La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex

Nella maionese di Forza Italia che rischia di impazzire dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi c’è un ingrediente che potrebbe avere difficoltà a trovare il suo posto. Eh sì, perché Marta Fascina, al secolo Marta Antonia, ora rischia grosso: senza più la “blindatura” (sentimentale e politica) del fondatore la “moglie per finta” pare destinata a esser fatta fuori dai nemici interni dell’ala che fa capo alla numero uno dei senatori azzurri, Licia Ronzulli, mentre il vicepresidente del partito (e futuro possibile reggente), Antonio Tajani,  è tutt’altro che propenso a esibire il petto per farle da scudo.

Da ‘angelo di Arcore’ alle ambizioni (deluse) da king maker azzurra

Eppure Fascina è uno di quei personaggi femminili che meriterebbero un film biografico del regista cileno Pablo Larraín o comunque un ritratto riflettuto sulla relazione tra le donne e il potere, relazione mediata dagli uomini forti che hanno avuto accanto. Nella variegata fenomenologia del gentil sesso che si è accompagnato al debordante Cavaliere e raramente ha evitato il destino di una condizione comprimaria, se non decorativa (si eccettuano certamente i casi di mamma Rosa e della primogenita Marina), Marta si era ritagliata un ruolo del tutto particolare. Ruolo che ha subito una profonda metamorfosi dalla controllatissima discrezione dei primi tempi alle ambizioni da king maker coltivate nell’ultima fase. Dal semplice chignon biondo alla Eva Kant alle posture da novella Eva Peron, insomma, il passo è stato breve. Troppo breve, secondo molti in Forza Italia. Lineamenti affilati e compostezza di gesso, per il gran rito funebre in Duomo l’ultima “lady B” è riuscita a sfoderare le lacrime delle grandi occasioni e ha mantenuto con disciplina lo sguardo catatonico sul feretro per quasi tutta la funzione religiosa. I figli più grandi, Marina e Pier Silvio, l’hanno presa più volte per mano, soprattutto Marina. Tuttavia,  questo presunto rapporto privilegiato pare non possa salvarla dal declino politico. Sul fronte dell’eredità economica, il testamento dovrebbe riservarle una dote intorno ai 90-100 milioni di euro, oltre a qualcuna delle ville del Cavaliere. Ma quella che più pesa è l’eredità politica e Fascina non pare in grado o comunque non ha avuto il tempo di costruirsi lo standing per dettare i giochi come stava provando a fare fino all’addio del sovrano di Arcore.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Marta Fascina al funerale di Silvio Berlusconi con i figli del Cav, Marina, Piersilvio, Barbara ed Eleonora (Imagoeconomica).

Le passate tensioni con Tajani e il rapporto con Ronzulli

La quasi moglie e quasi leader ha intrattenuto rapporti altalenanti con Tajani. All’inizio aveva una relazione eccellente con la “ribelle” Ronzulli – che l’ha voluta fortemente alla corte di Silvio per far fuori Francesca Pascale – ma poi ha lavorato per estrometterla e ora, giocoforza, sarà costretta a subirne il ritorno, nel tentativo dei vertici del partito di includere e dare spazio a tutte le sensibilità e le correnti pur di non implodere. Appare dunque arduo immaginare una diarchia al femminile tra lei e Marina in supporto allo stesso ministro degli Esteri che avrà l’onere formale, e l’investitura sostanziale da Giorgia Meloni, di traghettare Fi oltre le colonne d’Ercole del voto europeo. Tra Fascina e Tajani, infatti, ci sono stati momenti di forte tensione nel recente passato. Il libro di Luigi Bisignani e Paolo Madron, I potenti al tempo di Giorgia (Chiarelettere), racconta ad esempio la sfuriata che l’attuale vicepremier riservò alla première dame a Villa Grande, la residenza romana del Cavaliere, all’indomani del duro scontro tra Fi e Fdi per l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, su cui si riflettevano le tensioni legate alla formazione del governo. «Non devi allargarti, devi stare al tuo posto», avrebbe urlato Tajani prima di uscire nel parco della magione a sbollire la rabbia. «Ovviamente il Cavaliere non poteva certo permettere che la sua Marta venisse aggredita in quel modo. Ha preteso le scuse di Tajani, cosa che è avvenuta solo più di un’ora dopo il fattaccio», racconta Bisignani a Madron. Vedremo ora che ruolo vorranno giocare effettivamente i figli dell’ex premier (non sembra ci sarà un impegno diretto in politica, almeno a breve). Fatto sta che quella di Fascina sembra una figura destinata a scivolare in secondo piano. «A proposito, sai come la chiamavano nel partito prima che diventasse la First dame? “Matta” Fascina», rivela ancora Bisignani a Madron. Un soprannome che stride con il suo aplomb glaciale, benché poi talvolta la frizione sia scappata pure a lei, come quando insultò Renato Brunetta sul piano politico e anche per la sua statura all’indomani delle dimissioni da Fi dell’ex ministro che non aveva accettato la scelta del partito di sgambettare il governo Draghi.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Silvio Berlusconi tra Marta Fascina e Marina nel febbraio 2022 (Imagoeconomica).

