Il doppio fronte che rischia di mandare in crisi il governo sull’ex Ilva

Guerra aperta tra il governo e ArcelorMittal: la chiusura sarebbe un colpo mortale per il Conte 2. E sullo scudo il braccio di ferro tra M5s e Pd può riscrivere i rapporti di forza all'interno della maggioranza. Già messa alla prova dal nodo Regionali.

Il binario della guerra tra governo e ArcelorMittal è doppio. E duplice è il rischio della crisi per l’esecutivo. In primis c’è il binario del futuro dello stabilimento: una chiusura sarebbe un colpo mortale per l’esecutivo. Il secondo binario è invece prettamente politico e viaggia sul filo di quello «scudo penale» attorno al quale si consuma lo scontro tra Movimento 5 stelle e Partito democratico.

DI MAIO E FRANCESCHINI GIÀ AL LAVORO SU UN PIANO B

È uno scontro, al momento, solo verbale, al quale Luigi Di Maio e Dario Franceschini accompagnano già l’ipotesi di un piano B: quello di sedersi attorno a un tavolo, dopo la manovra, per un patto che puntelli programma e esecutivo. Quel tavolo, prima di gennaio, non vedrà la luce. Infatti, come condizione preliminare, i partiti di maggioranza sono chiamati a sotterrare l’ascia di guerra sulla manovra e, soprattutto, sull’ex Ilva. Non sarà facile. Su ArcelorMittal le posizioni sono rigide.

IL M5S IRRIGIDITO DALL’IPOTESI SCUDO

Pd e Italia viva restano ferme sulla necessità, comunque vada la trattativa, di ripristinare quello scudo che il M5s, sotto la spinta dei ribelli pugliesi, ha tolto dal dl imprese. È una posizione nei confronti della quale Di Maio si irrigidisce, sposando la causa “identitaria” cara a gran parte dei parlamentari. In realtà il capo politico ha poche alternative. Il nodo dello scudo, che ricorda ormai quello della Tav, rischia di far implodere i gruppi in un momento in cui perfino il dissenso sembra non avere una linea comune. Inutile, ragionano nel Movimento, impiccarsi al principio di uno scudo penale che, al momento, non è risolutivo neppure sull’ex Ilva. Certo, lo stallo sulla trattativa tra il governo e i Mittal potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro. E, nel caso lo scudo si rivelasse necessario per salvare lo stabilimento il capo politico metterebbe i suoi parlamentari di fronte a una scelta decisiva. Tra l’ex Ilva o il governo. Di Maio fa il punto della situazione con i “suoi” ministri nel pomeriggio, nell’appartamento che, solitamente, ospita i vertici più delicati. Si parla di ex Ilva, ma anche di una rivolta interna ormai permanente.

IL NODO DELLE REGIONI AUMENTA LE TENSIONI

I vertici del Movimento, in un altro momento storico, forse avrebbero fatto scattare la tagliola delle epurazioni. Di Maio, per ora, opta per la “carota”: accelerare sulla riorganizzazione del Movimento e prospettare, per il 2020, degli stati generali “rifondativi” per i Cinque stelle. Non è detto che basterà, anche perché ad aumentare la tensione c’è il nodo Regionali: l’ipotesi di un’alleanza con il Pd, almeno per Emilia-Romagna e Calabria, è sepolta. E’ vivissima, invece, l’idea di non scendere in campo in alcune Regioni. Idea contro la quale si scagliano Danilo Toninelli e Barbara Lezzi. Alla fine sembra difficile che il M5s non scenda in campo in Calabria, dove la prospettiva di una campagna all’insegna del civismo non dispiace ai vertici. Ma in Emilia l’ipotesi di una desistenza, nonostante le divisioni interne in atto, è tutt’altro che da escludere. Il nodo Regionali scuote anche i rapporti Pd-M5S. Sull’Emilia-Romagna Nicola Zingaretti si gioca tutto o quasi. E non vuole arrivare al 26 gennaio con un governo ansimante. «Meno polemiche e più solidarietà», è l’invito del segretario.

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Segre, lo stupore per la scorta e l’incontro con Salvini

La senatrice a vita: «Mai l'ho chiesta e mai me la sarei aspettata». A casa sua riceve il leader della Lega accompagnato dalla figlia. E il futuro della Commissione contro l'odio resta incerto.

E alla fine Matteo Salvini incontrò Liliana Segre. Il senatore faccia a faccia con la senatrice a vita sopravvissuta ai lager nazisti. Dopo le polemiche per l’astensione del centrodestra nel voto che ha istituito la Commissione contro odio, antisemitismo e razzismo. E dopo quell’uscita infelice del leghista in seguito all’assegnazione della scorta proprio alla Segre: «Le minacce contro lei, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime», aveva detto l’ex vicepremier parlando di se stesso in terza persona. Per poi aggiungere: «Anche io ne ricevo quotidianamente». Nel pomeriggio i due si sono visti nell’abitazione della Segre: Salvini si è presentato con la figlia, ma c’è massimo riserbo sui contenuti del loro colloquio.

MATTARELLA RICHIAMA AL SENSO DI RESPONSABILITÀ

Di certo quei 200 messaggi di odio che giungono quotidianamente alla Segre non sono passati inosservati e il capo dello Stato Sergio Mattarella è intervenuto richiamando alla «convivenza» e al «senso di responsabilità» come mezzo per contrastare «intolleranza» e «contrapposizione».

Certamente non mi aspettavo la scorta, non l’ho mai chiesta e non pensavo mai che l’avrei avuta


Liliana Segre

Sul caso che la vede suo malgrado protagonista la Segre ha rotto il silenzio in cui si era blindata: «Certamente non mi aspettavo la scorta, non l’ho mai chiesta e non pensavo mai che l’avrei avuta», ha detto ai microfoni di Rainews24. Quanto alla Commissione parlamentare da lei voluta, non ha sciolto il nodo se la presiederà o se comunque ne farà parte: «Vedremo quale sarà il mio ruolo». Su un punto però è stata molto chiara: «Non ho voluto la Commissione contro l’antisemitismo, ma assolutamente contro l’odio e come tale vorrei fosse programmata. C’è un’atmosfera di odio e odio è una parola orribile». Mentre i partiti continuano a litigare tra di loro anche su temi che non dovrebbero essere divisivi.

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L’ex presidente brasiliano Lula è libero

Scarcerazione sprint per l'ex leader. La Corte suprema ha deciso il 7 novembre di cambiare la propria giurisprudenza. E l'8 è stata accolta la richiesta della difesa.

Libero, grazie a un cambiamento nella giurisprudenza. Il presidente brasiliano Danilo Pereira Jr, del tribunale penale federale di Curitiba, ha accolto la richiesta della difesa dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva per la sua scarcerazione e lo ha autorizzato a lasciare la prigione di Curitiba, dove sta scontando la sua pena dall’aprile del 2018.

Manifestanti davanti alla prigione dove era incarcerato l’ex presidente Ignacio Luca da Silva. EPA/HEDESON ALVES

L’ex presidente brasiliano era agli arresti dal 7 aprile 2018 con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato, considerata la Mani Pulite verdeoro. Ma era talmente sicuro di essere scarcerato da avere addirittura annunciato “un grande discorso alla nazione”, una volta fuori, oltre a far sapere che lascerà la prigione “più a sinistra” di quando vi è entrato. L’ottimismo era giustificato visto che il 7 novembre la Corte suprema di Brasilia ha deciso a maggioranza risicata (5 contrari e 6 favorevoli, grazie al voto decisivo del presidente del tribunale, Antonio Dias Toffoli), di modificare la propria giurisprudenza stabilendo che un imputato possa essere privato della libertà solo dopo aver esaurito tutti i ricorsi possibili.

MANCA IL RICORSO ALLA CORTE SUPREMA

L’ex presidente-operaio è già stato condannato in tre gradi nel caso del cosiddetto “triplex di Guarujà”, ma può ancora ricorrere proprio alla Corte suprema. E infatti i suoi legali hanno presentato subito l’8 novembre una richiesta di “scarcerazione immediata” alla giudice Carolina Lebbos, del foro di Curitiba, città dello Stato meridionale di Paranà dove Lula si trova attualmente detenuto. E gli è stata concessa immediatamente.

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Un’altra donna ha accusato Polanski di stupro in Francia

Valentine Monnier, fotografa ed ex modella, ha detto che il regista l'avrebbe violentata nel 1975. «Mi riempì di botte, avevo solo 18 anni».

Una donna francese, Valentine Monnier, ha accusato il regista Roman Polanski di averla violentata nel 1975. A raccoglierne la testimonianza è stato il quotidiano Le Parisien. Fotografa, ex modella a New York, attrice in qualche film, la donna ha detto di essere stata stuprata «con estrema violenza, dopo una discesa in sci, nello chalet di Gstaad, in Svizzera», del regista. «Mi colpì, mi riempì di botte» – ha raccontato – «fino a quando non opposi più resistenza, poi mi violentò facendomi subire di tutto. Avevo appena 18 anni».

LA CONFESSIONE ISPIRATA DALL’ULTIMO FILM DI POLANSKI

«Nel 1975», ha scritto in un testo dopo aver più volte chiesto sostegno a personalità come Brigitte Macron o la ministra Marlene Schiappa – «fui violentata da Roman Polanski. Non avevo alcun legame con lui, né personale, né professionale e lo conoscevo appena. Fu di estrema violenza, dopo una discesa sugli sci. È stato l’ultimo lavoro di Polanski, J’accuse, l’ha spinta a uscire allo scoperto. Dopo aver ricevuto sempre risposte evasive o di impotenza da un punto di vista giudiziario vista la prescrizione dei fatti, ha deciso di rivelare tutto a Le Parisien: «Il ritardo di reazione non significa che si è dimenticato» – dice – «lo stupro è una bomba a orologeria. La memoria non si cancella, diventa fantasma e ti insegue, ti cambia insidiosamente. Il corpo finisce spesso per risentire di quello che la mente ha tenuto in disparte, fino a quando l’età o un avvenimento di rimette di fronte al ricordo traumatico». Nel film, Polanski mette in scena l’errore giudiziario per antonomasia, la storia del capitano Alfred Dreyfus.

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Torino, dopo la bufera politica una donna travolta da un monopattino

La città è ancora senza regolamento dei nuovi mezzi di trasporto. Nonostante l'addio del capo della polizia municipale. Le opposizioni all'attacco.

Dopo le multe, e le polemiche che hanno portato alle dimissioni del comandante della polizia municipale Emiliano Bezzon, il primo incidente. Un monopattino ha investito su un marciapiede di Torino un pedone, una donna 56enne di origini moldave ferita in modo lieve. L’uomo alla guida del mezzo è stato identificato dai vigili urbani; potrebbe essere sanzionato. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che c’è ancora incertezza sulle regole d’uso dei monopattini. E le opposizioni tornano all’attacco dell’Appendino.

«L’AMMINISTRAZIONE PROMUOVE UN USO SENZA REGOLE DEL MEZZO»

L’incidente all’ora di pranzo in corso Giulio Cesare, al civico 97. Per Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega in Comune e assessore alla Sicurezza della Regione Piemonte, «assurdo non è che ci sia stato un incidente, cosa che purtroppo era preventivabile, ma che l’amministrazione di Torino non abbia previsto una possibilità così plausibile e abbia incentivato e promosso un uso deregolamentato dei monopattini». «In questo modo – accusa l’esponente del Carroccio – Appendino e i suoi assessori hanno esposto i cittadini non soltanto al rischio di multe, ma anche a quello di trovarsi a dover affrontare un sinistro stradale senza avere dalla propria alcun tipo di regolamento per il mezzo che stanno guidando. Senza parlare poi del rischio per i pedoni».

FDI CHIEDE LE DIMISSIONI DELLA SINDACA

«Cosa capiterà, adesso, a chi si trova, come in questo caso, coinvolto da un incidente mentre guidava un monopattino? Cosa capiterà per chi è stato investito? Difficile dirlo – osserva ancora Ricca – visto che fino ad oggi né il Comune né il Governo hanno detto parole chiare e Appendino oltre alle campagne social non ha parallelamente lavorato per fare sì che questi mezzi non diventassero un rischio per i torinesi». Dura anche la reazione di Fratelli d’Italia. La parlamentare Augusta Montaruli rinnova l’invito ad Appendino a dimettersi e chiede al Comune di risarcire la donna infortunata. «Da quanto abbiamo appreso – dice la deputata – la signora non ha fortunatamente riportato ferite gravi, ma questo non alleggerisce le responsabilità politiche del sindaco Appendino. Quanto tempo passerà – si chiede Montaruli – prima che qualche altro pedone faccia le spese di questo far west di monopattini elettrici senza regole? Non ci resta che rinnovare il nostro invito al sindaco Appendino: si dimetta per il bene dei torinesi. Questa città – conclude – merita di più».

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Confermata in Appello la condanna a un anno per Maroni

Pena sospesa per l'ex governatore della Lombardia nel secondo grado di giudizio del processo che lo vedeva imputato per le presunte pressioni per favorire due ex collaboratrici. Respinta la richiesta di un aumento.

Niente aumento di pena come aveva chiesto la procura generale, ma nemmeno uno sconto né l’assoluzione chiesta dal legale di Roberto Maroni che, nella scorsa udienza, si era anche difeso di persona con dichiarazioni spontanee. È stata confermata, infatti, la condanna a un anno, con sospensione della pena, e a 450 euro di multa per l’ex governatore lombardo, tra gli imputati nel processo di secondo grado con al centro presunte pressioni per favorire, quando era alla guida del Pirellone, due sue ex collaboratrici di quando era ministro dell’Interno.

RIQUALIFICATO UNO DEI DUE REATI RIMASTI IN PIEDI

«Con una sentenza di condanna di sicuro non è felice. Questo perché è un processo dove chiunque si aspetta di essere assolto», è stato il commento a caldo dell’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex numero uno della Regione. La terza sezione penale della Corte d’Appello milanese, presieduta da Piero Gamacchio, ha solamente riqualificato, come richiesto anche dalla procura generale, uno dei due reati rimasto in piedi dopo la sentenza di primo grado del giugno 2018, quello di «turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente» in «turbata libertà degli incanti». Una riqualificazione, ha aggiunto il legale Aiello, che «necessita di una lettura delle motivazioni. Certamente impugneremo, perché non siamo d’accordo».

