Frank Zappa, un genio che se n’è andato senza lasciare eredi

«Il compositore Frank Zappa è partito attorno alle 18 di domenica scorsa per il suo ultimo tour». Così, il 6 dicembre 1993, la famiglia dava la notizia della morte del musicista americano, avvenuta due giorni prima, il 4 dicembre (esattamente 30 anni fa), a causa di un tumore alla prostata diagnosticato troppo tardi. La comunicazione, come immaginabile, colpì gli appassionati di tutto il mondo, anche se non giunse, come si dice, come un fulmine a ciel sereno. I fan sapevano della malattia: nel 1991, per esempio, proprio per problemi di salute, il compositore non poté partecipare allo Zappa’s Universe, un grande evento organizzato come tributo per i 25 anni della sua musica (il suo primo album, Freak Out!, venne appunto pubblicato nel 1966), con al centro l’orchestra Of Our Time, diretta da Joel Thome, e, nel 1992,  poté dirigere solo in un paio di brani l’Ensemble Modern, che a Francoforte (poi anche a Berlino e Vienna) eseguì The Yellow Shark, una versione orchestrale/contemporanea di celebri brani dello stesso Zappa, divenuto, l’anno successivo, un disco di culto per i fan del Genio di Baltimora.

Zappa, un genio che sfugge a ogni etichetta

Orfani di Zappa non sono solo gli amanti del rock: tutta la critica, unanimemente, concorda sul fatto che definire rock la sua musica sia piuttosto riduttivo: certamente ne è la componente principale, magari in larga parte predominante, ma sempre in un continuo gioco di contaminazioni con moltissimi altri generi, da quelli più “prossimi”, per esempio il blues, il rhythm and blues o addirittura forme di “proto” rock, come il doo-wop degli Anni 40 e 50, al jazz, alla musica “colta” (contemporanea, sinfonica, dodecafonica, e così via.). «Per Frank Zappa verrà il tempo in cui gli sarà riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi compositori del Novecento». Così ha detto di lui il maestro Pierre Boulez – che commissionò a Zappa una composizione (The Perfect Stranger) per poi dirigerla nel 1984 col suo Ensemble InterContemporain. E a Boulez fa eco un altro grande direttore d’orchestra, Kent Nagano: «Frank è un genio. Questa è una parola che non uso spesso. Ma nel suo caso non è eccessiva. È estremamente istruito musicalmente. Non sono sicuro che il grande pubblico lo sappia… Non è proprio pop, ma è una pop star, non ha fatto proprio rock, ma è pur sempre una rock star, non è nemmeno proprio jazz, ma si è comunque circondato di musicisti jazz. Alla fine non era proprio un ‘compositore serio’, ma ha studiato le opere di Nicolas Slonimsky, Edgard Varèse, e così via. Non si può proprio inserire in alcuna categoria».

Cosa resta del Genio di Baltimora: i 170 album, la “cassaforte” e l’ultimo regalo Funky Nothingness

Se parliamo in termini di produzione, per fortuna l’eredità lasciataci da Frank Zappa è davvero cospicua: non solo possiamo contare ormai su poco meno di 170 album, di cui più della metà usciti postumi, ma possiamo guardare fiduciosi al patrimonio ancora inedito e contenuto nella sua famosa “cassaforte” (the vault) in cui Zappa stesso aveva stivato ogni sorta di registrazione o video, dai concerti a ogni singola performance casalinga o prova. Zappa definiva questa sua vena archivistica compulsiva “project/object”: prima o poi, ogni singolo frammento avrebbe trovato una armonica collocazione e una realizzazione formale e ufficiale. Gli zappiani ne hanno appena avuto una prova con la pubblicazione (lo scorso giugno) di Funky Nothingness, che presenta una serie di inediti e non solo, registrati nel 1969, nelle stesse sessioni da cui nacque Hot Rats, e appunto mai pubblicate prima d’ora. Se per eredità si intende invece la ideale prosecuzione del suo stile, le cose si complicano un po’. Esistono ottimi epigoni, a cominciare da Dweezil Zappa, secondogenito di Frank, che, dal 2006, porta sulle scene, con grande bravura, la musica paterna, o diversi altri ex-alumni zappiani in varie band. E non mancano ottimi musicisti che hanno creato tribute band di grande qualità (non lo dico per mero spirito patriottico, ma, a livello internazionale, tra i migliori citerei la band torinese Ossi Duri, i chitarristi Sandro Oliva e Dan Martinazzi, i Fast & Bulbous e il pianista-tastierista-compositore Riccardo Fassi con la sua Tankio Band). Se parliamo di eredi in senso compositivo, creativo, musicale non saprei fare nomi.

Frank Zappa, un genio che se n'è andato senza lasciare eredi
Frank Zappa nel 1978 (Getty Images).

L’attrazione per il politicamente scorretto e l’attualità dei testi

Si potrebbe rispondere in molti modi alla domanda perché ascoltare Zappa oggi. La risposta più banale è che la musica di Frank Zappa è bellissima. Ma è anche assolutamente contemporanea: Zappa ha, di fatto, sperimentato e quindi anticipato di decenni, moltissime forme musicali che oggi ascoltiamo. Compreso il rap. Se ascoltate qualunque disco del Genio di Baltimora, vi sembrerà appena realizzato. Per non parlare dei suoi testi: la sua ironia sferzante, il suo continuo fustigare ogni potere costituito (politico – repubblicano o democratico che fosse – economico, religioso – anche qui, senza distinzione di credo), denunciandone i vizi, ma anche la prepotenza e la tracotanza, il sarcasmo nel colpire i luoghi comuni, i tic e i tabù della media borghesia (statunitense) sono di una attualità quasi sconcertante. Anzi, chissà quali argomenti avrebbero offerto oggi a Zappa personaggi come Trump o Biden, ma anche Putin e tanti altri. Certo, oggi avrebbe qualche problema, ancor più che in passato, per la sua incontenibile attrazione per il politicamente scorretto. La discografia zappiana straripa di testi ironici, qualche volte anche “pesanti” – ma sempre per pura finzione – nei confronti, per esempio, delle donne (non furono in pochi a additarlo come misogino), degli omosessuali, o dei predicatori religiosi o, ancora, di una classe media americana continuamente lacerata dal dissidio interiore tra puritanesimo e pulsioni – a volte perversioni – sessuali. A chi gli chiedeva, per esempio, perché mai avesse intitolato un suo brano Titties and beer (Tette e birra), rispose che la canzone era stata scritta per diventare un classico, perché conteneva esattamente tutto ciò che piace all’americano medio: le tette e la birra. Senza contare le decine e decine di testi dedicati alle varie tipologie di “stupidi”, a qualunque livello: sociale, economico, politico, religioso, artistico, ecc. Del resto, Zappa si è sempre detto convinto del fatto che, nell’universo, l’elemento più abbondante non sia l’idrogeno, bensì proprio la stupidità.

È morto Shane MacGowan, cantante dei Pogues

È morto a 65 anni Shane MacGowan, cantante e autore della maggior parte dei brani del gruppo folk-punk dei Pogues. Di origine irlandese, divenne celebre negli Anni 80, oltre che per la sua musica, per lo stile di vita sregolato, in particolare per l’abuso di alcol, ma anche di eroina. Il suo brano più famoso è Fairytale of New York, cantata insieme a Kirsty McColl, considerata una delle canzoni natalizie più belle di sempre.

Il movimento punk e la fondazione dei Pogues

Nato nel giorno di Natale del 1957 in Inghilterra, visse in una fattoria in Irlanda (Paese di origine dei genitori) fino all’età di sei anni, quando la famiglia si trasferì a Londra. Parte del movimento punk, nella seconda metà degli Anni 70 aveva fondato il suo primo gruppo, i The Nipple Erectors, che si fecero conoscere a Londra come gruppo di supporto dei Clash e dei Jam. Nel 1981 conobbe Spider Stacy e Jem Finer, con cui l’anno successivo formò i Pogues (inizialmente Pogue Mahone, storpiatura dell’espressione gaelica póg mo thóin, ovvero “baciami il sedere”).

È morto Shane MacGowan, cantante dei Pogues, band famosa per la canzone natalizia Fairytale of New York. Aveva 65 anni.
Shane MacGowan nel 1976 (Getty Images).

L’allontanamento dai Pogues nel 1991 e poi il rientro 

Il gruppo, che come disse una volta lo stesso MacGowan ha sempre proposto «musica irlandese per un giovane pubblico rock», con strumenti propri del primo genere, come flauto, banjo, mandolino, fiddle e fisarmonica, insieme con percussioni e strumenti a corda più moderni, debuttò nel 1984 con l’album Red roses for me. Rimase nei Pogues fino 1991, quando fu allontanato a causa delle sue dipendenze e dei continui ritardi a prove e concerti: cinque i dischi incisi con il gruppo folk-punk. Dopo alcune collaborazioni, nel 1992 aveva formato i Popes, poi lasciati per rientrare nei Pogues che, dopo lo scioglimento nel 1996, avevano ripreso l’attività nel 2001.

La sua vita è stata raccontata in un documentario

Nel corso dei decenni, le dipendenze ne avevano fortemente minato il fisico. Nel 2006, dopo una notte di bevute in Irlanda, si fermò per urinare, inciampò e cadde contro un muro, distruggendo i pochi denti rimasti. E a causa dell’eroina fu persino arrestato: a farlo incarcerare, per cercare di aiutarlo, fu la collega e amica Sinéad O’Connor. Costretto su una sedie a rotelle da una caduta del 2015 da cui non si era ripreso, nel dicembre 2022 MacGowan era stato ricoverato in ospedale per un’encefalite virale e nel corso del 2023 aveva trascorso diversi mesi in terapia intensiva. Ad annunciarne la scomparsa è stata la moglie Victoria Mary Clarke, che ha pubblicato un post sulla sua pagina Instagram a corredo di una sua foto in bianco e nero, con in mano un bicchiere e una sigaretta. La storia del cantante è stata raccontata nel documentario del 2020 Crock of Gold – A Few Rounds with Shane MacGowan, prodotto da Johnny Depp.

