato dall’ambasciatore maltese a Tripoli. In primo piano appare un membro del Gabinetto del primo ministro maltese, Neville Gafà, più volte accusato di corruzione per il rilascio di visti per ragioni mediche concessi in modo irregolare. Secondo il quotidiano, Gafà si sarebbe accreditato come «inviato speciale del premier Joseph Muscat». Nel 2018 fu costretto ad ammettere di aver avuto un incontro con Hajthem Tajouri, leader di una milizia che gestisce un campo privato di detenzione per migranti e il racket delle estorsioni.

CITATE FONTI GOVERNATIVE DI ALTO LIVELLO

Secondo fonti governative di alto livello citate dal Times of Malta, i primi contatti tra la Valletta e Tripoli risalirebbero proprio al 2018. Ma adesso l’isola avrebbe concluso un accordo segreto vero e proprio: «Quando un’imbarcazione si dirige verso le nostre acque, le forze armate maltesi si coordinano con i libici. Il barcone viene intercettato e riportato indietro, prima che diventi di nostra competenza», hanno detto le fonti, aggiungendo che senza questo accordo l’isola verrebbe «sommersa dai migranti».

LA REPLICA DEL GOVERNO MALTESE

Un portavoce del Gabinetto del primo ministro maltese ha replicato affermando che incontri bilaterali con i libici avvengono continuamente. Malta «rispetta sempre» le convenzioni e le leggi internazionali, e l’Unione europea «è contro l’ostruzione delle operazioni condotte dalla Guardia costiera libica, finanziata e addestrata dall’Unione europea stessa per sostenere la gestione dei migranti e combattere il traffico di esseri umani».

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Lamorgese difende il memorandum firmato con la Libia

La ministra ha tenuto al sua informativa alla Camera e difeso l'intesa del 2017. Ma ha aperto a possibili modifiche e alla creazione di corridoi umanitari.

Il Memorandum of understanding siglato il 2 febbraio 2017 con la Libia ha contribuito a far calare i flussi migratori ed i morti in mare; ora va però cambiato per migliorare le condizioni dei centri per migranti con l’obiettivo di una loro graduale chiusura per far posto a strutture gestite direttamente dall’Onu.

Lo ha detto la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, nella sua informativa alla Camera, sottolineando che la proposta italiana di rivedere il testo «è stata immediatamente e favorevolmente accolta» da Tripoli. Critico Matteo Orfini (Pd), che ha definito «imbarazzante ed ipocrita» l’intervento della ministra.

All’attacco anche il dem Fausto Raciti: «ha mancato del tutto il punto: quello del rispetto dei diritti umani. Se parti dall’idea che nei campi libici ci siano ospiti e non prigionieri, persone torturate e donne che subiscono violenza, allora il resto viene di conseguenza». Per Erasmo Palazzotto (Leu) va bene rivedere il MoU, ma serve la «chiusura immediata» dei centri. Riccardo Magi (+Europa) ha definito il sistema libico «non riformabile» e sollecitato «un piano di evacuazione e una nuova missione di salvataggio nel Mediterraneo». Gennaro Migliore (Iv) ha aperto alla rinegoziazione dell’accordo.

LA SPINTA A RINNOVARE L’INTESA FINO AL 2023

Lamorgese ha sottolineato che «al momento della sottoscrizione del Memorandum le dimensioni dei flussi erano senz’altro preoccupanti. Oggi», ha sottolineato, «sebbene la situazione sia ben diversa, sarebbe ingiustificabile un calo di attenzione sulle dinamiche migratorie che continuano a interessare il nostro Paese». L’intesa deve dunque proseguire per un altro triennio, anche perchè «ha svolto un ruolo importante per evitare l’isolamento delle autorità libiche e per coinvolgerle in comuni strategie per il contrasto al traffico di esseri umani».