PER L’EX GOVERNATORE ERANO STATI CHIESTI DUE ANNI

Quest’accusa, per la quale è stata comunque confermata la pena di un anno, riguardava un incarico in Eupolis, ente di ricerca della Regione Lombardia, «preconfezionato», secondo l’accusa, e con «reddito e termini concordati» con Mara Carluccio (confermata la condanna a sei mesi) e da lei ottenuto anche grazie all’intervento di Andrea Gibelli, ai tempi segretario generale del Pirellone e ora presidente di Fnm spa. Per lui anche in secondo grado una pena di 10 mesi e 20 giorni. Confermata anche la condanna, pure per lui a un anno e a 450 euro di multa, per Giacomo Ciriello, all’epoca capo della segreteria di Maroni. Il sostituto pg Vincenzo Calia, però, coltivando i motivi d’appello del procuratore aggiunto Eugenio Fusco, aveva chiesto per l’ex presidente della Lombardia due anni e mezzo di reclusione (e per Ciriello due anni e due mesi), chiedendo che fosse dichiarato colpevole anche dell’altra imputazione di «induzione indebita». Una contestazione che riguardava il tentativo di fare inserire, a spese di Expo, Maria Grazia Paturzo, altra sua ex collaboratrice, nella delegazione che, nell’ambito del World Expo Tour, tra il 30 maggio e il 2 giugno 2014, aveva come meta Tokyo. Ipotesi che non ha retto nemmeno in secondo grado.

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L’annuncio della Turchia: iniziano lunedì le espulsioni di jihadisti

Il ministro degli Interni Suleyman Soylu a muso duro contro i Paesi europei: «Che vi piaccia o no, che ritiriate o no le loro cittadinanze, vi rimanderemo i membri dell'Isis, che sono la vostra gente, vostri cittadini». Gli italiani sono poco più di una decina.

A muso duro contro l’Europa. «Sono vostri, fatene quello che volete», ha detto il ministro degli Interni turco Suleyman Soylu venerdì 8 novembre, annunciando che lunedì 11 novembre la Turchia inizierà l’espulsione verso i Paesi d’origine dei jihadisti dell‘Isis catturati dalla Turchia. «Che vi piaccia o no, che ritiriate o no le loro cittadinanze, vi rimanderemo i membri dell’Isis, che sono la vostra gente, vostri cittadini».

100 FOREIGN FIGHTER BRITANNICI E POI FRANCESI E OLANDESI

Per Ankara è una prima risposta agli alleati Nato, accusati di averle voltato le spalle nell’offensiva contro le milizie curde in Siria, «schierandosi con i terroristi». Non è stato precisato quali saranno i Paesi inizialmente coinvolti, né come Ankara intenda forzare la mano in caso di mancato accordo con gli Stati di destinazione, visto che diversi accordi internazionali, tra cui la Convenzione di New York del 1961, vietano l’espulsione di apolidi. Oltre 100 sono i presunti jihadisti cui la Gran Bretagna ha ritirato il passaporto, tra cui figure note come Jack Letts, alias Jihadi Jack, o Shamima Begum, fuggita in Siria a 15 anni per unirsi all’Isis. Casi analoghi riguarderebbero Francia e Olanda. L’ultimatum non dovrebbe invece preoccupare l’Italia. Nelle prigioni turche, si apprende da fonti qualificate di intelligence e antiterrorismo, non ci sarebbero infatti combattenti del nostro Paese.

GLI ITALIANI SONO SOLO 13

Dalle ultime informazioni disponibili, i foreign fighter che hanno avuto un legame con l’Italia sarebbero circa 140, di cui una cinquantina morti. Gli italiani e i naturalizzati italiani sarebbero però solo 25 e di questi 4 risultano deceduti e 8 già rientrati in Europa e costantemente monitorati dagli apparati di sicurezza.

I 4 COMBATTENTI ITALIANI NEI CAMPI DI DETENZIONE CURDI

In Siria è stato invece arrestato, dopo esser stato catturato dai curdi e dagli americani, Samir Bougana, italo-marocchino di 24 anni partito nel 2013 per andare a combattere prima con Al Qaeda e poi con l’Isis. L’uomo è già in carcere in Italia. Nei campi di detenzione sotto controllo curdo, almeno fino all’offensiva di Ankara, tra Al Hol, Ayn Issa e Roj, si troverebbero invece almeno 4 combattenti italiani: Alice Brignoli e suo marito italo-marocchino Mohammed Koraichi con i 3 figli, Sonia Khediri, italo-tunisina e moglie di Abu Hamza al Abidi, figura di spicco del Califfato ucciso in combattimento, e Meriem Rehaily, 23enne padovana di origine marocchina, condannata per arruolamento con finalità di terrorismo. Anche loro avrebbero 2 figli ciascuna. Nelle carceri turche sono al momento detenuti complessivamente 1.149 jihadisti legati al Califfato, mentre almeno 242 sono i foreign fighter di 19 Paesi catturati in Siria dall’inizio un mese fa dell’operazione militare Fonte di Pace e pronti a essere rimandati a casa.

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Arrestato un clochard per l’incendio alla Cavallerizza Reale di Torino

L'uomo, incastrato dai filmati della sorveglianza, è stato individuato a Genova.

È stato individuato dalla polizia il piromane che, il 21 ottobre scorso a Torino, ha causato l’incendio che ha distrutto le ex scuderie della Cavallerizza Reale, patrimonio Unesco, occupata da quattro anni. Si tratta di un clochard di 38 anni di origine marocchina nato in Spagna. L’uomo è stato fermato dagli agenti del commissariato Centro di Genova, su provvedimento della procura di Torino, a seguito delle indagini sviluppate dalla polizia.

RIPRESO DALLE TELECAMERE MENTRE VERSAVA MATERIALE INFIAMMABILE

Le telecamere del commissariato Centro di Torino, installate alla Cavallerizza per un’indagine su un’attività di spaccio nello stabile, l’hanno ripreso mentre versava materiale infiammabile e tentava di appiccare il fuoco con un accendino prima nella zona del Tempietto, poi in quella dei Granai. Il giorno dopo il rogo, il clochard era stato sentito dagli agenti, ma aveva negato di trovarsi della Cavallerizza al momento dell’incendio e di aver trascorso la notte ai Murazzi del Po, sempre nel capoluogo piemontese. Le sue parole sono state smentite dalle immagini dai filmati.

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Conte fuori dall’Ilva a Taranto tra cori e contestazione

Ad accoglierlo una folla di operai, cittadini e ambientalisti: «Vogliamo la chiusura dell'impianto, qui ci sono più morti che nascite». Il premier: «Parlerò con tutti».

L’avvocato del popolo circondato dal popolo. A Taranto, fuori dallo stabilimento ex Ilva. Dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è presentato per parlare con gli operai, accompagnato da alcuni dirigenti del siderurgico. E dalla folla sono partiti cori, richieste, anche qualche contestazione.

Il premier ha in programma anche di partecipare al consiglio di fabbrica permanente di Fim, Fiom e Uilm. È entrato dalla portineria D, quella riservata all’ingresso degli operai. Lì c’erano rappresentanti di comitati e movimenti con striscioni che hanno chiesto la riconversione economica del territorio.

Molti hanno scandito cori inneggianti alla chiusura dell’impianto. Conte, un po’ travolto dalla confusione in mezzo alla ressa, ha reagito promettendo: «Parlerò con tutti, ma con calma».

Un cittadino gli ha urlato: «Dovete conoscere la situazione». E lui ha risposto: «Sono qui per questo». Un altro ha detto: «Mi sento in colpa perché ogni volta che vado al lavoro sto facendo del male alla mia famiglia».

Molti erano cittadini del vicino quartiere Tamburi, nel quale si contano i maggiori danni ambientali e alla salute. «Qui ci sono più morti che nascite», ha detto una madre. «Abbiamo fiducia nelle istituzioni, ma non fatela perdere a noi», ha aggiunto un altro. E ancora: «Questa città richiede altro, perché continuate a insistere su questa fabbrica?».

Il presidente del Consiglio ha dialogato con alcuni. Riportando il tema sul lavoro. «Tu lavori?», ha domandato a un cittadino. «Ora sono disoccupato», è stata la risposta. E quando gli è stato chiesto un giudizio sulla società che ora gestisce l’impianto, ha replicato al premier: «Mittal non si è comportata mica tanto bene».

Nella calca c’erano anche ambientalisti. Il premier a molti cittadini ha chiesto: «Cosa volete, la riconversione?». Ma il gruppo che lo ha assediato all’esterno prima che potesse entrare ha avuto una parola d’ordine: chiusura. Solo qualcuno ha accennato alla possibilità di una riconversione, impiegando per questo gli operai per la bonifica. Conte ha rivendicato attenzione all’ambiente: «Stiamo lavorando tanto per l’energia pulita».

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Chi è Brasile, il neofascista protagonista della rissa con Vauro

Sul corpo i tatuaggi del Duce e di Hitler. Nel passato le spedizioni anti-rom e gli attacchi agli immigrati. Come Massimiliano Minnocci è diventato una star di social e tivù portando avanti le idee dell'estrema destra.

La levata di scudi è già partita. Sono in molti a chiedere che personaggi come Brasile (o il Brasiliano), al secolo Massimiliano Minnocci, vengano lasciati fuori da talk show e rutilanti programmi in prime della tivù generalista. Per chi se lo fosse perso, Minnocci è l’agitatore di estrema destra arrivato quasi allo scontro fisico con Vauro nel corso del programma Dritto e Rovescio, in onda la sera del 7 novembre su Rete4.

«A ROMA DEVI FARE QUELLO CHE DICO IO»

Lo scambio poco cortese tra i due è arrivato al termine di un vivace botta e risposta tra lo stesso Brasile e la giornalista Francesca Fagnani, nel corso del quale il nostro ha rivendicato con orgoglio «ordine e disciplina» della borgata romana da cui proviene. «Roma non è fascista», è l’opinione Brasile, prima, però, di aggiungere un “energico” «devi fare quello che ti dico io».

Non è nuovo a performance di questo genere Minnocci, diventato negli ultimi mesi un habituée dei salotti televisivi, per nulla inibiti dalle idee poco ortodosse del personaggio, diventato una star sui social con migliaia e migliaia di follower di fronte ai quali non ha esitato ad autoproclamarsi più volte «l’ottavo re di Roma».

«A CHI RUBA TAGLIEREI LE MANI»

Di lui si dice che debba il soprannome alle qualità da calciatore, passione che sfoga quotidianamente da ultrà romanista. Ai microfoni della Zanzara non si è fatto remore, interpellato sulla questione rom, a dire che lui, a chi ruba, «taglierebbe le mani». E gli immigrati? «Dalle mie parti si stavano comportando male ‘sti zozzoni. Non servono le guardie, perché qui la legge la faccio io. Questa è casa mia. Ci penso io, non lo Stato». E ancora: «Io posso sbagliare perché sono italiano, loro no perché sono ospiti in questo Paese».

Sul suo fisico forgiato da ore e ora di palestra fanno “bella” mostra i tatuaggi di Adolf Hitler e Benito Mussolini, oltre a svastiche e croci celtiche su varie parti del corpo. A far compagnia a dichiarazioni da far accapponare la pelle: «In Italia ci vuole un po’ d’ordine. Manca zio Adolfo che fa pulizia. Voi dite che è incompatibile con la cocaina e col casino allo stadio? È vero, ma Hitler prendeva gli allucinogeni…».

«HO PIPPATO L’IRA DIO, MA ORA HO SMESSO»

Un riferimento ai suoi passati problemi di tossicodipendenza. «Ho o pippato l’ira di Dio, i grattacieli proprio. Ma non torno a pippare. Questa è un’altra vita. Ai ragazzini consiglio di non prendere sostanze stupefacenti».

In molti, evidentemente, credono che personaggi come Brasile incarnino alla perfezione lo spirito delle periferie romane e poco importa che finisca per divulgare in prima serata messaggi razzisti e xenofobi. La tivù preferisce concentrarsi sui disagi del passato, evitando di prendere posizione, per esempio, sulla protesta, di cui è stato protagonista, contro l’assegnazione della casa popolare a una famiglia rom che ne aveva diritto, lo scorso mese di maggio. O sulla sua fedina penale macchiata da una condanna a cinque mesi («pena sospesa», tiene a precisare). Richiesto di un’opinione sulla classe politica italiana, Brasile no ha dubbi: «Salvini mi piace, ma sta militarizzando Roma, mettessero gente delle borgate che davero ce li magnamo i rumeni e i talebani che vanno a rompe’ er cazzo. Adesso non voto niente. Però se dovessi votare, voto ’a Lega Nord, tutta ’avita».

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L’effetto Bloomberg sulle elezioni Usa 2020

Il magnate, che piace a Wall Street ed elettorato moderato, è pronto a candidarsi. Con pesanti ripercussioni sugli altri sfidanti dem. A partire da Biden.

Michael Bloomberg è pronto a sfidare Donald Trump. Secondo quanto riportato dal New York Times, il magnate dovrebbe presentare già nelle prossime ore la documentazione per candidarsi. E dovrebbe farlo nello Stato dell’Alabama, accedendo poi alle primarie. Anche se Bloomberg non ha ancora deciso al 100% se scendere in campo o meno, il deposito dei documenti gli consente di lasciarsi la porta aperta per lanciare il guanto di sfida a Trump, l’altro miliardario di New York, attualmente inquilino della Casa Bianca. Trump che ha così commentato l’ipotesi: «Little Michael non farà bene» ai dem, ha detto The Donald, dicendo che finirà col danneggiare Joe Biden.

