Le reazioni sul caso di razzismo a Sondrio

Il caso della madre insultata dopo la morte della figlia ha indignato la politica, per una volta senza distinzioni.

Muore una bambina di 5 mesi, la madre urla il suo dolore, nella sala d’attesa non c’è alcuna solidarietà, ma solo commenti razzisti. Lo scrive Sondriotoday, la notizia fa il giro del web. Questi i fatti: la mattina di sabato scorso, 14 dicembre, la mamma della piccola, una donna nigeriana residente a Sondrio, si era accorta che la piccola non stava bene e non respirava normalmente. È scesa in strada chiedendo aiuto e ha trovato un uomo che ha portato lei e la piccolina in ospedale in auto. Quando sono arrivati al Pronto soccorso dell’ospedale civile di Sondrio, però, la bimba era in condizioni disperate e non respirava già da tempo. I medici che l’hanno presa in cura non hanno potuto salvarle la vita. Poco dopo al nosocomio è arrivato anche il papà della neonata, avvisato dalla madre, e i genitori hanno purtroppo ricevuto la terribile notizia.

LA TESTIMONIANZA DI UNA RAGAZZA

Alla scena che è seguita ha assistito una giovane, Francesca Gugiatti, che era al pronto soccorso per un malore e che poi ha scritto su Facebook: «Dalla sala d’attesa iniziano commenti di ogni tipo. Chi parla di b, chi di satanismo, chi di scimmie, chi di ‘tradizioni loro’, chi di manicomi. Giudizi, parole poco appropriate, cattiveria, tanta». «La tristezza ha iniziato ad invadermi», ha raccontato agli amici la ragazza, «nel frattempo ho sperato più che mai che calasse il silenzio fra le voci insopportabili e malvagie di quegli individui. E invece no, anche di fronte alla morte di un innocente, le voci hanno continuato. La più tremenda è stata: ‘tanto loro ne sfornano uno all’anno’. Siete davvero schifosi».

LE REAZIONI DELLA POLITICA

Per una volta, i commenti e le reazioni della politica sembrano essere unanimi.

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Polemica sulla campagna con le scimmie della Serie A contro il razzismo

L'opera dell'artista Simone Fugazzotto commissionata per sensibilizzare sulla discriminazione negli stadi è stata considerata da molti di cattivo gusto.

È polemica sull’opera dipinta dall’artista Simone Fugazzotto e commissionata dalla Lega Serie A per la campagna sulla lotta al razzismo. Il Trittico presentato da Fugazzotto è composto da tre quadri affiancati raffiguranti tre scimmie, e in teoria avrebbe l’obiettivo di diffondere i valori dell’integrazione, della multiculturalità e della fratellanza. Sarà esposta permanentemente nella sala assemblea della Lega Serie A. «Dipingo solo scimmie», ha spiegato Fugazzotto, «come metafore dell’essere umano. Da qui parte tutto, la teoria evolutiva dice questo. La scimmia come scintilla per insegnare a tutti che non c’è differenza e che siamo tutti scimmie». La campagna ha subito acceso la discussione sui social, con molti utenti convinti del cattivo gusto della Lega Serie A nel scegliere come soggetto proprio una scimmia.

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Roma e Milan chiudono le porte al Corriere dello Sport dopo il caso Black Friday

I due club prendono posizione sulla prima pagina del quotidiano che ha scatenato polemiche e accuse di razzismo. Negato l'accesso ai centri tecnici fino al termine del 2019. L'Ordine dei giornalisti: «Sdegno per l'attacco ai colleghi».

Porte chiuse ai giornalisti del Corriere dello Sport fino alla fine dell’anno: lo hanno deciso Roma e Milan, dopo che il quotidiano sportivo aveva titolato nella prima pagina dell’edizione in edicola Black Friday con una foto di Lukaku e Smalling, a proposito della sfida tra Inter e Roma in programma venerdì 6 dicembre. Una scelta che aveva scatenato un vespaio di polemiche e le accuse di razzismo strisciante in arrivo anche dal Regno Unito.

«GIOCATORI, CLUB, TIFOSI E MEDIA DEVONO ESSERE UNITI CONTRO IL RAZZISMO»

I due club, in un comunicato congiunto, «condannano pubblicamente il titolo di oggi del Corriere dello Sport in prima pagina. Crediamo», si legge, «che tutti i giocatori, i club, i tifosi e i media debbano essere uniti nella lotta contro il razzismo nel mondo del calcio ed è responsabilità di tutti noi essere estremamente precisi nella scelta delle parole e dei messaggi che trasmettiamo».

«NEGATO L’ACCESSO FINO ALLA FINE DELL’ANNO»

«In risposta al titolo Black Friday pubblicato oggi dal giornale» – prosegue la nota – «la Roma e il Milan hanno deciso di negare al Corriere dello Sport l’accesso ai centri di allenamento per il resto dell’anno e hanno stabilito che i rispettivi giocatori non svolgeranno alcuna attività mediatica con il giornale durante questo periodo. Entrambi i club sono consapevoli che comunque l’articolo di giornale associato al titolo Black friday contenga un messaggio anti-razzista ed è questa la ragione per la quale sarà vietato l’accesso al Corriere dello Sport solo fino a gennaio. Restiamo totalmente impegnati nella lotta contro il razzismo».