Spotify Wrapped 2023, Sfera Ebbasta è l’artista più ascoltato in Italia

Sfera Ebbasta è ancora una volta l’artista più ascoltato in Italia. Il trapper ha infatti vinto per il terzo anno consecutivo la classifica di Spotify Wrapped, che decreta i mattatori della musica in streaming. Il suo X2VR, disco di platino a una settimana dall’uscita, domina anche fra gli album Fimi GfK, tanto da monopolizzare le prime 12 posizioni della chart dei singoli. Un’egemonia culturale che sottolinea lo strapotere dell’urban nel nostro Paese. Al secondo posto c’è infatti il napoletano Geolier, seguito sul gradino più basso del podio da Lazza. In Top5 anche Shiva e Guè. Solo italiani nelle prime 10 posizioni. In classifica seguono infatti Tedua, Marracash, Pinguini Tattici Nucleari (unica eccezione alla scena rap), Capo Plaza e thaSup. Sfera Ebbasta ha intanto annunciato una seconda data allo Stadio San Siro per il 25 giugno, dopo il sold out della prima.

Spotify Wrapped 2023, in Italia fra le donne Anna batte anche Taylor Swift

Grazie al programma globale Equal, Spotify promuove la parità di genere ed esalta il ricco contributo delle donne nel mondo della musica. Pensato per dare visibilità alle artiste e compositrici, crea delle playlist e delle classifiche specifiche del genere femminile. In Italia, come testimonia il Wrapped 2023, la rapper di La Spezia Anna ha battuto persino Taylor Swift, raggiungendo la vetta anche grazie all’ultima hit Vetri neri. Al terzo posto c’è Madame, mentre si sono accontentate solo di quarto e quinto posto Annalisa, fra le più in voga soprattutto in estate, ed Elodie, impegnata nel suo tour nei palazzetti. Al sesto posto si è invece piazzata Rose Villain, capace di mettersi alle spalle colossi internazionali come Shakira e Rosalia. Chiudono la Top 10 infine Lana del Rey e Rihanna.

Lo Spotify Wrapped consente anche di scoprire i nomi degli artisti italiani più ascoltati all’estero. Qui, senza grosse sorprese, in cima alla classifica ci sono i Maneskin, che stanno infiammando stadi e club di tutto il mondo. Alle loro spalle i Meduza, trio di produttori musicali che ha collaborato con diversi cantanti della scena house internazionale. Sul podio anche Ludovico Einaudi, che si è aggiudicato la medaglia di bronzo. Seguono Gabry Ponte, Antonio Vivaldi e Laura Pausini, di recente insignita del titolo di Persona dell’anno ai Latin Grammy Awards. In Top 10 anche Eros Ramazzotti, Gigi D’Agostino, Andrea Bocelli e il rapper Baby Gang. Quanto ai singoli, come per Apple Music l’ha spuntata Cenere di Lazza davanti a Gelosa, featuring di Finesse con Guè, Sfera e lo stesso Lazza. Al terzo posto Vetri neri di Anna.

Taylor Swift regina mondiale con oltre 26 miliardi di stream

Grazie a Midnights e alle ripubblicazioni di Speak Now e 1989, Taylor Swift ha dominato il mercato della musica in streaming. Lo Spotify Wrapped 2023 ha certificato circa 26,1 miliardi di ascolti sulla piattaforma, stracciando ogni concorrenza. Battuto anche Morgan Wallen, l’artista country che l’aveva battuta in alcune categorie dei Billboard Music Awards. Nella classifica globale la popstar di West Reading ha superato Bad Bunny e The Weeknd, rispettivamente sul secondo e terzo gradino del podio. Quarto posto per Drake, che ha battuto Peso Pluma e Feid. Seguono Travis Scott, in auge grazie all’album Utopia presentato in Italia al Circo Massimo, davanti a SZA, Karol G e Lana del Rey.

Pur essendo la star di Spotify Wrapped 2023, Taylor Swift non può vantare né la canzone né l’album con il maggior numero di stream globali. Fra i singoli ha primeggiato Miley Cyrus con la sua Flowers, seguita da Kill Bill di SZA e As It Was di Harry Styles. Solo sesta Cruel Summer della popstar della Pennsylvania, che si è arresa anche a Seven di Latto e Jung Kook e Ella Baila Sola dei messicani Eslabon Armado. La star dell’Eras Tour può però vantare due brani in Top 10, dato che al decimo posto c’è Anti-Hero. Fra i dischi invece il suo Midnights è secondo, alle spalle di Un verano sin ti di Bad Bunny.

Apple Music, la classifica dei brani più ascoltati del 2023: vince Lazza

Cenere di Lazza è il brano più ascoltato su Apple Music nel 2023. La canzone, che gli è valso il secondo posto al Festival di Sanremo, ha conquistato la vetta del podio nel nostro Paese sulla piattaforma streaming. «È stato un anno che difficilmente dimenticherò», ha dichiarato l’artista a Billboard Italia. «Ringrazio tutte le persone che sostengono la mia musica e che hanno reso la canzone la più streammata di Apple». Al secondo posto c’è invece Quevedo: Bzrp Music Sessions, Vol. 52 dei produttori che hanno lavorato anche con Shakira. Sul gradino più basso del podio invece Gelosa, collaborazione di Finesse, Shiva, Guè Pequeno e Sfera Ebbasta. In Top 10 tanti brani del Festival di Sanremo e tracce del rap italiano.

Apple Music, la Top 10 delle canzoni più ascoltate in Italia e nel mondo

Ai piedi del podio italiano di Apple Music si è invece piazzato il brano vincitore all’Ariston Due vite di Marco Mengoni. Dalla rassegna della canzone italiana arrivano poi Supereroi di Mr. Rain al quinto posto e Tango di Tananai, che si è piazzato settimo. Nel mezzo Vetri neri, la nuova hit di Anna con la collaborazione di Capo Plaza e Ava. Geolier è l’unico artista ad avere due brani nelle prime 10 posizioni con Chiagne, un featuring con Lazza e Takagi & Ketra, e X Caso incisa con Sfera, rispettivamente all’ottavo e nono posto. Solamente decima Mon Amour di Annalisa, quattro volte Disco di platino.

Quanto alla Top 10 mondiale di Apple Music, sorprendentemente non domina Taylor Swift. Pur avendo ottenuto il riconoscimento di artista dell’anno della piattaforma, consolidando il recente successo anche ai Billboard Music Awards, la popstar di West Reading si è dovuta accontentare del sesto posto grazie alla sua Anti-Hero dall’album Midnights. In vetta c’è invece Morgan Wallen, cantautore country e rivelazione del 2023, con la sua Last Night. Medaglia d’argento per Flowers di Miley Cyrus, mentre sul gradino più basso del podio si è piazzata SZA con Kill Bill. Quarto posto per Drake e 21 Savage con la loro Rich Flex davanti a Snooze, secondo brano della rapper SZA in classifica. Dopo Taylor Swift invece spazio al J-Pop degli Yoasobi con Idol e a Chris Brown con Under the Influence. Completano la Top 10 Metro Boomin, The Weeknd e 21 Savage con Creepin’  e Official Hige Dandism con Subtitle.

La classifica di Shazam, i Bzrp battono i The Kolors

Oltre alla classifica di Apple Music, è disponibile anche la Top 10 di Shazam con i brani più ricercati del 2023 in Italia. In vetta c’è Quevedo: Bzrp Music Sessions, Vol.52, seguito dal tormentone estivo Italodisco dei The Kolors. Terza piazza per Flowers di Miley Cyrus. Solo ottavi i Maneskin con The Loneliest, davanti al duo Mina e Blanco con Un briciolo di allegria. L’artista più shazammato del 2023 è invece Sfera Ebbasta. A livello mondiale, la classifica è dominata da Rema con la sua Calm Down. Sul podio anche Bloody Mary di Lady Gaga, brano del 2011, divenuto virale su TikTok assieme alla serie Netflix Mercoledì.

Oral, cosa c’è dietro la strana coppia Björk e Rosalia per salvare i salmoni islandesi

È uscita Oral, canzone che vede Björk duettare con una delle popstar più interessanti del momento, Rosalia. Una canzone di cui si è parlato parecchio, perché le due artiste sono quanto di più distante si possa oggi immaginare sul fronte musicale, perché si diceva sarebbe stata una canzone ambientalista, in perfetta sintonia con una china che la carriera dell’artista islandese ha preso da tempo, e perché, soprattutto, da tempo Björk è lontana dall’hype mainstream. L’idea di capire su che terreno lei e Rosalia si sarebbero incontrate dunque sembrava davvero potente. Ad aggiungere un po’ di sfiziose spezie al tutto le dichiarazioni rilasciate poco prima dell’uscita del singolo da parte della stessa Björk, che ha raccontato come la canzone fosse in realtà da lungo tempo dentro i suoi metaforici cassetti, lì tenuta non perché non ancora portata a termine, ma perché considerata troppo pop per i suoi nuovi standard. Oral ora è uscita e alcune sono le notazioni necessarie da fare, prima di passare a indicare il motivo per cui, oggi come oggi, è Rosalia il nome che sorregge questa strampalata coppia di artiste, oltre che uno di quelli su cui puntare se siete tra quanti amano scommettere su chi sia destinato a scrivere il proprio nome nel grande libro della musica leggera.

L’operazione salmoni che ha spinto Björk a collaborare con Rosalia

Dunque, Oral non è una canzone pop. Lo è forse se si parte dall’idea di pop che negli ultimi anni sembra avere Björk. In realtà è un po’ come la famosa battuta di Bisio che chiamava Dio Guido, per tutti gli altri Dio continua a essere Dio o nessuno, e Guido un nome proprio di persona.  Oral è una canzone sofisticata, che parte praticamente poggiando solo sulla voce, eterea, di Björk, poi su una musica decisamente ambient. Non è dunque una canzone pop. E tale non la rende nemmeno la presenza di un fenomeno pop come Rosalia, insieme a Dua Lipa la più forte artista europea al momento. Oral non è neanche una canzone ambientalista. È ambientalista l’operazione, ci fanno sapere entrambe le artiste, perché i proventi dei diritti e le vendite del brano andranno interamente a un fondo atto a permettere agli abitanti del fiordo di Seyðisförður, sulla costa orientale dell’isola scandinava che ha dato i natali all’artista, di coprire le spese legali per una class action contro le industrie della lavorazione dei salmoni che vorrebbero a breve aprire un allevamento in zona. A colpire Björk è stata la recente fuga di salmoni non islandesi da un allevamento. I pesci, appartenenti a una specie particolarmente aggressiva, ha invaso le acque dei fiumi dell’isola mettendo a rischio gli esemplari autoctoni. La notizia ha spinto la cantautrice ad abbandonare ogni ritrosia, e chiedere a Rosalia di portare un po’ della sua coolness in un brano che altrimenti poco avrebbe sentito adatto alle proprie corde.

