Perché l’aumento dei divorzi in Cina è un’ottima notizia

Sempre più donne non accettano più matrimoni infelici, frustranti e umilianti. E decidono di dire basta nonostante i tabù e la vergogna. Una rivoluzione silenziosa che nemmeno gli sforzi del governo riusciranno ad arginare.

Dopo la scelta coraggiosa di Yuya Mika che ha denunciato pubblicamente le violenze subite dal suo ex compagno, dalla Cina arriva un’altra buona notizia sul fronte delle conquiste femminili: i divorzi sono in aumento.

Qualcuno dirà: «Ma che buona notizia è questa? Più matrimoni che falliscono ti sembrano una buona notizia?» Ebbene sì, nel caso della Cina si tratta di una buona, anzi di un’ottima notizia. Perché significa che le donne cinesi non vogliono più accettare matrimoni infelici. Per questo bisogna festeggiare.

La mentalità delle generazioni meno giovani, infatti, si basa ancora oggi in massima parte –  e non solo tra i maschi ma anche tra le donne – sul vecchio proverbio cinese che, tradotto, fa più o meno così: «Se sposi un cane, vivi con un cane; se sposi un gallo, vivi con un gallo». Il matrimonio visto come destino immutabile che non si può cambiare, ma solo accettare.

UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA

Le donne in Cina ottennero il diritto al divorzio solo nel 1950, quando il vittorioso Partito comunista cinese introdusse la nuova legge sul matrimonio. Durante l’era di Mao però, solo una piccola percentuale di donne ha esercitato questo diritto, e di solito per ragioni politiche: per esempio per lasciare un marito “controrivoluzionario”. Ma la buona notizia è che le cose stanno cambiando.

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Si è davanti a una rivoluzione silenziosa. All’inizio di novembre, Zhou Qiang, presidente della Corte suprema del popolo, ha rivelato in un discorso che ormai in Cina circa il 74% dei divorzi è richiesto da donne.  Zhou ha anche aggiunto che la cosiddetta crisi del settimo anno si è ormai spostata al terzo. Esaminando le statistiche cinesi, si scopre che il tasso di divorzi è schizzato alle stelle nell’era della riforma. Il dato generale, che misura il numero di separazioni per ogni 1.000 persone, era solo dello 0,018% nel 1978, anno in cui la Cina ha aperto alle politiche sociali che hanno trasformato la nazione, e da allora è salito fino a 0,320% nel 2018: un record. L’accelerazione più significativa si è avuta dopo il 2003, quando la Cina ha reso il divorzio più semplice e veloce, in primis abolendo la necessità dell’approvazione dei datori di lavoro. Nel 2016, 4,2 milioni di coppie, per lo più abitanti delle città, si sono separate. 

SEMPRE PIÙ DONNE NON ACCETTANO RELAZIONI FRUSTRANTI

Man mano che la Cina è diventata più ricca e moderna, sempre più donne hanno iniziato a preoccuparsi della qualità dei loro matrimoni. Una maggiore indipendenza finanziaria significa infatti, anche in Cina, maggiore possibilità di autonomia e di scelte consapevoli. Se il marito è infedele o anche soltanto se si sente insoddisfatta della sua vita sessuale, non esita a chiedere il divorzio, rifiutandosi di continuare a rimanere rinchiusa in una relazione frustrante e spesso umiliante.

LEGGI ANCHE: Cosa sappiamo sui metodi di tortura impiegati dalla Cina

Ma sebbene gradualmente la mentalità stia cambiando, le vecchie generazioni ancora vedono il divorzio come una vergogna da nascondere agli occhi degli altri. «Mia madre non ha mai parlato ai vicini del mio divorzio, avvenuto quasi 14 anni fa», ha scritto di recente una 40enne sul social network Weibo. «Perché dovrei stendere la biancheria sporca?», mi ripeteva. «Per lei il divorzio è sempre stato una vergogna, per la donna e per la sua famiglia». 

