La parabola di Rivera, grande sconfitto delle elezioni in Spagna

Dall'etichetta di uomo nuovo all'addio alla politica. Giravolte e contraddizioni del leader di Ciudadanos.

Nel 2015 era l’uomo nuovo, etichettato da più parti come il «Matteo Renzi di Spagna». Quattro anni – e quattro elezioni – più tardi, Albert Rivera è il grande sconfitto dell’agone politico a Madrid. All’indomani del voto che ne ha sancito la debacle, il presidente di Ciuadanos ha lasciato la guida del partito e, con essa, la politica. «Voglio essere felice», ha detto l’11 novembre in conferenza stampa, «lo sono stato, però adesso lo sarò fuori dalla politica».

UN’EMORRAGIA DA 2,5 MILIONI DI VOTI

Negli ultimi sette mesi, la formazione nata nel 2005 in Catalogna e poi apertasi a tutto il Paese ha perso 47 seggi: dai 57 di aprile ai 10 di novembre. Un’emorragia da circa 2,5 milioni di voti. Il partito naranja è ora sesto per consenso a livello nazionale, superato dall’ultradestra di Vox, da Unidas Podemos e dai nemici giurati di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc); è addirittura ottavo a Barcellona, dove mosse i primi passi e raccolse i primi applausi. «Mi dimetto da presidente di Ciudadanos, affinchè un congresso nazionale elegga il futuro del progetto», ha annunciato davanti ai giornalisti Rivera. Che solo sei mesi fa si autoproclamava guida dell’opposizione al premier socialista Pedro Sanchez.

LA SPACCATURA IN SENO AL PARTITO

Avvocato di professione, 39 anni, da 13 punto di riferimento del partito liberale e anti-indipendentista, Rivera ha pagato una politica spesso ondivaga sulle alleanze, oltre a fratture insanabili in seno a Ciudadanos. Ad aprile, Rivera si presentò agli elettori dicendo un secco “no” a qualsiasi tipo di accordo con i socialisti di Sanchez, venendo premiato con 57 seggi e issando CS a terzo partito di Spagna, a sole nove lunghezze dal Partido popular. La linea dura a un’intesa che avrebbe portato Ciudadanos al governo (col Psoe sarebbe arrivato a 180 seggi, quattro sopra la maggioranza) ha spaccato i vertici del partito. Risultato: le dimissioni di quattro dei 50 membri della ejecutiva e l’addio di Francesc de Carreras, co-fondatore del partito.

A destra, l’ormai ex leader di Ciudadanos, Albert Rivera.

LE GIRAVOLTE SU SANCHEZ E RAJOY

A ridosso del voto di novembre, l’apertura al premier socialista che ha riportato alla mente giravolte passate. Come quando, tre anni fa, Rivera garantì che non avrebbe appoggiato per alcuna ragione un esecutivo Rajoy, salvo cambiare idea al momento del voto. Questa spiccata e reiterata propensione al riposizionamento, unita a un’intransigenza poco moderata sul dossier catalano, ha contribuito ad alienare l’elettorato centrista di Ciudadanos, che in buona parte è tornato a votare popular. Mentre quello più a destra è migrato verso Vox. Mettendo Rivera spalle al muro.

LA ROTTAMAZIONE IN SALSA SPAGNOLA

Sono lontani i tempi in cui il fu enfant prodige irrompeva sulla scena politica invocando, nel dicembre 2015, una «rigenerazione democratica» che tanto ricordava la renziana «rottamazione». Solo uno dei punti di contatto con l’allora premier italiano, da cui Rivera mutuava anche una certa passione per la spettacolarizzazione della politica. Emblematico, in questo senso, l’evento cardine della campagna di quattro anni fa, più simile a uno show televisivo che a un appuntamento elettorale.

Blairista, lo definì l’Economist. Liberale, progressista ed europeista si definiva il diretto interessato. Che, però, col passare degli anni ha aggiunto sfumature – e contraddizioni – al proprio profilo politico

Volto pulito, modi spigliati, Rivera intrigava un elettorato fiaccato da scandali e polemiche. Blairista, lo definì l’Economist. Liberale, progressista, riformista ed europeista si definiva il diretto interessato. Che, però, col passare degli anni ha aggiunto sfumature – e contraddizioni – al proprio profilo politico. In primis, unendo le forze – seppur solo a livello regionale in Andalusia – all’ultradestra euroscettica di Vox. Era il dicembre del 2018. Cinque mesi dopo Rivera si sarebbe presentato alle elezioni europee a braccetto con l’Alde ed Emmanuel Macron.

LA VIRATA A DESTRA (CON LO SGUARDO A SINISTRA)

La virata a destra, a dire il vero, era iniziata da qualche tempo. Nel 2017, per la precisione, quando la Asamblea de Ciudadanos approvò l’eliminazione di ogni riferimento alla socialdemocrazia dall’ideologia del partito, nonostante un’agenda in tema di diritti e proposte sociali – difesa della surrogazione di maternità, diritti Lgbti, riforma del sistema educativo – più compatibile coi socialisti che col centrodestra. Ma anche questo, soprattutto questo, è stato Rivera. Trasversale, oltre i confini del contraddittorio. Troppo per un elettorato alla disperata ricerca di certezze.