Oral, la canzone perduta e ritrovata dopo 30 anni

Il video che accompagna il tutto, girato col contributo dell’intelligenza artificiale, le mostra combattere in una lotta non troppo diversa da quelle che si vedono nei videogiochi, niente a che vedere con l’aura mistico naturalista di Björk, né con l’immagine sexy e spregiudicata di Rosalia. Una canzone, ha dichiarato Björk a Rolling Stone Usa, che risale al periodo intercorso tra Homogenic e Vespertine, parliamo degli Anni 90, e che era andata perduta. Una volta ritrovata, non volendo reincidere la voce, perché riteneva non replicabile quel mood, ha chiesto a Rosalia, artista che molto amava, se le andasse di eseguirla. Ed ecco Oral per come la possiamo sentire. Una canzone che Björk descrive come una specie di reggaeton, ma che di reggaeton, ovviamente, non ha nulla, se non una ritmica che si richiama a quel genere, assolutamente sovrastata da archi e flauti, e dalle due voci che si intrecciano alla perfezione, quella di Björk più riconoscibile di quella di Rosalia. Attenzione, non perché Rosalia sia poco conosciuta o abbia una voce più neutra rispetto alla collega islandese, tutt’altro. Solo perché il brano è evidentemente stato scritto per mettere in rilievo le caratteristiche animiste tipiche di Björk, i sospirati che la rendono unica. Rosalia è invece più calda come voce e come temperamento, ed è da sempre protagonista di canzoni che si rifanno alla musica tradizionale, che sia il flamenco o, appunto, il reaggaeton, preso, smontato e ricostruito secondo il proprio estro e gusto personale.

Oral, cosa c'è dietro la strana coppia Björk e Rosalia per salvare i salmoni islandesi
Rosalia ai Latin Grammy Awards (Getty Images).

Rosalia e il lavoro sulla forma canzone orientato alla ricerca antropologica, oltre che della hit perfetta

Il suo Motomami, album del 2022 arrivato dopo l’esplosione mondiale con El Mal Querer, concept del 2018 che ruotava tutto intorno a una storia d’amore che oggi definiremmo tossica e ispirata al romanzo medievale Roman de Flamenca, è una sorta di bignami di come si possa prendere un genere ritenuto dai più rozzo, dozzinale, a tratti anche trash, ed elevarlo al grado di bellezza assoluta. Un lavoro di decostruzioni di canoni altrimenti sfilacciati su cui costruire storie che ruotano costantemente sopra il femminile, mescolando antico e futuribile, come raramente è capitato di vedere nel pop. Un lavoro che la potrebbe far accostare a figure come Peter Gabriel e David Byrne, e al tempo stesso tenere il passo a Dua Lipa e Beyoncé, certo seguendo la strada a tratti percorsa da Shakira, ma sempre tenendo la barra dritta, come se il suo lavorare sulla forma canzone fosse costantemente orientato alla ricerca antropologica, oltre che della hit perfetta.

Sentire canzoni come Hentai, liberata da tutti i fardelli sovrastrutturali delle tipiche produzioni del genere e lasciata come una ballad per voce e piano scordato, un testo che si rifà alla pornografia orientale dei manga e che quindi lancia chiari richiami sessuali su una melodia malinconica, o La fama, ospite quell’altro genio del pop che risponde al nome di The Weeknd, tutta giocata su una linea di basso ipnotica, una canzone di gelosia e passione che ben si è mossa anche in classifica, dovrebbero da sole darci la cifra di un talento che al momento ha forse solo in Tove Lo, artista svedese di stanza negli Usa che per tante popstar ha scritto tenendo per sé i brani più provocatori e sensuali, una ipotetica competitor. Del resto, Taylor Swift su un piano meramente pop ben lo dimostra, il mondo della musica internazionale è più che mai saldamente nelle mani femminili, Rosalia con o senza Björk non ha che da sbizzarrirsi a giocare con le tradizioni del mondo, magari anche salvando il salmone islandese.

Madonna se ne frega degli haters, ma i suoi 65 anni si vedono tutti al The Celebration Tour

Con circa due ore di ritardo (con buona pace di Atm, l’azienda di trasporti milanesi che fino a poco prima dell’evento non voleva prolungare il servizio delle metro), ma alla fine è arrivata. Madonna è comparsa sul palco del Mediolanum Forum di Assago – primo appuntamento giovedì 23 novembre, si replica sabato 25 – quasi alle 22.30 (secondo il biglietto l’inizio del concerto era previsto alle 20.30) con un’apertura mozzafiato per lo zoccolo duro dei fan: Nothing really matters, singolo non di punta di quel gioiello che è l’album Ray of light. Ad applaudire la tappa meneghina del The Celebration Tour, in cui la popstar festeggia i suoi 40 anni di carriera, oltre 11 mila spettatori (compresi, tra gli altri, Giorgio Armani, Elodie, Gigi Buffon e Rocco, il figlio che la cantante ha avuto con il regista Guy Ritchie) investiti da una carrellata di hit, coreografie, costumi e chi più ne ha più ne metta. A 65 anni suonati, quanto è riuscita Madame Ciccone a tenere botta al tempo che passa?

Qua e là il dubbio che la voce fosse pre registrata c’è stato

Diversamente dagli show a cui ci ha abituato negli anni, i brani sono stati riproposti nelle loro versioni originali. E l’impressione è che, rispetto al passato, ci sia stato qualche aiutino in più: qua e là il dubbio che la voce fosse pre registrata c’è stato. Ma questo poco ha importato agli scatenatissimi sostenitori della diva di origine italiana che hanno urlato e ballato per tutto il tempo. Un pubblico variegato, forse più di quello che effettivamente compra i suoi dischi. D’altronde il mercato è cambiato. Il modo di fruire la musica anche. Ma Madonna in città è sempre un evento. Che ha richiamato i fan della prima ora, anche quelli che sono un po’ più attempati dell’artista. Poi c’era la generazione che di lei si è innamorata grazie agli exploit di fine degli Anni 90 e primi Anni 2000 (Frozen, Ray of Light, Music, Hung…). Infine i giovanissimi che, probabilmente, la conoscono in quanto icona e per le canzoni che passano in discoteca, ma che fino alla sera del 23 novembre potrebbero non avere mai sentito brani come Bedtime story, Bad Girl, Rain o quella perla di Mother and Father.

Molti, a prescindere dall’età, hanno provato a omaggiare la regina del pop anche nel look. Tra chi si è comprato le terribili magliettine vendute ai banchetti fuori dal Forum, o quelle, decisamente più decenti, del merchandising ufficiale, chi si è truccato, chi si è vestito replicando gli outfit iconici di Madonna. Insomma, c’era di tutto e di più. Certo, alcuni avrebbero rischiato il linciaggio di Carla Gozzi ed Enzo Miccio. Ma, per quello che la cantante di Like a virgin ha rappresentato e vuole rappresentare, va tutto bene. «Express yourself, don’t repress yourself (Esprimiti, non reprimere te stesso)», cantava come un mantra lei in Human Nature, canzone del 1994 che porta sul palco anche nel The Celebration Tour. Mantra che è un po’ la sua ragione, se non di vita, di carriera.

Le critiche sull’età? Lei le ha sempre bollate come «ageism»

Al netto del fatto che possa piacere o meno, va riconosciuto che – vuoi per provocazione, vuoi per scelte artistiche, vuoi per filosofia di vita – Madonna se ne è sempre infischiata degli haters nelle scelte che ha fatto. Si è sempre espressa, appunto, come riteneva meglio farlo. A volte anche con risultati, forse, non all’altezza. Oggi molti le contestano, per esempio, il fatto che a 65 anni voglia ancora competere con le ragazzine del pop. A livello di look, di attitudine e di stile musicale. Lei ha sempre bollato queste critiche come «ageism», discriminazione in base all’età. E in effetti è così. Per l’immaginario generale può risultare fuori luogo, per esempio, una donna adulta che in un videoclip lecca i piedi a un giovane rapper (come ha fatto lei con Maluma nella clip del brano Medellin). Ma stiamo parlando di una che a inizio Anni 90 ha fatto uscire un libro con foto esplicite intitolato Sex e che col backstage ci ha fatto il video promozionale del brano di punta dell’album che aveva in uscita (Erotica) andando incontro alla censura e a tutti i fastidi promozionali che potevano esserci in un’epoca in cui lo streaming e YouTube non esistevano.

I singoli che lancia non sono all’altezza del suo passato

Il tema vero è che Medellin non è Erotica. E che da anni la maggior parte dei singoli che lancia a livello mainstream non sono all’altezza del suo passato e non sono rappresentativi dei dischi che sa ancora fare (ascoltate per intero il sottovalutato Madame X per ritrovare, qui e là, la voglia di sperimentazione che l’ha contraddistinta per tanti anni). Come non è da sottovalutare che gli anni ci sono e si vedono. L’artista, come è normale che sia, anche a causa di qualche problema fisico, non balla più come negli show del passato in cui la differenza tra lei (che nel frattempo cantava) e i ballerini che la circondavano era impercettibile. Oggi l’unica cosa che ti fa dire chapeau alla Madonna danzante è la consapevolezza della sua età. Come anche la scelta di alcuni outfit può risultare stonata, uno su tutti la tutina e gli occhiali da sole con cui ha chiuso lo spettacolo.

Nel futuro meglio pensare a uno show più intimo

Per qualcuno questo potrebbe essere l’ultimo show mastodontico di Madonna prima della virata verso qualcosa più sostenibile a livello fisico e di immagine. Una virata che, comunque, per molti fan e critici è necessaria. E che la cantante è in grado di fare senza scadere nel banale. Nel 2016 per esempio ha portato in scena in due date esclusivissime Tears of a clown, uno show intimo che lei ha descritto come una fusione di musica, arte e commedia. Vestita da pagliaccio, si è esibita sulle note di una setlist fatta di canzoni che non sempre sono state servite alle radio. Tutte rilette in chiave acustica senza cambi di costume o complicati passi di danza. E l’effetto è comunque stato il classico: «Bitch, she’s Madonna», per citare una sua hit dell’ultimo decennio.