GLI SFORZI DEL GOVERNO PER FRENARE LA TENDENZA

Fortunatamente questo modo di vedere il divorzio come un tabù sta diventando sempre meno comune e la fine del matrimonio una realtà sempre più accettata, soprattutto nelle città. Il crescente numero di divorzi, in verità, ha apparentemente turbato le autorità, prese alla sprovvista dal fenomeno. Ossessionato dal mantenimento della stabilità sociale, il governo vede nel grande aumento dei divorzi una fattore destabilizzante e per questo ha intensificato gli sforzi per frenare la tendenza. Nel 2016, la Corte suprema del Popolo ha incaricato i giudici di bilanciare il rispetto dei desideri delle persone con la difesa della stabilità della famiglia che, a loro avviso, è la base per una società armoniosa. L’anno scorso, i tribunali locali hanno introdotto metodi come un periodo di riflessione, la mediazione gratuita e persino un quiz per dissuadere le coppie dal divorziare. Non sorprende che oltre la metà dei casi di divorzio presentati siano stati respinti dai tribunali. 

AUMENTA LA CONSAPEVOLEZZA DELLE DONNE

I nascenti movimenti femministi però sono convinti che il governo non debba interferire nella sfera privata delle persone. Anche se, anche in Cina, è chiaro a tutti che un divorzio non sia mai da prendere alla leggera, specialmente quando sono coinvolti bambini. Ma la consapevolezza che impedire alle donne di uscire da un cattivo matrimonio riduce drasticamente la loro libertà e il libero arbitrio si sta facendo strada nell’opinione pubblica. Così come la convinzione che la libertà di divorziare sia un caposaldo del diritto civile che deve essere rispettato.

LEGGI ANCHE: In Cina non esiste repressione: parola del Blog di Grillo

L’aumento di richieste di divorzio da parte delle donne è un dato in linea con la traiettoria di un Paese in grande sviluppo e sulla via di una rapida modernizzazione. Un Paese che sta cercando, almeno in questo campo, di omologarsi al nazioni dove i diritti civili sono più rispettati, come gli Stati Uniti e i Paesi europei. Per questo la notizia che in Cina i divorzi sono in forte aumento è ottima. Una notizia da celebrare.


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Perché l’aumento dei divorzi in Cina è un’ottima notizia

Sempre più donne non accettano più matrimoni infelici, frustranti e umilianti. E decidono di dire basta nonostante i tabù e la vergogna. Una rivoluzione silenziosa che nemmeno gli sforzi del governo riusciranno ad arginare.

Dopo la scelta coraggiosa di Yuya Mika che ha denunciato pubblicamente le violenze subite dal suo ex compagno, dalla Cina arriva un’altra buona notizia sul fronte delle conquiste femminili: i divorzi sono in aumento.

Qualcuno dirà: «Ma che buona notizia è questa? Più matrimoni che falliscono ti sembrano una buona notizia?» Ebbene sì, nel caso della Cina si tratta di una buona, anzi di un’ottima notizia. Perché significa che le donne cinesi non vogliono più accettare matrimoni infelici. Per questo bisogna festeggiare.

La mentalità delle generazioni meno giovani, infatti, si basa ancora oggi in massima parte –  e non solo tra i maschi ma anche tra le donne – sul vecchio proverbio cinese che, tradotto, fa più o meno così: «Se sposi un cane, vivi con un cane; se sposi un gallo, vivi con un gallo». Il matrimonio visto come destino immutabile che non si può cambiare, ma solo accettare.

UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA

Le donne in Cina ottennero il diritto al divorzio solo nel 1950, quando il vittorioso Partito comunista cinese introdusse la nuova legge sul matrimonio. Durante l’era di Mao però, solo una piccola percentuale di donne ha esercitato questo diritto, e di solito per ragioni politiche: per esempio per lasciare un marito “controrivoluzionario”. Ma la buona notizia è che le cose stanno cambiando.