BLOOMBERG SNOBBA I CANDIDATI DEMOCRATICI

A spingere Bloomberg a considerare seriamente la candidatura è il parterre dei democratici. A suo avviso – secondo indiscrezioni riportare dal New York Post – Biden è «debole», mentre Bernie Sanders ed Elizabeth Warren «non possono vincere». Alcuni stretti collaboratori di Bloomberg riferiscono che l’ex sindaco di New York è convinto che Trump sarà rieletto se Warren dovesse incassare la nomination democratica. Una discesa in campo di Bloomberg sarebbe un terremoto per la corsa dei democratici alla Casa Bianca, già segnata pesantemente dalle indagini per un possibile impeachment del presidente americano. Bloomberg a differenza degli altri dem in corsa non ha bisogno di raccogliere fondi: la sua fortuna gli consente di decidere anche all’ultimo momento se candidarsi senza doversi preoccupare di come finanziare la campagna.

L’EX SINDACO VEDE TRUMP COME «UNA MINACCIA SENZA PRECEDENTI»

Come pronosticato da Trump, a pagare il prezzo maggiore di un’eventuale candidatura di Bloomberg sarebbe Biden, il più moderato in corsa. Ma sarebbero tutti i candidati a risentirne, anche Warren: l’ex sindaco di New York è sicuramente visto più di buon occhio da Wall Street, dalla Silicon Valley e anche da molti elettori democratici contrari a una svolta eccessivamente a sinistra del partito. Bloomberg, afferma il suo consigliere Howard Wolfson, vede Trump come una «minaccia senza precedenti per il Paese» come dimostrano le sue donazioni alle elezioni di metà mandato. «Mike è sempre più preoccupato sul fatto che gli attuali candidati non sono ben posizionati» per battere Trump, aggiunge Wolfson. E proprio la platea di candidati non convincenti ha spinto Bloomberg a ripensare al passo in avanti, dopo che in marzo aveva annunciato di non voler scendere in campo.

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Ubi Banca, i risultati dei primi nove mesi del 2019

Utile contabile a 191,1 milioni di euro. In crescita il reddito operativo che si attesta al 9,6%.

La performance commerciale evidenziata dai risultati di Ubi Banca è positiva, come attesta la crescita del reddito operativo salito a/a del 9,6%.
Questo testimonia la capacità strutturale della banca di produrre utile e riflette la forte resilienza del margine di interesse che si è ridotto del 2,7%, e cioè in misura molto inferiore rispetto ai competitor.

Una buona performance delle commissioni che sono cresciute grazie al contributo determinante della raccolta indiretta che ha superato quota 100 mld, con una crescita sia dell’asset management sia del comparto assicurativo cresciuti rispettivamente del 7,8 % e dell’8,3%.
L’utile netto contabile, che è diminuito anno su anno da 210,5 a 191,1 milioni, risente dell’incidenza del costo del credito il quale riflette l’effetto delle operazioni sugli npl (-2,2 mld di euro a/a) che da un lato hanno permesso di raggiungere un NPE ratio del 9,07% ma hanno anche comportato un costo transitato per il conto economico.

La banca quindi è strutturalmente più forte, capace di produrre reddito ma in questa situazione vede una riduzione dell’utile netto contabile perché, in sostanza, una parte di utile è stata investita nel miglioramento strutturale dei conti della banca, testimoniato dal ratio degli npl.
La performance commerciale è però distintiva.

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Monte dei Paschi di Siena, condannati a 7 anni Mussari e Vigni

I vertici della banca ritenuti colpevoli per le operazioni irregolari usate per finanziare l'acquisizione di Antonveneta.

Il Tribunale di Milano ha condannato a 7 anni e 6 mesi di carcere Giuseppe Mussari, a 7 anni e 3 mesi Antonio Vigni e a 4 anni e 8 mesi Gian Luca Baldassarri, ex vertici di Monte dei Paschi di Siena tra gli imputati per le presunte irregolarità nelle operazioni effettuate dalla banca senese tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta. I giudici hanno anche condannato Daniele Pirondini, ex direttore finanziario di Rocca Salimbeni a 5 anni e 3 mesi.

CONFISCHE PER 150 MILIONI DI EURO A NOMURA E DEUTSCHE

Il Tribunale ha disposto confische per un importo complessivo di oltre 150 milioni di euro nei confronti di Deutsche Bank AG, compresa la filiale londinese, e Nomura, imputate a Milano in qualità di enti, nel processo sul caso Mps, a carico tra gli altri degli ex vertici Vigni, Mussari e Baldassarri. I giudici della seconda sezione penale hanno anche condannato i due istituti di credito a sanzioni pecuniarie da 3 milioni di euro ed oltre. Nel processo sono stati condannati tutti gli imputati, sia persone fisiche che giuridiche. (

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La triste storia di Luigi Di Maio sulla Via della Seta

Dopo tanti annunci roboanti, il ministro degli Esteri è tornato da Shanghai con un pugno di mosche in mano. Intanto la Cina continua la sua campagna acquisti in Italia.

Giggino è stato a Shanghai. Anzi, il nostro ministro degli Esteri, capo della Farnesina, Luigi Di Maio (detto “Giggino”, ma lui si arrabbia se lo si chiama così) nei giorni scorsi è volato in Cina a capo della delegazione ufficiale italiana alla grande fiera del commercio di Xi Jinping.

Gli annunci che hanno preceduto questa missione cinese sono stati a dir poco mirabolanti: ecco finalmente l’occasione per mettere a frutto le intese firmate a suo tempo con Pechino – l’ormai famosa “fuga in avanti” del passato governo, che ha provocato la ferma l’opposizione del nostro principale alleato, gli Usa e praticamente di tutta l’Unione Europea – intese commerciali, export di pomodori campani, arance napoletane… e questo mondo e quest’altro!

In realtà il povero Di Maio se ne ritorna tutto triste e quatto-quatto da Shanghai con poco più di un pugno di mosche in mano: una manciata di riso e un po’ di carne da vendere in Cina. Ignorato un po’ da tutti e umiliato, tra l’altro, dal presidente francese Emmanuel Macron, che invece ha calcato da protagonista la scena degli incontri cinesi.

DI MAIO HA IGNORATO IL FASTIDIO DEGLI USA PER I RAPPORTI ITALIA-CINA

Insomma, della famosa e contestata Nuova Via della seta tra Pechino e Roma questo è quel che è rimasto? Riso e carne da vendere in Cina, un po’ di turisti cinesi da portare in Italia: nient’altro? E le migliaia di container che dovevano viaggiare pieni di merci prelibate italiane lungo il nuovo asse ferroviario Italia/Europa-Cina, e che invece tornano per il 99% vuoti verso la Cina (mentre lì arrivano strapieni di export da piazzare da noi, in Europa)? Di Maio sembra ignorare questa e molte altre realtà (o forse nessuno del suo staff gliel’ha detto…) intenzionato ad andare avanti imperterrito sulla strada degli investimenti cinesi in Italia, convinto – in modo del tutto irragionevole – di non doversi aspettare nuove tensioni con l’alleato americano.

Gi avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco

«Trump è uno che capisce le ragioni del business», ha dichiarato ai giornalisti italiani a Shanghai, incalzato sull’argomento, «e gli americani non ci hanno mai fatto arrivare nessuna protesta per gli accordi della Via della seta», ha insistito. «La loro preoccupazione era tutta concentrata sul 5G, e ora in Italia abbiamo la normativa più restrittiva d’Europa al riguardo, che si applica a tutte le società senza discriminazioni». Sarà. Peccato però che non sia vero niente: gli avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco. C’è da chiedersi in quale universo politico e su quale scenario internazionale viva di Maio, a questo punto.

LA CAMPAGNA ACQUISTI CINESE IN ITALIA È GIÀ INIZIATA

Sul tavolo shanghaiese di Di Maio c’era poi un altro dossier delicato, per noi: la penetrazione dei capitali cinesi in Italia e la massiccia campagna acquisti che le imprese cinesi stanno facendo nei nostri porti. L’attenzione di Washington per la presenza cinese nel Mediterraneo, infatti, è altissima. Trieste ha chiuso di recente un mega accordo con il colosso di Stato Cccc per costruire in Cina piattaforme logistiche per convogliare export made in Italy. Una buona cosa, in teoria, peccato che in realtà si tratti solo della prima fase di un progetto che prevede l’ingresso massiccio, a gamba tesa, dell’azienda statale cinese nel sistema ferroviario dello scalo triestino.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio durante un brindisi in occasione di una cena con investitori cinesi e rappresentanti di aziende cinesi, a Shanghai.

Ma il nostro ministro degli Esteri non sembra rendersi conto dei rischi di questa massiccia campagna acquisti cinese in Italia, e invece di frenare e magari preoccuparsi, rilancia: «I progetti di investimento lungo la Via della seta marittima non finiscono qui», dice: «Il porto di Genova è abbastanza avanti e c’è un interesse anche su quello di Taranto». Ma allora dategli l’Ilva, piuttosto, per scongiurare il disastro che si sta annunciando! A questo punto, sarebbe il male minore.

PECHINO PUÒ SANZIONARE LE IMPRESE ESTERE A SUA DISCREZIONE

Del resto non bisogna mai dimenticare che quello con il colosso-Cina, per un piccolo e geopoliticamente insignificante Paese come il nostro – l’abbiamo detto e scritto molte volte – rischia sempre di trasformarsi in un abbraccio mortale. Per questo la prudenza e l’attenzione devono essere massime. Per esempio sul delicatissimo tema dei cosiddetti crediti sociali, che si sta rivelando uno dei principali ostacoli al raggiungimento dell’auspicato e molto necessario accordo sugli investimenti bilaterali, a cui Cina e Unione Europea lavorano ormai dal 2013. Il sistema dei crediti sociali, secondo i cinesi, mira a creare una società basata «sull’onestà» dispensando premi e punizioni a seconda di come i singoli e anche le aziende si comportano.

Risulta impossibile tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina

Ma secondo un recente rapporto della Camera di Commercio europea, in realtà espone le imprese straniere che operano in Cina a pesanti ritorsioni – fino all’espulsione dal mercato cinese – semplicemente per un commento sgradito o una scritta su una maglietta che i solerti censori pechinesi giudichino – a loro insindacabile giudizio – «lesiva dell’onorabilità e della sovranità del popolo e della nazione cinese». Risulta impossibile, insomma, tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina, a causa della discrezionalità con cui Pechino si arroga il diritto di sanzionare chiunque tocchi il tasto dolente dei diritti umani o metta in dubbio la sovranità cinese su Hong Kong, Xinjiang, Taiwan, Tibet, mar cinese e qualsiasi altro tema considerato sensibile dai burocrati del Partito comunista. E Dolce e Gabbana, Tiffany, la Nba (per citarne solo alcuni, la lista delle “vittime” si allunga ogni giorno di più) lo sanno bene.

Questa è la triste storia di Giggino che se ne torna tutto solo sulla via della Seta. Nel suo fagotto sulla spalla porta un manciata di riso è un po’ di carne, molte dichiarazioni sbagliate e una serie di gaffe a dir poco imbarazzanti. L’ultima quando a Shanghai gli è stato chiesto di esprimersi sulle proteste pro-democrazia di Hong Kong: «Abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri Paesi», ha risposto. Il vuoto assoluto.

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La triste storia di Luigi Di Maio sulla Via della Seta

Dopo tanti annunci roboanti, il ministro degli Esteri è tornato da Shanghai con un pugno di mosche in mano. Intanto la Cina continua la sua campagna acquisti in Italia.

Giggino è stato a Shanghai. Anzi, il nostro ministro degli Esteri, capo della Farnesina, Luigi Di Maio (detto “Giggino”, ma lui si arrabbia se lo si chiama così) nei giorni scorsi è volato in Cina a capo della delegazione ufficiale italiana alla grande fiera del commercio di Xi Jinping.

Gli annunci che hanno preceduto questa missione cinese sono stati a dir poco mirabolanti: ecco finalmente l’occasione per mettere a frutto le intese firmate a suo tempo con Pechino – l’ormai famosa “fuga in avanti” del passato governo, che ha provocato la ferma l’opposizione del nostro principale alleato, gli Usa e praticamente di tutta l’Unione Europea – intese commerciali, export di pomodori campani, arance napoletane… e questo mondo e quest’altro!

In realtà il povero Di Maio se ne ritorna tutto triste e quatto-quatto da Shanghai con poco più di un pugno di mosche in mano: una manciata di riso e un po’ di carne da vendere in Cina. Ignorato un po’ da tutti e umiliato, tra l’altro, dal presidente francese Emmanuel Macron, che invece ha calcato da protagonista la scena degli incontri cinesi.

DI MAIO HA IGNORATO IL FASTIDIO DEGLI USA PER I RAPPORTI ITALIA-CINA

Insomma, della famosa e contestata Nuova Via della seta tra Pechino e Roma questo è quel che è rimasto? Riso e carne da vendere in Cina, un po’ di turisti cinesi da portare in Italia: nient’altro? E le migliaia di container che dovevano viaggiare pieni di merci prelibate italiane lungo il nuovo asse ferroviario Italia/Europa-Cina, e che invece tornano per il 99% vuoti verso la Cina (mentre lì arrivano strapieni di export da piazzare da noi, in Europa)? Di Maio sembra ignorare questa e molte altre realtà (o forse nessuno del suo staff gliel’ha detto…) intenzionato ad andare avanti imperterrito sulla strada degli investimenti cinesi in Italia, convinto – in modo del tutto irragionevole – di non doversi aspettare nuove tensioni con l’alleato americano.

Gi avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco

«Trump è uno che capisce le ragioni del business», ha dichiarato ai giornalisti italiani a Shanghai, incalzato sull’argomento, «e gli americani non ci hanno mai fatto arrivare nessuna protesta per gli accordi della Via della seta», ha insistito. «La loro preoccupazione era tutta concentrata sul 5G, e ora in Italia abbiamo la normativa più restrittiva d’Europa al riguardo, che si applica a tutte le società senza discriminazioni». Sarà. Peccato però che non sia vero niente: gli avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco. C’è da chiedersi in quale universo politico e su quale scenario internazionale viva di Maio, a questo punto.

LA CAMPAGNA ACQUISTI CINESE IN ITALIA È GIÀ INIZIATA

Sul tavolo shanghaiese di Di Maio c’era poi un altro dossier delicato, per noi: la penetrazione dei capitali cinesi in Italia e la massiccia campagna acquisti che le imprese cinesi stanno facendo nei nostri porti. L’attenzione di Washington per la presenza cinese nel Mediterraneo, infatti, è altissima. Trieste ha chiuso di recente un mega accordo con il colosso di Stato Cccc per costruire in Cina piattaforme logistiche per convogliare export made in Italy. Una buona cosa, in teoria, peccato che in realtà si tratti solo della prima fase di un progetto che prevede l’ingresso massiccio, a gamba tesa, dell’azienda statale cinese nel sistema ferroviario dello scalo triestino.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio durante un brindisi in occasione di una cena con investitori cinesi e rappresentanti di aziende cinesi, a Shanghai.