Da aspirante meteorina all’ufficio stampa del Milan e al Parlamento: l’ascesa di Fascina

Calabrese, di Melito di Porto Salvo, classe 1990, deputata alla seconda legislatura, Marta cresce a Portici, la stessa cittadina della esiziale (per la carriera politica di Berlusconi) Noemi Letizia. Studia poi a Napoli e si laurea in Filosofia alla Sapienza di Roma. Vuole fare politica e ci prova già nel 2013 con il Popolo della libertà, ma non entra nel consiglio comunale della stessa Portici. Ha ambizioni da giornalista, collabora anche con il Giornale, ma la svolta arriva con l’ingresso nell’ufficio stampa del Milan e la conoscenza con Adriano Galliani. Bisignani entra nel dettaglio: «Marta non aveva ancora 20 anni, e come tante ragazze sognava di fare strada nel mondo dello spettacolo. Per questo inviava di continuo il suo curriculum e i suoi book fotografici a Emilio Fede. Voleva candidarsi come “meteorina”, un’invenzione dell’allora direttore del Tg4 e che Berlusconi pare gradisse molto. Il giornalista la incontra durante una festa a Portici e resta colpito, oltre che dall’avvenenza, dalla maniacale conoscenza di tutte le formazioni del Milan. E la porta ad Arcore dal Cavaliere, che quel giorno le fa un provino sportivo. La interroga a bruciapelo chiedendole la formazione del Milan campione d’Italia 1967-68 ai tempi della presidenza di Franco Carraro. Provino brillantemente superato. Berlusconi la piazza all’ufficio stampa del Milan, che all’epoca è governato da Adriano Galliani in coabitazione con Barbara Berlusconi, cui questa Marta, che arriva lì imposta dal padre, proprio non piace, forse perché ne intravede le matrigne potenzialità. Per reazione, Marta trova la sponda di Galliani, che al contrario si mostra molto più protettivo».

Il quasi matrimonio con B e il tentativo di sistemare i suoi fedelissimi

Poi il Milan nel 2017 cambia proprietà e Fascina deve essere ricollocata. Intanto è riuscita a stringere un rapporto di fiducia, appunto, con Ronzulli che la spinge verso Berlusconi in funzione anti-Pascale. Nel 2018 passa il treno delle elezioni politiche, la giovane viene paracadutata in Campania e si ritrova in Parlamento. All’inizio della pandemia giunge l’ufficializzazione della relazione con il Cavaliere. Fascina inizia a essere sempre più presente accanto a Berlusconi, anche nei vertici politici e nei passaggi decisionali cruciali. La svolta ulteriore arriva a ridosso della battaglia dell’anno scorso per il Quirinale: Berlusconi viene ricoverato d’urgenza, e in gran segreto, al San Raffaele. Silvio resta per quasi due giorni privo di coscienza e al suo risveglio trova Marta che gli sta tenendo la mano. Allora le promette di sposarla. I figli, saputa la notizia, vanno su tutte le furie e Ronzulli si inventa la pantomima del quasi-matrimonio: è il marzo del 2022.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Adriano Galliani e Gianni Letta al matrimonio simbolico di Marta Fascina e Silvio Berlusconi (Imagoeconomica).

Pier Silvio comunque non si presenta alla cerimonia di Villa Gernetto e manca pure Giorgia Meloni, mentre Matteo Salvini c’è. Fascina deve ingoiare il rospo, ma si fa risarcire in altro modo: alle elezioni del 2022 si ricandida, stavolta in Sicilia, e giustifica la nuova catapulta così: «La Sicilia è una regione meravigliosa, che conosco sin dai tempi, quando ero piccola, mio padre mi ci portava in vacanza». Stavolta, però, riesce a piazzare anche i suoi, a partire dall’ex compagno di scuola Tullio Ferrante, avvocato campano di San Giorgio a Cremano che viene eletto e subito spedito come sottosegretario al ministero delle Infrastrutture, nelle grinfie di Salvini ed Edoardo Rixi. Poi ci sono Alessandro Sorte e Stefano Benigni, i due astri nascenti lombardi che segnano il passaggio di potere da Ronzulli (che a sua volta aveva spodestato Mariastella Gelmini) a Fascina. La transizione era in corso e le manovre di Marta in pieno svolgimento. Il trapasso del Tutankhamon di Arcore potrebbe però stravolgere tutto un’altra volta. La vendetta è in preparazione e la quasi first lady difficilmente riuscirà a mantenere la presa sul partito, a cominciare dalle indiscrezioni che avrebbero voluto addirittura il padre Orazio candidato per Fi alle Europee. A livello parlamentare Fascina non ha presentato alcuna proposta di legge e nemmeno interrogazioni, interpellanze, mozioni o risoluzioni; d’altronde era in tutt’altre faccende affaccendata. In compenso ha co-firmato la proposta di bandiera per una Commissione parlamentare di inchiesta sull’uso politico della giustizia, un tormentone del trentennio berlusconiano. Un po’ pochino, certo, ma adesso senza più Silvio e un probabile futuro da “deputata semplice” ci sarà da iniziare a pedalare.

Le mire espansionistiche di Fabrizio Palenzona nel risiko bancario

Una marcia quasi inarrestabile. Dove vuol arrivare Fabrizio Palenzona? Il neopresidente della Fondazione Crt sarà alla guida anche della Consulta delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e della Liguria. L’elezione è avvenuta nei giorni scorsi all’unanimità dall’assemblea dei soci che riunisce: la Fondazione Compagnia di San Paolo, le Fondazioni Cr Torino, Cuneo, Alessandria, Asti, Biella, Fossano, Saluzzo, Savigliano, Tortona, Vercelli per il Piemonte; le Fondazioni Carige, Carispezia e Agostino De Mari-Savona per la Liguria. «Uniamo le forze, perché abbiamo tutti lo stesso obiettivo e lo stesso dovere di offrire il miglior servizio ai territori, valorizzando le risorse che derivano dalla fatica, dal lavoro e dai risparmi delle comunità che ci hanno preceduto», ha detto il presidente Palenzona, ringraziando i colleghi presidenti delle Fondazioni piemontesi e liguri. «Un tema che ci unisce», ha proseguito Palenzona, «è certamente il disagio giovanile, la povertà educativa e di prospettiva di molti bambini e ragazzi in età scolastica e delle loro famiglie: abbiamo l’esigenza di dare risposte immediate alle disuguaglianze per riattivare l’ascensore sociale e offrire opportunità a chi non ne ha». Parole sagge.

