Manifesti di CasaPound contro le vittime del fascismo a Trieste

Il messaggio è stato affisso al Parco della Pace, dove il 15 dicembre si celebra la commemorazione dei cinque partigiani uccisi nel 1941. Il movimento: «Erano terroristi».

Un altro sfregio alla Resistenza. Alcuni manifesti di CasaPound sono comparsi la mattina del 14 dicembre a Opicina, sul Carso triestino, nel Parco della Pace – l’ex poligono di tiro gestito dall’Anpi locale – dove domenica 15 è prevista la commemorazione dei cinque antifascisti fucilati nel 1941 sulla base di una sentenza emessa da un Tribunale speciale. Nei manifesti firmati dal movimento di estrema destra i cinque fucilati vengono definiti «terroristi, né vittime, né martiri». La scoperta è stata fatta dagli agenti della Digos di Trieste da un controllo effettuato alla vigilia della cerimonia.

«ERANO TERRORISTI»

«Quando, circa tre settimane fa, il Comune di Trieste ha deciso di affidare la gestione di questo spazio all’Associazione nazionale Partigiani d’Italia di Trieste abbiamo espresso tutte le nostre perplessità ricordando che chi ogni anno viene commemorato a Opicina non è né una vittima né un martire ma solo un terrorista», ha spiegato in una nota Francesco Clun, responsabile provinciale di CasaPound Italia. «Per questo abbiamo deciso di ricordare a tutti a chi è dedicato quel monumento e chi, ogni anno, l’Anpi, assieme ad esponenti politici locali, commemora. L’unica cosa di cui non aveva bisogno questa città è un’altra meta di pellegrinaggio per i nostalgici titini».

L’ANPI INVOCA LO SCIOGLIMENTO DI CASAPOUND

Il fatto ha provocato la ferma reazione dell’Anpi di Trieste: «I manifesti affissi illegittimamente questa notte sul Carso triestino a Opicina da parte di CasaPound Italia Trieste rappresentano un atto gravissimo, che riteniamo possa configurarsi come apologia del fascismo», ha scritto l’associazione in una nota tornando, con l’Anpi nazionale, a chiedere lo scioglimento del movimento di estrema destra «in quanto organizzazione fascista».

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Processo per 28 militanti di CasaPound: «Riorganizzavano il partito fascista»

La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta in giudizia per gli attivisti di estrema destra con l'accusa di aver violato la legge Scelba e di usare la violenza squadrista come metodo di lotta politica.

Trentatre persone a giudizio, di cui 28 militanti di CasaPound, con l’accusa di aver provato a riorganizzare il partito fascista. La procura di Bari ipotizza che i militanti neofascisti abbiano infatti «attuato il metodo squadrista come strumento di partecipazione politica». E che, in violazione degli articoli 1 e 5 della legge Scelba (645/1952), «abbiano partecipato a pubbliche riunioni, compiendo manifestazioni usuali del disciolto partito fascista».

L’AGGRESSIONE AGLI ATTIVISTI ANTIFASCISTI

Il processo nasce dall’aggressione del 21 settembre 2018 nel quartiere Libertà di Bari a manifestanti antifascisti che avevano partecipato ad un corteo organizzato dopo la visita in città dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta a giudizio di tutti gli indagati, contestando a dieci di loro anche il reato di lesioni personali aggravate.

«VIOLENZA SQUADRISTA COME METODO POLITICO»

Il gruppo di estrema destra aveva, infatti, radunato davanti alla sede di CasaPound, il circolo Kraken di Bari a pochi passi dal luogo del corteo che da allora è sotto sequestro, «ben 30 militanti, 14 dei quali provenienti da altre province pugliesi». Al termine della manifestazione «di impronta dichiaratamente antifascista», alcuni militanti di CasaPound, «schierati a braccia conserte e posizionati di traverso in modo da occupare l’intera sede stradale», avrebbero «brutalmente aggredito» gli attivisti di sinistra di ritorno dal corteo. Il pestaggio sarebbe stato attuato, stando agli atti giudiziari, «con esplicite rivendicazioni del predominio territoriale e ideologico». L’uso della violenza «squadrista» come strategia di repressione di appartenenti «a gruppi sociali e politici portatori di una diversa ideologia» e quindi «come metodo di lotta politica», avrebbe poi trovato conferma nelle successive perquisizioni fatte dalla Digos all’interno della sede di CasaPound e in casa degli indagati.