Ma il nostro ministro degli Esteri non sembra rendersi conto dei rischi di questa massiccia campagna acquisti cinese in Italia, e invece di frenare e magari preoccuparsi, rilancia: «I progetti di investimento lungo la Via della seta marittima non finiscono qui», dice: «Il porto di Genova è abbastanza avanti e c’è un interesse anche su quello di Taranto». Ma allora dategli l’Ilva, piuttosto, per scongiurare il disastro che si sta annunciando! A questo punto, sarebbe il male minore.

PECHINO PUÒ SANZIONARE LE IMPRESE ESTERE A SUA DISCREZIONE

Del resto non bisogna mai dimenticare che quello con il colosso-Cina, per un piccolo e geopoliticamente insignificante Paese come il nostro – l’abbiamo detto e scritto molte volte – rischia sempre di trasformarsi in un abbraccio mortale. Per questo la prudenza e l’attenzione devono essere massime. Per esempio sul delicatissimo tema dei cosiddetti crediti sociali, che si sta rivelando uno dei principali ostacoli al raggiungimento dell’auspicato e molto necessario accordo sugli investimenti bilaterali, a cui Cina e Unione Europea lavorano ormai dal 2013. Il sistema dei crediti sociali, secondo i cinesi, mira a creare una società basata «sull’onestà» dispensando premi e punizioni a seconda di come i singoli e anche le aziende si comportano.

Risulta impossibile tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina

Ma secondo un recente rapporto della Camera di Commercio europea, in realtà espone le imprese straniere che operano in Cina a pesanti ritorsioni – fino all’espulsione dal mercato cinese – semplicemente per un commento sgradito o una scritta su una maglietta che i solerti censori pechinesi giudichino – a loro insindacabile giudizio – «lesiva dell’onorabilità e della sovranità del popolo e della nazione cinese». Risulta impossibile, insomma, tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina, a causa della discrezionalità con cui Pechino si arroga il diritto di sanzionare chiunque tocchi il tasto dolente dei diritti umani o metta in dubbio la sovranità cinese su Hong Kong, Xinjiang, Taiwan, Tibet, mar cinese e qualsiasi altro tema considerato sensibile dai burocrati del Partito comunista. E Dolce e Gabbana, Tiffany, la Nba (per citarne solo alcuni, la lista delle “vittime” si allunga ogni giorno di più) lo sanno bene.

Questa è la triste storia di Giggino che se ne torna tutto solo sulla via della Seta. Nel suo fagotto sulla spalla porta un manciata di riso è un po’ di carne, molte dichiarazioni sbagliate e una serie di gaffe a dir poco imbarazzanti. L’ultima quando a Shanghai gli è stato chiesto di esprimersi sulle proteste pro-democrazia di Hong Kong: «Abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri Paesi», ha risposto. Il vuoto assoluto.

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La triste storia di Luigi Di Maio sulla Via della Seta

Dopo tanti annunci roboanti, il ministro degli Esteri è tornato da Shanghai con un pugno di mosche in mano. Intanto la Cina continua la sua campagna acquisti in Italia.

Giggino è stato a Shanghai. Anzi, il nostro ministro degli Esteri, capo della Farnesina, Luigi Di Maio (detto “Giggino”, ma lui si arrabbia se lo si chiama così) nei giorni scorsi è volato in Cina a capo della delegazione ufficiale italiana alla grande fiera del commercio di Xi Jinping.

Gli annunci che hanno preceduto questa missione cinese sono stati a dir poco mirabolanti: ecco finalmente l’occasione per mettere a frutto le intese firmate a suo tempo con Pechino – l’ormai famosa “fuga in avanti” del passato governo, che ha provocato la ferma l’opposizione del nostro principale alleato, gli Usa e praticamente di tutta l’Unione Europea – intese commerciali, export di pomodori campani, arance napoletane… e questo mondo e quest’altro!

In realtà il povero Di Maio se ne ritorna tutto triste e quatto-quatto da Shanghai con poco più di un pugno di mosche in mano: una manciata di riso e un po’ di carne da vendere in Cina. Ignorato un po’ da tutti e umiliato, tra l’altro, dal presidente francese Emmanuel Macron, che invece ha calcato da protagonista la scena degli incontri cinesi.

DI MAIO HA IGNORATO IL FASTIDIO DEGLI USA PER I RAPPORTI ITALIA-CINA

Insomma, della famosa e contestata Nuova Via della seta tra Pechino e Roma questo è quel che è rimasto? Riso e carne da vendere in Cina, un po’ di turisti cinesi da portare in Italia: nient’altro? E le migliaia di container che dovevano viaggiare pieni di merci prelibate italiane lungo il nuovo asse ferroviario Italia/Europa-Cina, e che invece tornano per il 99% vuoti verso la Cina (mentre lì arrivano strapieni di export da piazzare da noi, in Europa)? Di Maio sembra ignorare questa e molte altre realtà (o forse nessuno del suo staff gliel’ha detto…) intenzionato ad andare avanti imperterrito sulla strada degli investimenti cinesi in Italia, convinto – in modo del tutto irragionevole – di non doversi aspettare nuove tensioni con l’alleato americano.

Gi avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco

«Trump è uno che capisce le ragioni del business», ha dichiarato ai giornalisti italiani a Shanghai, incalzato sull’argomento, «e gli americani non ci hanno mai fatto arrivare nessuna protesta per gli accordi della Via della seta», ha insistito. «La loro preoccupazione era tutta concentrata sul 5G, e ora in Italia abbiamo la normativa più restrittiva d’Europa al riguardo, che si applica a tutte le società senza discriminazioni». Sarà. Peccato però che non sia vero niente: gli avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco. C’è da chiedersi in quale universo politico e su quale scenario internazionale viva di Maio, a questo punto.

LA CAMPAGNA ACQUISTI CINESE IN ITALIA È GIÀ INIZIATA

Sul tavolo shanghaiese di Di Maio c’era poi un altro dossier delicato, per noi: la penetrazione dei capitali cinesi in Italia e la massiccia campagna acquisti che le imprese cinesi stanno facendo nei nostri porti. L’attenzione di Washington per la presenza cinese nel Mediterraneo, infatti, è altissima. Trieste ha chiuso di recente un mega accordo con il colosso di Stato Cccc per costruire in Cina piattaforme logistiche per convogliare export made in Italy. Una buona cosa, in teoria, peccato che in realtà si tratti solo della prima fase di un progetto che prevede l’ingresso massiccio, a gamba tesa, dell’azienda statale cinese nel sistema ferroviario dello scalo triestino.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio durante un brindisi in occasione di una cena con investitori cinesi e rappresentanti di aziende cinesi, a Shanghai.

Ma il nostro ministro degli Esteri non sembra rendersi conto dei rischi di questa massiccia campagna acquisti cinese in Italia, e invece di frenare e magari preoccuparsi, rilancia: «I progetti di investimento lungo la Via della seta marittima non finiscono qui», dice: «Il porto di Genova è abbastanza avanti e c’è un interesse anche su quello di Taranto». Ma allora dategli l’Ilva, piuttosto, per scongiurare il disastro che si sta annunciando! A questo punto, sarebbe il male minore.

PECHINO PUÒ SANZIONARE LE IMPRESE ESTERE A SUA DISCREZIONE

Del resto non bisogna mai dimenticare che quello con il colosso-Cina, per un piccolo e geopoliticamente insignificante Paese come il nostro – l’abbiamo detto e scritto molte volte – rischia sempre di trasformarsi in un abbraccio mortale. Per questo la prudenza e l’attenzione devono essere massime. Per esempio sul delicatissimo tema dei cosiddetti crediti sociali, che si sta rivelando uno dei principali ostacoli al raggiungimento dell’auspicato e molto necessario accordo sugli investimenti bilaterali, a cui Cina e Unione Europea lavorano ormai dal 2013. Il sistema dei crediti sociali, secondo i cinesi, mira a creare una società basata «sull’onestà» dispensando premi e punizioni a seconda di come i singoli e anche le aziende si comportano.

Risulta impossibile tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina

Ma secondo un recente rapporto della Camera di Commercio europea, in realtà espone le imprese straniere che operano in Cina a pesanti ritorsioni – fino all’espulsione dal mercato cinese – semplicemente per un commento sgradito o una scritta su una maglietta che i solerti censori pechinesi giudichino – a loro insindacabile giudizio – «lesiva dell’onorabilità e della sovranità del popolo e della nazione cinese». Risulta impossibile, insomma, tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina, a causa della discrezionalità con cui Pechino si arroga il diritto di sanzionare chiunque tocchi il tasto dolente dei diritti umani o metta in dubbio la sovranità cinese su Hong Kong, Xinjiang, Taiwan, Tibet, mar cinese e qualsiasi altro tema considerato sensibile dai burocrati del Partito comunista. E Dolce e Gabbana, Tiffany, la Nba (per citarne solo alcuni, la lista delle “vittime” si allunga ogni giorno di più) lo sanno bene.

Questa è la triste storia di Giggino che se ne torna tutto solo sulla via della Seta. Nel suo fagotto sulla spalla porta un manciata di riso è un po’ di carne, molte dichiarazioni sbagliate e una serie di gaffe a dir poco imbarazzanti. L’ultima quando a Shanghai gli è stato chiesto di esprimersi sulle proteste pro-democrazia di Hong Kong: «Abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri Paesi», ha risposto. Il vuoto assoluto.

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La triste storia di Luigi Di Maio sulla Via della Seta

Dopo tanti annunci roboanti, il ministro degli Esteri è tornato da Shanghai con un pugno di mosche in mano. Intanto la Cina continua la sua campagna acquisti in Italia.

Giggino è stato a Shanghai. Anzi, il nostro ministro degli Esteri, capo della Farnesina, Luigi Di Maio (detto “Giggino”, ma lui si arrabbia se lo si chiama così) nei giorni scorsi è volato in Cina a capo della delegazione ufficiale italiana alla grande fiera del commercio di Xi Jinping.

Gli annunci che hanno preceduto questa missione cinese sono stati a dir poco mirabolanti: ecco finalmente l’occasione per mettere a frutto le intese firmate a suo tempo con Pechino – l’ormai famosa “fuga in avanti” del passato governo, che ha provocato la ferma l’opposizione del nostro principale alleato, gli Usa e praticamente di tutta l’Unione Europea – intese commerciali, export di pomodori campani, arance napoletane… e questo mondo e quest’altro!

In realtà il povero Di Maio se ne ritorna tutto triste e quatto-quatto da Shanghai con poco più di un pugno di mosche in mano: una manciata di riso e un po’ di carne da vendere in Cina. Ignorato un po’ da tutti e umiliato, tra l’altro, dal presidente francese Emmanuel Macron, che invece ha calcato da protagonista la scena degli incontri cinesi.

DI MAIO HA IGNORATO IL FASTIDIO DEGLI USA PER I RAPPORTI ITALIA-CINA

Insomma, della famosa e contestata Nuova Via della seta tra Pechino e Roma questo è quel che è rimasto? Riso e carne da vendere in Cina, un po’ di turisti cinesi da portare in Italia: nient’altro? E le migliaia di container che dovevano viaggiare pieni di merci prelibate italiane lungo il nuovo asse ferroviario Italia/Europa-Cina, e che invece tornano per il 99% vuoti verso la Cina (mentre lì arrivano strapieni di export da piazzare da noi, in Europa)? Di Maio sembra ignorare questa e molte altre realtà (o forse nessuno del suo staff gliel’ha detto…) intenzionato ad andare avanti imperterrito sulla strada degli investimenti cinesi in Italia, convinto – in modo del tutto irragionevole – di non doversi aspettare nuove tensioni con l’alleato americano.

Gi avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco

«Trump è uno che capisce le ragioni del business», ha dichiarato ai giornalisti italiani a Shanghai, incalzato sull’argomento, «e gli americani non ci hanno mai fatto arrivare nessuna protesta per gli accordi della Via della seta», ha insistito. «La loro preoccupazione era tutta concentrata sul 5G, e ora in Italia abbiamo la normativa più restrittiva d’Europa al riguardo, che si applica a tutte le società senza discriminazioni». Sarà. Peccato però che non sia vero niente: gli avvertimenti americani sulla Belt and Road ci sono stati, e molto decisi, a dir poco. C’è da chiedersi in quale universo politico e su quale scenario internazionale viva di Maio, a questo punto.

LA CAMPAGNA ACQUISTI CINESE IN ITALIA È GIÀ INIZIATA

Sul tavolo shanghaiese di Di Maio c’era poi un altro dossier delicato, per noi: la penetrazione dei capitali cinesi in Italia e la massiccia campagna acquisti che le imprese cinesi stanno facendo nei nostri porti. L’attenzione di Washington per la presenza cinese nel Mediterraneo, infatti, è altissima. Trieste ha chiuso di recente un mega accordo con il colosso di Stato Cccc per costruire in Cina piattaforme logistiche per convogliare export made in Italy. Una buona cosa, in teoria, peccato che in realtà si tratti solo della prima fase di un progetto che prevede l’ingresso massiccio, a gamba tesa, dell’azienda statale cinese nel sistema ferroviario dello scalo triestino.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio durante un brindisi in occasione di una cena con investitori cinesi e rappresentanti di aziende cinesi, a Shanghai.

Ma il nostro ministro degli Esteri non sembra rendersi conto dei rischi di questa massiccia campagna acquisti cinese in Italia, e invece di frenare e magari preoccuparsi, rilancia: «I progetti di investimento lungo la Via della seta marittima non finiscono qui», dice: «Il porto di Genova è abbastanza avanti e c’è un interesse anche su quello di Taranto». Ma allora dategli l’Ilva, piuttosto, per scongiurare il disastro che si sta annunciando! A questo punto, sarebbe il male minore.