Le mire espansionistiche di Fabrizio Palenzona nel risiko bancario
Fabrizio Palenzona.

Il camionista di Tortona sta esercitando tutta la sua influenza

C’è dunque chi si interroga su che cosa farà adesso Palenzona. Essere presidente della Consulta delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e della Liguria vuol dire esercitare un potere reale sia su Unicredit sia su Intesa, oltre a governare l’Acri che nomina il presidente di Cassa depositi e prestiti. Da quando è arrivato alla presidenza di Fondazione Crt, il camionista di Tortona sta esercitando tutta la sua influenza per muovere le tessere del risiko bancario. «Le banche in cui siamo azionisti hanno dei manager che devono decidere e fare delle proposte», ha detto a margine di un convegno di Bain sul sistema bancario. «Io parlo da cittadino e dico che nel sistema ci sono ancora possibilità di aggregazione».

Le quattro partite calde di Draghi: Mps, Ita, Saipem ed Enel
Il Monte dei Paschi a Siena. (Getty Images)

Il pensiero sulle tante possibilità di aggregazione

Quello che dice Palenzona è importante perché in pancia a Crt ci sono, oltre alla quota in Generali (1,61 per cento), anche quelle in Unicredit (1,9 per cento) e Banco Bpm (1,8 per cento), dove ha siglato un patto con altri enti e casse previdenziali, a cui si aggiunge una piccolissima quota in Monte dei Paschi, derivante dal salvagente gettato a Siena in occasione dell’aumento di ottobre. Adesso, con la nuova nomina, al puzzle si aggiunge la quota della Fondazione San Paolo, primo azionista di Intesa SanPaolo. Il risiko bancario non dorme mai e il pensiero di Palenzona è chiaro: nel sistema ci sono ancora possibilità di aggregazione.

Primo incontro tra orcel e castagna
Andrea Orcel e Giuseppe Castagna.

Bpm vuole sfuggire alle mire dell’Unicredit di Orcel

Secondo varie indiscrezioni, il ceo di Banco Bpm Giuseppe Castagna sta trattando l’acquisto di Mps, risanato dal Tesoro. L’obiettivo di Castagna è duplice: da un lato, rilevando il Monte dei Paschi, fa un favore al governo; dall’altro l’acquisizione darebbe una mano a Bpm per ingrossarsi e sfuggire alle mire espansionistiche dell’Unicredit di Andrea Orcel, di cui Palenzona è grande amico. Con l’acquisizione di Mps, Bpm diventerebbe un boccone più costoso per la banca milanese. Un’operazione gradita anche a Carlo Messina. Intesa Sanpaolo, con il mancato matrimonio Unicredit-Bpm, resterebbe la prima banca italiana e potrebbe dedicarsi a qualche importante acquisizione all’estero.

I risultati del 2022 di Intesa Sanpaolo confermano la capacità del Gruppo di generare una solida redditività e di creare valore per tutti gli stakeholder.
Carlo Messina. (Getty Images)

Simona Agnes, il dualismo con Soldi in Rai e le sfide del nuovo corso

Il potenziale dualismo nel consiglio di amministrazione della Rai con la presidente Marinella Soldi si profila all’orizzonte. Ma dalle parti di Viale Mazzini non è un mistero che Simona Agnes, membro dell’organo di amministrazione in quota Forza Italia, ambisca a prendere il posto della numero uno nominata da Mario Draghi in quota Partito democratico (e molto ben inserita nella filiera Paolo GentiloniMatteo Renzi). Tra l’altro, qualora Soldi dovesse rassegnare anzitempo le dimissioni, l’interim potrebbe ricadere sul consigliere più anziano, che appunto è Agnes.

I “draghiani senza Draghi” continuano a comandarsela nella tivù pubblica

La giornalista e manager, classe 1967, esperta di marketing e relazioni esterne, con competenze poliedriche che spaziano dal turismo fino alla cultura e alla sanità, è protetta e promossa dal sempiterno Gianni Letta, in nome degli interessi di Forza Italia in Rai naturalmente, ma anche – con sguardo più ampio – a vantaggio di quel blocco “Ursula” che va da Fi fino ai dem non schleiniani: i cosiddetti “draghiani senza Draghi” che continuano a comandarsela nella tivù pubblica, a dispetto della nuova stagione meloniana. In quest’ottica, Soldi e Agnes apparterrebbero persino allo stesso milieu, ma poi, si sa, le rivalità si costruiscono pure sulle dinamiche personali e sulla tattica di breve respiro, come gli ultimi voti in cda hanno dimostrato.

Simona Agnes, il dualismo con Soldi in Rai e le sfide del nuovo corso
Simona Agnes.

La rappresentanza di genere? Questa volta ha chiuso un occhio

E così, mentre Soldi si mette (un po’) di traverso, Agnes esulta per il nuovo corso: «Le nomine che abbiamo approvato delineano una Rai equilibrata, dinamica e pluralista». Certo, poi magari c’è qualche problemino circa la rappresentanza di genere, visto che su 21 direzioni soltanto sei sono guidate da donne. E fa specie che la consigliera in quota azzurra non abbia alzato un sopracciglio quando invece in una vecchia intervista sul Premio internazionale di giornalismo intitolato a Biagio Agnes, il suo illustre papà, ebbe a dire: «Purtroppo ogni anno le donne sono in minoranza e dobbiamo ricordarci che ci sono tante brave donne giornaliste». Eh sì, «dobbiamo ricordarci»: peccato le amnesie nei momenti cruciali.