L’ODG: «SDEGNO PER L’ATTACCO AI GIORNALISTI»

Sulla questione è intervenuto anche l’Ordine dei giornalisti, con il presidente Carlo Verna che in una nota ha commentato: «Non ci sto! Devo usare un’espressione storica nel nostro Paese per dare forza allo sdegno per ciò che sta accadendo verso i colleghi del Corriere dello Sport. Tutto quello che la Lega calcio non ha fatto e non fa contro il razzismo, con cori indecenti che impunemente si ascoltano negli stadi senza che mai una partita sia stata definitivamente fermata e senza significative sanzioni per le curve, ora si traduce in una (presunta) ‘esemplare’ squalifica per dei giornalisti che nessuna responsabilità avrebbero, ammesso che i loro capi avessero sbagliato». «A me», prosegue la nota, «non sembra proprio, forse gli inglesi, da cui sarebbe partita la polemica, si sono fermati al titolo, ma Roma e Milan, nonostante la proprietà straniera, l’italiano dovrebbero comprenderlo».

Cosa volete? Forse far dimenticare la polemica di quel dirigente della Lega calcio che piuttosto che impedire i cori razzisti voleva evitarne la percezione della gente

Carlo Verna, presidente dell’Odg

Verna ha aggiunto: «Leggo che, parlando di Lukaku e Smalling, si parla di idoli e si aggiunge che hanno imparato a stimarsi e che hanno preso posizioni forti contro il razzismo: sono i simboli di due squadre. Cosa volete? Forse far dimenticare la polemica di quel dirigente della Lega calcio che piuttosto che impedire i cori razzisti voleva evitarne la percezione della gente, con la conseguenza che il telecronista tenuto a stigmatizzarli e condannarli o l’arbitro che dovrebbe sospendere la partita siano presi per visionari da casa?». Secondo il presidente dell’Odg, «la lotta al razzismo e per il rispetto merita posizioni più serie. La sfida che lanciamo, come giornalisti, è la tolleranza zero su qualsiasi atteggiamento discriminatorio».

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Il caso De Siervo sui cori razzisti negli stadi della Serie A

Diffuso un audio "rubato" in cui l'ad della Lega afferma di aver chiesto ai registi di «spegnere i microfoni verso le curve». Così «non li sentirete in tivù». L'interessato si difende con una querela e parla di «rischio emulazione».

I cori razzisti negli stadi della Serie A fanno il giro del mondo e danneggiano l‘immagine dei club, veicolata anche attraverso i diritti televisivi?

Allora meglio non farli sentire, come fosse polvere da mettere sotto il tappeto.

Fa discutere l’audio “rubato” di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, diffuso dal quotidiano la Repubblica e rilanciato su Twitter anche da altre testate.

LEGGI ANCHE: Il manifesto delle squadre di Serie A contro il razzismo

LA CONVERSAZIONE CON SCARONI

L’audio, registrato all’insaputa del protagonista il 23 settembre 2019 durante il consiglio di Lega, raccoglie un dialogo tra lo stesso De Siervo e Paolo Scaroni, presidente del Milan. Scaroni si dice preoccupato: «Sul New York Times hanno fatto un articolo grande così sui buu razzisti». E De Siervo risponde: «Ti faccio una confessione, non la mettiamo a verbale. Ho chiesto ai nostri registi di spegnere i microfoni verso le curve, io l’ho chiesto. Quindi non li sentirete in tivù, perché io l’ho chiesto».

LEGGI ANCHE: Il razzismo di Cellino con Balotelli e i precedenti nel calcio

PRODOTTI DA VALORIZZARE

De Siervo ha riconosciuto che l’audio è autentico, ma ha detto anche di aver querelato chi lo ha diffuso: «Nessuna censura, è stato tagliato un pezzo all’interno di un contesto più grande. Si parlava di produzione televisiva e di come valorizzare al meglio il nostro prodotto. A controllare la regolarità dello svolgimento della gara e documentare a fini legali e sportivi ciò che capita dentro lo stadio ci pensano già gli organi preposti: la polizia, gli ispettori di Lega e Federazione e, non ultimi, gli arbitri. Abbiamo dato istruzioni precise ai registi e sospeso chi, a Cagliari, aveva indugiato troppo sulla curva durante un controllo Var e chi, a Milano, aveva ripreso l’omaggio della curva interista a Diabolik. Io ho solo suggerito di gestire in maniera più precisa il direzionamento dei microfoni. Capita spesso, infatti, che da casa si sentano dettagli che allo stadio nemmeno si percepiscono».

E VALORI DA COMUNICARE

Le polemiche, però, non si placano. Un conto è direzionare «in maniera più precisa» i microfoni (più precisa in che senso?), un altro è spegnerli affinché certi «dettagli» non arrivino nelle case dei telespettatori. Si tratta inoltre dello stesso De Siervo che il 6 ottobre 2019, pochi giorni dopo quel consiglio di Lega, partecipando all’Ey Digital Summit di Capri dichiarava: «Non comunichiamo solo un evento sportivo, ma un insieme di valori. Negli stadi ci sono i razzisti e noi – che su questo abbiamo tolleranza zero – li andremo a prendere uno per uno. Lo faremo attraverso la tecnologia, grazie al riconoscimento visivo prenderemo il singolo responsabile di un atto e faremo in modo che non entri più in uno stadio».

DE SIERVO: «VOLEVAMO EVITARE IL RISCHIO EMULAZIONE»

L’amministratore delegato della Lega Serie A, nel pomeriggio del 3 dicembre, con un’apposita conferenza stampa ha cercato da una parte di parare il colpo: «Volevamo evitare di trasformare in eroi determinati ragazzi. Se hanno certi atteggiamenti, sono considerati degli eroi. C’è il rischio emulazione, come accaduto con il lancio delle pietre dai cavalcavia. Dobbiamo evitare di trasformare in eroi dei criminali». Un’argomentazione che però appare poco convincente. Se il punto fosse stato questo, perché nell’audio De Siervo chiede di non mettere a verbale la conversazione con Scaroni?