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La parabola di Rivera, grande sconfitto delle elezioni in Spagna

Dall'etichetta di uomo nuovo all'addio alla politica. Giravolte e contraddizioni del leader di Ciudadanos.

Nel 2015 era l’uomo nuovo, etichettato da più parti come il «Matteo Renzi di Spagna». Quattro anni – e quattro elezioni – più tardi, Albert Rivera è il grande sconfitto dell’agone politico a Madrid. All’indomani del voto che ne ha sancito la debacle, il presidente di Ciuadanos ha lasciato la guida del partito e, con essa, la politica. «Voglio essere felice», ha detto l’11 novembre in conferenza stampa, «lo sono stato, però adesso lo sarò fuori dalla politica».

UN’EMORRAGIA DA 2,5 MILIONI DI VOTI

Negli ultimi sette mesi, la formazione nata nel 2005 in Catalogna e poi apertasi a tutto il Paese ha perso 47 seggi: dai 57 di aprile ai 10 di novembre. Un’emorragia da circa 2,5 milioni di voti. Il partito naranja è ora sesto per consenso a livello nazionale, superato dall’ultradestra di Vox, da Unidas Podemos e dai nemici giurati di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc); è addirittura ottavo a Barcellona, dove mosse i primi passi e raccolse i primi applausi. «Mi dimetto da presidente di Ciudadanos, affinchè un congresso nazionale elegga il futuro del progetto», ha annunciato davanti ai giornalisti Rivera. Che solo sei mesi fa si autoproclamava guida dell’opposizione al premier socialista Pedro Sanchez.

LA SPACCATURA IN SENO AL PARTITO

Avvocato di professione, 39 anni, da 13 punto di riferimento del partito liberale e anti-indipendentista, Rivera ha pagato una politica spesso ondivaga sulle alleanze, oltre a fratture insanabili in seno a Ciudadanos. Ad aprile, Rivera si presentò agli elettori dicendo un secco “no” a qualsiasi tipo di accordo con i socialisti di Sanchez, venendo premiato con 57 seggi e issando CS a terzo partito di Spagna, a sole nove lunghezze dal Partido popular. La linea dura a un’intesa che avrebbe portato Ciudadanos al governo (col Psoe sarebbe arrivato a 180 seggi, quattro sopra la maggioranza) ha spaccato i vertici del partito. Risultato: le dimissioni di quattro dei 50 membri della ejecutiva e l’addio di Francesc de Carreras, co-fondatore del partito.

A destra, l’ormai ex leader di Ciudadanos, Albert Rivera.

LE GIRAVOLTE SU SANCHEZ E RAJOY

A ridosso del voto di novembre, l’apertura al premier socialista che ha riportato alla mente giravolte passate. Come quando, tre anni fa, Rivera garantì che non avrebbe appoggiato per alcuna ragione un esecutivo Rajoy, salvo cambiare idea al momento del voto. Questa spiccata e reiterata propensione al riposizionamento, unita a un’intransigenza poco moderata sul dossier catalano, ha contribuito ad alienare l’elettorato centrista di Ciudadanos, che in buona parte è tornato a votare popular. Mentre quello più a destra è migrato verso Vox. Mettendo Rivera spalle al muro.

LA ROTTAMAZIONE IN SALSA SPAGNOLA

Sono lontani i tempi in cui il fu enfant prodige irrompeva sulla scena politica invocando, nel dicembre 2015, una «rigenerazione democratica» che tanto ricordava la renziana «rottamazione». Solo uno dei punti di contatto con l’allora premier italiano, da cui Rivera mutuava anche una certa passione per la spettacolarizzazione della politica. Emblematico, in questo senso, l’evento cardine della campagna di quattro anni fa, più simile a uno show televisivo che a un appuntamento elettorale.

Blairista, lo definì l’Economist. Liberale, progressista ed europeista si definiva il diretto interessato. Che, però, col passare degli anni ha aggiunto sfumature – e contraddizioni – al proprio profilo politico

Volto pulito, modi spigliati, Rivera intrigava un elettorato fiaccato da scandali e polemiche. Blairista, lo definì l’Economist. Liberale, progressista, riformista ed europeista si definiva il diretto interessato. Che, però, col passare degli anni ha aggiunto sfumature – e contraddizioni – al proprio profilo politico. In primis, unendo le forze – seppur solo a livello regionale in Andalusia – all’ultradestra euroscettica di Vox. Era il dicembre del 2018. Cinque mesi dopo Rivera si sarebbe presentato alle elezioni europee a braccetto con l’Alde ed Emmanuel Macron.

LA VIRATA A DESTRA (CON LO SGUARDO A SINISTRA)

La virata a destra, a dire il vero, era iniziata da qualche tempo. Nel 2017, per la precisione, quando la Asamblea de Ciudadanos approvò l’eliminazione di ogni riferimento alla socialdemocrazia dall’ideologia del partito, nonostante un’agenda in tema di diritti e proposte sociali – difesa della surrogazione di maternità, diritti Lgbti, riforma del sistema educativo – più compatibile coi socialisti che col centrodestra. Ma anche questo, soprattutto questo, è stato Rivera. Trasversale, oltre i confini del contraddittorio. Troppo per un elettorato alla disperata ricerca di certezze.

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