Il padre Biagio ex direttore generale a Viale Mazzini 

Nata a Roma, ma di origini paterne irpine, Simona ha studiato legge alla Luiss, però ha la Rai nel dna. Biagio fu direttore generale a Viale Mazzini negli Anni 80, oltre che fondatore e direttore del Tg3. Erano i fasti (effimeri) del pentapartito e lui scalò le gerarchie della tivù di Stato mentre il suo amico e conterraneo Ciriaco De Mita prendeva il potere nella Democrazia cristiana. Peraltro il fratello Mario, lo zio di Simona, è stato presidente nazionale dell’Azione cattolica e direttore dell’Osservatore romano, questo per raccontare il background della figlia d’arte, cui tocca adesso l’amorevole e gelosa custodia della memoria del padre attraverso la guida della fondazione e l’organizzazione del premio a lui dedicati. Ma anche grazie alla reviviscenza nei palinsesti di un programma storico della Rai, inventato da papà Biagio e dedicato ai temi della sanità, come Check-up, che peraltro oggi vanta una singolare convenzione con la sola Regione Campania (con tanto di polemiche a Napoli per i 600 mila euro sborsati a Rai Com da Scabec, la in house che si occupa di cultura, per valorizzare la dieta mediterranea).

Simona Agnes, il dualismo con Soldi in Rai e le sfide del nuovo corso
Biagio Agnes.

Piaggio, Telecom e una carriera nella comunicazione

Quasi fosse una predestinata, Simona si è sempre mossa nel settore della comunicazione, delle pr e delle relazioni istituzionali ad alti livelli. Piaggio e Telecom le esperienze aziendali preminenti riportate in curriculum prima di mamma Rai. Ma Agnes ha costantemente sposato con sorvegliato savoir-faire le iniziative benefiche alla frivolezza del jet set nostrano, le campagne medico-scientifiche ai velluti della miglior hotellerie, le riflessioni impegnate contro la mafia alle terrazze patinate del generone romano. Perché, in fondo, da Telethon ai Vanzina è un attimo.

Sensibile agli interessi di chi fa concorrenza alla Rai…

Componente, tra l’altro, dei cda dell’Istituto Treccani e della Treccani Scuola, Agnes è donna di comunicazione ma non ama molto i social. Non ha un profilo Facebook, mentre il suo account Twitter è una zattera abbandonata alle correnti, visto che l’ultimo aggiornamento risale al 2018. Va appena meglio su Instagram, con una pagina privata che conta meno di 700 follower. Del padre dice che egli «difese la tivù pubblica». Una missione che appare oggi difficile da perseguire per chi dentro Viale Mazzini è in qualche modo sensibile agli interessi del primo editore televisivo in concorrenza con la Rai. Ma tant’è. «Tutta l’azienda aspetta da noi risposte importanti», dice adesso Simona. Vedremo, però se il buongiorno si vede dal mattino…

Simona Agnes, il dualismo con Soldi in Rai e le sfide del nuovo corso

Il potenziale dualismo nel consiglio di amministrazione della Rai con la presidente Marinella Soldi si profila all’orizzonte. Ma dalle parti di Viale Mazzini non è un mistero che Simona Agnes, membro dell’organo di amministrazione in quota Forza Italia, ambisca a prendere il posto della numero uno nominata da Mario Draghi in quota Partito democratico (e molto ben inserita nella filiera Paolo GentiloniMatteo Renzi). Tra l’altro, qualora Soldi dovesse rassegnare anzitempo le dimissioni, l’interim potrebbe ricadere sul consigliere più anziano, che appunto è Agnes.

I “draghiani senza Draghi” continuano a comandarsela nella tivù pubblica

La giornalista e manager, classe 1967, esperta di marketing e relazioni esterne, con competenze poliedriche che spaziano dal turismo fino alla cultura e alla sanità, è protetta e promossa dal sempiterno Gianni Letta, in nome degli interessi di Forza Italia in Rai naturalmente, ma anche – con sguardo più ampio – a vantaggio di quel blocco “Ursula” che va da Fi fino ai dem non schleiniani: i cosiddetti “draghiani senza Draghi” che continuano a comandarsela nella tivù pubblica, a dispetto della nuova stagione meloniana. In quest’ottica, Soldi e Agnes apparterrebbero persino allo stesso milieu, ma poi, si sa, le rivalità si costruiscono pure sulle dinamiche personali e sulla tattica di breve respiro, come gli ultimi voti in cda hanno dimostrato.

Simona Agnes, il dualismo con Soldi in Rai e le sfide del nuovo corso
Simona Agnes.

La rappresentanza di genere? Questa volta ha chiuso un occhio

E così, mentre Soldi si mette (un po’) di traverso, Agnes esulta per il nuovo corso: «Le nomine che abbiamo approvato delineano una Rai equilibrata, dinamica e pluralista». Certo, poi magari c’è qualche problemino circa la rappresentanza di genere, visto che su 21 direzioni soltanto sei sono guidate da donne. E fa specie che la consigliera in quota azzurra non abbia alzato un sopracciglio quando invece in una vecchia intervista sul Premio internazionale di giornalismo intitolato a Biagio Agnes, il suo illustre papà, ebbe a dire: «Purtroppo ogni anno le donne sono in minoranza e dobbiamo ricordarci che ci sono tante brave donne giornaliste». Eh sì, «dobbiamo ricordarci»: peccato le amnesie nei momenti cruciali.