ARMI IMPROPRIE, BUSTI DI MUSSOLINI E IL MEIN KAMPF

Lì gli agenti trovarono alcune delle armi improprie usate durante l’aggressione (sfollagente, manubri da palestra, manganello telescopico), un busto di Benito Mussolini, bandiere nere con fascio littorio, oltre a libri su nazismo e fascismo, come il ‘Mein Kampf‘ di Hitler. Nell’aggressione rimasero feriti quattro manifestanti antifascisti, tra i quali l’assistente parlamentare dell’ex eurodeputata Eleonora Forenza, presente al pestaggio. Dinanzi ai giudici baresi saranno processati anche cinque compagni delle vittime, accusati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché dopo l’aggressione, «nel tentativo di sfondare il cordone dei militari», avrebbero minacciato e colpito con calci, pugni e spintoni poliziotti e carabinieri.

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Processo per 28 militanti di CasaPound: «Riorganizzavano il partito fascista»

La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta in giudizia per gli attivisti di estrema destra con l'accusa di aver violato la legge Scelba e di usare la violenza squadrista come metodo di lotta politica.

Trentatre persone a giudizio, di cui 28 militanti di CasaPound, con l’accusa di aver provato a riorganizzare il partito fascista. La procura di Bari ipotizza che i militanti neofascisti abbiano infatti «attuato il metodo squadrista come strumento di partecipazione politica». E che, in violazione degli articoli 1 e 5 della legge Scelba (645/1952), «abbiano partecipato a pubbliche riunioni, compiendo manifestazioni usuali del disciolto partito fascista».

L’AGGRESSIONE AGLI ATTIVISTI ANTIFASCISTI

Il processo nasce dall’aggressione del 21 settembre 2018 nel quartiere Libertà di Bari a manifestanti antifascisti che avevano partecipato ad un corteo organizzato dopo la visita in città dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. La Procura di Bari ha disposto la citazione diretta a giudizio di tutti gli indagati, contestando a dieci di loro anche il reato di lesioni personali aggravate.

«VIOLENZA SQUADRISTA COME METODO POLITICO»

Il gruppo di estrema destra aveva, infatti, radunato davanti alla sede di CasaPound, il circolo Kraken di Bari a pochi passi dal luogo del corteo che da allora è sotto sequestro, «ben 30 militanti, 14 dei quali provenienti da altre province pugliesi». Al termine della manifestazione «di impronta dichiaratamente antifascista», alcuni militanti di CasaPound, «schierati a braccia conserte e posizionati di traverso in modo da occupare l’intera sede stradale», avrebbero «brutalmente aggredito» gli attivisti di sinistra di ritorno dal corteo. Il pestaggio sarebbe stato attuato, stando agli atti giudiziari, «con esplicite rivendicazioni del predominio territoriale e ideologico». L’uso della violenza «squadrista» come strategia di repressione di appartenenti «a gruppi sociali e politici portatori di una diversa ideologia» e quindi «come metodo di lotta politica», avrebbe poi trovato conferma nelle successive perquisizioni fatte dalla Digos all’interno della sede di CasaPound e in casa degli indagati.

ARMI IMPROPRIE, BUSTI DI MUSSOLINI E IL MEIN KAMPF

Lì gli agenti trovarono alcune delle armi improprie usate durante l’aggressione (sfollagente, manubri da palestra, manganello telescopico), un busto di Benito Mussolini, bandiere nere con fascio littorio, oltre a libri su nazismo e fascismo, come il ‘Mein Kampf‘ di Hitler. Nell’aggressione rimasero feriti quattro manifestanti antifascisti, tra i quali l’assistente parlamentare dell’ex eurodeputata Eleonora Forenza, presente al pestaggio. Dinanzi ai giudici baresi saranno processati anche cinque compagni delle vittime, accusati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché dopo l’aggressione, «nel tentativo di sfondare il cordone dei militari», avrebbero minacciato e colpito con calci, pugni e spintoni poliziotti e carabinieri.