PECHINO PUÒ SANZIONARE LE IMPRESE ESTERE A SUA DISCREZIONE

Del resto non bisogna mai dimenticare che quello con il colosso-Cina, per un piccolo e geopoliticamente insignificante Paese come il nostro – l’abbiamo detto e scritto molte volte – rischia sempre di trasformarsi in un abbraccio mortale. Per questo la prudenza e l’attenzione devono essere massime. Per esempio sul delicatissimo tema dei cosiddetti crediti sociali, che si sta rivelando uno dei principali ostacoli al raggiungimento dell’auspicato e molto necessario accordo sugli investimenti bilaterali, a cui Cina e Unione Europea lavorano ormai dal 2013. Il sistema dei crediti sociali, secondo i cinesi, mira a creare una società basata «sull’onestà» dispensando premi e punizioni a seconda di come i singoli e anche le aziende si comportano.

Risulta impossibile tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina

Ma secondo un recente rapporto della Camera di Commercio europea, in realtà espone le imprese straniere che operano in Cina a pesanti ritorsioni – fino all’espulsione dal mercato cinese – semplicemente per un commento sgradito o una scritta su una maglietta che i solerti censori pechinesi giudichino – a loro insindacabile giudizio – «lesiva dell’onorabilità e della sovranità del popolo e della nazione cinese». Risulta impossibile, insomma, tutelare seriamente gli investimenti e le aziende straniere operanti in Cina, a causa della discrezionalità con cui Pechino si arroga il diritto di sanzionare chiunque tocchi il tasto dolente dei diritti umani o metta in dubbio la sovranità cinese su Hong Kong, Xinjiang, Taiwan, Tibet, mar cinese e qualsiasi altro tema considerato sensibile dai burocrati del Partito comunista. E Dolce e Gabbana, Tiffany, la Nba (per citarne solo alcuni, la lista delle “vittime” si allunga ogni giorno di più) lo sanno bene.

Questa è la triste storia di Giggino che se ne torna tutto solo sulla via della Seta. Nel suo fagotto sulla spalla porta un manciata di riso è un po’ di carne, molte dichiarazioni sbagliate e una serie di gaffe a dir poco imbarazzanti. L’ultima quando a Shanghai gli è stato chiesto di esprimersi sulle proteste pro-democrazia di Hong Kong: «Abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri Paesi», ha risposto. Il vuoto assoluto.

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La previsione di Banca d’Italia: tra il 2020 e il 2030 230 milioni di migranti

Le stime sono state diffuse dal governatore Ignazio Visco. Eppure la cifra record non riuscirebbe a compensare l'invecchiamento della popolazione europea. Mentre la crisi ambientale rischia di ridurre il nostro reddito pro capite del 25%.

Un mondo spezzato dalla crisi ambientale e in cui i flussi migratori diverranno correnti di esseri umani in movimento da un continente all’altro. Le prospettive per il futuro secondo il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco delineano uno scenario molto complesso da gestire. «Tra il 2020 e il 2030 il flusso di nuovi migranti potrebbe raggiungere la cifra record di circa 230 milioni di persone, quasi quanto la loro attuale consistenza. In Europa, tuttavia, gli arrivi previsti non basterebbero più a impedire una sensibile diminuzione del numero di persone in età attiva». È il quadro tracciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «La crisi ambientale – ha aggiunto – potrebbe ridurre il reddito pro capite mondiale di quasi un quarto entro il 2100 rispetto al livello che si potrebbe altrimenti raggiungere, con riduzioni forti soprattutto nel Sud del mondo e più lievi (in qualche caso aumenti) nel resto del pianeta».

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La previsione di Banca d’Italia: tra il 2020 e il 2030 230 milioni di migranti

Le stime sono state diffuse dal governatore Ignazio Visco. Eppure la cifra record non riuscirebbe a compensare l'invecchiamento della popolazione europea. Mentre la crisi ambientale rischia di ridurre il nostro reddito pro capite del 25%.

Un mondo spezzato dalla crisi ambientale e in cui i flussi migratori diverranno correnti di esseri umani in movimento da un continente all’altro. Le prospettive per il futuro secondo il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco delineano uno scenario molto complesso da gestire. «Tra il 2020 e il 2030 il flusso di nuovi migranti potrebbe raggiungere la cifra record di circa 230 milioni di persone, quasi quanto la loro attuale consistenza. In Europa, tuttavia, gli arrivi previsti non basterebbero più a impedire una sensibile diminuzione del numero di persone in età attiva». È il quadro tracciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «La crisi ambientale – ha aggiunto – potrebbe ridurre il reddito pro capite mondiale di quasi un quarto entro il 2100 rispetto al livello che si potrebbe altrimenti raggiungere, con riduzioni forti soprattutto nel Sud del mondo e più lievi (in qualche caso aumenti) nel resto del pianeta».

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Le stime sono state diffuse dal governatore Ignazio Visco. Eppure la cifra record non riuscirebbe a compensare l'invecchiamento della popolazione europea. Mentre la crisi ambientale rischia di ridurre il nostro reddito pro capite del 25%.

Un mondo spezzato dalla crisi ambientale e in cui i flussi migratori diverranno correnti di esseri umani in movimento da un continente all’altro. Le prospettive per il futuro secondo il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco delineano uno scenario molto complesso da gestire. «Tra il 2020 e il 2030 il flusso di nuovi migranti potrebbe raggiungere la cifra record di circa 230 milioni di persone, quasi quanto la loro attuale consistenza. In Europa, tuttavia, gli arrivi previsti non basterebbero più a impedire una sensibile diminuzione del numero di persone in età attiva». È il quadro tracciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «La crisi ambientale – ha aggiunto – potrebbe ridurre il reddito pro capite mondiale di quasi un quarto entro il 2100 rispetto al livello che si potrebbe altrimenti raggiungere, con riduzioni forti soprattutto nel Sud del mondo e più lievi (in qualche caso aumenti) nel resto del pianeta».

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La previsione di Banca d’Italia: tra il 2020 e il 2030 230 milioni di migranti

Le stime sono state diffuse dal governatore Ignazio Visco. Eppure la cifra record non riuscirebbe a compensare l'invecchiamento della popolazione europea. Mentre la crisi ambientale rischia di ridurre il nostro reddito pro capite del 25%.

Un mondo spezzato dalla crisi ambientale e in cui i flussi migratori diverranno correnti di esseri umani in movimento da un continente all’altro. Le prospettive per il futuro secondo il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco delineano uno scenario molto complesso da gestire. «Tra il 2020 e il 2030 il flusso di nuovi migranti potrebbe raggiungere la cifra record di circa 230 milioni di persone, quasi quanto la loro attuale consistenza. In Europa, tuttavia, gli arrivi previsti non basterebbero più a impedire una sensibile diminuzione del numero di persone in età attiva». È il quadro tracciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «La crisi ambientale – ha aggiunto – potrebbe ridurre il reddito pro capite mondiale di quasi un quarto entro il 2100 rispetto al livello che si potrebbe altrimenti raggiungere, con riduzioni forti soprattutto nel Sud del mondo e più lievi (in qualche caso aumenti) nel resto del pianeta».

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X Factor 2019, l’eliminato Marco Saltari: «Ora tifo Sierra»

Il cantante è stato eliminato insieme a Lorenzo Rinaldi nella terza puntata dei live del talent targato Sky. Mentre il primo ha confessato di aver ancora molto altro da dare, il secondo ha voluto chiarire la polemica sul suo essere troppo "vintage".

Sono Marco Saltari e Lorenzo Rinaldi i due concorrenti eliminati nella terza puntata dei live di X Factor 2019. Il primo è stato escluso dal pubblico a casa al termine della prima fase, durante la quale i cantanti si sono sfidati con i loro cavalli di battaglia in esibizioni di un minuto. Il secondo, invece, è finito al ballottaggio con Giordana Petralia nella manche classica, incassando il parere negativo dei giudici.

MARCO SALTARI: «DI ME SI È VISTO SOLTANTO IL 5%»

L’eliminazione di Marco Saltari nella terza puntata live è arrivata prestissimo, in seguito a un tutti-contro-tutti in cui a scegliere il primo eliminato è stato direttamente il pubblico. La sua interpretazione di Get Up Stand Up di Bob Marley non ha infatti convinto i fan del talent, che lo hanno subito bocciato nel televoto. Saltari ha 34 anni e viene da Corridonia, un piccolo paese in provincia di Macerata. La sua passione per la musica è iniziata prestissimo, quando a 7 anni ha trovato in garage la vecchia batteria del cugino e per gioco ha cominciato a suonarla. Attualmente lavora come operatore in una Ong per richiedenti asilo, ma è convinto di poter, un giorno, vivere della sua arte. Peccato che il suo sogno a X Factor si sia interrotto così alla svelta.

DOMANDA. Sei uscito proponendo un cavallo di battaglia. Cos’è andato storto?
RISPOSTA. Credo che il pezzo di Bob Marley sia molto bello. L’ho scelto di comune accordo con Mara, sapendo che in un minuto devi cercare di far presa sulla fetta di pubblico più ampia possibile. Evidentemente abbiamo sbagliato, ma come dico sempre «dopo so’ boni tutti». Credo che il mio percorso a X Factor sia stato un po’ inficiato dalle prime puntate. In quelle siamo stati effettivamente un po’ moscetti.

Sei stato eliminato nella manche iniziale, quella molto veloce. Avresti preferito affrontare una manche normale con la decisione dei giudici?
Non so se sarebbe andata diversamente. Mi dispiace soltanto di non aver potuto suonare All Along the Watchtower nella versione di Jimi Hendrix che avevo preparato. Lì sarebbe venuto fuori un po’ di quel 95% di cui parlavo. Qualcosa di molto diverso dalle prime esibizioni.

Sfera Ebbasta durante i bootcamp ha detto che non riusciva a trovarti una collocazione nel mercato musicale. Aveva ragione lui?
Sì, se i pezzi che potrei collocare nel mercato musicale sono quelli che ho eseguito finora a X Factor. Il fatto è che io non sono solo quello. E ci sono altre mille sfaccettature che però non sono riuscito a trasmettere. Di me Sfera ha visto soltanto un 5%.

Addirittura un 5%?
Sì, perché io adoro sperimentare. Non sono un integralista della musica. Mi piace il sincretismo strumentale e con i programmi di oggi puoi praticamente suonare di tutto. Spero tanto di riuscire a farlo sentire.

Se dipendesse da te, chi credi meriterebbe di vincere X Factor in questa edizione?
Sierra. Perché Massimo è un grandissimo scrittore e Giacomo è un ottimo performer. Però non chiedermelo di nuovo perché tra cinque minuti ho già cambiato idea.

A proposito del tuo lavoro in una Ong, nel Loft ti hanno fatto domande?
Assolutamente sì. A riguardo c’è molta curiosità e di solito la narrazione riguardante questo tema è costellata di luoghi comuni. Tutti erano interessati a conoscere come funziona per davvero quel mondo.

L’ELIMINATO LORENZO RINALDI: «NON SONO UN ARTISTA CUPO»

Dopo Marco Saltari, il secondo eliminato nella terza puntata dei live di X Factor 2019 è stato il giovanissimo Lorenzo Rinaldi, 19enne originario di Terni che è arrivato al ballottaggio insieme alla collega Giordana Petralia. La sua interpretazione di Baby i love you dei Ramones, nonostante una messa in scena di altissimo livello, non ha impressionato il pubblico. Il ragazzo però, che ha da pochissimo intrapreso la sua avventura musicale, ha voluto scrollarsi di dosso la sua immagine di artista cupo.

DOMANDA. Sfera è stato un dei giudici che nel corso delle puntate ti ha rivolto più critiche. Ieri ti ha definito poco splendente, mentre negli scorsi live ha usato per descriverti il termine “cupo”. Sei d’accordo?
RISPOSTA. Le critiche di Sfera le ho accolte, ma anche no. Ho cercato di andare avanti col tipo di percorso che avevo in mente, provando a farmi apprezzare anche da lui. Ma non mi definirei affatto un artista cupo. Anzi.

Credi che nel suo modo di fare ci fosse della strategia?
È un gioco, quindi un minimo di strategia è normale che ci sia. Anche perché i giudici devono convincere il pubblico che i propri concorrenti siano i migliori, quindi non ho nulla da rimproverargli.

Qualcuno ti ha definito un giovane Jim Morrison. Tu ti senti più un artista degli Anni ’70 oppure un contemporaneo?
Il paragone con Jim Morrison lo trovo un po’ scomodo perché per me lui è una leggenda. Ad ogni modo cerco di essere un artista contemporaneo.

Però ti hanno cucito addosso un abito molto vintage. Ti ci sentivi a tuo agio?
Si, ma credo che durante il percorso sarei riuscito a portare la mia musica al giorno d’oggi. Non so di preciso quale futuro avessero in mente per me, ma credo che volessero farmi uscire da questa bolla degli Anni ’70 che mi circonda.

Ti sarebbe piaciuto esibirti con qualcosa di più giovane?
Si, avrei tanto voluto portare Kiwi di Harry Styles. Mi trovo molto nel suo genere e nelle sue atmosfere. E forse così sarei riuscito a portare un’ondata di attualità in quell’atmosfera vintage che si era creata attorno a me.

Che rapporto avevi con il tuo giudice?
Con Malika ho costruito un rapporto bellissimo, genuino, dove nessuno aveva bisogno di fingere nonostante le telecamere.

Credi che gli Under uomini arriveranno in finale? Magari con Davide?
Davide spacca. Ha una voce bellissima ed è una persona d’oro. Non so se arriverà in finale, ma sicuramente se lo merita.

Credi che sia lui a meritare di vincere X Factor?
Vincere X Factor è un traguardone e non va in base ai meriti. Dipende da quanto arrivi al pubblico e da quanto piaci ai giudici. Fare adesso un pronostico sul vincitore è praticamente impossibile.

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X Factor 2019, l’eliminato Marco Saltari: «Ora tifo Sierra»

Il cantante è stato eliminato insieme a Lorenzo Rinaldi nella terza puntata dei live del talent targato Sky. Mentre il primo ha confessato di aver ancora molto altro da dare, il secondo ha voluto chiarire la polemica sul suo essere troppo "vintage".