Il padre Biagio ex direttore generale a Viale Mazzini 

Nata a Roma, ma di origini paterne irpine, Simona ha studiato legge alla Luiss, però ha la Rai nel dna. Biagio fu direttore generale a Viale Mazzini negli Anni 80, oltre che fondatore e direttore del Tg3. Erano i fasti (effimeri) del pentapartito e lui scalò le gerarchie della tivù di Stato mentre il suo amico e conterraneo Ciriaco De Mita prendeva il potere nella Democrazia cristiana. Peraltro il fratello Mario, lo zio di Simona, è stato presidente nazionale dell’Azione cattolica e direttore dell’Osservatore romano, questo per raccontare il background della figlia d’arte, cui tocca adesso l’amorevole e gelosa custodia della memoria del padre attraverso la guida della fondazione e l’organizzazione del premio a lui dedicati. Ma anche grazie alla reviviscenza nei palinsesti di un programma storico della Rai, inventato da papà Biagio e dedicato ai temi della sanità, come Check-up, che peraltro oggi vanta una singolare convenzione con la sola Regione Campania (con tanto di polemiche a Napoli per i 600 mila euro sborsati a Rai Com da Scabec, la in house che si occupa di cultura, per valorizzare la dieta mediterranea).

Simona Agnes, il dualismo con Soldi in Rai e le sfide del nuovo corso
Biagio Agnes.

Piaggio, Telecom e una carriera nella comunicazione

Quasi fosse una predestinata, Simona si è sempre mossa nel settore della comunicazione, delle pr e delle relazioni istituzionali ad alti livelli. Piaggio e Telecom le esperienze aziendali preminenti riportate in curriculum prima di mamma Rai. Ma Agnes ha costantemente sposato con sorvegliato savoir-faire le iniziative benefiche alla frivolezza del jet set nostrano, le campagne medico-scientifiche ai velluti della miglior hotellerie, le riflessioni impegnate contro la mafia alle terrazze patinate del generone romano. Perché, in fondo, da Telethon ai Vanzina è un attimo.

Sensibile agli interessi di chi fa concorrenza alla Rai…

Componente, tra l’altro, dei cda dell’Istituto Treccani e della Treccani Scuola, Agnes è donna di comunicazione ma non ama molto i social. Non ha un profilo Facebook, mentre il suo account Twitter è una zattera abbandonata alle correnti, visto che l’ultimo aggiornamento risale al 2018. Va appena meglio su Instagram, con una pagina privata che conta meno di 700 follower. Del padre dice che egli «difese la tivù pubblica». Una missione che appare oggi difficile da perseguire per chi dentro Viale Mazzini è in qualche modo sensibile agli interessi del primo editore televisivo in concorrenza con la Rai. Ma tant’è. «Tutta l’azienda aspetta da noi risposte importanti», dice adesso Simona. Vedremo, però se il buongiorno si vede dal mattino…

Meloni, il rapporto col direttore del Corriere Fontana e la rete dei media

Pubblichiamo un estratto del libro I potenti al tempo di Giorgia, edito da Chiarelettere, uscito il 30 maggio e scritto proprio dal direttore di Tag43.it Paolo Madron e da Luigi Bisignani. Il capitolo in questione è quello su “Giorgia e la rete dei media”.

I potenti al tempo di Giorgia, arriva il libro di Paolo Madron e Luigi Bisignani
I potenti al tempo di Giorgia.

La7 procura a Cairo dei mal di pancia, può sempre contare su Luciano Fontana, che gli fa da pontiere come meglio non si può. Il rapporto tra uno dei più longevi direttori del «Corriere della Sera» e la premier è di lunga data e solidissimo. Tra i due messaggi ed emoticon, che lei ama usare à gogo.

Se n’è avuta prova anche di recente, in uno degli inciampi più spinosi che il governo ha dovuto affrontare, il caso dell’anarchico Cospito e le polemiche sul 41 bis. Meloni non è andata a rendere conto in Parlamento, ma ha scritto al «Corriere» per far sapere la sua posizione. Come ha fatto Rachele Silvestri per la fake sul figlio.

Se è per questo, Fontana ha anche dato un’intera pagina a Lollobrigida perché potesse giustificarsi dell’infelice uscita sulla sostituzione etnica, e ha dato ampio spazio ad Arianna per dire che non conosceva la nuova ad di Terna Giuseppina Di Foggia, e ancora alla premier per illustrare la sua posizione sul 25 aprile.

Selvaggia Lucarelli contro il ministro Lollobrigida: «Chiede di lavorare nei campi ma si è laureato dal divano». Il tweet si riferisce alle parole dell'uomo al Vinitaly
Giorgia Meloni e Francesco Lollobrigida. (Getty)

A questo punto Giorgia direbbe: «Noi a Quarto potere je famo ’na pippa».

Cortesia e disponibilità si ricambiano. Quando Berlusconi ha deciso di non candidare la brianzola Michela Vittoria Brambilla alle ultime elezioni, Fontana ha chiesto aiuto a Meloni e lei l’ha piazzata in un collegio sicuro in Sicilia. Nel feudo dove il Cavaliere ha fatto eleggere anche la sua finta moglie Marta Fascina.

Ad accomunarle, per usare un eufemismo, la scarsa frequentazione dell’isola e lo stupore dei locali elettori di trovarsele in lista.

E che c’entra Fontana con la più animalista dei parlamentari, conduttrice di una fortunata trasmissione tivù a difesa dei quattro zampe?

Si dice che sia stata proprio Brambilla, con la quale vanta un’antica amicizia, a portarlo la prima volta ad Arcore a conoscere Berlusconi. E che Fontana abbia ricambiato il favore presentandola a Bernardo Caprotti, il patron di Esselunga, perché la sua azienda ittica potesse trovare spazio tra gli ambiti scaffali dei suoi supermercati. Ma magari sono solo favole metropolitane.