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Roma è un po’ meno fascista nei nomi delle vie

La sindaca Raggi ha cambiato la denominazione a tre strade della Capitale che erano intitolate a Donaggio e Zavattari, firmatari del Manifesto della razza. Ora sono state dedicate a Carrara, Mortara e Calabresi, scienziati discriminati durante il Ventennio.

Roma è un po’ meno fascista, almeno nella toponomastica. Sono stati tolti infatti i nomi di due strade e un largo della Capitale che erano intitolati ad Arturo Donaggio ed Edoardo Zavattari, firmatari del Manifesto della razza.

REINTITOLAZIONE A UN MEDICO, UNA FISICA E UNA ZOOLOGA

L’iniziativa è stata presa dalla sindaca Virginia Raggi, che ha presentato insieme con studenti romani e con la comunità ebraica la reintitolazione delle vie al medico Mario Carrara, alla fisica Nella Mortara e alla zoologa Enrica Calabresi. I tre nuovi intestatari sono scienziati che si opposero e furono vittime di discriminazioni razziali durante il regime fascista.

RAGGI AGLI STUDENTI: «SCRIVETE UN PEZZO DI STORIA»

La sindaca ha commentato così parlando agli studenti durante la cerimonia: «State scrivendo un pezzo di storia. La state scrivendo voi che avete contribuito a scegliere tre nomi di strade a Roma che rimarranno per sempre».

Voi avete imparato crescendo che il contributo di ciascuno è fondamentale per scrivere le pagine della nostra storia


Virginia Raggi agli studenti

Gli alunni di alcune scuole romane hanno infatti partecipato alla scelta: «Voi avete imparato crescendo che il contributo di ciascuno è fondamentale per scrivere le pagine della nostra storia. Dobbiamo imparare a capire il valore delle nostre azioni e della nostra storia. È un atto storico», ha detto la Raggi.

PER FICO È «UN ATTO DI GIUSTIZIA»

Anche il presidente della Camera Roberto Fico è intervenuto sulla vicenda con un messaggio letto proprio dalla Raggi: «È un atto di verità e giustizia perché rimuove dal toponimo coloro che aderirono al manifesto razzista, diventando complici di un’ideologia buia». Fico ha parlato di «valori costituzionali frutto della Resistenza. Non possiamo mi abbassare la guardia» e la «vostra iniziativa è un importante tassello».

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Chi è Brasile, il neofascista protagonista della rissa con Vauro

Sul corpo i tatuaggi del Duce e di Hitler. Nel passato le spedizioni anti-rom e gli attacchi agli immigrati. Come Massimiliano Minnocci è diventato una star di social e tivù portando avanti le idee dell'estrema destra.

La levata di scudi è già partita. Sono in molti a chiedere che personaggi come Brasile (o il Brasiliano), al secolo Massimiliano Minnocci, vengano lasciati fuori da talk show e rutilanti programmi in prime della tivù generalista. Per chi se lo fosse perso, Minnocci è l’agitatore di estrema destra arrivato quasi allo scontro fisico con Vauro nel corso del programma Dritto e Rovescio, in onda la sera del 7 novembre su Rete4.

«A ROMA DEVI FARE QUELLO CHE DICO IO»

Lo scambio poco cortese tra i due è arrivato al termine di un vivace botta e risposta tra lo stesso Brasile e la giornalista Francesca Fagnani, nel corso del quale il nostro ha rivendicato con orgoglio «ordine e disciplina» della borgata romana da cui proviene. «Roma non è fascista», è l’opinione Brasile, prima, però, di aggiungere un “energico” «devi fare quello che ti dico io».