Sono Marco Saltari e Lorenzo Rinaldi i due concorrenti eliminati nella terza puntata dei live di X Factor 2019. Il primo è stato escluso dal pubblico a casa al termine della prima fase, durante la quale i cantanti si sono sfidati con i loro cavalli di battaglia in esibizioni di un minuto. Il secondo, invece, è finito al ballottaggio con Giordana Petralia nella manche classica, incassando il parere negativo dei giudici.

MARCO SALTARI: «DI ME SI È VISTO SOLTANTO IL 5%»

L’eliminazione di Marco Saltari nella terza puntata live è arrivata prestissimo, in seguito a un tutti-contro-tutti in cui a scegliere il primo eliminato è stato direttamente il pubblico. La sua interpretazione di Get Up Stand Up di Bob Marley non ha infatti convinto i fan del talent, che lo hanno subito bocciato nel televoto. Saltari ha 34 anni e viene da Corridonia, un piccolo paese in provincia di Macerata. La sua passione per la musica è iniziata prestissimo, quando a 7 anni ha trovato in garage la vecchia batteria del cugino e per gioco ha cominciato a suonarla. Attualmente lavora come operatore in una Ong per richiedenti asilo, ma è convinto di poter, un giorno, vivere della sua arte. Peccato che il suo sogno a X Factor si sia interrotto così alla svelta.

DOMANDA. Sei uscito proponendo un cavallo di battaglia. Cos’è andato storto?
RISPOSTA. Credo che il pezzo di Bob Marley sia molto bello. L’ho scelto di comune accordo con Mara, sapendo che in un minuto devi cercare di far presa sulla fetta di pubblico più ampia possibile. Evidentemente abbiamo sbagliato, ma come dico sempre «dopo so’ boni tutti». Credo che il mio percorso a X Factor sia stato un po’ inficiato dalle prime puntate. In quelle siamo stati effettivamente un po’ moscetti.

Sei stato eliminato nella manche iniziale, quella molto veloce. Avresti preferito affrontare una manche normale con la decisione dei giudici?
Non so se sarebbe andata diversamente. Mi dispiace soltanto di non aver potuto suonare All Along the Watchtower nella versione di Jimi Hendrix che avevo preparato. Lì sarebbe venuto fuori un po’ di quel 95% di cui parlavo. Qualcosa di molto diverso dalle prime esibizioni.

Sfera Ebbasta durante i bootcamp ha detto che non riusciva a trovarti una collocazione nel mercato musicale. Aveva ragione lui?
Sì, se i pezzi che potrei collocare nel mercato musicale sono quelli che ho eseguito finora a X Factor. Il fatto è che io non sono solo quello. E ci sono altre mille sfaccettature che però non sono riuscito a trasmettere. Di me Sfera ha visto soltanto un 5%.

Addirittura un 5%?
Sì, perché io adoro sperimentare. Non sono un integralista della musica. Mi piace il sincretismo strumentale e con i programmi di oggi puoi praticamente suonare di tutto. Spero tanto di riuscire a farlo sentire.

Se dipendesse da te, chi credi meriterebbe di vincere X Factor in questa edizione?
Sierra. Perché Massimo è un grandissimo scrittore e Giacomo è un ottimo performer. Però non chiedermelo di nuovo perché tra cinque minuti ho già cambiato idea.

A proposito del tuo lavoro in una Ong, nel Loft ti hanno fatto domande?
Assolutamente sì. A riguardo c’è molta curiosità e di solito la narrazione riguardante questo tema è costellata di luoghi comuni. Tutti erano interessati a conoscere come funziona per davvero quel mondo.

L’ELIMINATO LORENZO RINALDI: «NON SONO UN ARTISTA CUPO»

Dopo Marco Saltari, il secondo eliminato nella terza puntata dei live di X Factor 2019 è stato il giovanissimo Lorenzo Rinaldi, 19enne originario di Terni che è arrivato al ballottaggio insieme alla collega Giordana Petralia. La sua interpretazione di Baby i love you dei Ramones, nonostante una messa in scena di altissimo livello, non ha impressionato il pubblico. Il ragazzo però, che ha da pochissimo intrapreso la sua avventura musicale, ha voluto scrollarsi di dosso la sua immagine di artista cupo.

DOMANDA. Sfera è stato un dei giudici che nel corso delle puntate ti ha rivolto più critiche. Ieri ti ha definito poco splendente, mentre negli scorsi live ha usato per descriverti il termine “cupo”. Sei d’accordo?
RISPOSTA. Le critiche di Sfera le ho accolte, ma anche no. Ho cercato di andare avanti col tipo di percorso che avevo in mente, provando a farmi apprezzare anche da lui. Ma non mi definirei affatto un artista cupo. Anzi.

Credi che nel suo modo di fare ci fosse della strategia?
È un gioco, quindi un minimo di strategia è normale che ci sia. Anche perché i giudici devono convincere il pubblico che i propri concorrenti siano i migliori, quindi non ho nulla da rimproverargli.

Qualcuno ti ha definito un giovane Jim Morrison. Tu ti senti più un artista degli Anni ’70 oppure un contemporaneo?
Il paragone con Jim Morrison lo trovo un po’ scomodo perché per me lui è una leggenda. Ad ogni modo cerco di essere un artista contemporaneo.

Però ti hanno cucito addosso un abito molto vintage. Ti ci sentivi a tuo agio?
Si, ma credo che durante il percorso sarei riuscito a portare la mia musica al giorno d’oggi. Non so di preciso quale futuro avessero in mente per me, ma credo che volessero farmi uscire da questa bolla degli Anni ’70 che mi circonda.

Ti sarebbe piaciuto esibirti con qualcosa di più giovane?
Si, avrei tanto voluto portare Kiwi di Harry Styles. Mi trovo molto nel suo genere e nelle sue atmosfere. E forse così sarei riuscito a portare un’ondata di attualità in quell’atmosfera vintage che si era creata attorno a me.

Che rapporto avevi con il tuo giudice?
Con Malika ho costruito un rapporto bellissimo, genuino, dove nessuno aveva bisogno di fingere nonostante le telecamere.

Credi che gli Under uomini arriveranno in finale? Magari con Davide?
Davide spacca. Ha una voce bellissima ed è una persona d’oro. Non so se arriverà in finale, ma sicuramente se lo merita.

Credi che sia lui a meritare di vincere X Factor?
Vincere X Factor è un traguardone e non va in base ai meriti. Dipende da quanto arrivi al pubblico e da quanto piaci ai giudici. Fare adesso un pronostico sul vincitore è praticamente impossibile.

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X Factor 2019, l’eliminato Marco Saltari: «Ora tifo Sierra»

Il cantante è stato eliminato insieme a Lorenzo Rinaldi nella terza puntata dei live del talent targato Sky. Mentre il primo ha confessato di aver ancora molto altro da dare, il secondo ha voluto chiarire la polemica sul suo essere troppo "vintage".

Sono Marco Saltari e Lorenzo Rinaldi i due concorrenti eliminati nella terza puntata dei live di X Factor 2019. Il primo è stato escluso dal pubblico a casa al termine della prima fase, durante la quale i cantanti si sono sfidati con i loro cavalli di battaglia in esibizioni di un minuto. Il secondo, invece, è finito al ballottaggio con Giordana Petralia nella manche classica, incassando il parere negativo dei giudici.

MARCO SALTARI: «DI ME SI È VISTO SOLTANTO IL 5%»

L’eliminazione di Marco Saltari nella terza puntata live è arrivata prestissimo, in seguito a un tutti-contro-tutti in cui a scegliere il primo eliminato è stato direttamente il pubblico. La sua interpretazione di Get Up Stand Up di Bob Marley non ha infatti convinto i fan del talent, che lo hanno subito bocciato nel televoto. Saltari ha 34 anni e viene da Corridonia, un piccolo paese in provincia di Macerata. La sua passione per la musica è iniziata prestissimo, quando a 7 anni ha trovato in garage la vecchia batteria del cugino e per gioco ha cominciato a suonarla. Attualmente lavora come operatore in una Ong per richiedenti asilo, ma è convinto di poter, un giorno, vivere della sua arte. Peccato che il suo sogno a X Factor si sia interrotto così alla svelta.

DOMANDA. Sei uscito proponendo un cavallo di battaglia. Cos’è andato storto?
RISPOSTA. Credo che il pezzo di Bob Marley sia molto bello. L’ho scelto di comune accordo con Mara, sapendo che in un minuto devi cercare di far presa sulla fetta di pubblico più ampia possibile. Evidentemente abbiamo sbagliato, ma come dico sempre «dopo so’ boni tutti». Credo che il mio percorso a X Factor sia stato un po’ inficiato dalle prime puntate. In quelle siamo stati effettivamente un po’ moscetti.

Sei stato eliminato nella manche iniziale, quella molto veloce. Avresti preferito affrontare una manche normale con la decisione dei giudici?
Non so se sarebbe andata diversamente. Mi dispiace soltanto di non aver potuto suonare All Along the Watchtower nella versione di Jimi Hendrix che avevo preparato. Lì sarebbe venuto fuori un po’ di quel 95% di cui parlavo. Qualcosa di molto diverso dalle prime esibizioni.

Sfera Ebbasta durante i bootcamp ha detto che non riusciva a trovarti una collocazione nel mercato musicale. Aveva ragione lui?
Sì, se i pezzi che potrei collocare nel mercato musicale sono quelli che ho eseguito finora a X Factor. Il fatto è che io non sono solo quello. E ci sono altre mille sfaccettature che però non sono riuscito a trasmettere. Di me Sfera ha visto soltanto un 5%.

Addirittura un 5%?
Sì, perché io adoro sperimentare. Non sono un integralista della musica. Mi piace il sincretismo strumentale e con i programmi di oggi puoi praticamente suonare di tutto. Spero tanto di riuscire a farlo sentire.

Se dipendesse da te, chi credi meriterebbe di vincere X Factor in questa edizione?
Sierra. Perché Massimo è un grandissimo scrittore e Giacomo è un ottimo performer. Però non chiedermelo di nuovo perché tra cinque minuti ho già cambiato idea.

A proposito del tuo lavoro in una Ong, nel Loft ti hanno fatto domande?
Assolutamente sì. A riguardo c’è molta curiosità e di solito la narrazione riguardante questo tema è costellata di luoghi comuni. Tutti erano interessati a conoscere come funziona per davvero quel mondo.

L’ELIMINATO LORENZO RINALDI: «NON SONO UN ARTISTA CUPO»

Dopo Marco Saltari, il secondo eliminato nella terza puntata dei live di X Factor 2019 è stato il giovanissimo Lorenzo Rinaldi, 19enne originario di Terni che è arrivato al ballottaggio insieme alla collega Giordana Petralia. La sua interpretazione di Baby i love you dei Ramones, nonostante una messa in scena di altissimo livello, non ha impressionato il pubblico. Il ragazzo però, che ha da pochissimo intrapreso la sua avventura musicale, ha voluto scrollarsi di dosso la sua immagine di artista cupo.

DOMANDA. Sfera è stato un dei giudici che nel corso delle puntate ti ha rivolto più critiche. Ieri ti ha definito poco splendente, mentre negli scorsi live ha usato per descriverti il termine “cupo”. Sei d’accordo?
RISPOSTA. Le critiche di Sfera le ho accolte, ma anche no. Ho cercato di andare avanti col tipo di percorso che avevo in mente, provando a farmi apprezzare anche da lui. Ma non mi definirei affatto un artista cupo. Anzi.

Credi che nel suo modo di fare ci fosse della strategia?
È un gioco, quindi un minimo di strategia è normale che ci sia. Anche perché i giudici devono convincere il pubblico che i propri concorrenti siano i migliori, quindi non ho nulla da rimproverargli.

Qualcuno ti ha definito un giovane Jim Morrison. Tu ti senti più un artista degli Anni ’70 oppure un contemporaneo?
Il paragone con Jim Morrison lo trovo un po’ scomodo perché per me lui è una leggenda. Ad ogni modo cerco di essere un artista contemporaneo.

Però ti hanno cucito addosso un abito molto vintage. Ti ci sentivi a tuo agio?
Si, ma credo che durante il percorso sarei riuscito a portare la mia musica al giorno d’oggi. Non so di preciso quale futuro avessero in mente per me, ma credo che volessero farmi uscire da questa bolla degli Anni ’70 che mi circonda.

Ti sarebbe piaciuto esibirti con qualcosa di più giovane?
Si, avrei tanto voluto portare Kiwi di Harry Styles. Mi trovo molto nel suo genere e nelle sue atmosfere. E forse così sarei riuscito a portare un’ondata di attualità in quell’atmosfera vintage che si era creata attorno a me.

Che rapporto avevi con il tuo giudice?
Con Malika ho costruito un rapporto bellissimo, genuino, dove nessuno aveva bisogno di fingere nonostante le telecamere.

Credi che gli Under uomini arriveranno in finale? Magari con Davide?
Davide spacca. Ha una voce bellissima ed è una persona d’oro. Non so se arriverà in finale, ma sicuramente se lo merita.

Credi che sia lui a meritare di vincere X Factor?
Vincere X Factor è un traguardone e non va in base ai meriti. Dipende da quanto arrivi al pubblico e da quanto piaci ai giudici. Fare adesso un pronostico sul vincitore è praticamente impossibile.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

X Factor 2019, l’eliminato Marco Saltari: «Ora tifo Sierra»

Il cantante è stato eliminato insieme a Lorenzo Rinaldi nella terza puntata dei live del talent targato Sky. Mentre il primo ha confessato di aver ancora molto altro da dare, il secondo ha voluto chiarire la polemica sul suo essere troppo "vintage".

Sono Marco Saltari e Lorenzo Rinaldi i due concorrenti eliminati nella terza puntata dei live di X Factor 2019. Il primo è stato escluso dal pubblico a casa al termine della prima fase, durante la quale i cantanti si sono sfidati con i loro cavalli di battaglia in esibizioni di un minuto. Il secondo, invece, è finito al ballottaggio con Giordana Petralia nella manche classica, incassando il parere negativo dei giudici.