Corsa alla candidatura nel centrodestra: tutti i nomi in lizza
Michela Vittoria Brambilla e Silvio Berlusconi nel 2009. (Getty)

Per Meloni avere il «Corriere della Sera» non pregiudizialmente contro mi pare cosa non da poco. Basterà a farla sentire meno isolata, a mitigare la sindrome di accerchiamento di cui lei e il suo entourage sembrano sempre più soffrire.

Mi verrebbe da dire «lo scopriremo solo vivendo», ma già qualche scenario lo si intuisce. Meloni dovrà stare attenta alle invasioni di campo. Non ti sarà sfuggito che Cairo non ha preso benissimo l’espansione a Milano della famiglia Angelucci, importanti imprenditori della sanità.

Paolo Berlusconi, Antonio Angelucci e il Giornale.

Ma se lo sapevano anche i muri che stavano trattando con Berlusconi l’acquisto del «Giornale»

Sì, ma considerando che la partita andava avanti da tempo in un lungo tira e molla, tutti erano convinti che alla fine il Cav non avrebbe venduto. E invece la costanza e il rapporto personale tra le due famiglie hanno favorito la conclusione dell’affare, suggellata con un pranzo milanese a casa di Marina.

Un segnale dell’indurimento di Cairo è arrivato anche dal rinnovo dei vertici della Fondazione Corriere, uno dei salottini buoni dell’intellighenzia meneghina. Poteva essere l’occasione per mettere dentro qualcuno che strizzasse l’occhio alla destra. Ha scelto De Bortoli, Mieli, Calabi e Mario Monti, che non sembrano meloniani sfegatati.

Milano è una enclave della sinistra, un editore non può non tenerne conto.

Tiriamo le somme. Tra i media su chi può contare Meloni? «Libero», «il Giornale», «Il Tempo», «La Verità», «La Gazzetta del Mezzogiorno», i quotidiani di Riffeser, Mediaset e due telegiornali Rai. E la non ostilità di via Solferino. Fossi in lei non mi lamenterei.

E i giornali di Caltagirone da che parte stanno?

L’ingegnere, col suo fiuto, da tempo ha puntato su Meloni.

Tra i direttori che più fanno opinione, Giorgia ha dalla sua Vittorio Feltri, che si è tra l’altro dimostrato un formidabile acchiappavoti, portandosi dietro un bacino di consensi importante, le due volte che si è candidato con lei. Al punto che nel 2015 Meloni e Salvini lo volevano pure portare al Quirinale.

Emilia-Romagna, il tweet choc di Feltri: «Prima piangono che non piove, poi perché qualcuno annega». Critiche sui social
Vittorio Feltri (Youtube)

Forse la premier deve cercare di essere più inclusiva, di non chiudersi a riccio bollando come reato di lesa maestà quando un giornale scrive un articolo critico nei suoi confronti. Non deve essere difficile, in fondo è giornalista anche lei. Ma ora sta seguendo la massima di Francesco Cossiga, suggerita da Margaret Thatcher: i giornali è meglio non leggerli.

L’effetto Palenzona sulla tregua nel Real Estate di Milano

LEGGI ANCHE: Palenzona ci scrive

A Milano, dopo le tensioni dei mesi passati, nell’immobiliare sembra essere arrivati a una pace per quanto, visti gli appetiti che si muovono nel settore, non si sa quanto possa essere duratura. Ma la odierna fotografia della situazione del Real Estate meneghino sembra aver consolidato i nuovi assetti e le strategie finanziarie che intorno a essi si muovono.

Immobiliare e banche, partita incrociata

L’ascesa di Fabrizio Palenzona alla guida di Fondazione Crt nonché dell’associazione che raggruppa tutte le fondazioni bancarie di Piemonte e Liguria ha prodotto effetti diversi a seconda che si parli di ambito bancario o immobiliare. Se sul primo, come si è dato conto su queste colonne, il dinamismo è notevole soprattutto sull’asse che vede Bpm perno di un possibile terzo polo nazionale, sul secondo la competizione tra grandi attori si è tramutata in cooperazione.

Le mosse di Palenzona verso Crt, tra Cirio e Lo Russo
Il banchiere Fabrizio Palenzona.

Le due cordate in campo

Banche, fondazioni e protagonisti del mattone sembrano far convergere i propri investimenti su un comune interesse di sistema, ovvero la crescita di Milano e dei suoi grandi progetti infrastrutturali ed edilizi. Nulla di ufficiale e labbra cucite tra gli operatori del mercato e della finanza, ma in quest’ottica è curiosa l’emersione di un “patto incrociato” che vincola reciprocamente le differenti cordate in campo. Tradizionalmente l’asse banche-fondazioni-real estate ne vedeva due competere per la supremazia cittadina. Da un lato, quella del sistema-Palenzona. Costituita da Unicredit, banca di cui è stato a lungo vicepresidente, dal fondo immobiliare italiano Prelios di cui l’ex politico e manager di Novi Ligure è presidente, in alleanza con Hines e Fondazione Crt. Dall’altro, l’impero Intesa San Paolo-Fondazione Cariplo affiancato da Coima, il fondo immobiliare del costruttore Manfredi Catella.

La tregua del real estate a Milano: quanto pesa l'effetto Palenzona?
Manfredi Catella (dal sito Coima).