La nuova musica di Morgan e le troppe distrazioni che reprimono l’artista

Partiamo da una non-notizia e da una notizia, a voi scegliere l’abbinamento: Morgan è stato licenziato da X Factor, Morgan è tornato a pubblicare musica inedita slegata a altri progetti editoriali, come pura e semplice musica, a 16 anni dall’uscita del suo ultimo album di inediti, Da A ad A. La faccenda del licenziamento dell’artista brianzolo da X Factor è più che nota, per giorni è stata trend topic sui social. La mattina di lunedì 20 novembre è stata annunciata la cacciata, per atteggiamenti incompatibili con le policy della rete e per delle dichiarazioni fatte durante alcune interviste. Durante la puntata del quarto Morgan aveva reagito in maniera piuttosto veemente, prima litigando con Dargen, cui ha dato a più riprese del venduto e dell’incompetente, poi in una sola frase, con Ambra, Francesca Michielin e Fedez, finendo per beccarsi i fischi della platea. Inalberato per questioni di brani e coreografie, ha affondato Ambra parlando di «retorica delle lacrime», la Michielin invitandola a andare nei camerini da Ivan Graziani – ricorderete tutti che nel terzo live la presentatrice aveva preso una gaffe clamorosa a riguardo -, andando poi anche a dare una stoccatina ad Annalisa, per altro super ospite della puntata, finendo per chiudere la polemica dando del depresso a Fedez, fatto che per molti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Lo scontro di Morgan con la lobby che ruota attorno a Fedez

Tutte le polemiche di questo X Factor sono in qualche modo ruotate intorno a Morgan – senza che gli ascolti ne traessero beneficio – e a lui è stata contrapposta una sorta di lobby che ruota intorno a Fedez. Prima Davide Simonetta, autore del brano Bellissima di Annalisa, che Morgan ha bollato come banale e armonicamente inesistente. Poi la Michielin, che ha provato a dimostrare l’impossibile dal palco dell’Arca, in compagnia di Ambra, quando ha mostrato a beneficio di smartphone come il brano di Annalisa poggiasse su un giro che dal Fa passa al Re. Poi, ancora, Dargen, cui ha rinfacciato di essersi venduto al sistema, e poi di non capire nulla di musica, quando a un certo punto ha detto «possiamo dire che i Duran Duran fossero gli Annalisa degli Anni 80».

La nuova musica di Morgan e le troppe distrazioni che reprimono l'artista
Fedez (Getty).

Infine Fedez e ancora la Michielin. Tutti legati da stretti rapporti di lavoro, è noto. Davide Simonetta, della scuderia Eclectic di Clessi, scrive anche per Fedez, come del resto anche lo stesso Dargen, non a caso poi andato come ospite alla prima puntata del podcast che il figliol prodigo Fedez sta facendo per la Siae. La Michielin deve i suoi pochi successi a Fedez, Annalisa, per cui Simonetta scrive, è a sua volta dentro Eclectic, come Fedez seguita artisticamente da Clessi. Insomma, una sorta di Confraternita dei Preraffaelliti, in assenza totale di arte e anche di parte. Morgan no, lui gioca un campionato a parte, infatti è stato mandato via. Curioso registrare come gli unici superstiti della sua squadra, gli Astromare, piazzati in squadra con Ambra, si siano salvati, mandando al ballottaggio gli altri due artisti del team della sola donna sul banco dei giudici, con Matteo Alieno a lasciare infine il programma. Come stanno le cose tra voci e illazioni? Ai posteri, verrebbe da chiosare, l’ardua sentenza.

Ormai è lungo l’elenco dei posti da cui è stato cacciato

Ma questa era la non-notizia, sveliamo il segreto di pulcinella. Perché Morgan è già stato allontanato da X Factor in passato, questo ce lo ha detto Fedez tramite Striscia la notizia (noi pensavamo se ne fosse andato), per via di cose successe con «le lavoratrici di Sky»: non vediamo l’ora del processo per capire come Sky ci racconterà tutte queste storie. Poi è stato cacciato da Amici di Maria De Filippi, quando litigò con Mike Bird, il povero Michele Merlo poi morto per incuria sanitaria, reo ai tempi di non sapere chi fossero i Pink Floyd, poi è stato squalificato dal Festival di Sanremo, per aver cambiato il testo ai tempi della querelle ormai mitologica con Bugo, a seguire da Sanremo Giovani, per aver insultato Amadeus via Whatsapp proprio per aver invitato nuovamente Bugo al Festival, a Ballando con le stelle non parliamone, e ora questo, via da X Factor, dopo aver rischiato di neanche arrivarci per via dello scazzo condito da insulti omofobi con un paio di fan a Selinunte, durante un concerto estivo dedicato a Battiato, scazzo che gli sarebbe comunque costato metà ingaggio.

La nuova musica di Morgan e le troppe distrazioni che reprimono l'artista
Morgan.

Il nuovo album scritto nientemeno che con Pasquale Panella

Ora, che grazie ai social sia passato in cavalleria questo orrore di chiedere costantemente che qualcuno venga licenziato credo sia lo zeitgeist più lampante: di fatto Morgan è probabilmente l’artista più licenziato della storia dello spettacolo italiano, altro che Leopoldo Mastelloni, forse non solo dello spettacolo, e anche per questo gli si dovrebbe tutti volere un po’ di bene. Ma il vero motivo per cui gli si deve volere bene è la notizia contenuta in questo articolo, l’uscita nella notte tra mercoledì 22 e giovedì 23 novembre di Sì, certo l’amore, primo singolo estratto dal nuovo album del nostro – E quindi, insomma, ossia – che vede Morgan affiancato ai testi da nientemeno che Pasquale Panella, autore di tutte le liriche del Battisti cosiddetto bianco, gli ultimi cinque lavori di studio del cantautore di Poggio Bustone, oltre che di una quantità impressionante di poesie e di canzoni regalate a artisti anche abbastanza improbabili, su tutte Vattene amore di Amedeo Minghi e Mietta e Per amore di Gianni Morandi e Barbara Cola.

Brano uscito mercoledì notte, una scelta suicida ma da artista

Una canzone della durata di quasi sette minuti, con un testo altissimo che la musica, un concentrato di rimandi colti, dal prog a Frank Zappa, segue alla lettera, sfociando in una vera gemma preziosa quanto complicata, decisamente fuori da ogni logica commerciale. Qualcuno avrà notato che ho sottolineato che il brano è uscito nella notte tra il mercoledì e il giovedì, come se fosse cosa strana. Bene, da tempo gli artisti si sono genuflessi al mercato, lasciando che le classifiche o il desiderio di finirci dettassero loro le agende. Così tutti, ma proprio tutti tutti, anche quelli che in classifica non ci finiranno mai, escono nella notte tra il giovedì e il venerdì, così da poter avere una settimana piena di ascolti – ormai si parla solo di stream – nei rilevamenti della settimana successiva. Uscire di giovedì equivale a vedersela con brani con sei giorni in più di ascolti alle spalle, e scivolare la settimana successiva tra i brani con due settimane alle spalle. Una scelta suicida, se si punta solo alla classifica, una scelta da artista, se è la musica quella cui si guarda.

Altrove è indicata come la più bella canzone italiana di sempre

Sapere che Panella, nel mentre, avrebbe ambito addirittura a che il brano, a più riprese annunciato e fino a oggi circolato solo in alcune delle tante chat di Whatsapp che hanno visto e vedono Morgan protagonista, non uscisse affatto, rimanendo con quell’aura di “attesa” rende il tutto ancora più affascinante. Quanto invece dovremo aspettare per poter ascoltare tutto l’album non è dato saperlo. Certo, Morgan, spesso additato come uno che non fa niente da vent’anni a questa parte – tanti ne sono passati dal mitico Le canzoni dell’appartamento, album che contiene quella Altrove indicata come la più bella canzone italiana di sempre dalla stampa specializzata – nei fatti è un’anima perennemente in movimento, tra concerti, spettacoli, programmi tivù, collaborazioni strampalate, libri, dischi di cover, passaggi per i talent inclusi. Quando però lo si sente nel suo mondo di appartenenza, la musica cantata e suonata, la sensazione che un po’ meno distrazioni ci potrebbe portare ad ascoltare musica di valore si fa forte, perché, sempre per dirla con parole che Panella ha regalato a suo tempo a una giovanissima Mietta, con musica sempre di Minghi, «quello che capita nelle canzoni non può succedere in nessun posto del mondo, tu ricordati di noi».

Fedez torna in Siae e ne promuove la mission con “Siae racconta”

In una Instagram stories pubblicata lunedì 20 novembre, Fedez ha annunciato il suo ritorno in Siae e, anzi, si impegnerà a promuoverne la mission di tutela di autori e compositori. Lo farà con Siae racconta, un format in collaborazione con la società di collecting in cui promuoverà una serie di interviste ad autori, a partire da Mogol e Dargen D’Amico, e a dirigenti di Saie e delle etichette discografiche.

Fedez: «Rifarei la scelta di andarmene dalla Siae»

«Inaugureremo questo nuovo format chiamato Siae racconta in cui intervisterò grandi autori della musica italiana, persone che lavorano in Siae, per capire come la società sia migliorata rispetto al passato e che cosa fa per tutelare gli autori e i compositori», ha spiegato Fedez sui social. «Per anni sono stato in contrapposizione a Siae, sono stato il primo artista in Italia ad andarsene dalla Siae e a rompere quello che veniva chiamato “monopolio”. Ero fermamente convinto di quella scelta allora, ed è una scelta che rifarei perché credo che aprire al libero mercato avrebbe potuto portare rinnovamenti per tutti. A oggi Siae è una società che tutela e fa collecting con gli strumenti che abbiamo a disposizione nel 2023».

Gli ospiti delle quattro puntate di Siae racconta

Il progetto partirà martedì 21 novembre e si articolerà in quattro puntate. Nella prima Fedez incontrerà Dargen D’Amico, cantautore, autore e produttore che racconterà quali sono i suoi segreti del mestiere. Il 28 novembre sarà la volta di Mogol, l’autore che ha fatto la storia della musica italiana, oggi anche presidente onorario di Siae. Si parlerà dell’importanza di essere credibile, di collaborazioni straordinarie, e di una canzone considerata dai letterati la più bella: Vento nel vento di Battisti-Mogol. Il 5 dicembre Fedez incontrerà Matteo Fedeli, il direttore generale più giovane della storia di Siae, e nell’ultimo episodio, del 12 dicembre, sarà ospite Klaus Bonoldi, head of A&R di Universal Music. Si tratta di colui che da anni scova e gestisce gli autori della Universal, che parlerà di come si fa a capire se un brano è una hit e come si evolve l’industria musicale.

Cosa manca a Elodie per diventare una vera pop star internazionale

Elodie che si muove sinuosa attorniata da ballerini. Elodie che canta giocando su tinte black. Elodie che si prepara allo show autoconvincendosi di essere una popstar da paura. Elodie che viene accolta da applausi e grida. Elodie che si sente inadeguata. Elodie che in fondo in fondo ancora non ci crede. Elodie che passa con una certa agilità dall’essere la panterona che incanta sul palco alla ragazza che può anche scrollarsi di dosso la borgata che è in lei, borgata che però trova sempre la strada del ritorno, come i cani abbandonati in campagna di certi articoli strappalacrime che a volte si leggono sui giornali.