UNA MANOVRA PER DESTABILIZZARE IL GOVERNO DEL CALCIO?

Dall’altra parte il manager ha lasciato intedere come dietro la diffusione del file ci sarebbe una manovra per alterare gli equilibri di potere nell’organo che gestisce i più importanti tornei calcistici italiani: «Se nei prossimi mesi ci saranno attività esterne che cercheranno di destabilizzare la Lega, chiamerò i giornalisti in modo che le cose non crescano nel silenzio e diventino ingestibili. So chi mi vuole male. Ma dovete fare il vostro mestiere e capirlo da soli. Noi non ci facciamo intimidire. Continuiamo nel nostro percorso, sono stato eletto da 15 club che mi danno fiducia e qualora la maggioranza mi chiedesse di fare un passo indietro lo farei. Ma certo nessuno può farsi intimidire per delle lettere anonime o degli audio rubati con il cellulare nel tentativo goffo di buttare fango su di me, sulla Lega e sulla nostra azione. L’obiettivo è pensare di riuscire a decapitare la Lega in prossimità del bando sui diritti tivù. Qualcuno all’interno di quella stanza ha fatto il passo più lungo della gamba».

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Il caso De Siervo sui cori razzisti negli stadi della Serie A

Diffuso un audio "rubato" in cui l'ad della Lega afferma di aver chiesto ai registi di «spegnere i microfoni verso le curve». Così «non li sentirete in tivù». L'interessato si difende con una querela e parla di «rischio emulazione».

I cori razzisti negli stadi della Serie A fanno il giro del mondo e danneggiano l‘immagine dei club, veicolata anche attraverso i diritti televisivi?

Allora meglio non farli sentire, come fosse polvere da mettere sotto il tappeto.

Fa discutere l’audio “rubato” di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, diffuso dal quotidiano la Repubblica e rilanciato su Twitter anche da altre testate.

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LA CONVERSAZIONE CON SCARONI

L’audio, registrato all’insaputa del protagonista il 23 settembre 2019 durante il consiglio di Lega, raccoglie un dialogo tra lo stesso De Siervo e Paolo Scaroni, presidente del Milan. Scaroni si dice preoccupato: «Sul New York Times hanno fatto un articolo grande così sui buu razzisti». E De Siervo risponde: «Ti faccio una confessione, non la mettiamo a verbale. Ho chiesto ai nostri registi di spegnere i microfoni verso le curve, io l’ho chiesto. Quindi non li sentirete in tivù, perché io l’ho chiesto».

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PRODOTTI DA VALORIZZARE

De Siervo ha riconosciuto che l’audio è autentico, ma ha detto anche di aver querelato chi lo ha diffuso: «Nessuna censura, è stato tagliato un pezzo all’interno di un contesto più grande. Si parlava di produzione televisiva e di come valorizzare al meglio il nostro prodotto. A controllare la regolarità dello svolgimento della gara e documentare a fini legali e sportivi ciò che capita dentro lo stadio ci pensano già gli organi preposti: la polizia, gli ispettori di Lega e Federazione e, non ultimi, gli arbitri. Abbiamo dato istruzioni precise ai registi e sospeso chi, a Cagliari, aveva indugiato troppo sulla curva durante un controllo Var e chi, a Milano, aveva ripreso l’omaggio della curva interista a Diabolik. Io ho solo suggerito di gestire in maniera più precisa il direzionamento dei microfoni. Capita spesso, infatti, che da casa si sentano dettagli che allo stadio nemmeno si percepiscono».

E VALORI DA COMUNICARE

Le polemiche, però, non si placano. Un conto è direzionare «in maniera più precisa» i microfoni (più precisa in che senso?), un altro è spegnerli affinché certi «dettagli» non arrivino nelle case dei telespettatori. Si tratta inoltre dello stesso De Siervo che il 6 ottobre 2019, pochi giorni dopo quel consiglio di Lega, partecipando all’Ey Digital Summit di Capri dichiarava: «Non comunichiamo solo un evento sportivo, ma un insieme di valori. Negli stadi ci sono i razzisti e noi – che su questo abbiamo tolleranza zero – li andremo a prendere uno per uno. Lo faremo attraverso la tecnologia, grazie al riconoscimento visivo prenderemo il singolo responsabile di un atto e faremo in modo che non entri più in uno stadio».

DE SIERVO: «VOLEVAMO EVITARE IL RISCHIO EMULAZIONE»

L’amministratore delegato della Lega Serie A, nel pomeriggio del 3 dicembre, con un’apposita conferenza stampa ha cercato da una parte di parare il colpo: «Volevamo evitare di trasformare in eroi determinati ragazzi. Se hanno certi atteggiamenti, sono considerati degli eroi. C’è il rischio emulazione, come accaduto con il lancio delle pietre dai cavalcavia. Dobbiamo evitare di trasformare in eroi dei criminali». Un’argomentazione che però appare poco convincente. Se il punto fosse stato questo, perché nell’audio De Siervo chiede di non mettere a verbale la conversazione con Scaroni?

UNA MANOVRA PER DESTABILIZZARE IL GOVERNO DEL CALCIO?