Non è nuovo a performance di questo genere Minnocci, diventato negli ultimi mesi un habituée dei salotti televisivi, per nulla inibiti dalle idee poco ortodosse del personaggio, diventato una star sui social con migliaia e migliaia di follower di fronte ai quali non ha esitato ad autoproclamarsi più volte «l’ottavo re di Roma».

«A CHI RUBA TAGLIEREI LE MANI»

Di lui si dice che debba il soprannome alle qualità da calciatore, passione che sfoga quotidianamente da ultrà romanista. Ai microfoni della Zanzara non si è fatto remore, interpellato sulla questione rom, a dire che lui, a chi ruba, «taglierebbe le mani». E gli immigrati? «Dalle mie parti si stavano comportando male ‘sti zozzoni. Non servono le guardie, perché qui la legge la faccio io. Questa è casa mia. Ci penso io, non lo Stato». E ancora: «Io posso sbagliare perché sono italiano, loro no perché sono ospiti in questo Paese».

Sul suo fisico forgiato da ore e ora di palestra fanno “bella” mostra i tatuaggi di Adolf Hitler e Benito Mussolini, oltre a svastiche e croci celtiche su varie parti del corpo. A far compagnia a dichiarazioni da far accapponare la pelle: «In Italia ci vuole un po’ d’ordine. Manca zio Adolfo che fa pulizia. Voi dite che è incompatibile con la cocaina e col casino allo stadio? È vero, ma Hitler prendeva gli allucinogeni…».

«HO PIPPATO L’IRA DIO, MA ORA HO SMESSO»

Un riferimento ai suoi passati problemi di tossicodipendenza. «Ho o pippato l’ira di Dio, i grattacieli proprio. Ma non torno a pippare. Questa è un’altra vita. Ai ragazzini consiglio di non prendere sostanze stupefacenti».

In molti, evidentemente, credono che personaggi come Brasile incarnino alla perfezione lo spirito delle periferie romane e poco importa che finisca per divulgare in prima serata messaggi razzisti e xenofobi. La tivù preferisce concentrarsi sui disagi del passato, evitando di prendere posizione, per esempio, sulla protesta, di cui è stato protagonista, contro l’assegnazione della casa popolare a una famiglia rom che ne aveva diritto, lo scorso mese di maggio. O sulla sua fedina penale macchiata da una condanna a cinque mesi («pena sospesa», tiene a precisare). Richiesto di un’opinione sulla classe politica italiana, Brasile no ha dubbi: «Salvini mi piace, ma sta militarizzando Roma, mettessero gente delle borgate che davero ce li magnamo i rumeni e i talebani che vanno a rompe’ er cazzo. Adesso non voto niente. Però se dovessi votare, voto ’a Lega Nord, tutta ’avita».

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Striscione di Forza Nuova vicino all’evento con Liliana Segre

Il messaggio di critiche al sindaco di Milano Sala e agli antifascisti esposto non lontano dal teatro in cui era presente anche la senatrice a vita.

«Sala ordina, l’antifa agisce, il popolo subisce», è lo striscione a firma del partito di estrema destra Forza Nuova, comparso questa mattina davanti alla sede del Municipio 6 di Milano, non molto distante dal teatro di via Fezzan in cui è in corso un incontro a cui partecipa, tra gli altri, anche la senatrice a vita Liliana Segre. Ad annunciarlo dal palco dell’Ecoteatro è stato il presidente del Municipio 6 Santo Minniti, poco prima dell’inizio dell’incontro L’etica della responsabilità: dalla memoria all’universalità dei diritti. Per la segretaria metropolitana del Pd, Silvia Roggiani, si tratta di una «provocazione inaccettabile e intollerabile di fronte ai cancelli del Municipio 6. L’oltraggio dei neofascisti di Forza Nuova è indegno, perché offende tutti noi e la memoria antifascista di Milano, città medaglia d’Oro alla Resistenza. A chi nutriva ancora dubbi, ecco le prove. I fascisti cercano di tornare a galla e lo fanno colpendo Liliana Segre».

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