Verso un nuovo equilibrio

Gli accordi sul terreno per la spartizione di progetti dall’alto impatto sistemico come MilanoSesto e il Villaggio Olimpico, accelerati dopo l’ascesa di Palenzona a Crt, sono il terreno su cui si sta costruendo la possibile intesa. A cui potrebbero contribuire i nuovi assetti in Fondazione Cariplo, in cui l’elezione a presidente dell’ex rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone è l’ultimo colpo del “grande vecchio” Giuseppe Guzzetti. Che, da buon democristiano, è uomo certamente abituato a smussare conflitti e tensioni più che a cimentarsi in aspre battaglie. Per ora il riassetto nelle fondazioni, polmone e centro di confronto tra interessi, è servito da deterrente. Lo si è visto con la fine della querelle su MilanoSesto, dove a Prelios e agli americani di Hines mirava a sostituirsi in toto Manfredi Catella con Coima. Il motivo? Il fatto che il principale sostenitore del più grande progetto europeo di rigenerazione urbana fosse Intesa San Paolo, il cui l’azionista Cariplo era, tramite Redo Sgr, alleata di Coima nel tentativo di acquisto dei diritti sul progetto detenuti da Prelios e Hines.

La tregua del real estate a Milano: quanto pesa l'effetto Palenzona?
Il render del Villaggio Olimpico (dal sito scaloportaromana).

MilanoSesto, laboratorio della tregua immobiliare milanese

«Toccherà agli storici dirimere il quesito se quella di Sesto San Giovanni», combattutasi ai primordi della primavera, «sia stata una vera guerra o solo una scaramuccia», ha scritto Dario Di Vico su Il Foglio. «Di sicuro la pace è stata raggiunta e, sembra, con reciproca soddisfazione di tutti i contendenti. Una pace imperniata, e non avrebbe potuto essere diversamente, sul ruolo di Intesa Sanpaolo che nell’operazione immobiliare aveva investito dall’inizio 900 milioni e, giustamente, voleva capire meglio in che direzione si stesse andando». Catella non ha conquistato l’intero pacchetto di MilanoSesto ma, in asse con Redo, ha ottenuto il social housing del nuovo progetto che da sempre fa molta gola a Cariplo, per un controvalore di 100 milioni di euro. A Hines e Prelios resta la parte di uffici e quella dell’edilizia a fini produttivi e economici ad alto valore aggiunto. Prelios a suo volta resta centrale nel progetto a guida Intesa di MilanoSesto. E Coima e Cariplo si muovono con attenzione su Porta Nuova, dove si trova il grattacielo sede di Unicredit, partecipata da Crt. Mentre Coima e Catella sono in prima fila in progetti come Pirelli 39 e la nuova skyline di Via Melchiorre Gioia.

La tregua del real estate a Milano: quanto pesa l'effetto Palenzona?
Il progetto MilanoSesto (dal sito Milanosesto).

Progetti complementari tra nord e sud della città

Del resto, la Milano verticale che cresce fa gola a tutti. I piani a guida Prelios-Hines di MilanoSesto per la riqualificazione dell’area delle acciaierie Falck sono destinati a essere complementari al grande progetto di Coima, il Villaggio Olimpico nell’ex Scalo di Porta Romana. Attorno a cui sorgeranno progetti legati agli studentati, all’housing sociale delle università pubbliche e ai nuovi alloggi della Bocconi, che a due passi dal futuro Villaggio Olimpico ha il suo nuovo campus.

C’è spazio per tutti, anche per Generali e Covivio

Insomma, dopo mesi di tensioni si è giunti all’idea che a Milano ci sia spazio per tutti. Anche per l’arrivo di nuovi attori. Oltre alle suddette due cordate, infatti, gli operatori seguono con interesse anche le mosse di Generali Real Estate e Covivio. La prima sta entrando in punta di piedi tra hotel e housing, forte del legame con un’azionista chiave come Mediobanca. Il secondo è il fondo legato all’eredità dell’impero di Leonardo Del Vecchio, che sembra giocare, per ora, all’ombra di Catella. Symbiosis, il distretto direzionale di Via Adamello vicino a Fondazione Prada, e le nuove torri del quartier generale di Snam sorgeranno con Covivio all’ombra del Villaggio Olimpico. Ma il gruppo Delfin, braccio finanziario della famiglia di Agordo, intende muoversi slegandosi dai grandi giochi finanziari. Il recente annuncio dell’imminente delisting da Piazza Affari di Covivio appare un ramoscello d’ulivo che lo svincola dalle grandi partite finanziarie e fa del real estate il business chiave del gruppo. E in un certo senso sembra favorire la distensione a cui tutti stanno lavorando. Quanto durerà lo scopriremo nei prossimi mesi.

Fazio sul Nove, l’operazione di Caschetto e i link con La7

Il panorama editoriale televisivo italiano sembra una maionese impazzita. A livello di retroscena, più o meno smentiti, si rincorrono voci d’ogni sorta: Cairo-Rcs che secondo Dagospia sarebbe interessato ad acquistare Mediaset con una cordata di imprenditori, approfittando dell’inevitabile tramonto di Silvio Berlusconi; il gruppo Discovery che potrebbe a sua volta fiondarsi sul Biscione o che (in alternativa?) starebbe lavorando alla fusione tra Nove e La7. In ogni caso, il broadcaster che vanta 17 canali, oltre a Discovery+, tra cui Real Time, Food Network e soprattutto Nove, è sugli scudi in queste ore dopo il trasloco di Fabio Fazio e della squadra di Che Tempo Che Fa, “epurati” dalla nuova Rai targata Meloni.

Ufficiale, Fabio Fazio lascia la Rai e passa a Warner Bros. Discovery. Insieme a lui trasloca anche Luciana Littizzetto.
Fabio Fazio (Getty Images).