MARCO SALTARI: «DI ME SI È VISTO SOLTANTO IL 5%»

L’eliminazione di Marco Saltari nella terza puntata live è arrivata prestissimo, in seguito a un tutti-contro-tutti in cui a scegliere il primo eliminato è stato direttamente il pubblico. La sua interpretazione di Get Up Stand Up di Bob Marley non ha infatti convinto i fan del talent, che lo hanno subito bocciato nel televoto. Saltari ha 34 anni e viene da Corridonia, un piccolo paese in provincia di Macerata. La sua passione per la musica è iniziata prestissimo, quando a 7 anni ha trovato in garage la vecchia batteria del cugino e per gioco ha cominciato a suonarla. Attualmente lavora come operatore in una Ong per richiedenti asilo, ma è convinto di poter, un giorno, vivere della sua arte. Peccato che il suo sogno a X Factor si sia interrotto così alla svelta.

DOMANDA. Sei uscito proponendo un cavallo di battaglia. Cos’è andato storto?
RISPOSTA. Credo che il pezzo di Bob Marley sia molto bello. L’ho scelto di comune accordo con Mara, sapendo che in un minuto devi cercare di far presa sulla fetta di pubblico più ampia possibile. Evidentemente abbiamo sbagliato, ma come dico sempre «dopo so’ boni tutti». Credo che il mio percorso a X Factor sia stato un po’ inficiato dalle prime puntate. In quelle siamo stati effettivamente un po’ moscetti.

Sei stato eliminato nella manche iniziale, quella molto veloce. Avresti preferito affrontare una manche normale con la decisione dei giudici?
Non so se sarebbe andata diversamente. Mi dispiace soltanto di non aver potuto suonare All Along the Watchtower nella versione di Jimi Hendrix che avevo preparato. Lì sarebbe venuto fuori un po’ di quel 95% di cui parlavo. Qualcosa di molto diverso dalle prime esibizioni.

Sfera Ebbasta durante i bootcamp ha detto che non riusciva a trovarti una collocazione nel mercato musicale. Aveva ragione lui?
Sì, se i pezzi che potrei collocare nel mercato musicale sono quelli che ho eseguito finora a X Factor. Il fatto è che io non sono solo quello. E ci sono altre mille sfaccettature che però non sono riuscito a trasmettere. Di me Sfera ha visto soltanto un 5%.

Addirittura un 5%?
Sì, perché io adoro sperimentare. Non sono un integralista della musica. Mi piace il sincretismo strumentale e con i programmi di oggi puoi praticamente suonare di tutto. Spero tanto di riuscire a farlo sentire.

Se dipendesse da te, chi credi meriterebbe di vincere X Factor in questa edizione?
Sierra. Perché Massimo è un grandissimo scrittore e Giacomo è un ottimo performer. Però non chiedermelo di nuovo perché tra cinque minuti ho già cambiato idea.

A proposito del tuo lavoro in una Ong, nel Loft ti hanno fatto domande?
Assolutamente sì. A riguardo c’è molta curiosità e di solito la narrazione riguardante questo tema è costellata di luoghi comuni. Tutti erano interessati a conoscere come funziona per davvero quel mondo.

L’ELIMINATO LORENZO RINALDI: «NON SONO UN ARTISTA CUPO»

Dopo Marco Saltari, il secondo eliminato nella terza puntata dei live di X Factor 2019 è stato il giovanissimo Lorenzo Rinaldi, 19enne originario di Terni che è arrivato al ballottaggio insieme alla collega Giordana Petralia. La sua interpretazione di Baby i love you dei Ramones, nonostante una messa in scena di altissimo livello, non ha impressionato il pubblico. Il ragazzo però, che ha da pochissimo intrapreso la sua avventura musicale, ha voluto scrollarsi di dosso la sua immagine di artista cupo.

DOMANDA. Sfera è stato un dei giudici che nel corso delle puntate ti ha rivolto più critiche. Ieri ti ha definito poco splendente, mentre negli scorsi live ha usato per descriverti il termine “cupo”. Sei d’accordo?
RISPOSTA. Le critiche di Sfera le ho accolte, ma anche no. Ho cercato di andare avanti col tipo di percorso che avevo in mente, provando a farmi apprezzare anche da lui. Ma non mi definirei affatto un artista cupo. Anzi.

Credi che nel suo modo di fare ci fosse della strategia?
È un gioco, quindi un minimo di strategia è normale che ci sia. Anche perché i giudici devono convincere il pubblico che i propri concorrenti siano i migliori, quindi non ho nulla da rimproverargli.

Qualcuno ti ha definito un giovane Jim Morrison. Tu ti senti più un artista degli Anni ’70 oppure un contemporaneo?
Il paragone con Jim Morrison lo trovo un po’ scomodo perché per me lui è una leggenda. Ad ogni modo cerco di essere un artista contemporaneo.

Però ti hanno cucito addosso un abito molto vintage. Ti ci sentivi a tuo agio?
Si, ma credo che durante il percorso sarei riuscito a portare la mia musica al giorno d’oggi. Non so di preciso quale futuro avessero in mente per me, ma credo che volessero farmi uscire da questa bolla degli Anni ’70 che mi circonda.

Ti sarebbe piaciuto esibirti con qualcosa di più giovane?
Si, avrei tanto voluto portare Kiwi di Harry Styles. Mi trovo molto nel suo genere e nelle sue atmosfere. E forse così sarei riuscito a portare un’ondata di attualità in quell’atmosfera vintage che si era creata attorno a me.

Che rapporto avevi con il tuo giudice?
Con Malika ho costruito un rapporto bellissimo, genuino, dove nessuno aveva bisogno di fingere nonostante le telecamere.

Credi che gli Under uomini arriveranno in finale? Magari con Davide?
Davide spacca. Ha una voce bellissima ed è una persona d’oro. Non so se arriverà in finale, ma sicuramente se lo merita.

Credi che sia lui a meritare di vincere X Factor?
Vincere X Factor è un traguardone e non va in base ai meriti. Dipende da quanto arrivi al pubblico e da quanto piaci ai giudici. Fare adesso un pronostico sul vincitore è praticamente impossibile.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

X Factor 2019, l’eliminato Marco Saltari: «Ora tifo Sierra»

Il cantante è stato eliminato insieme a Lorenzo Rinaldi nella terza puntata dei live del talent targato Sky. Mentre il primo ha confessato di aver ancora molto altro da dare, il secondo ha voluto chiarire la polemica sul suo essere troppo "vintage".

Sono Marco Saltari e Lorenzo Rinaldi i due concorrenti eliminati nella terza puntata dei live di X Factor 2019. Il primo è stato escluso dal pubblico a casa al termine della prima fase, durante la quale i cantanti si sono sfidati con i loro cavalli di battaglia in esibizioni di un minuto. Il secondo, invece, è finito al ballottaggio con Giordana Petralia nella manche classica, incassando il parere negativo dei giudici.

MARCO SALTARI: «DI ME SI È VISTO SOLTANTO IL 5%»

L’eliminazione di Marco Saltari nella terza puntata live è arrivata prestissimo, in seguito a un tutti-contro-tutti in cui a scegliere il primo eliminato è stato direttamente il pubblico. La sua interpretazione di Get Up Stand Up di Bob Marley non ha infatti convinto i fan del talent, che lo hanno subito bocciato nel televoto. Saltari ha 34 anni e viene da Corridonia, un piccolo paese in provincia di Macerata. La sua passione per la musica è iniziata prestissimo, quando a 7 anni ha trovato in garage la vecchia batteria del cugino e per gioco ha cominciato a suonarla. Attualmente lavora come operatore in una Ong per richiedenti asilo, ma è convinto di poter, un giorno, vivere della sua arte. Peccato che il suo sogno a X Factor si sia interrotto così alla svelta.

DOMANDA. Sei uscito proponendo un cavallo di battaglia. Cos’è andato storto?
RISPOSTA. Credo che il pezzo di Bob Marley sia molto bello. L’ho scelto di comune accordo con Mara, sapendo che in un minuto devi cercare di far presa sulla fetta di pubblico più ampia possibile. Evidentemente abbiamo sbagliato, ma come dico sempre «dopo so’ boni tutti». Credo che il mio percorso a X Factor sia stato un po’ inficiato dalle prime puntate. In quelle siamo stati effettivamente un po’ moscetti.

Sei stato eliminato nella manche iniziale, quella molto veloce. Avresti preferito affrontare una manche normale con la decisione dei giudici?
Non so se sarebbe andata diversamente. Mi dispiace soltanto di non aver potuto suonare All Along the Watchtower nella versione di Jimi Hendrix che avevo preparato. Lì sarebbe venuto fuori un po’ di quel 95% di cui parlavo. Qualcosa di molto diverso dalle prime esibizioni.

Sfera Ebbasta durante i bootcamp ha detto che non riusciva a trovarti una collocazione nel mercato musicale. Aveva ragione lui?
Sì, se i pezzi che potrei collocare nel mercato musicale sono quelli che ho eseguito finora a X Factor. Il fatto è che io non sono solo quello. E ci sono altre mille sfaccettature che però non sono riuscito a trasmettere. Di me Sfera ha visto soltanto un 5%.

Addirittura un 5%?
Sì, perché io adoro sperimentare. Non sono un integralista della musica. Mi piace il sincretismo strumentale e con i programmi di oggi puoi praticamente suonare di tutto. Spero tanto di riuscire a farlo sentire.

Se dipendesse da te, chi credi meriterebbe di vincere X Factor in questa edizione?
Sierra. Perché Massimo è un grandissimo scrittore e Giacomo è un ottimo performer. Però non chiedermelo di nuovo perché tra cinque minuti ho già cambiato idea.

A proposito del tuo lavoro in una Ong, nel Loft ti hanno fatto domande?
Assolutamente sì. A riguardo c’è molta curiosità e di solito la narrazione riguardante questo tema è costellata di luoghi comuni. Tutti erano interessati a conoscere come funziona per davvero quel mondo.

L’ELIMINATO LORENZO RINALDI: «NON SONO UN ARTISTA CUPO»

Dopo Marco Saltari, il secondo eliminato nella terza puntata dei live di X Factor 2019 è stato il giovanissimo Lorenzo Rinaldi, 19enne originario di Terni che è arrivato al ballottaggio insieme alla collega Giordana Petralia. La sua interpretazione di Baby i love you dei Ramones, nonostante una messa in scena di altissimo livello, non ha impressionato il pubblico. Il ragazzo però, che ha da pochissimo intrapreso la sua avventura musicale, ha voluto scrollarsi di dosso la sua immagine di artista cupo.

DOMANDA. Sfera è stato un dei giudici che nel corso delle puntate ti ha rivolto più critiche. Ieri ti ha definito poco splendente, mentre negli scorsi live ha usato per descriverti il termine “cupo”. Sei d’accordo?
RISPOSTA. Le critiche di Sfera le ho accolte, ma anche no. Ho cercato di andare avanti col tipo di percorso che avevo in mente, provando a farmi apprezzare anche da lui. Ma non mi definirei affatto un artista cupo. Anzi.

Credi che nel suo modo di fare ci fosse della strategia?
È un gioco, quindi un minimo di strategia è normale che ci sia. Anche perché i giudici devono convincere il pubblico che i propri concorrenti siano i migliori, quindi non ho nulla da rimproverargli.

Qualcuno ti ha definito un giovane Jim Morrison. Tu ti senti più un artista degli Anni ’70 oppure un contemporaneo?
Il paragone con Jim Morrison lo trovo un po’ scomodo perché per me lui è una leggenda. Ad ogni modo cerco di essere un artista contemporaneo.

Però ti hanno cucito addosso un abito molto vintage. Ti ci sentivi a tuo agio?
Si, ma credo che durante il percorso sarei riuscito a portare la mia musica al giorno d’oggi. Non so di preciso quale futuro avessero in mente per me, ma credo che volessero farmi uscire da questa bolla degli Anni ’70 che mi circonda.

Ti sarebbe piaciuto esibirti con qualcosa di più giovane?
Si, avrei tanto voluto portare Kiwi di Harry Styles. Mi trovo molto nel suo genere e nelle sue atmosfere. E forse così sarei riuscito a portare un’ondata di attualità in quell’atmosfera vintage che si era creata attorno a me.

Che rapporto avevi con il tuo giudice?
Con Malika ho costruito un rapporto bellissimo, genuino, dove nessuno aveva bisogno di fingere nonostante le telecamere.

Credi che gli Under uomini arriveranno in finale? Magari con Davide?
Davide spacca. Ha una voce bellissima ed è una persona d’oro. Non so se arriverà in finale, ma sicuramente se lo merita.

Credi che sia lui a meritare di vincere X Factor?
Vincere X Factor è un traguardone e non va in base ai meriti. Dipende da quanto arrivi al pubblico e da quanto piaci ai giudici. Fare adesso un pronostico sul vincitore è praticamente impossibile.

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Terna, inaugurato a Napoli il nuovo hub per l’innovazione

É il primo del Sud Italia. Sarà focalizzato su trasformazione digitale di processi aziendali, gestione delle risorse umane e processi organizzativi. Il progetto fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna investirà circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni.

Diventare un laboratorio di idee innovative al servizio della rete elettrica. È il futuro immaginato da Terna per il suo nuovo Innovation Hub, presentato lo scorso 7 novembre nella sede di Napoli. Il polo della capitale partenopea è il primo nel Sud Italia: sarà focalizzato sul digital to people, ovvero sulla trasformazione digitale dei processi aziendali e l’innovazione degli strumenti nell’area delle risorse umane e dell’organizzazione. Presenti all’inaugurazione, oltre all’amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, anche il ministro dell’Innovazione Paola Pisano e il consigliere delegato all’Informatizzazione e all’Agenda digitale della Città Metropolitana di Napoli, Rosario Ragosta. «È il nostro secondo Innovation hub», ha affermato Ferraris che ne ha già inaugurato un altro a Torino, «fa parte della strategia di portare l’innovazione sul territorio e favorire un collegamento più stretto tra la nostra azienda, le università, le startup locali».