Cosa manca a Elodie per diventare una vera pop star internazionale
Elodie a Sanremo 2021 (Getty Images).

Elodie, vera popstar in competizione con Annalisa

Elodie Patrizi, con quel nome d’arte inconsapevolmente scelto dai genitori al momento della nascita, una fisicità importante che poco fa il paio con le tante fragilità che ci arrivano guardando il nuovo docu che si trova su Sky, Elodie Show 2023, come in precedenza in Sento ancora la vertigine su Prime Video, una voce soul come ce ne sono poche in Italia poco considerata proprio in virtù della fisicità di cui sopra, è oggi come oggi una delle figure centrali della nostra discografia. Una popstar, diamo i nomi giusti, che per altro ha anche una diretta competitor, come in fondo non accadeva dal periodo che intercorre tra la fine degli Anni 70 e la metà degli 80, almeno in Italia. È da allora infatti che non capitava di avere un paio di popstar donne a dominare in qualche modo la scena, Elodie e Annalisa. Allora, certo, avevamo Anna Oxa, Loredana Bertè, Antonella Ruggiero ancora nei Matia Bazar, Alice, Donatella Rettore, tutte differenti tra loro, tutte dotate di personalità molto molto forti, in quasi tutti i casi ottime voci, con un’estetica importante, di repertorio. Oggi abbiamo lei e abbiamo Annalisa, con la tripletta di platino Bellissima, Mon Amour e Ragazza sola. Due profili completamente diversi, l’una in apparenza più aggressiva, Elodie, l’altra più sofisticata, con quella laurea in Fisica che ogni tanto salta fuori. Entrambe decisamente belle, seppur di bellezze differenti, entrambe dotate di voci importanti, certo Annalisa con una potenza e una limpidezza piuttosto rara nel pop, Elodie con più risultati di pubblico ai live. Annalisa in classifica.

Quattro date al Forum di Assago è una cosa che poche artiste oggi possono permettersi

Ma è di Elodie che stiamo parlando, Annalisa in questa storia veste i panni, pochi e sexy, del suo doppio, non fosse che non siamo in un romanzo di cappa e spada, il villain di turno. Elodie che non solo è diventata icona pop come non se ne vedevano da tempo, ma ha deciso di usare questo suo successo: quattro date al Forum di Assago sono un risultato che si possono permettere in pochi, sul fronte femminile (forse la sola Laura Pausini, che però quest’anno quattro non ne farà), per veicolare messaggi a loro modo politici, femministi, antipatriarcali, inclusivi. Lo ha fatto recentemente, alla presentazione del suo nuovo progetto, Red Light, come lei stessa lo ha definito un clubtape, cioè una via di mezzo tra un album e un EP, sette i brani, tutti legati tra loro senza interruzioni grazie alla sapiente opera di Dardust, qualcosa pensato proprio per le date di Assago e per far ballare il proprio pubblico. Il tutto accompagnato dalle polemiche per il video di A fari spenti, scritta per lei da Elisa, nel quale compare nuda, o quasi, stessa immagine poi finita proprio sulla copertina di Red Light, grazie a un dipinto che riproduce il passaggio del video nel quale Elodie si presenta come una moderna Venere di Botticelli, volendo anche una Lady Godiva senza cavallo, opera di Milo Manara.

In quella occasione Elodie ha tenuto a dire che non vuole un pubblico di uomini eterosessuali. Che preferisce sapersi amata, musicalmente, dalla comunità LGBTQ+, frasi a loro volta finite dentro un vortice di polemiche, come se da una popstar ci si dovesse necessariamente aspettare parole calibrate come fossimo a un lectio magistralis, senza star lì ad applicare un minimo di capacità di comprensione del testo, roba da scuole di primo grado e non, piuttosto, canzoni pop. Ecco, le canzoni pop. Se una cosa in parte sembra mancare a Elodie, è un repertorio più consistente, questo in fondo è anche un po’ il problema che potremmo indicare guardando alla carriera della sua diretta competitor Annalisa. A fronte di alcuni singoli indubbiamente funzionanti e anche funzionali al tipo di show che Elodie ci regala – nello special di Sky è ben visibile: canzoni accompagnate da balletti, in puro stile popstar internazionale – sembra mancare una base di canzoni solide che possano realmente reggere un live così imponente. Live che giocoforza fa molto leva su di lei, meno sulle canzoni. Certo, in questo Elodie è perfetta, con un mood neanche troppo vagamente aggressive, da mangiauomini. È pura interpretazione di un ruolo, la femme fatale, tanto quanto è interpretazione pura di canzoni scritte da altri per lei. Una femmina dominante, personaggio da interpretare, che canta brani che non sempre sono all’altezza di cotanto personaggio. Discorso, questo del non essere “cattiva come la dipingono”, che per altro è ovviamente sottolineato dal mostrare tutte le sue fragilità nei documentari, compresa quella certa coattaggine che poco ha a che fare con la sensuale eleganza che invece viene generosamente palesata alle telecamere e sul palco.

La sensazione è che Elodie debba giocare molto sulla sua bellezza per sopperire alla mancanza di pezzi forti

Che dietro Elodie ci sia una potente macchina da guerra appare evidente. Due speciali televisivi nel giro di nove mesi lo dimostrano. I risultati raggiunti del resto giustificano il tutto. Quel che però viene da chiedersi, magari anche pensando a quanto nel mentre sta capitando ai Maneskin in giro per il mondo, è perché non ci sia stata altrettanta profusione di energie nel cercare canzoni alla sua altezza. Per essere chiari, a parte Due, brano proposto all’ultimo Festival di Sanremo, che avrebbe meritato decisamente di più, e qualche altra canzone di livello – penso a Vertigine, la paolaechiariana Tribale, che quantomeno ha come merito l’aver fatto in qualche modo tornare in auge le sorelle Iezzi, apripista di questa nouvelle vague femminile, volendo anche Ok respira e Pazza musica, in realtà parte del repertorio di Mengoni, e le più leggere Bagno a mezzanotte, Guaranà, Margarita e Andromeda – sembra che Elodie debba giocare ancora molto sulla propria statuaria bellezza per sopperire a una mancanza di pezzi forti. E non si leggano queste parole come frutto di un sessismo patriarcale: una popstar deve saper tenere il palco anche in assenza di canzoni all’altezza, è show, chi dice il contrario non sa di cosa sta parlando.

Mostrare fragilità non sempre paga: meglio seguire l’esempio di Madonna e di Beyoncé

Certo, neanche i Maneskin hanno in effetti un repertorio all’altezza del loro saper tenere il palco, ma almeno ci stanno provando testando il gotha degli autori internazionali, sforzo produttivo che il team di Elodie dovrebbe potersi permettere, anzi, dovrebbe proprio fare, perché Elodie magari non diventerà un’altra Dua Lipa – che non solo è viva e lotta insieme a noi, ma ha anche cinque anni meno della cantante romana – ma potrebbe darci delle belle soddisfazioni. Anche in virtù dei messaggi che Elodie ha deciso di lanciare, la sua lotta contro una mascolinità tossica che caratterizza pure chi la segue, magari attratto più dal suo aspetto che dalle sue canzoni. Riguardo l’ostentare, dietro le quinte, una certa insicurezza e fragilità, Elodie dovrebbe prendere le mosse da quanto fatto a suo tempo da Madonna, ma guardando più a oggi anche da Beyoncé: mostrare orgoglio e tirare su un muro. Un personaggio è tale sempre, lasciare intravedere l’attrice che è in camerino non serve, meglio i lustrini, le guepierre e quella cazzimma che al momento nessun’altra riesce a esibire in Italia. La mascolinità tossica, in fondo, la si può affossare anche a unghiate da pantera, non solo a parole. Niente fa più paura di una donna sicura di sé. Una donna sicura di sé con un repertorio più alla sua altezza sarebbe Bingo.

Prince, all’asta il guardaroba e i gioielli della rockstar

All’asta il guardaroba di Prince, genio di Minneapolis e uno dei massimi chitarristi nella storia del rock. RR Auction venderà online il 16 novembre abiti di scena, accessori e gioielli appartenuti un tempo alla star di Purple Rain, Kiss e When Doves Cry. La collezione, che comprende circa 200 oggetti, apparteneva all’uomo d’affari parigino Bertrand Billois, che ha raccolto in circa 20 anni i cimeli più importanti dell’intera carriera dell’artista statunitense, scomparso nel 2016 per overdose di farmaci oppiacei. La casa d’aste ha specificato infatti che non c’è alcun coinvolgimento degli eredi di Prince, ma si tratta esclusivamente di regali e doni che il cantante ha fatto negli anni ad amici e fan al suo Paisley Park di Minneapolis. Billois voleva farne un museo, ma dopo varie riflessioni ha pensato di diffonderlo tra gli appassionati di tutto il mondo.

Chitarre, abiti di scena e gioielli di Prince andranno all'asta il 16 novembre per RR Auction. Spicca una giacca con le ruche del 1985.
Prince in concerto a Los Angeles nel 1995 (Getty Images).

Giacche e gioielli, all’asta look leggendari di Prince

Influencer ante litteram, per citare il New York Times, Prince ha legato la sua carriera non soltanto a brani di fama mondiale, ma anche a look che hanno segnato la storia del rock. Eclettico e stravagante, l’artista negli anni ha creato uno stile che i fan hanno presto cercato di imitare. Fra i 200 oggetti, spicca senza dubbio una camicia bianca con le ruche che indossò durante gli American Music Awards di Los Angeles nel 1985. Sulle note di Purple Rain, tenne una delle sue migliori performance in carriera, tanto da guadagnarsi l’appellativo di His Purpleness. Il prezzo è stimato intorno ai 15 mila dollari, ma non si esclude che al termine dell’asta possa raggiungere cifre ben più elevate. In vendita anche una spilla da bavero per il suo completo verde, oro e blu che indossò nel corso dell’esibizione, che dovrebbe essere battuta per circa 7 mila dollari.

Fra i cimeli all’asta The Fashion of Prince di RR Auction anche una chitarra elettrica interamente blu, per cui si devono spendere almeno 12 mila dollari. All’asta inoltre il cappotto in cachemire che l’artista indossò nella commedia Under the Cherry Moon di cui fu anche regista. Dal set del film arrivano anche i tacchi neri di Kristin Scott Thomas, che interpretò la ricca ereditiera di cui si innamora il protagonista. Il prezzo stimato dei due capi è rispettivamente 25 mila e mille dollari. I fan potranno acquistare, per cifre non inferiori a 500 dollari, gli storyboard originali del videoclip di Kiss e oggetti di scena di Purple Rain, film premio Oscar per la miglior colonna sonora. E ancora, spazio a occhiali da sole, pass per il backstage, fotografie inedite e scalette autografe dei concerti in Europa, tra cui una descrizione del guardaroba per il live di Dortmund del 1990.