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Si è davanti a una rivoluzione silenziosa. All’inizio di novembre, Zhou Qiang, presidente della Corte suprema del popolo, ha rivelato in un discorso che ormai in Cina circa il 74% dei divorzi è richiesto da donne.  Zhou ha anche aggiunto che la cosiddetta crisi del settimo anno si è ormai spostata al terzo. Esaminando le statistiche cinesi, si scopre che il tasso di divorzi è schizzato alle stelle nell’era della riforma. Il dato generale, che misura il numero di separazioni per ogni 1.000 persone, era solo dello 0,018% nel 1978, anno in cui la Cina ha aperto alle politiche sociali che hanno trasformato la nazione, e da allora è salito fino a 0,320% nel 2018: un record. L’accelerazione più significativa si è avuta dopo il 2003, quando la Cina ha reso il divorzio più semplice e veloce, in primis abolendo la necessità dell’approvazione dei datori di lavoro. Nel 2016, 4,2 milioni di coppie, per lo più abitanti delle città, si sono separate. 

SEMPRE PIÙ DONNE NON ACCETTANO RELAZIONI FRUSTRANTI

Man mano che la Cina è diventata più ricca e moderna, sempre più donne hanno iniziato a preoccuparsi della qualità dei loro matrimoni. Una maggiore indipendenza finanziaria significa infatti, anche in Cina, maggiore possibilità di autonomia e di scelte consapevoli. Se il marito è infedele o anche soltanto se si sente insoddisfatta della sua vita sessuale, non esita a chiedere il divorzio, rifiutandosi di continuare a rimanere rinchiusa in una relazione frustrante e spesso umiliante.

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Ma sebbene gradualmente la mentalità stia cambiando, le vecchie generazioni ancora vedono il divorzio come una vergogna da nascondere agli occhi degli altri. «Mia madre non ha mai parlato ai vicini del mio divorzio, avvenuto quasi 14 anni fa», ha scritto di recente una 40enne sul social network Weibo. «Perché dovrei stendere la biancheria sporca?», mi ripeteva. «Per lei il divorzio è sempre stato una vergogna, per la donna e per la sua famiglia». 

GLI SFORZI DEL GOVERNO PER FRENARE LA TENDENZA

Fortunatamente questo modo di vedere il divorzio come un tabù sta diventando sempre meno comune e la fine del matrimonio una realtà sempre più accettata, soprattutto nelle città. Il crescente numero di divorzi, in verità, ha apparentemente turbato le autorità, prese alla sprovvista dal fenomeno. Ossessionato dal mantenimento della stabilità sociale, il governo vede nel grande aumento dei divorzi una fattore destabilizzante e per questo ha intensificato gli sforzi per frenare la tendenza. Nel 2016, la Corte suprema del Popolo ha incaricato i giudici di bilanciare il rispetto dei desideri delle persone con la difesa della stabilità della famiglia che, a loro avviso, è la base per una società armoniosa. L’anno scorso, i tribunali locali hanno introdotto metodi come un periodo di riflessione, la mediazione gratuita e persino un quiz per dissuadere le coppie dal divorziare. Non sorprende che oltre la metà dei casi di divorzio presentati siano stati respinti dai tribunali. 

AUMENTA LA CONSAPEVOLEZZA DELLE DONNE

I nascenti movimenti femministi però sono convinti che il governo non debba interferire nella sfera privata delle persone. Anche se, anche in Cina, è chiaro a tutti che un divorzio non sia mai da prendere alla leggera, specialmente quando sono coinvolti bambini. Ma la consapevolezza che impedire alle donne di uscire da un cattivo matrimonio riduce drasticamente la loro libertà e il libero arbitrio si sta facendo strada nell’opinione pubblica. Così come la convinzione che la libertà di divorziare sia un caposaldo del diritto civile che deve essere rispettato.

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L’aumento di richieste di divorzio da parte delle donne è un dato in linea con la traiettoria di un Paese in grande sviluppo e sulla via di una rapida modernizzazione. Un Paese che sta cercando, almeno in questo campo, di omologarsi al nazioni dove i diritti civili sono più rispettati, come gli Stati Uniti e i Paesi europei. Per questo la notizia che in Cina i divorzi sono in forte aumento è ottima. Una notizia da celebrare.


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Le cose da sapere sulla crisi che ha colpito la Cina rurale

Produttività troppo bassa, reddito pro-capite in picchiata, costi in ascesa: complici i dazi, il settore agricolo è vicino al collasso e i contadini non riescono a pagarsi nemmeno i beni primari. Ora Pechino teme che il crollo contagi anche l'economia nazionale.