Dall’altra parte il manager ha lasciato intedere come dietro la diffusione del file ci sarebbe una manovra per alterare gli equilibri di potere nell’organo che gestisce i più importanti tornei calcistici italiani: «Se nei prossimi mesi ci saranno attività esterne che cercheranno di destabilizzare la Lega, chiamerò i giornalisti in modo che le cose non crescano nel silenzio e diventino ingestibili. So chi mi vuole male. Ma dovete fare il vostro mestiere e capirlo da soli. Noi non ci facciamo intimidire. Continuiamo nel nostro percorso, sono stato eletto da 15 club che mi danno fiducia e qualora la maggioranza mi chiedesse di fare un passo indietro lo farei. Ma certo nessuno può farsi intimidire per delle lettere anonime o degli audio rubati con il cellulare nel tentativo goffo di buttare fango su di me, sulla Lega e sulla nostra azione. L’obiettivo è pensare di riuscire a decapitare la Lega in prossimità del bando sui diritti tivù. Qualcuno all’interno di quella stanza ha fatto il passo più lungo della gamba».

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Il razzismo sulla calciatrice della Juventus Aluko scuote Torino

L'attaccante nigeriana naturalizzata britannica saluta l'Italia dopo un anno e mezzo: «Città indietro di decenni, io trattata come una ladra o tipo Escobar». La sindaca Appendino: «Parole che pesano, ma la colpa è solo di alcune persone».

Italia e calcio, anno 2019: un altro caso di razzismo. Questa volta non riguarda il mondo maschile del pallone, ma ha coinvolto una giocatrice della Juventus femminile: Eniola Aluko, 32enne nigeriana naturalizzata britannica. Era arrivata in bianconero soltanto a giugno 2018. Ma ha già detto addio per tornare in Inghilterra. E tra i motivi ci sono anche le discriminazioni che ha subito qui da noi.

«NEI NEGOZI SI ASPETTAVANO CHE RUBASSI»

«A volte Torino sembra un paio di decenni indietro nei confronti dei differenti tipi di persona. Sono stanca di entrare nei negozi e avere la sensazione che il titolare si aspetti che io rubi», ha detto Aluko in una intervista al Guardian che ha fatto molto discutere. «Ci sono non poche volte in cui arrivi all’aeroporto e i cani antidroga ti fiutano come se fossi Pablo Escobar».

«IL RAZZISMO È PARTE DELLA CULTURA DEL TIFO»

L’attaccante ha precisato «di non avere avuto esperienza di razzismo dai tifosi della Juventus né tantomeno nel campionato di calcio femminile, ma il tema in Italia e nel calcio italiano c’è ed è la risposta a questo che veramente mi preoccupa, dai presidenti ai tifosi del calcio maschile che lo vedono come parte della cultura del tifo». “Eni” ha invitato la società, per continuare ad attrarre i talenti dell’Europa dall’Italia, a «farli sentire a casa». Questa infatti «è una parte importante di un progetto a lungo termine».

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Eniola Aluko quando giocava in Inghilterra. (Getty)

APPENDINO: «TORINO HA UNA STORIA DI PORTE APERTE»

La sindaca di Torino Chiara Appendino è intervenuta sul caso dicendo che le sue parole «pesano come un macigno». Su Facebook ha ricordato che quella della città piemontese è «storia di porte aperte». Ma «purtroppo nel nostro Paese episodi di discriminazione sono tornati a diffondersi, a essere tornata indietro però non è la città, solo alcune persone che non rappresentano che loro stesse. Torino non si rassegna».

Si è tornati a legittimare pensieri e comportamenti che dovevano rimanere sepolti per sempre


Chiara Appendino

Poi la sindaca ha aggiunto: «Negli ultimi tempi qualcosa in Italia è cambiato. In alcuni frangenti si è tornati a legittimare pensieri e comportamenti che dovevano rimanere sepolti per sempre, nelle pagine più vergognose dei libri di storia. Studiati sempre troppo poco». E ancora: «Non mi rassegno io, non si rassegnano migliaia di cittadini che quei pensieri li combattono ogni giorno, non si rassegna Torino. Perché Torino non è così».

La sindaca di Torino Chiara Appendino.

«SERVONO RISPOSTE CULTURALI E POLITICHE»

Com’è allora Torino? «Consapevole delle difficoltà, ma profondamente determinata nel rifiutare che queste possano essere ridotte al colore della pelle, alla religione, o a qualsiasi altra caratteristica della persona», ha concluso Appendino. «Rimango convinta che la discriminazione si combatta con risposte culturali e politiche, a tutti i livelli, che non possono tardare ad arrivare. La città proseguirà nel suo costante impegno in questa direzione, con tutti gli strumenti a sua disposizione».

ASCANI DEL PD: «UN COLPO AL CUORE»

La viceministra dell’Istruzione Anna Ascani del Partito democratico ha detto sempre su Facebook: «Il clima di intolleranza nel nostro Paese sta diventando insostenibile. La lettera con la quale la calciatrice della Juventus Eniola Aluko annuncia di lasciare l’Italia per questa motivazione è davvero un colpo al cuore. Mi ha colpito la frase “mi sono stancata di entrare nei negozi e sentirmi come se il proprietario si aspettasse che potessi rubare qualcosa”. Perché, davvero, fa capire come ci si sente, nella vita di tutti i giorni. E stupisce che tutto questo avvenga oggi, nel 2019».

La scuola ha molto da insegnarci: è il luogo dell’inclusione e dell’accoglienza. I bambini non fanno differenze


Anna Ascani, viceministra dell’Istruzione

Quindi Ascani ha osservato: «Davvero incredibile come stiamo tornando indietro. È inaccettabile. Non possiamo permetterlo. Per questo la sua denuncia va presa sul serio: in Italia esiste un problema “razzismo” nel calcio, e non solo. E deve farci riflettere tutti. E soprattutto deve farci reagire. La scuola da questo punto di vista ha molto da insegnarci: è il luogo dell’inclusione e dell’accoglienza. I bambini non fanno differenze. Dobbiamo chiederci dove il sistema fallisce e intervenire immediatamente. Dobbiamo garantire il rispetto dei diritti di ogni persona. È il razzismo che se ne deve andare via dal nostro Paese!».