Chitarre e pullman per i tour, le altre aste famose sull’artista

RR Auction non sarà però la prima casa d’aste a organizzare una vendita dei cimeli di Prince. Nel 2016, pochi mesi dopo la sua morte, a Beverly Hills un fan del genio di Minneapolis infatti acquistò per 700 mila dollari, a fronte di una stima di circa 80 mila, la celebre Yellow Cloud, la chitarra gialla realizzata nel 1995 esclusivamente per l’artista da un liutaio della sua città. Parallelamente, un altro appassionato si aggiudicò un’altra camicia con le rouche per 96 mila dollari, ben oltre il prezzo di partenza da 6 mila dollari. Quattro anni dopo invece venne battuto per una cifra non dichiarata un Eagle 10 del 1983, pullman interamente viola che Prince utilizzò per 100 date del Purple Rain Tour negli States dal novembre 1984 all’aprile dell’anno successivo.

Chitarre, abiti di scena e gioielli di Prince andranno all'asta il 16 novembre per RR Auction. Spicca una giacca con le ruche del 1985.
Prince suona la Yellow Cloud venduta per 700 mila dollari (getty Images).

Laura Pausini è Person of the Year ai Latin Grammy Awards 2023

I Latin Grammy Awards 2023 parlano italiano. La 24esima edizione dei grandi premi per la musica latina ha infatti scelto Laura Pausini come Person of the Year, una delle massime onorificenze possibili. L’artista di Faenza è la prima a vincerlo pur non essendo di lingua madre spagnola ed è solamente la terza donna a ottenere il riconoscimento dopo Gloria Estefan nel 2008 e Shakira nel 2011. «Sono davvero onorata di ricevere questo premio dalla Latin Recording Academy», ha dichiarato la cantante sul sito dei Grammy. «Essere nominata in occasione dei 30 anni di carriera è qualcosa che non riesco a descrivere». In programma una serata di gala per mercoledì 15 novembre, quando si terrà un concerto tributo in suo onore con la partecipazione di altri esponenti della musica mondiale. Il giorno seguente ci sarà la consegna dei premi a Siviglia, che ospita eccezionalmente per il 2023 l’evento americano.

Laura Pausini premiata per la carriera e il suo impegno nel sociale

L’Academia Latina de la Grabación ha deciso di premiare Laura Pausini non soltanto per la sua carriera di successo. Come si legge sul sito ufficiale, il riconoscimento si riferisce anche al suo «continuo impegno nel sostenere le cause di giustizia sociale che le stanno più a cuore, tra cui la fame nel mondo, la violenza sulle donne e i diritti Lgbtq+». Prima di lei, erano state Person of the Year anche star come Carlos Santana, Ricky Martin, Placido Domingo e Julio Iglesias. «Laura è una delle artiste più talentuose e care della generazione», ha spiegato Manuel Abud, Ceo dei Latin Grammy Awards. «A 30 anni dal debutto, la sua voce straordinaria continua a rompere le barriere attraverso lingue e generi, affascinando il pubblico di tutto il mondo».

I Latin Grammy Awards scelgono Laura Pausini come Person of the Year 2023. L'artista italiana è la prima non spangola a vincere il premio.
Laura Pausini sul palco dei Latin Grammy Awards 2022 (Getty Images).

Entusiasta anche la stessa artista italiana, che il 10 novembre ha suonato proprio a Siviglia durante la prima tappa del suo tour in Spagna. «La lingua iberica mi ha aperto le porte sin da giovane», ha spiegato Pausini. «Mi ha fatto sentire a casa e mi ha ispirato ad andare avanti, esplorando e vivendo la musica senza confini. Posso solo dire grazie, di cuore, sono molto emozionata». La cantante ha poi festeggiato condividendo la notizia anche sul suo canale Instagram ufficiale. Vincitrice del Festival di Sanremo nel 1993 con il brano La solitudine, Laura Pausini vanta numerosi premi anche in campo internazionale. Spicca il Grammy Awards nel 2006 per Resta in ascolto, che accompagna ben quattro successi proprio ai Latin Grammy. L’artista si è infatti imposta nel 2005 come Miglior artista pop femminile, che si aggiunse al premio dei fan per la solista dell’anno. La versione spagnola di Io canto nel 2007 le garantì un nuovo successo, cui ne seguirono altri due nel 2009 e nel 2018 per Primavera in anticipo e Fatti sentire.

Latin Grammy Awards, le nomination della 24esima edizione

Durante la cerimonia del 16 novembre, che avrà in programma anche un’esibizione di Andrea Bocelli, si conosceranno i vincitori dei 24esimi Latin Grammy Awards. Per la canzone dell’anno sono in lizza, fra gli altri, Christina Aguilera con No Es Que Te Extrañe, Shakira con la virale Bzrp Music Sessions, Karol G e la sua Mientras Me Curo Del Cora, Maluma & Marc Anthony con La Fórmula e Rosalia con Despechá. Quanto al reggaeton spiccano i nomi di Ozuna & Feid, Tego Caldero e ancora una volta Karol G. Non mancheranno poi riconoscimenti per brani in portoghese, canzoni tejane e messicane, ma anche per le tracce di salsa, bachata e mariachi.

Led Zeppelin IV, scoperta l’identità dell’uomo in copertina

Un anziano contadino con una folta barba e capelli lunghi coperti da un cappello, affaticato dal peso di un grosso fascio di bastoni. Familiare per tutti i fan della musica rock, la sua immagine a colori campeggia sulla copertina di Led Zeppelin IV, disco della band di Robert Plant e Jimmy Page al cui interno c’è il capolavoro Stairway to Heaven. A 52 anni esatti dalla pubblicazione, risalente all’8 novembre 1971, un ricercatore della University of West England ha finalmente scoperto la sua identità grazie a un vecchio album di fotografie. Si tratta di Lot Long (oppure Longway), un artigiano dell’Ottocento abile nel costruire tetti in paglia e legno. «Sembra frutto di un lungo lavoro investigativo, ma c’è molta fortuna», ha spiegato l’esperto al New York Times. «Spero però di aver fatto un piacere a Plant, Page e Jones. Sono la colonna sonora della mia vita sin da ragazzino».

Identificato dopo 50 anni l'uomo sulla copertina di Led Zeppelin IV. Si tratta di un contadino inglese dell'Ottocento. La storia.
Robert Plant e Jimmy Page durante un live dei Led Zeppelin (Getty Images).

Led Zeppelin IV, com’è stata scoperta l’identità dell’uomo in copertina

Come ha spiegato la Bbc, Robert Plant vide un quadro raffigurante «l’uomo con un bastone» sulla parete di un negozio di antiquariato a Reading mentre si preparava a incidere il disco con i Led Zeppelin. Se ne innamorò talmente tanto da convincere l’intera band a usarlo per la copertina del nuovo album, anche se nessuno aveva saputo dirgli chi fosse il soggetto del dipinto, tra l’altro oggi scomparso. Dopo 50 anni, lo studioso di storia – e appassionato della rockband – Brian Edwards ha ritrovato l’immagine originale in un album di fotografie dal titolo Reminiscences of a Visit to Shaftesbury. Pentecoste 1892. L’autore, come si legge nella dedica alla zia, è Ernest Howard Farmer, fotografo dell’epoca vittoriana deceduto nel 1944. Si tratta di uno scatto in bianco e nero, sotto cui campeggia la didascalia «Un impagliatore del Wiltshire».

Farmer, londinese che viaggiò nelle campagne britanniche alla fine dell’Ottocento, realizzò un reportage in cui documentò la vita quotidiana dei contadini. «C’era qualcosa di familiare», ha spiegato Edwards al Nyt. «Ho chiesto anche a mia moglie e ha confermato che si tratta proprio del tizio in copertina su Led Zeppelin IV». Il ricercatore ha quindi iniziato un lavoro incrociato per identificare coloro che, durante il XIX secolo, lavoravano la paglia e il legno per realizzare i tetti delle abitazioni. È così risalito a Lot Long o Longway, artigiano dell’Inghilterra meridionale nato nel 1823 e morto all’età di 70 anni. La foto originale, assieme al resto dell’album di Farmer, sarà al centro di una mostra presso il Wiltshire Museum, che aprirà al pubblico nella primavera del 2024. «Mostreremo come ha catturato lo spirito delle persone, dei villaggi e dei paesaggi britannici», ha detto alla Bbc David Dawson, direttore del museo.

Non solo Stairway to Heaven, le tracce del disco e le copie vendute

Pubblicato l’8 novembre 1971, Led Zeppelin IV ha venuto 37 milioni di copie tanto da diventare un vero faro nella storia della musica rock mondiale. Al suo interno c’è la celebre Stairway to Heaven, accanto ai successi ancora oggi immortali. C’è infatti Rock and Roll, che scalzò l’altra hit dei Led Zeppelin Immigrant Song come canzone di apertura dei live di Plant & soci. Nata durante le incisioni di Four Sticks, fu talmente difficile per il batterista John Bonham da fargli perdere più volte la pazienza. Come hanno rivelato gli ex membri della rockband in varie interviste, cercò in ogni modo di staccare la spina per non rompere gli strumenti, prima di incidere il singolo in appena 30 minuti con l’aiuto del chitarrista Jimmy Page. Nell’album c’è anche Black Dog, che si apre con il suono dei nastri che rotolano per essere messi in riproduzione.

I Måneskin tornano con una nuova edizione di Rush! (Are U Coming?)

I Måneskin continuano a collezionare un successo dopo l’altro e sono sulla bocca di tutti. Dopo aver vinto un doppio premio agli ultimi Mtv European Music Awards 2023, la band romana è tornata con una nuova edizione di Rush! (Are U Coming?) pubblicato a gennaio, con cinque inediti in inglese Valentine, Off My Face, The Driver, Trastevere e il primo singolo estratto Honey (Are U Coming?).

Rush! (Are U Coming?) 2.0: il regalo di natale per i fan

I Måneskin hanno deciso di arricchire il loro ultimo album con nuovi brani anche in vista del natale, una sorta di regalo anticipato per i fan che li hanno sempre supportati e seguiti in giro per il mondo. Dalla ballad rock Valentine, al groove trascinante di Off My Face, passando per la leggera The Driver fino al brano cardine dell’album Trastevere. La canzone rievoca il nome del quartiere nel quale la band è cresciuta: un racconto personale e intimo della loro gavetta. Chiude il cerchio Honey (Are U Coming?), ultimo singolo cantato anche ai VMA 2023, energetico, ritmico e accattivante.