«Non abbiamo soldi e quando i giovani agricoltori di questa generazione avranno dei figli, non potranno permettersi di pagare per la loro educazione».

A scriverlo su uno dei più popolari social media cinesi è un contadino senza nome del cuore agricolo del Paese, la provincia centrale di Henan, che in un post diventato subito virale ha affermato di riuscire a guadagnare a malapena circa 5 mila yuan (circa 600 euro) all’anno dalle arachidi che raccoglie sui suoi 10 mu (0,67 ettari) di terra: una somma che non lascia quasi nulla alla sua famiglia, dopo aver sottratto il cibo e le spese di base.

«Noi agricoltori qui viviamo nella costante paura di ammalarci o di dover sostenere costi imprevisti», ha continuato, «ci dicono sempre che la Corea del Nord è arretrata, ma almeno lì le persone non hanno bisogno di pagare per l’istruzione o per vedere un medico. Qui, noi, un medico non possiamo permetterci di pagarlo!».

DALLA CINA RURALE DATI ECONOMICI ALLARMANTI

Questa è l’amara sorpresa che arriva da quella che ormai tutti considerano la grande superpotenza globale: in Cina ci sono ancora i poveri, sono tanti, anzi tantissimi. Stanno nelle sterminate campagne del Paese e rischiano di diventare ancora più poveri, se i burocrati del Partito Comunista non faranno le scelte giuste, in termini di riforme e di incentivi. E rapidamente.

Non esiste solo la Cina luccicante delle grandi metropoli della fascia costiera, delle Shanghai, Pechino e Shenzen

La sterminata Cina rurale, infatti – le regioni delle campagne che occupano una larga parte del territorio del continente – sta regredendo, e sta tornando verso la miseria. Gli analisti e gli studiosi sia cinesi che internazionali parlano di dati economici allarmanti. Insomma, non esiste solo la Cina luccicante delle grandi metropoli della fascia costiera, delle Shanghai, Pechino Shenzen, la Cina dell’economia dalle performance strabilianti: ne esiste un’altra, dove gli agricoltori campano con meno di 700 euro all’anno, e non possono permettersi di mandare a studiare i loro figli. E ogni anno il divario tra queste “due Cine” si allarga, sempre di più.

UN CONTANDINO CINESE GUADAGNA IN MEDIA 103 EURO AL MESE

Per Ma Wenfeng, analista al Beijing Orient Agribusiness e consulente del ministero per l’Agricoltura e gli Affari Rurali cinese, «mettendo da parte la quantità non trascurabile di denaro che i lavoratori migranti spediscono a casa, ai loro parenti nelle campagne, il reddito rurale è in declino dal 2014, e si è abbassato di un ulteriore 20% nella prima metà di quest’anno». Secondo l’analisi della sua società di consulenza, basata su dati governativi, il reddito pro-capite rurale del mese di giugno di quest’anno – esclusa la percentuale di lavoratori migranti, appunto- è sceso a 809 yuan (103 euro), rispetto ai 1.023 yuan (130 euro) dello stesso mese del 2018.

Lavoratori agricoli in Cina (Foto di STR/AFP/Getty Images).

E i dati annuali forniti dal governo fanno ancora più impressione. La crescita del reddito pro-capite rurale totale della Cina – compresi i lavoratori migranti – è precipitata nel 2018, rispetto al 2012, dal 13 al 9%, secondo il National bureau of statistics cinese. Non solo, la cifra dell’anno scorso pari a 14.617 yuan (1863 euro) corrispondeva a meno della metà dei 39.250 yuan (circa 5 mila euro) registrati come reddito pro-capite annuale nelle aree urbane. E il 90% del dato rurale era rappresentato da lavoratori migranti nelle città che inviavano rimesse a casa.

