L’Ok Boomer in realtà cancella i 40enni

Con questa espressione già diventata meme i giovanissimi chiedono un cambiamento radicale. Una ribellione che però può sfociare in un'inedita alleanza tra energia e competenze. Ma che non contempla né millennial né generazione X.

«Non ti fidare di chi ha più di 30 anni». Così metteva in guardia il movimento del ’68, per bocca di Jack Weinberg, attivista radicale del Free Speech Movement di Berkeley. Ma potremmo pure evocare «L’immaginazione al potere» e «Una risata vi seppellirà», ma solo per ricordare che le utopie giovanili devono sempre fare i conti con la forza del sistema. Che da sempre è in mano agli adulti. L’immagine di Greta Thunberg che parla all’Onu e incrocia Donald Trump è diventato un meme. Giusto per riferirsi a quello che tiene banco da una paio di settimane e che ha in «Ok Boomer» l’espressione con cui un adolescente, in un video diventato virale sul social cinese TikTok, risponde a chi definisce folle l’idealismo giovanile.

LA RICHIESTA DI UN CAMBIAMENTO SOSTANZIALE

Ma aggiunto che Ok Boomer si è subito trasformato in merchandising, giusto per ribadire che il business non fa sconti nemmeno agli ideali, ricorderemo che il conflitto generazionale non è una novità. È da 50 anni che va in onda, in un alternarsi di scoppi e di pacificazioni, anche se ora sembra riproporsi in una versione più arrabbiata. Per quanto ancora gentile, servita con la punta di ironia con cui la giovanissima deputata neozelandese Chlöe Swarbrick ha detto «Ok Boomer» al collega più anziano che ha interrotto il suo discorso sui cambiamenti climatici. Il Peace and Love di sessantottesca memoria, al pari dello spirito new age e Grunge di fine secolo o della composta rassegnazione con cui giovani e giovanissimi hanno risposto negli ultimi anni a chi li ha definiti “generazione sdraiata” o Choosy, sta lasciando il posto a una combattiva richiesta di cambiamenti sostanziali

GENERAZIONE Z CONTRO BOOMER

I baby boomer sono i principali accusati. Visti dalla generazione Z, come quelli che hanno «munto la mucca sino a ridurla quasi a secco», per usare la metafora di Time. Nonni e padri che lasciano a figli e nipoti un Pianeta surriscaldato, un’economia a rotoli, un sistema finanziario rapace, uno stato sociale sempre più in difficoltà a garantire il presente e ancor più il futuro.

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Tuttavia questo conflitto, per ritornare sulle considerazioni della volta scorsa sull’auspicabile alleanza fra Sardine e Draghi, cioè fra energia e entusiasmo mixato a competenza e autorevolezza, ha una particolarità. Non solo di suggerire una versione positiva e propositiva di «Ok Boomer», cioè un’alleanza fra generazioni estreme per un cambiamento reale, ma anche di evidenziare come le generazioni di mezzo (30-50 e in particolare i 40enni) siano assenti. Apparentemente, almeno, non interessate a trasformazioni forti, dunque sostanziali e sistemiche. 

I 40ENNI SONO NATIVI CONSUMISTI

Devo però fare due premesse. Quando parlo di boomer disponibili a sostenere progetti di radicali cambiamenti, mi riferisco a 60enni e oltre dallo spirito evergreen e con competenze riconosciute. Cioè credibili e autorevoli come mentori e registi di un processo lasciato interamente nelle mani delle giovani generazioni. E questi boomer sapiens sono una minoranza nella loro classe d’età. Soprattutto in Italia. Quando viceversa mi riferisco ai 30/50enni ho in mente una classe d’età che, certo con eccezioni, non ha le sensibilità e abilità della gen Z e nemmeno l’esperienza e le carriere professionali dei boomer. Soprattutto i 40enni non sono nativi digitali bensì nativi consumisti.