 

Sfera Ebbasta, già sold out il concerto gratuito a Milano

Sfera Ebbasta ha annunciato un concerto gratuito a Milano per lunedì 13 novembre, ma è già sold out. Il trapper infatti suonerà all’Allianz Cloud, palazzetto solitamente riservato alle partite di basket, alle ore 21 assieme ad altri artisti della scena italiana. Come confermato da Thaurus e Vivo Concerti, con lui ci saranno infatti i dj set di Shablo e Finesse. Spazio anche per il lancio di nuovi gadget esclusivi. Immediato l’assalto da parte dei fan al sito Ticketone, dove si potevano scaricare i biglietti di ingresso, tanto che nonostante il poco preavviso in meno di due ore è stato confermato l’esaurimento posti.

Sfera Ebbasta, i rumors su una nuova canzone con Lazza e Drillionaire

L’annuncio di un concerto gratuito di Sfera Ebbasta arriva proprio mentre si moltiplicano in Rete i rumors su un possibile nuovo singolo con Lazza e Drillionaire. Dopo aver dominato le classifiche italiane con le canzoni Bon Ton e Piove, i due trapper potrebbero presto unire nuovamente le forze per un brano pronto a far ballare le piazze e le discoteche del Belpaese. A spoilerare la hit sarebbe stato proprio l’artista medaglia d’argento a Sanremo con la sua Cenere tramite un video su TikTok. I fan, analizzando nel dettaglio i profili social dei due artisti, avrebbero anche decifrato il titolo della traccia, che dovrebbe essere G63. Durante il live all’Allianz Club di Milano, Sfera e Shablo potrebbero anche presentare alcuni inediti della loro nuova collaborazione, prossima all’uscita come confermato dallo stesso dj ai microfoni di Radio 105.

Sfera Ebbasta ha annunciato un concerto gratuito all'Allianz Club di Milano il 13 novembre. Biglietti già sold out in meno di due ore
Il tapper Sfera Ebbasta suonerà a Milano (Getty Images).

Grammy Awards, l’ex Ceo Neil Portnow accusato di stupro

Una cantante statunitense, protetta dall’anonimato, ha denunciato l’ex Ceo dei Grammy Awards Neil Portnow per violenza sessuale. I fatti risalirebbero al 2018 in una stanza d’albergo di New York. Sotto accusa anche la Recording Academy, il gruppo no profit che organizza gli Oscar della musica, per aver ignorato lo stupro nonostante ne fosse al corrente già almeno dal 2020. Immediata la replica del 75enne newyorkese, che ha risposto tramite un suo portavoce. «Si tratta di parole completamente false», ha spiegato in un’email riportata anche dal Guardian. «Senza dubbio, sono motivate dal rifiuto di Portnow di ottemperare alle oltraggiose richieste di denaro e assistenza della ricorrente per ottenere un visto di soggiorno». La notizia arriva a poche ore dall’annuncio delle nomination ai Grammy Awards 2024, attese alle 16.45 italiane del 10 novembre.

L’ex Ceo dei Grammy Awards avrebbe aggredito la cantante dopo averla drogata

Sebbene non si conosca l’identità dell’artista americana che ha sporto denuncia, i media hanno affermato che è una cantante di fama mondiale che, nel corso della sua carriera, ha suonato alla Carnegie Hall, una delle più importanti sale da concerto negli States che ha ospitato anche Beatles, David Bowie, Maria Callas, Tina Turner e Frank Sinatra. Secondo l’accusa, Neil Portnow avrebbe incontrato l’artista, che all’epoca dei fatti aveva 37 anni, nella camera di un hotel di Manhattan per questioni di lavoro. Prima di aggredirla sessualmente, le avrebbe offerto un drink che l’avrebbe stordita tanto da farle perdere conoscenza a intermittenza. La cantante ha ricordato poi di aver contattato già alla fine del 2018 la Recording Academy, che però non le ha creduto. «Riteniamo che le affermazioni siano prive di fondamento», si legge nella risposta ufficiale dell’epoca. «Vogliamo difendere vigorosamente l’Academy dalle accuse».

Neil Portnow, ex Ceo dei Grammy Awards, è stato denunciato per violenza sessuale da una cantante americana. La replica: «Parole oltraggiose».
Neil Portnow, ex Ceo dei Grammy Awards (Getty Images).

Non è però la prima volta che Portnow finisce al centro delle polemiche per il suo comportamento o per via di alcune dichiarazioni infelici. Nel 2019, l’anno in cui annunciò le sue dimissioni dalla carica di presidente e amministratore delegato dei Grammy Awards, dichiarò in piena epoca #MeToo che le donne della musica in tutto il mondo devono «farsi avanti se vogliono maggiori riconoscimenti». L’anno successivo, invece, emersero per prima volta le voci di una sua aggressione sessuale nei confronti di un’artista, prontamente insabbiate al fine di evitare lo scoppio di uno scandalo. Deborah Dugan, che aveva preso il posto di Portnow alla guida dei Grammy, avrebbe ricevuto forti pressioni arrivando a rassegnare le dimissioni dopo pochi mesi per aver cercato di portare a galla una serie di abusi nella musica.

Avril Lavigne e Sum 41 agli I-Days di Milano il 9 luglio 2024

Dopo i Green Day, attesi nella serata del 16 giugno, gli I-Days 2024 hanno annunciato altri due headliner. Il 9 luglio, all’Ippodromo Snai di Milano, sbarcheranno infatti Avril Lavigne e i Sum 41, attesi dalla loro ultima esibizione in Italia prima dello scioglimento. Deryck Whibley, Dave Baksh, Jason McCaslin, Tom Thacker e Frank Zummo saluteranno i loro fan dopo 27 anni di successi, suonando dal vivo le migliori hit e alcuni brani del doppio album Heaven :x: Hell, anticipato dal singolo Landmines. Lavigne invece tornerà a Milano dopo il concerto del 24 aprile 2023 al Forum di Assago con un viaggio attraverso un ventennio di carriera. I biglietti saranno disponibili in prevendita, per gli iscritti all’app I-Days, alle ore 11 di lunedì 13 novembre. La vendita generale aprirà invece il giorno seguente allo stesso orario su Ticketmaster, Ticketone e Vivaticket. Il prezzo partirà da 50 euro.

Avril Lavigne e Sum 41, le anticipazioni del concerto agli I-Days 2024

Per i Sum 41 sarà dunque l’ultimo concerto in Italia. La band, nata nell’Ontario nel 1996, si scioglierà infatti dopo la pubblicazione di Heaven :x: Hell, atteso su tutte le piattaforme nella primavera del 2024. All’album seguirà il When the Sum Sets Tour, che li porterà a suonare nei maggiori festival e sui palcoscenici di tutto il mondo. Oltre alle tracce del nuovo disco, Whibley & Co. diranno addio al loro pubblico con i grandi successi che hanno caratterizzato la loro carriera. Quasi certa dunque la presenza in scaletta di In Too Deep, Fat Lip, The Hell Song e Still Waiting, capaci di scalare le classifiche globali e far vendere alla band oltre 15 milioni di dischi.

Dopo i Green Day, gli I-Days hanno annunciato i Sum 41 e Avril Lavigne per il live del 9 luglio 2024. Biglietti in presale dal 13 novembre.
Un concerto dei Sum 41 che saranno agli I-Days 2024 (Getty Images).

Quanto ad Avril Lavigne, la regina del pop punk di Belleville tornerà in Italia a poco più di un anno dal suo live al Forum di Assago. L’artista sarà protagonista di un vero e proprio viaggio attraverso la sua carriera ventennale, costellata di hit capaci di raggiungere la vetta dei singoli di Billboard. Partendo dall’album Let Go del 2002, che la lanciò nell’Olimpo della musica, canterà Complicated, I’m With You e Sk&er Boy per poi passare a The Best Damn Thing con My Happy Ending e Girlfriend. Fino ad arrivare al 2019 con Head Above Water, che l’ha riportata sulla scena musicale dopo la pausa forzata per combattere la malattia di Lyme, e all’ultimo album Love Sux con la collaborazione di Travis Barker dei Blink-182 e di Machine Gun Kelly.

LEGGI ANCHE: Green Day ai Magazzini Generali di Milano il 7 novembre

Club Dogo, Marracash, Salmo e Noyz Narcos: il ritorno dei big del rap

Marracash, 44 anni, a settembre ha chiamato all’adunata il pubblico del rap col suo Marragheddon, andando a mettere insieme il più grande numero di spettatori per un evento rap in Italia, 130 mila biglietti strappati per le due date di Milano e Napoli, record destinato a superarsi già il prossimo anno. Guè, Jake la Furia e Don Joe, rispettivamente 43 anni a dicembre, 44 e 48 anni, tornano insieme come Club Dogo, e subito scatta la dogomania, 10 date al Forum di Assago andate sold out nel giro di poche ore, per un evento che con circa 120 mila presenze entrerà a sua volta nella storia della musica leggera italiana. La presenza di Beppe Sala nel video che ne ha annunciato il ritorno a dare al tutto una mano di surreale. Salmo e Noyz Narcos, 39 e 44 anni, danno finalmente alle stampe il loro album insieme, atteso per oltre 10 anni, Cult, spopolando nelle piattaforme di streaming e andando a ridisegnare l’estetica del rap italiano, mai come in questo caso a tinte horror e con testi che vacillano tra il citazionismo cinematografico e il graffio punk. Tre situazioni che però, viste nell’insieme, sembrano volerci dire qualcosa.

Il miracolo del rap, 50 anni di vita e la capacità di apparire sempre the next big thing

Perché se è vero come è vero che mettere d’accordo tutti è impresa difficile in qualsiasi campo – figuriamoci nella musica dove generi, mode, addirittura metodi d’ascolto influiscono in maniera decisiva, andando di volta in volta a cancellare il passato prossimo a beneficio di chi vive il presente da protagonista – è pur vero che il rap, che proprio nei mesi scorsi ha soffiato metaforicamente sulle 50 candeline, sembra si stia proponendo, almeno in Italia, come un luogo dove le vecchie glorie hanno ancora parecchio da dire, anche a un pubblico di giovanissimi. È infatti innegabile come il rap si sia riuscito a mantenere negli anni un genere non solo capace di rinnovarsi costantemente, ma sia riuscito nell’impresa titanica di restare nell’immaginario collettivo come qualcosa di talmente nuovo da risultare quasi ancora da scoprire, come una delle tante next big thing con cui ciclicamente ci si ritrova a fare i conti. Sin dagli Anni 90, infatti, con la generazione precedente a quella dei vari Club Dogo, Marracash e Salmo, abbiamo assistito a una catena quasi destabilizzante di titoli che anno dopo anno gridava all’arrivo di una nuova musica, quel rap degli Articolo 31, per altro anche loro da poco tornati insieme e oggi fuori col singolo Classico, dei Sottotono, dei Frankie Hi Nrg, di Piotta, via via, scavallando il secolo, fino a Mondo Marcio, Fabri Fibra e, appunto, la covata degli artisti milanesi che proprio intorno alle Sacre Scuole ruotava, dai su menzionati Club Dogo a Marracash, sempre introdotti al pubblico come portatori sani di qualcosa di sconosciuto e innovativo, benché il rap esistesse negli Usa sin dagli Anni 70 e anche da noi fosse sbarcato ormai da tempo immemore.