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Imbrattate a Roma le targhe per le vittime delle leggi razziali

Erano recentemente state apposte dal Campidoglio al posto di quelle intitolate ai firmatari del manifesto della razza. La sindaca Raggi: «Una vergogna, ripuliremo subito».

Sono state imbrattate a Roma le due targhe dedicate alle vittime delle leggi razziali che la scorsa settimana per volere del Campidoglio avevano sostituito altre targhe che intitolavano le stesse strade ai firmatari del Manifesto della razza. A darne l’annuncio è stata la sindaca Virginia Raggi con un tweet. «Gesto vergognoso, ripuliamo subito», ha promesso.

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Il razzismo di Cellino con Balotelli e i precedenti nel calcio

Per il presidente del Brescia «Mario è nero, sta lavorando per schiarirsi». Poi parla di battuta fraintesa. Un po' come quelle di Passirani sulle banane a Lukaku, di Tavecchio e Opti Pobà, di Lotito che parlò di «pelle normale» dei bianchi. Il vizietto discriminatorio degli uomini nel pallone.

Il 25 novembre era la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma mentre si parlava di femminicidi qualcuno è riuscito a esibirsi in dichiarazioni razziste. Nel mondo del calcio, tanto per cambiare. Troppo difficile portare avanti più di una sensibilizzazione alla volta: probabilmente il presidente del Brescia Massimo Cellino non è dotato di questa abilità di multitasking. Così si è fatto sfuggire un commento poco “tecnico”: «Cos’è successo a Mario Balotelli? Che è nero, cosa devo dire, che sta lavorando per schiarirsi, però c’ha molte difficoltà». Mario Balotelli sarebbe (è, in attesa di sviluppi dal mercato) un suo giocatore, il secondo più prezioso della rosa (valore 20 milioni, dietro solo a Sandro Tonali stando ai dati Transfermarkt). E per di più fresco bersaglio dei versi da scimmia che gli hanno riservato i tifosi delll’Hellas Verona il 3 novembre.

ENNESIMO TASSELLO NEL MOMENTO-NO DI SUPER MARIO

Ma Cellino non deve aver pensato a tutto questo e ha provato a motivare così l’attaccante dopo il periodo-no che, oltre a questioni extra campo, ha riguardato aspetti di gioco: prima la discussa sostituzione all’intervallo nella partita persa 4-0 in casa contro il Torino, poi la mancata convocazione in Nazionale – la qualificazione a Euro 2020 era già in tasca – nonostante il suggerimento del presidente della Figc, Gabriele Gravina, che voleva chiamare Super Mario come gesto simbolico anti-razzista. Infine, alla ripresa del campionato, la cacciata dall’allenamento per scarso impegno e l’esclusione di Balo dalla trasferta di Roma.

IL RITORNELLO DELLA BATTUTA FRAINTESA

Dopo l’uscita di Cellino, il Brescia ha cercato di cancellare il guaio fatto: «Una battuta a titolo di paradosso, palesemente fraintesa, rilasciata nel tentativo di sdrammatizzare un’esposizione mediatica eccessiva e con l’intento di proteggere il giocatore stesso», è stato scritto in un comunicato.

Se scrivete tutte le cazzate che dico, non smettete più. Se chiarisco faccio ancora più danni. Le persone perbene mi conoscono


La “pezza” di Massimo Cellino

Poi Cellino è tornato sull’argomento: «Chi è che mi ha dato del razzista? Se scrivete tutte le cazzate che dico, non smettete più di scrivere. Io non mi devo mica discolpare di una cosa alla quale non credo. La cosa tragica sapete qual è? È che non sapete più che caz.. scrivere». Infine: «Se chiarisco faccio ancora più danni. Le persone perbene mi conoscono». E comunque Cellino si consoli: è solo l’ultimo di una lunga lista di esternazioni razziste che sono arrivate dai protagonisti del calcio italiano.

PASSIRANI E LE BANANE DA LANCIARE A LUKAKU

Luciano Passirani, ex dirigente di diversi club calcistici e opinionista nelle tivù locali, il 16 settembre 2019 parlando del centravanti dell’Inter Romelu Lukaku aveva detto: «Questo ti trascina la squadra. Questo nell’uno contro uno ti uccide, se gli vai contro cadi per terra. O c’hai 10 banane qui per mangiare che gliele dai, altrimenti…». Telelombardia ha deciso di non invitarlo più alle sue trasmissioni.

TAVECCHIO E IL FAMIGERATO OPTI POBÀ

Restando alla frutta, l’esternazione più famigerata è quella di Carlo Tavecchio del 2014: «L’Inghilterra individua i soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare. Noi, invece, diciamo che Opti Pobà (nome inventato, ndr) è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio». Concetto che non gli impedì di diventare presidente della Federazione italiana giuoco calcio.

LOTITO E I BIANCHI CON LA PELLE «NORMALE»

La Lazio un presidente vero e non inventato ce l’ha, si chiama Claudio Lotito e il 2 ottobre 2019 ha parlato di razzismo dicendo che «non sempre la vocazione “buuu” corrisponde effettivamente a un atto discriminatorio razzista» perché tra le vittime ci sono anche «persone di non colore, che avevano la pelle normale, bianca, e non di colore».

LE CALCIATRICI «LESBICHE» E «HANDICAPPATE»

Parentesi femminile, nel senso delle vittime delle offese. L’ex presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, nel 2015 definì le giocatrici di calcio «queste quattro lesbiche», secondo quanto riportò il verbale di una riunione. Fu inibito per quattro mesi. Il già citato Tavecchio invece nel 2014, in un’intervista a Report, parlò così del movimento: «Finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sotto l’aspetto della resistenza, del tempo, dell’espressione atletica. Invece abbiamo riscontrato che sono molto simili».