ALLARME INFILTRAZIONI JIHADISTE TRA I MIGRANTI

Ora si punta ad un salto di qualità delle strutture di detenzione (in Libia l’immigrazione illegale è un reato punito con il carcere), nonostante, ha riconosciuto il ministro, «le difficili condizioni generali di insicurezza del Paese, che rischiano di facilitare l’opera di gruppi criminali impegnati nel traffico di esseri umani, anche con il rischio di infiltrazioni di jihadisti tra i migranti che giungono sulle nostre coste». Il conflitto in corso peraltro ha messo sulla linea del fronte anche i centri per migranti. L’obiettivo, per l’Italia, ha puntualizzato Lamorgese, «dovrà essere quello di migliorarne le condizioni, in vista della graduale chiusura di quelli attualmente esistenti, favorendo l’intervento volto alla loro trasformazione, concordata con le autorità libiche, per giungere progressivamente a prevedere centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite».

LE POSSIBILI MODIFICHE VOLUTE DAL GOVERNO

Altri punti da inserire nel rinnovato accordo, per la ministra, sono il rafforzamento dei corridoi umanitari, coinvolgendo altri Paesi europei e con il finanziamento Ue, il potenziamento della capacità di sorveglianza dei confini meridionali della Libia, nonchè il piano di sostegno alle municipalità libiche, con la distribuzione di apparecchiature mediche, materiale sanitario, materiale per scuole e farmaci. Se Tripoli ha risposto subito alla nota verbale italiana manifestando disponibilità a rivedere l’intesa, dal fronte che combatte il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, è arrivato un avvertimento. L’Italia e l’Europa «non hanno alcun vantaggio» a sostenere il governo di Tripoli, perché la capitale «è in mano alle milizie e finché sarà così arriveranno i barconi sulle vostre coste», ha detto Abdulahdi Ibrahim Lahweej, ‘ministro degli Esteri’ del governo dell’est libico, quello di Khalifa Haftar, non riconosciuto a livello internazionale.

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La Russia a gamba tesa in Libia manda 200 mercenari ad Haftar

Il Cremlino ha inviato i miliziani privati del gruppo Wagner in aiuto al maresciallo che cerca di far cadere il governo Sarraj. Mosca ha già impiegato l'agenzia in Siria, Ucraina, Africa e Venezuela.

Il Cremlino preme l’acceleratore nella crisi libica al fianco del generale Khalifa Haftar: nelle ultime sei settimane sono stati inviati circa 200 mercenari russi, tra cui cecchini esperti, appartenenti al gruppo Wagner di Yevgheni Prigozhin, lo ‘chef di Putin‘ incriminato dagli Usa per le interferenze nelle presidenziali e sanzionato per la guerra nell’Ucraina orientale. Lo scrive il New York Times. Inconfondibile la firma: l’uso di proiettili che non escono dal corpo, come nell’Ucraina orientale.

LA CAMPAGNA DI INFLUENZA RUSSA IN MEDIO ORIENTE

L’arrivo dei mercenari è parte dell’ampia campagna del Cremlino per riaffermare la sua influenza nel Medio Oriente e in Africa, dopo aver fornito jet Sukhoi, coordinato attacchi missilistici e di artiglieria, spiega il Nyt, che cita fonti libiche ed europee. «È esattamente la stessa cosa successa in Siria», dichiara Fathi Bashagha, ministro dell’interno del governo provvisorio di Tripoli, rievocando la guerra civile siriana. E, come in Siria, i partner locali che si erano alleati con gli Usa per combattere l’Isis ora si lamentano di essere stati abbandonati o traditi.

L’IMPATTO PESANTE DEI MERCENARI

La battaglia sul terreno è tra milizie con meno di 400 combattenti che si fronteggiano in un pugno di distretti alla periferia Sud di Tripoli e quindi l’arrivo di 200 professionisti russi potrebbe avere un impatto forte, secondo alcuni diplomatici. Tra l’altro dirigenti di Tripoli prevedono che Mosca porterà altri mercenari entro la fine della settimana.

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