I 30 e 50enni, con eccezioni, non hanno le abilità della gen Z e nemmeno l’esperienza dei boomer. E i 40enni non sono nativi digitali bensì nativi consumisti

Sono cioè cresciuti in una società dei consumi matura, anzi opulenta. Hanno avuto molto in termini di gratificazioni economiche, ma hanno coltivato attese eccessive. Nel contempo che sono cresciuti in un contesto sociale spoliticizzato: sempre meno caratterizzato dalla presenza dei partiti e sempre più illuminato dalla tivù e dalla pubblicità. Generazione X, compresa fra il 1961 e il 1980, e millenial (1981- 1995) sono, sia pure in modo diverso, vittime della fase post-moderna, segnata dalla fine delle Grandi Narrazioni, ovvero delle ideologie e delle appartenenze forti. Generazioni di passaggio, in transito: dalla tivù a internet, dal sogno americano (ricchi, felici e realizzati) all’incubo della “generazione mille euro”. Mi spezzo ma non mi impiego è il titolo del romanzo di Antonio Bajani che ha raccontato le vite giovanili in stile Ikea.

UNA GENERAZIONE SOSPESA

In Italia questa “generazione sospesa” ha prodotto e non poteva che produrre poco o niente sul piano dell’innovazione. Scivolando spesso nell’antipolitica: attratta dalle piazze del Vaffa Day, dalla promessa  di rottamazioni mai avvenute, da annunciate successioni ancora da venire, leadership di giornata e nuovi partiti sfidanti la vanagloria. Scorrono le immagini bipartisan dei 30-40 enni dell’ultimo decennio.

Sorprende che la gen Z sia molto più vicina e simile alle generazioni che hanno costruito l’attuale benessere e non a quelle che lo hanno solo sfruttato

Angelino Alfano, Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Roberto Speranza, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giovanni Toti, Carlo Calenda. È con questi che la politica è diventata meme, selfie, streaming, twitteria da barbieri. Sovente una pagliacciata, ma che in Italia spesso annuncia guai seri. Si ride amaro infatti di fronte a chi annuncia che «la povertà è stata abolita» per decreto, che la magistratura sta dando la caccia «non al mostro ma al senatore di Scandicci», che l’Emilia-Romagna deve essere «liberata dal comunismo».

IL RISCATTO DEI GIOVANISSIMI

Ma se è vero che a tutto c’è un limite, al punto più basso e disperante della politica italiana accade quel che nessuno s’aspettava e men che mai aveva osato sperare. Che giovani e giovanissimi perlopiù, la generazione Z, scendesse e scenda ogni volta più numerosa, in piazza, riprendendo il filo di una comunicazione intergenerazionale interrotta da tempo. Da quando diventar grandi, ovvero la socializzazione politica, era garantita dalla trasmissione di valori e pratiche fra classi d’età contigue: erano i fratelli maggiori e i loro amici a introdurre i più giovani alla vita politica e partitica. Ed erano i più vecchi i garanti di un progressivo passare di consegne, che riguardava anche l’accesso ai ruoli dirigenti.

C’è chi paragona la gen Z alla Silent generation, nata fra il il 1928 e il 1945. Entrambe tendono a valorizzare i legami familiari, a essere avverse al rischio e ottimiste. Forse perché cresciute in periodi di declino economico

Era una dialettica, anche di potere e non solo fra generazioni, che alimentava una società nella quale il sistema delle attese e delle ricompense era in equilibrio. Il progressivo allargamento del ceto medio, sino a comprendere i due terzi della società, con le relative opportunità di lavoro e reddito garantite più o meno a tutti in modo abbastanza uniforme, ne è stata la felice espressione.

UNA QUESTIONE DI FIDUCIA

Ora non si tratta di vagheggiare quel tempo e quella società. Però sorprende ed è beneaugurante che la gen Z sia molto più vicina e simile alle generazioni che hanno costruito l’attuale benessere che non a quelle che lo hanno solo sfruttato. Ci sono numerose ricerche che evidenziano i molti punti valoriali che i 20enni d’oggi hanno in comune con i loro nonni, con la carica ideale che è stata dei figli del boom. Addirittura c’è chi si spinge ancor più indietro paragonando la gen Z alla Silent generation, nata fra il il 1928 e il 1945. Entrambi i gruppi tendono infatti a valorizzare i legami familiari, a essere avversi al rischio, parsimoniosi e ottimisti, forse perché cresciuti in periodi di pesante declino economico. Ecco allora che si può concludere rovesciando il presupposto iniziale sotteso all’Ok Boomer: chi ha 20 anni può fidarsi di chi ne ha più di 60. A patto ovviamente che siano stati ben spesi. E confermino quel che ha scritto Ernest Hemingway: «I vecchi non sono più saggi, sono solo più attenti».

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