MALAGÒ E I SIMULATORI PEGGIO DEI RAZZISTI

Tornando al razzismo, il 25 settembre 2019 il presidente del Coni Giovanni Malagò ha detto che «è sbagliato se qualcuno fa “buuu” a un giocatore di colore, ma è ancora più sbagliato quando uno che guadagna 3 milioni di euro si lascia cadere in area e magari è anche contento di prendere un calcio di rigore». Poi si è corretto: «Non dico che il comportamento di chi simula sia peggiore di chi fa cori razzisti, ma ogni attore protagonista deve fare la sua parte nel modo eticamente migliore». Compreso il presidente del Coni.

malagò coni sport e salute sabelli
Giovanni Malagò. (Ansa)

SACCHI E L’ORGOGLIO ITALIANO ANTI-STRANIERI

Arrigo Sacchi, ex commissario della Nazionale e storico allenatore del Milan, nel 2015 dichiarò: «Io mi vergogno di essere italiano. Per avere successo siamo disposti a vendere l’anima al diavolo. Non abbiamo una dignità, non abbiamo un orgoglio italiano. Ci sono squadre con 15 stranieri. Oggi vedevo il torneo di Viareggio: io non sono un razzista, ho avuto Rijkaard, ma vedere così tanti giocatori di colore, vedere così tanti stranieri, è un’offesa per il calcio italiano».

ERANIO E I NERI NON CONCENTRATI QUANDO C’È DA PENSARE

Sacchi in rossonero incrociò Stefano Eranio, ex centrocampista. Una volta diventato commentatore televisivo, nel 2015 ai microfoni della tivù svizzera Rsi Eranio spiegò che «i giocatori di colore, quando sono sulla linea difensiva, spesso certi errori li fanno perché non sono concentrati. Sono potenti fisicamente però, quando c’è da pensare, spesso e volentieri fanno questi errori». Parlava dell’allora difensore della Roma Antonio Rüdiger. Fu licenziato.

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Il consiglio regionale della Lombardia dice no alla commissione Segre

Proposta dal Pd per contrastare intolleranza, razzismo e antisemitismo su modello di quella del Senato, è stata respinta con 42 no e 30 sì. Contrari Lega, Fdi, Forza Italia e tutto il centrodestra.

Il Consiglio regionale della Lombardia ha respinto con 42 No e 30 Sì la proposta del Pd di istituire una commissione consiliare speciale «per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza» sul modello di quella approvata in Senato su proposta della senatrice a vita Liliana Segre. Contrari Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, il gruppo Misto e gli altri esponenti del centrodestra, favorevoli Pd, M5S e gli altri consiglieri di opposizione.

RESTA L’INVITO PER UNA VISITA NEL GIORNO DELLA MEMORIA

La richiesta era stata inserita su proposta del consigliere Pd Pietro Bussolati tra i punti della mozione urgente presentata da Monica Forte del Movimento 5 Stelle, che è stata votata per parti separate. Gli altri punti sono stati approvati da tutte le forze politiche tranne Fratelli d’Italia e Viviana Beccalossi del Gruppo Misto, ma con alcune modifiche richieste dalla maggioranza. In sintesi il testo definitivo votato dall’Aula impegna la giunta regionale a invitare la senatrice Segre a una visita istituzionale in Consiglio regionale, «con l’auspicio – aggiunto da Forza Italia – che tale visita avvenga in una data vicina al giorno della memoria». Inoltre, a «manifestare a Liliana Segre la stima e la profonda solidarietà per le ignobili aggressioni di cui è stata oggetto e il nostro profondo rispetto per la sua storia personale sulla quale non è tollerabile alcuna forma di negazionismo e sottovalutazione». Su richiesta della Lega, infine, nelle premesse è stato posto un accenno di condanna alle contestazioni subite dalla Brigata Ebraica nel corso del corteo del 25 Aprile a Milano

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Il razzismo negli stadi si combatte anche con le parole giuste

Quelli contro Balotelli sono «versi di scimmia», non «buuu». Chi li fa non è solo un «imbecille». La «goliardia» è un'altra cosa. Fare la conta di chi insulta non serve. Così come prendersela con le vittime. Piccoli accorgimenti per un racconto più efficace del fenomeno.

Gli stadi italiani sono pieni di razzisti. Diciamolo chiaramente, una volta per tutte. Anche se lo saranno un po’ meno visto che il capo ultrà dell’Hellas è stato bandito fino al 2030. Il campionato è appena iniziato e gli episodi già si moltiplicano. È successo a Verona, Bergamo, Cagliari, Roma. Praticamente ogni domenica. Il 3 novembre è esploso il caso Mario Balotelli. Con strascichi di polemica e i consiglieri comunali di Verona che vogliono denunciarlo per aver diffamato la città. Ci si ritrova sempre a discuterne dividendosi, cercando alibi e scuse, e spesso usando termini sbagliati anche sui giornali. Perché il racconto di un fenomeno è fondamentale per la sua percezione, e comunicare bene un problema è spesso il primo passo per risolverlo. Ecco allora alcune cose che bisognerebbe fare quando si parla di razzismo negli stadi.