SOTTO ACCUSA LA NAZIONALIZZAZIONE AGRICOLA

La maggior parte delle aziende agricole cinesi sono imprese familiari, il che significa che sono piccole e prive di economie di scala, la qual cosa limita molto le loro possibilità di poter realizzare utili significativi. Inoltre, gli agricoltori non possiedono la loro terra (tutta la terra, in Cina, è proprietà dello Stato, gli agricoltori, come chiunque – costruttori, industriali etc. – possono solo prenderla in affitto dal governo con contratti di varia lunghezza), ma affrontano costi crescenti – dai fertilizzanti, all’elettricità, alla manodopera – per coltivarla e in più vengono gravemente colpiti dalla caduta dei prezzi del grano.

Dagli Anni 50 i terreni coltivabili sono rimasti di proprietà del governo

Per questi motivi la produttività media delle aziende agricole è molto bassa: rispetto alle economie agricole avanzate per esempio nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti, dove la produzione di una fattoria alimenta in media 256 persone e 146 persone, rispettivamente, una fattoria cinese nutre solo sette persone, secondo le stime di Rabobank. Molti accademici ed economisti mettono ormai apertamente sotto accusa la politica fondiaria cinese, che risale ai primi anni del dominio del Partito comunista, negli Anni 50, quale principale causa dei problemi rurali. Dopo aver ridistribuito la terra da agricoltori ricchi a poveri, il partito passò rapidamente alla nazionalizzazione dei terreni agricoli, che da allora sono rimasti di proprietà del governo.

Contadini lavorano i campi (foto di STR/AFP/Getty Images).

LA GUERRA DEI DAZI CON GLI USA HA PEGGIORATO LA SITUAZIONE

La Cina ha solo il 6% delle risorse idriche mondiali e il 9% delle sue terre coltivabili, ma deve alimentare il 21% della popolazione mondiale, secondo l’agenzia di stampa governativa Xinhua. La posta in gioco è aumentata drasticamente nel corso della lunga guerra commerciale di 15 mesi con gli Stati Uniti. Pechino infatti ha tagliato le importazioni agricole dall’America – compresi i semi di soia per l’alimentazione animale – aumentando così la pressione sulla sua industria agricola nazionale per far fronte alla carenza di prodotto, mentre nello stesso tempo contava sui consumatori rurali per aumentarne il consumo e il commercio interni. Ma la crisi che attraversa le sterminate campagne cinesi e la ridotta, se non ridottissima, capacità d’acquisto e disponibilità di liquidità degli agricoltori ha fatto fallire questa strategia. Inoltre, i dazi doganali di Pechino sulle merci agricole americane hanno reso più costoso per gli importatori cinesi acquistare i prodotti di importazione.

SE COLLASSA LA CINA RURALE, COLLASSA L’INTERO PAESE

Mentre l’agricoltura è stata a lungo al centro della strategia di sicurezza nazionale della Cina – producendo abbastanza per nutrire il Paese e aumentando anche i redditi nelle campagne – negli ultimi quattro decenni il settore rurale è rimasto molto più indietro rispetto ad altri settori dell’economia. Il prodotto interno lordo (Pil) rurale ha triplicato le sue dimensioni negli ultimi venti anni, ma questa espansione resta irrisoria se confrontata a quella del Pil manifatturiero – aumentato di otto volte nello stesso periodo – e di quello della produzione economica totale, cresciuto di ben nove volte.

Un momento della semina (foto di STR/AFP via Getty Images).

Quest’anno il documento di programmazione politica del Consiglio di Stato è stato nuovamente incentrato sul progresso dello sviluppo rurale. Il documento comprendeva otto sezioni, tra cui le politiche per combattere la povertà, migliorare i servizi pubblici, rafforzare le infrastrutture agricole e ampliare le fonti di reddito degli agricoltori, appunto. Il presidente cinese Xi Jinping ha spinto al massimo per accelerare le riforme rurali, rendendo la riduzione della povertà nelle campagne uno dei principali obiettivi del governo per il 2019 e il 2020. A marzo Xi ha detto ai delegati al Congresso nazionale del popolo di quest’anno che il «Paese fiorirà solo quando la campagna fiorirà a sua volta, ma si impoverirà, se le zone rurali si impoveriranno». Questa è la grande sfida che deve affrontare Xi Jinping, con un programma di investimenti e riforme che, se dovesse fallire, trascinerà la Cina, tutta la Cina e la sua intera economia, indietro di molti decenni.

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