Il vero regista del trasloco di Fazio a Nove guidato da Araimo è Beppe Caschetto

Un passaggio che, secondo molti, accredita in prospettiva proprio Nove quale nuovo canale generalista in competizione con i principali che normalmente scorriamo sul nostro telecomando. Dopo la migrazione di Maurizio Crozza, l’accordo con Fazio è il secondo “colpo” che fa rumore per l’azienda della Warner Bros che in Italia è guidata da Alessandro Araimo, un passato in Fininvest nel suo ricco curriculum. Ma il vero demiurgo dietro le quinte dell’operazione, il nome che collega la satira non allineata all’intrattenimento dei “Belli ciao” sbeffeggiati da Matteo Salvini è quello di Beppe Caschetto, agente che non casualmente rappresenta gli interessi professionali sia di Crozza che di Fazio. E non solo. Basti pensare al gruppo di giornalisti che fa capo al Fatto Quotidiano: Marco Travaglio, Andrea Scanzi e Peter Gomez animano una piattaforma tv, Loft, i cui contenuti vanno proprio su Nove. E guarda caso si tratta di firme ospiti con regolarità nei vari talk de La7. Del gruppo faceva parte anche Francesca Fagnani con il suo Belve, prima di passare in Rai: la giornalista è anche compagna di Enrico Mentana, direttore del telegiornale della stessa emittente di Urbano Cairo.

Fazio sul Nove, l'operazione di Caschetto e i link con La7
Alessandro Araimo.

La scuderia del “Richelieu della tv” e i link tra Nove e La7

Dunque, i link che tengono insieme La7 e la Nove sono molto stretti. E Caschetto ne è protagonista di default, data la grande e capillare rete di artisti, giornalisti e autori tv che a lui fanno capo. Tutto iniziò 30 anni fa con Alba Parietti, ma oggi i nomi illustri in bouquet spaziano da Virginia Raffaele a Sabrina Ferilli, da Stefano De Martino ad Andrea Delogu, da Geppi Cucciari a Luca e Paolo, senza dimenticare Enrico Brignano, Maurizio Lastrico, Pif, Neri Marcorè, Brenda Lodigiani, Geppi Cucciari, Fabio Volo e Alessia Marcuzzi, quest’ultima ormai da 30 anni. Ma l’elenco potrebbe continuare: in portfolio c’è anche l’altro nome celebre di Che Tempo Che Fa, Luciana Littizzetto, oltre a Federico Russo, Enrico Bertolino, Maddalena Corvaglia o Miriam Leone per la sola carriera televisiva. E poi i giornalisti: Roberto Saviano, Lucia Annunziata, Giovanni Floris, Lilli Gruber, Corrado Formigli, Massimo Gramellini, Cristina Parodi, Salvo Sottile, Ilaria D’Amico, Daria Bignardi, Luca Telese, Enrico Lucci, Mia Ceran, Roberta Rei, Alice Martinelli, Domenico Iannaccone. E in passato anche Nicola Porro, che ora potrebbe sbarcare trionfante in Rai, magari proprio al posto di Fazio (ma Mediaset vuole tenerselo stretto). Non manca poi qualche autore tv di prestigio, come il braccio destro dello stesso Crozza, Andrea Zalone, e una delle “menti” sia di Crozza che di Fazio, Piero Guerrera che ha lavorato con gli stessi Luca e Paolo e Cucciari, oltre ad aver scritto per la coppia comica Ale e Franz che lo stesso Caschetto ha prodotto in teatro. Come si vede dai nomi, il talent scout emiliano, classe 1957, ha in mano un bel pezzo dei palinsesti Rai, ma forse è persino più “invasivo” nell’informazione de La7. Adesso sta lavorando dietro le quinte alla costruzione della Nove e l’arrivo di Fazio-Littizzetto (con i loro ospiti fissi della scuderia, da Saviano a Brignano) è un pezzo di questa strategia. Un tempo i fuoriusciti Rai erano tutti destinati ad approdare dalle parti di Cairo. Ora il vento potrebbe cambiare? Singolare coincidenza: la presidente della tv pubblica, Marinella Soldi, è stata in passato Ceo di Discovery. Oggi il suo voto è stato decisivo per il via libera al nuovo assetto meloniano in Rai e una fonte di Viale Mazzini chiosa: «Non farà resistenza perché tra l’altro è di area renziana e a Renzi non dispiace il nuovo vento che spira».

Perché la rai di Fuortes e Soldi parte in salita
Marinella Soldi, presidente Rai.

Il dominio di Caschetto, Presta, Ballandi e l’autoregolamentazione di Salini rimasta lettera morta

In tutti i casi c’è molto lavoro per la bolognese Itc 2000, azienda di famiglia Caschetto: una quindicina di dipendenti, appartiene a Beppe per il 70 per cento, mentre il restante 30 è diviso tra la moglie Rossana Mignani e la figlia Federica. Il fatturato 2021 è a quota 3,3 milioni di euro, in calo rispetto ai 4,6 milioni del 2019, ma i numeri non restituiscono il senso dell’influenza esercitata dal “Richelieu della tv”, come Caschetto viene definito. Un potere condiviso con l’altro grande curatore delle star, Lucio Presta, e con la società Ballandi che fu fondata dal celebre Bibi, scomparso cinque anni fa. Vedremo adesso a quali riassetti porterà il cambio di stagione in Rai. Certo, a Viale Mazzini ricordano come appaia lettera morta l’autoregolamentazione che risale ai tempi dell’ad Fabrizio Salini, secondo cui ciascun agente esterno non dovrebbe rappresentare più del 30 per cento degli artisti di una stessa produzione e non potrebbe curare gli interessi di personaggi tv impegnati in trasmissioni da lui prodotte. Insomma, Tele-Caschetto o Tele-Presta, c’è da giurarci, continueranno a farla da padroni.