CHIAMIAMOLI VERSI DI SCIMMIA, NON BUUU

Non sono fischi, non sono buuu, non sono nemmeno ululati. Sono versi di scimmia e definirli appropriatamente non è affatto secondario, perché il loro contenuto razzista sta proprio in ciò che rappresentano. L’accostamento dei neri alle scimmie è da sempre uno dei mezzi retorici più utilizzati per asserirne l’inferiorità, negando loro umanità e riducendoli a un ambito bestiale. Cominciamo a chiamarli «versi di scimmia» e già una buona parte dell’equivoco verrà risolto.

EVITARE IL CONFRONTO COI FISCHI AI BIANCHI

Non se ne può più di sentire frasi come: «L’hanno fatto anche a quel giocatore bianco» o per dirla come il presidente della Lazio Claudio Lotito, «anche a quelli con la pelle normale». Ammesso anche che sia vero, fare il verso della scimmia a un bianco non è uguale a farlo un nero, e questo per il semplice fatto che i bianchi non sono mai stati accostati alle scimmie per denigrarne le qualità. Inutile e dannoso anche sostenere che se fosse vero razzismo colpirebbe anche i giocatori della squadra sostenuta dalla tifoseria razzista di turno. Il razzismo non deve per forza essere democratico per essere tale.

PARLARE DI RAZZISTI, NON DI IMBECILLI

Non sono imbecilli, sono razzisti. Le due cose vanno quasi sempre e braccetto, è vero, ma la scelta semantica di un termine invece dell’altro è un fatto politico che tende a negare l’esistenza del problema. Il razzismo esiste, a volte è consapevole altre volte meno. In ogni caso sembra esprimersi e dar sfogo in determinati contesti sociali.

NON DEFINIRLA GOLIARDIA

Non importa nemmeno l’intenzione con cui l’insulto viene fatto. Fosse anche solo «per infastidire l’avversario», ricorrere al razzismo e farlo sentire inferiore per via del colore della sua pelle è inaccettabile. C’è una lunga storia di disumanizzazione, tratta, schiavitù e privazione di diritti a motivare l’inaccettabilità di un coro razzista. E non c’è niente di goliardico nel razzismo, con buona pace di Luca Castellini, capo ultrà dell’Hellas Verona.

EVITARE L’INUTILE E DANNOSA CONTA

Quante volte si sentono frasi come «erano solo quattro gatti» o «i soliti 10 imbecilli». Come se il numero contasse davvero qualcosa. È lapalissiano che se a ricorrere all’insulto razzista fosse uno stadio intero la situazione sarebbe ancora più grave, ma sminuire l’impatto numerico del fatto ha come effetto quello di individualizzare il problema dimenticandone la natura socio-culturale. Il problema non sono solo i «quattro gatti» o «10 imbecilli» che fanno il verso della scimmia in Curva, ma anche tutti quelli che ne sminuiscono le azioni parlando di goliardia o di intento provocatorio.

SMETTERLA COL VICTIM BLAMING

«Eh, però Mario Balotelli lo conosciamo». «Ma Moise Kean ha provocato la Curva». «Sulley Muntari ha passato tutta la partita a picchiare». Sono solo alcune delle frasi a cui spesso si ricorre per giustificare l’insulto razzista. In un insopportabile ribaltamento della responsabilità, la colpa finisce per ricadere sempre sul giocatore. Che, beninteso, può benissimo avere atteggiamenti poco educati e fastidiosi per il pubblico, ma non per questo merita di ricevere un insulto razzista che non colpisce solo lui individualmente, ma chiunque abbia il suo stesso colore di pelle.

NON DARE VOCE A QUESTI SOGGETTI

Di tutte le cose, forse la più importante da fare è non dare voce ai razzisti. Dell’intervista di Radio Café al capo ultrà dell’Hellas Verona non se ne sentiva il bisogno. Cosa ci aspettavamo dal leader di una tifoseria tradizionalmente legata all’estrema destra e che in un passato non troppo remoto usava impiccare fantocci in Curva per manifestare il proprio dissenso all’ingaggio da parte del club di un giocatore nero? Così Castellini, iscritto a Forza Nuova, ha potuto portare fuori dallo stadio il vecchio e stantio slogan per cui «non ci sono ne*ri italiani», sostenendo davanti a un microfono che Balotelli non potrà mai essere considerato del tutto un suo connazionale.

ESALTARE IL PESCARA, CRITICARE IL VERONA

Ora, davanti a episodi del genere, una società può reagire in due modi: prendere le distanze dai propri tifosi razzisti o fingere che non siano razzisti. Il Pescara ha scelto la prima strada, cacciando via social un suo ormai “ex sostenitore” iscritto a CasaPound che si lamentava per le prese di posizione antirazziste del club.

Il Cagliari, dopo un primo tentativo di negare il problema in occasione della sfida alla Juventus e degli insulti a Kean nella stagione 2018-2019, ne ha preso atto e ha firmato un comunicato in cui definiva «sparuti ma non meno deprecabili» quelli rivolti a Romelu Lukaku nella partita con l’Inter di fine agosto. Il Verona ha scelto invece una strada diametralmente opposta, negando ogni insulto razzista prima per bocca del suo allenatore Ivan Juric («nessun razzismo, solo sfottò»), poi col presidente Maurizio Setti («nessun coro, Verona non è razzista»). Esaltiamo i primi, critichiamo i secondi. Sempre.

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E ora i consiglieri comunali di Verona vogliono denunciare Balotelli

Dopo gli insulti razzisti al giocatore, mozione firmata da Lega e lista civica del sindaco contro «chi diffama la città».