IN CAMPANIA 536 MILIONI DI INVESTIMENTI IN 5 ANNI

« L’Innovation Hub di Napoli è la conferma dell’importanza di questa città e della regione », ha evidenziato Ferraris, « nella strategia di Terna che prevede nei prossimi cinque anni investimenti sulla rete elettrica campana per oltre 536 milioni di euro ». La società che gestisce la rete nazionale ha inoltre lanciato un nuovo concorso che ha l’obiettivo di coinvolgere professionisti locali nella progettazione di stazioni elettriche integrate nel territorio. Si parte proprio dalla Campania, dove a Capri Terna ha già realizzato una stazione unica nel suo genere, progettata in armonia con l’ambiente nel quale si inserisce.

GIÀ 6 STARTUP SELEZIONATE PER PROGETTI DIGITAL

L’Innovation Hub di Napoli fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna intende investire circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni a livello nazionale.  «È importantissimo», ha detto nel suo intervento il ministro Pisano, «dare il giusto ruolo all’innovazione e alla trasformazione del Paese. L’innovazione deve essere una misura strutturale, perché può incidere sull’aumento dei posti di lavoro e la competitività. Il ministero segue con attenzione le attività che si faranno all’interno del centro Terna di Napoli, con una forte attenzione a formazione, tecnologie usate, all’open innovation, per aumentare il numero di startup. Il pubblico deve diventare un attore principale nella partnership con le grosse aziende». Dopo Torino e Napoli, il piano proseguirà presto in altre città italiane. Intanto sono 6 le prime sturtup selezionate che nella città campana svilupperanno progetti di digital safety e di digital human resources: dai processi per rendere più efficiente la manutenzione degli asset, alla realizzazione di app che ricostruiscono virtualmente operazioni sul campo da utilizzare per formare il personale, alla realizzazione di una piattaforma di raccolta delle necessità formative per progettare percorsi di training personalizzato e di coaching digitale.

IL PROGETTO PUNTA A FAVORIRE LA TRANSIZIONE ENERGETICA

L’obiettivo, in uno scenario energetico sempre più complesso, è sviluppare prototipi di idee innovative focalizzate sui nuovi trend tecnologici: «Siamo orgogliosi di proseguire questo percorso di innovazione che ha l’obiettivo di creare sinergie tra le persone e le professionalità di Terna e le eccellenze del territorio per sviluppare idee e percorsi innovativi a beneficio di una rete elettrica sempre più moderna, efficiente, flessibile e sostenibile in grado di favorire la transizione energetica in atto», ha detto ancora l’ad di Terna. Con questi progetti l’azienda punta a favorire la cultura dell’innovazione, la creazione di future professionalità di eccellenza e lo sviluppo di soluzioni industriali che possano avere implementazione su più larga scala.

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Terna, inaugurato a Napoli il nuovo hub per l’innovazione

É il primo del Sud Italia. Sarà focalizzato su trasformazione digitale di processi aziendali, gestione delle risorse umane e processi organizzativi. Il progetto fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna investirà circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni.

Diventare un laboratorio di idee innovative al servizio della rete elettrica. È il futuro immaginato da Terna per il suo nuovo Innovation Hub, presentato lo scorso 7 novembre nella sede di Napoli. Il polo della capitale partenopea è il primo nel Sud Italia: sarà focalizzato sul digital to people, ovvero sulla trasformazione digitale dei processi aziendali e l’innovazione degli strumenti nell’area delle risorse umane e dell’organizzazione. Presenti all’inaugurazione, oltre all’amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, anche il ministro dell’Innovazione Paola Pisano e il consigliere delegato all’Informatizzazione e all’Agenda digitale della Città Metropolitana di Napoli, Rosario Ragosta. «È il nostro secondo Innovation hub», ha affermato Ferraris che ne ha già inaugurato un altro a Torino, «fa parte della strategia di portare l’innovazione sul territorio e favorire un collegamento più stretto tra la nostra azienda, le università, le startup locali».

IN CAMPANIA 536 MILIONI DI INVESTIMENTI IN 5 ANNI

« L’Innovation Hub di Napoli è la conferma dell’importanza di questa città e della regione », ha evidenziato Ferraris, « nella strategia di Terna che prevede nei prossimi cinque anni investimenti sulla rete elettrica campana per oltre 536 milioni di euro ». La società che gestisce la rete nazionale ha inoltre lanciato un nuovo concorso che ha l’obiettivo di coinvolgere professionisti locali nella progettazione di stazioni elettriche integrate nel territorio. Si parte proprio dalla Campania, dove a Capri Terna ha già realizzato una stazione unica nel suo genere, progettata in armonia con l’ambiente nel quale si inserisce.

GIÀ 6 STARTUP SELEZIONATE PER PROGETTI DIGITAL

L’Innovation Hub di Napoli fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna intende investire circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni a livello nazionale.  «È importantissimo», ha detto nel suo intervento il ministro Pisano, «dare il giusto ruolo all’innovazione e alla trasformazione del Paese. L’innovazione deve essere una misura strutturale, perché può incidere sull’aumento dei posti di lavoro e la competitività. Il ministero segue con attenzione le attività che si faranno all’interno del centro Terna di Napoli, con una forte attenzione a formazione, tecnologie usate, all’open innovation, per aumentare il numero di startup. Il pubblico deve diventare un attore principale nella partnership con le grosse aziende». Dopo Torino e Napoli, il piano proseguirà presto in altre città italiane. Intanto sono 6 le prime sturtup selezionate che nella città campana svilupperanno progetti di digital safety e di digital human resources: dai processi per rendere più efficiente la manutenzione degli asset, alla realizzazione di app che ricostruiscono virtualmente operazioni sul campo da utilizzare per formare il personale, alla realizzazione di una piattaforma di raccolta delle necessità formative per progettare percorsi di training personalizzato e di coaching digitale.

IL PROGETTO PUNTA A FAVORIRE LA TRANSIZIONE ENERGETICA

L’obiettivo, in uno scenario energetico sempre più complesso, è sviluppare prototipi di idee innovative focalizzate sui nuovi trend tecnologici: «Siamo orgogliosi di proseguire questo percorso di innovazione che ha l’obiettivo di creare sinergie tra le persone e le professionalità di Terna e le eccellenze del territorio per sviluppare idee e percorsi innovativi a beneficio di una rete elettrica sempre più moderna, efficiente, flessibile e sostenibile in grado di favorire la transizione energetica in atto», ha detto ancora l’ad di Terna. Con questi progetti l’azienda punta a favorire la cultura dell’innovazione, la creazione di future professionalità di eccellenza e lo sviluppo di soluzioni industriali che possano avere implementazione su più larga scala.

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Terna, inaugurato a Napoli il nuovo hub per l’innovazione

É il primo del Sud Italia. Sarà focalizzato su trasformazione digitale di processi aziendali, gestione delle risorse umane e processi organizzativi. Il progetto fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna investirà circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni.

Diventare un laboratorio di idee innovative al servizio della rete elettrica. È il futuro immaginato da Terna per il suo nuovo Innovation Hub, presentato lo scorso 7 novembre nella sede di Napoli. Il polo della capitale partenopea è il primo nel Sud Italia: sarà focalizzato sul digital to people, ovvero sulla trasformazione digitale dei processi aziendali e l’innovazione degli strumenti nell’area delle risorse umane e dell’organizzazione. Presenti all’inaugurazione, oltre all’amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, anche il ministro dell’Innovazione Paola Pisano e il consigliere delegato all’Informatizzazione e all’Agenda digitale della Città Metropolitana di Napoli, Rosario Ragosta. «È il nostro secondo Innovation hub», ha affermato Ferraris che ne ha già inaugurato un altro a Torino, «fa parte della strategia di portare l’innovazione sul territorio e favorire un collegamento più stretto tra la nostra azienda, le università, le startup locali».

IN CAMPANIA 536 MILIONI DI INVESTIMENTI IN 5 ANNI

« L’Innovation Hub di Napoli è la conferma dell’importanza di questa città e della regione », ha evidenziato Ferraris, « nella strategia di Terna che prevede nei prossimi cinque anni investimenti sulla rete elettrica campana per oltre 536 milioni di euro ». La società che gestisce la rete nazionale ha inoltre lanciato un nuovo concorso che ha l’obiettivo di coinvolgere professionisti locali nella progettazione di stazioni elettriche integrate nel territorio. Si parte proprio dalla Campania, dove a Capri Terna ha già realizzato una stazione unica nel suo genere, progettata in armonia con l’ambiente nel quale si inserisce.

GIÀ 6 STARTUP SELEZIONATE PER PROGETTI DIGITAL

L’Innovation Hub di Napoli fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna intende investire circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni a livello nazionale.  «È importantissimo», ha detto nel suo intervento il ministro Pisano, «dare il giusto ruolo all’innovazione e alla trasformazione del Paese. L’innovazione deve essere una misura strutturale, perché può incidere sull’aumento dei posti di lavoro e la competitività. Il ministero segue con attenzione le attività che si faranno all’interno del centro Terna di Napoli, con una forte attenzione a formazione, tecnologie usate, all’open innovation, per aumentare il numero di startup. Il pubblico deve diventare un attore principale nella partnership con le grosse aziende». Dopo Torino e Napoli, il piano proseguirà presto in altre città italiane. Intanto sono 6 le prime sturtup selezionate che nella città campana svilupperanno progetti di digital safety e di digital human resources: dai processi per rendere più efficiente la manutenzione degli asset, alla realizzazione di app che ricostruiscono virtualmente operazioni sul campo da utilizzare per formare il personale, alla realizzazione di una piattaforma di raccolta delle necessità formative per progettare percorsi di training personalizzato e di coaching digitale.

IL PROGETTO PUNTA A FAVORIRE LA TRANSIZIONE ENERGETICA

L’obiettivo, in uno scenario energetico sempre più complesso, è sviluppare prototipi di idee innovative focalizzate sui nuovi trend tecnologici: «Siamo orgogliosi di proseguire questo percorso di innovazione che ha l’obiettivo di creare sinergie tra le persone e le professionalità di Terna e le eccellenze del territorio per sviluppare idee e percorsi innovativi a beneficio di una rete elettrica sempre più moderna, efficiente, flessibile e sostenibile in grado di favorire la transizione energetica in atto», ha detto ancora l’ad di Terna. Con questi progetti l’azienda punta a favorire la cultura dell’innovazione, la creazione di future professionalità di eccellenza e lo sviluppo di soluzioni industriali che possano avere implementazione su più larga scala.

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Terna, inaugurato a Napoli il nuovo hub per l’innovazione

É il primo del Sud Italia. Sarà focalizzato su trasformazione digitale di processi aziendali, gestione delle risorse umane e processi organizzativi. Il progetto fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna investirà circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni.

Diventare un laboratorio di idee innovative al servizio della rete elettrica. È il futuro immaginato da Terna per il suo nuovo Innovation Hub, presentato lo scorso 7 novembre nella sede di Napoli. Il polo della capitale partenopea è il primo nel Sud Italia: sarà focalizzato sul digital to people, ovvero sulla trasformazione digitale dei processi aziendali e l’innovazione degli strumenti nell’area delle risorse umane e dell’organizzazione. Presenti all’inaugurazione, oltre all’amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, anche il ministro dell’Innovazione Paola Pisano e il consigliere delegato all’Informatizzazione e all’Agenda digitale della Città Metropolitana di Napoli, Rosario Ragosta. «È il nostro secondo Innovation hub», ha affermato Ferraris che ne ha già inaugurato un altro a Torino, «fa parte della strategia di portare l’innovazione sul territorio e favorire un collegamento più stretto tra la nostra azienda, le università, le startup locali».

IN CAMPANIA 536 MILIONI DI INVESTIMENTI IN 5 ANNI

« L’Innovation Hub di Napoli è la conferma dell’importanza di questa città e della regione », ha evidenziato Ferraris, « nella strategia di Terna che prevede nei prossimi cinque anni investimenti sulla rete elettrica campana per oltre 536 milioni di euro ». La società che gestisce la rete nazionale ha inoltre lanciato un nuovo concorso che ha l’obiettivo di coinvolgere professionisti locali nella progettazione di stazioni elettriche integrate nel territorio. Si parte proprio dalla Campania, dove a Capri Terna ha già realizzato una stazione unica nel suo genere, progettata in armonia con l’ambiente nel quale si inserisce.

GIÀ 6 STARTUP SELEZIONATE PER PROGETTI DIGITAL

L’Innovation Hub di Napoli fa parte del percorso di innovazione e digitalizzazione per il quale Terna intende investire circa 700 milioni di euro nei prossimi 5 anni a livello nazionale.  «È importantissimo», ha detto nel suo intervento il ministro Pisano, «dare il giusto ruolo all’innovazione e alla trasformazione del Paese. L’innovazione deve essere una misura strutturale, perché può incidere sull’aumento dei posti di lavoro e la competitività. Il ministero segue con attenzione le attività che si faranno all’interno del centro Terna di Napoli, con una forte attenzione a formazione, tecnologie usate, all’open innovation, per aumentare il numero di startup. Il pubblico deve diventare un attore principale nella partnership con le grosse aziende». Dopo Torino e Napoli, il piano proseguirà presto in altre città italiane. Intanto sono 6 le prime sturtup selezionate che nella città campana svilupperanno progetti di digital safety e di digital human resources: dai processi per rendere più efficiente la manutenzione degli asset, alla realizzazione di app che ricostruiscono virtualmente operazioni sul campo da utilizzare per formare il personale, alla realizzazione di una piattaforma di raccolta delle necessità formative per progettare percorsi di training personalizzato e di coaching digitale.

IL PROGETTO PUNTA A FAVORIRE LA TRANSIZIONE ENERGETICA

L’obiettivo, in uno scenario energetico sempre più complesso, è sviluppare prototipi di idee innovative focalizzate sui nuovi trend tecnologici: «Siamo orgogliosi di proseguire questo percorso di innovazione che ha l’obiettivo di creare sinergie tra le persone e le professionalità di Terna e le eccellenze del territorio per sviluppare idee e percorsi innovativi a beneficio di una rete elettrica sempre più moderna, efficiente, flessibile e sostenibile in grado di favorire la transizione energetica in atto», ha detto ancora l’ad di Terna. Con questi progetti l’azienda punta a favorire la cultura dell’innovazione, la creazione di future professionalità di eccellenza e lo sviluppo di soluzioni industriali che possano avere implementazione su più larga scala.

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