Prima i versi della scimmia in Curva, poi il tentantivo di minimizzare da parte del sindaco. Ora il Comune di Verona potrebbe persino adire le vie legali nei confronti di Mario Balotelli e di chi ha diffamato la città. È quello che hanno proposto quattro consiglieri comunali in una mozione che ha come primo firmatario Andrea Bacciga, eletto con “Battiti“, la lista civica del sindaco Federico Sboarina. Gli altri firmatari sono i consiglieri della Lega Alberto Zelger, Paolo Rossi e Anna Grassi. Mentre il capo ultrà dell’Hellas è stato bandito dagli stadi fino al 2030.

«CAMPAGNA MEDIATICA E FANGO»

Nella mozione è scritto: «Nessuno presente allo stadio durante la partita Brescia-Verona udiva ululati: né il pubblico, né la panchina del Brescia, né i giornalisti di Sky a bordo campo». Poi i consiglieri hanno proseguito: «Iniziava da subito una campagna mediatica contro la città di Verona sia da alcuni politici, come risulta dal comunicato del Partito democratico, sia da alcuni giornalisti che, seppur non presenti allo stadio, non hanno perso l’occasione di gettare fango sulla nostra città».

«ALLO STADIO NON È SUCCESSO NULLA»

Considerato quindi che «non è accettabile che Verona sia messa sul banco degli imputati, pur quando, come in questo caso, non è successo nulla (ma anche nel video qui sotto i versi da scimmia si sentono chiaramente, ndr)», i quattro consiglieri comunali con questa mozione hanno impegnato «il sindaco, l’assessore a gli uffici legali del Comune a diffidare legalmente e/o adire le vie giudiziali nei confronti del calciatore e di tutti coloro che attaccano Verona diffamandola ingiustamente».

SALVINI: «DA SEGRE POSSO IMPARARE, DA MARIO NO»

Intanto il leader della Lega Matteo Salvini, nel corso di un appuntamento politico a Napoli, è tornato sulla vicenda attaccando ancora il giocatore ex Milan: «Penso che chi nega l’Olocausto va curato da uno bravo bravo. Ma sul fatto di mettere in mano a una commissione partitica il giudizio di cosa è razzismo ho qualche dubbio. Sull’antisemitismo nessun problema: vanno curati sia quelli che vanno in giro con la svastica sia quelli con falce e martello. Di sicuro Liliana Segre può insegnarmi qualcosa, Balotelli no».

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Il sindaco di Verona e Salvini minimizzano il caso Balotelli

Per Sboarina «è inaccettabile quello che sta succedendo alla città», visto che «nessuno allo stadio ha sentito quei cori». E il leader della Lega attacca Super Mario: «Fenomeno, vale più un operaio dell'Ilva che 10 come lui».

In mezzo a un coro di solidarietà c’è stato anche chi proprio non è riuscito a condannare gli ululati razzisti contro Mario Balotelli. A partire dal sindaco di Verona Federico Sboarina, che intervistato da Sky Tg24 e dall’Ansa ha minimizzato i cori dei tifosi dell’Hellas durante la partita contro il Brescia: «Sembra che la sentenza sia già stata scritta. È oggettivamente inaccettabile quello che sta succedendo alla nostra città».

IL SINDACO: «NESSUNO CAPIVA QUEL GESTO»

La linea del primo cittadino è derubricare il caso a poche urla di qualche persona in Curva: «Ribadisco, ero allo stadio e quando Balotelli ha calciato via la palla la sensazione di tutti è stata di stupore. Nessuno riusciva a spiegarsi perché». Secondo il referto che la procura della Figc ha preparato per il giudice sportivo chiamato a valutare «erano in 20, il resto della Curva veronese applaudiva».

RIPETUTA LA LINEA NEGAZIONISTA

Ci sono dei video dove però i buuu si sentono chiaramente. Ma Sboarina è andato dritto per la sua strada: «Non può esistere che da un presupposto che non esiste, perché allo stadio non ci sono stati cori razzisti, venga messa alla gogna una tifoseria e una città». A proposito di tifoseria, il discusso capo ultrà Luca Castellini ha detto, tra le altre cose, che «Balotelli non potrà mai essere del tutto italiano».

Balotelli è l’ultima mia preoccupazione, vale più un operaio dell’Ilva che 10 Balotelli, non abbiamo bisogno di fenomeni


Matteo Salvini

Non poteva mancare un commento al veleno di Matteo Salvini. L’ex ministro dell’Interno ha sempre lanciato frecciatine al centravanti («Non mi piaceva in campo, mi piace ancor meno fuori») e anche stavolta ha sviato davanti alle domande dei giornalisti in Senato: «Con 20 mila posti di lavori a rischio Balotelli è l’ultima mia preoccupazione, vale più un operaio dell’Ilva che 10 Balotelli, non abbiamo bisogno di fenomeni». Ribadendo in generale la solita condanna di antisemitismo e razzismo, la stessa peraltro annunciata dopo il mancato voto in favore della Commissione Segre.

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IL VESCOVO ZENTI: «VERONA NON È QUELLA DELLO STADIO»

Pure il vescovo Giuseppe Zenti ha difeso la città: «Verona non è quella che si vede allo stadio». Ambiente che però lui ha ammesso di non conoscere, sottolineando poi che Verona è da sempre «una città accogliente, inclusiva, ricca di associazioni di volontariato», che «non merita di essere infangata».

TOMMASI: «LA CITTÀ NON È RAZZISTA»

Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione italiana calciatori e veronese, ha detto: «Inutile girarci intorno, se qualcuno fa il verso della scimmia a un giocatore perché è di colore, quello è razzismo. Sento troppi “sì, ma”. E anche se sono solo due, sono troppi». Poi ha aggiunto: «Pochi sanno che il patrono, San Zeno, è un vescovo di colore, e che qui sono nati i comboniani attivi in Africa. Razzista non è una città, ma i comportamenti sì, quelli sono razzisti».

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