Club Dogo, Marracash, Salmo e Noyz Narcos: il ritorno dei big del rap
Gli Articolo 31.

Il gran ritorno dei big della scena italiana: da Marra ai Club Dogo fino a Salmo e Noyz

Oggi, con una capacità di memoria pari allo zero – la vita degli artisti è ridotta a volte al breve lasso di qualche uscita, poi il veloce oblio, nella totale incapacità di sconfinare dall’alveo generazionale da parte di nomi che pur hanno l’attenzione anche del mainstream ufficiale, Amadeus e il suo Festival di Sanremo in testa – stiamo assistendo al ritorno massiccio e anche orgoglioso di chi la storia del rap, in Italia, ha contribuito a scriverla. Marracash, il rapper filosofo, a farsi catalizzatore per vecchi e giovanissimi andando a dar vita a un evento che suona come la prima vera e propria conta di chi quel genere lo ha praticato e lo pratica. Il Marragheddon è un po’ come come la Woodstock di chi ama barre e flow; i Club Dogo sono tornati in maniera spavalda, lanciando le date al forum di tre in tre senza neanche aver tirato fuori uno straccio di canzone nuova, solo contando sulla leggenda che col tempo si è radicata. Salmo e Noyz sbattono sul mercato un disco talmente atteso che ormai sembrava destinato a rimanere a vita nella lista dei desiderata, la presenza benedicente di Dario Argento a dare al tutto un’aura di ulteriore leggenda. Prendi due così e mettili insieme e non potrai che vedere un oggetto di culto, o di Cult.

Un conto è cantare la malavita, un conto è finirci dentro

Anche nel rap, ripetiamo, nato 50 anni fa nel Bronx e ormai divenuto lessico valido per tutte le lingue, dagli stacchetti delle veline di Striscia alle canzoni dello Zecchino d’oro – è possibile guardare al passato con timore reverenziale. Le vecchie glorie, esattamente come sta accadendo nel rock, sono ancora belle arzille, pronte a prendersi tutto quello che in gioventù, a causa dell’allora reale novità del genere in questione, non si sono potute prendere in chiave di riscontri di vendita e di pubblico. Il tutto senza neanche dover ricorrere a quella pubblicità certo molto “affascinante” se si è ragazzini che ancora nulla si sa della vita, discutibile per chi ha già il certificato elettorale dentro un cassetto, che la cronaca nera sta fornendo ai nuovi eroi della scena, da Shiva a Baby Gang, passando per Gallagher, Rondodasosa o Simba la Rue, perché un conto è cantare la strada e la malavita, un conto rimanerci incastrati dentro. Del resto, se si è agli arresti domiciliari, o peggio, a San Vittore, è difficile poter fare concerti mandati velocemente sold out.

Non solo gli Stones, i big della musica che battono il tempo

Il mondo intero sembra essersi stupito della vitalità che gli ottuagenari Rolling Stones hanno saputo tirare fuori nella loro ultima fatica discografica, Hackney Diamonds, uscito pochi giorni fa. La prova provata che il rock è vivo e vegeto, e con loro Mick, Keith e soci, assai più arzilli di quanto l’anagrafe e una vita non esattamente nei canoni del salutismo avrebbe potuto far prevedere.

Non solo gli Stones, i big della musica che battono il tempo
I Rolling Stones (Getty Images).

Dai Depeche Mode agli U2, le vecchie glorie che non mollano

In realtà sembra che il rock, o comunque lo stare sopra un palco a suonare e cantare, sia qualcosa di molto simile all’elisir di lunga vita, o quantomeno qualcosa in grado di tenere lontano cadute di spirito e di fisico. Perché a guardare un po’ quel che succede nel mondo in giro per stadi, palasport e arene più o meno grandi, sembra proprio che ci sia una sorta di super-potere di cui molti rockettari sono in possesso: la capacità di andare contro il tempo, non dico ringiovanendosi come il Benjamin Button dell’omonimo film, ma sicuramente procedendo anno dopo anno con energie che solitamente sfuggono di mano ai loro coetanei. Questo ovvio vale per chi a quella vita non esattamente salutista è sopravvissuto, perché come noto molti sono i rockettari caduti sul campo. Ma di fatto, a fianco dei già citati Rolling Stones, tanti sono gli artisti impegnati in tour mondiali che, sulla carta, sfiancherebbero anche un ventenne. Pensate ai Depeche Mode, rimasti in due dopo la morte di Andy Fletcher, sono ripartiti e non sembrano intenzionati a fermarsi, verso l’orizzonte e oltre, come Buzz. O i Duran Duran. Pensate a Bruce Springsteen, che dopo aver annullato alcune tappe del suo ultimo tour mondiale è già lì che scalpita, l’estate prossima potremo vederlo in due date a San Siro incastrate tra centinaia di altre date in giro per il mondo. Pensate a Bob Dylan, il cui tour è tecnicamente iniziato a metà degli Anni 60 e che non ha mai lasciato troppi mesi tra un concerto e l’altro, figuriamoci se può fare eccezione il 2023 o il 2024. O pensate agli U2, che sono partiti per un mese di residency allo Sphere di Las Vegas e ci hanno preso talmente gusto da aver già raddoppiato la posta, nel mentre tirando fuori anche una versione ambient di Achtung Baby, che lì in Nevada stanno proponendo in una sorta di celebrazione per il trentennale saltata nel 2021 causa Covid.

Direttamente dagli Anni 90 i The Corrs e le boyband, dai Blue alla reunion degli Nsync

Alla lista si aggiungono i The Corrs, band irlandese che ha intrapreso il periplo del mondo andando a riproporre una musica che negli Anni 90 andava per la maggiore, e che oggi, evidentemente, continua a incontrare il plauso del pubblico pagante. Pubblico pagante che ha bruciato nel giro di poche ore anche i biglietti del tour di reunion dei Blue, boyband attiva nello stesso periodo, così come quella dei Backstreet Boys, idem, e anche degli Nsync di Justin Timberlake tornati insieme dopo quasi 20 anni con il singolo Better Place.

Non solo gli Stones, i big della musica che battono il tempo
Gli Nsync: Joey Fatone, Lance Bass, Justin Timberlake, JC Chasez e Chris Kirkpatrick (Getty Images).

Roger Waters e Paul McCartney, fresco di Now and Then, ancora in pista

Si può continuare con Roger Waters, ormai in giro in una sorta di neverending tour di dylaniana memoria, così come per Paul McCartney, che superati gli 80 e perso un tour causa Covid, è di nuovo in pista, fresco anche della pubblicazione del discutibile singolo Now and Then, uscito a nome Beatles e inciso con l’ausilio dell’Ia.

Boomer a chi?

Anzi, a dirla tutta, visto che in giro ci sono anche altre vecchie glorie, dai Beach Boys, in tour insieme con i Chicago, ai Grateful Dead, in giro per Usa e Canada come loro abitudine, dai Jefferson Starship, in sostanza quel che resta dei Jefferson Airplane, idem, ai Jethro Tull di Ian Anderson, e ai Deep Purple (assenti giustificati i quasi 80enni Aerosmith, a causa degli acciacchi di Steven Tyler), sembrerebbe quasi di essere stati proiettati attraverso una macchina del tempo, tipo il Tardis di Doctor Who, nel passato, come se di colpo dovessimo aspettare trepidanti il cartellone del prossimo Festival dell’Isola di Wight o di Monterey. Certo, ovviamente si sono persi alcuni personaggi, nessuna delle band in questione può vantare la formazione originale, a causa di defezioni e morti, neanche gli stessi U2 sono al completo con Larry Mullen Jr momentaneamente fuorigioco a causa di un malanno, ma i nomi che campeggiano sui manifesti fuori da stadi, arene e palasport sono sempre quelli, tenuti in vita dai superstiti che non hanno alcuna intenzione di mollare. Anche perché le aspettative di vita si stanno allungando, cambiamenti climatici permettendo, e il numero di persone che possano aver piacere di assistere al concerto di una vecchia gloria si fanno sempre maggiori di quelli che vogliono andare a vedere l’ultimo trapper del momento, ragazzini che presumibilmente ancora non lavorano e faticherebbero a permettersi biglietti sempre più costosi. Quindi bando alle creme antirughe, il rock è il solo rimedio alla decadenza fisica dovuta all’età, e a dirla tutta anche all’ageismo, perché di fronte a un 80enne che canta e balla come un pazzo sul palco nessuno potrà mai dire una frase come «Ok, boomer!» senza correre il rischio di finire sommerso dalle risate degli altri vecchietti presenti.

Green Day agli I-Days di Milano il 16 giugno 2024: le info sui biglietti

I Green Day suoneranno agli I-Days di Milano il 16 giugno 2024. La band statunitense di Billie Joe Armstrong è la prima headliner della nuova edizione del festival nel capoluogo lombardo, che nel 2023 ha radunato in città 320 mila rockers. Per l’occasione, i ragazzi di Berkeley porteranno dal vivo The Saviors, il nuovo album in uscita il 19 gennaio e già anticipato dai singoli American Dream is Killing Me e Look Ma, No Brains, pubblicato il 2 novembre. Durante il concerto inoltre canteranno i migliori successi di Dookie e American Idiot, per festeggiarne rispettivamente i 30 e i 20 anni dall’uscita. Facile presumere che si potranno ascoltare When I Come Around e Basket Case, ma anche Wake Me Up When September Ends, Holiday e Boulevard of Broken Dreams. Con loro sul palco ci saranno anche i britannici Nothing But Thieves, che suoneranno il disco Dead Club City.

Green Day, dove comprare i biglietti per il live agli I-Days 2024

Per Billie Joe Armstrong e soci si tratterà del ritorno agli I-Days a due anni dall’ultima volta. I Green Day infatti furono ospiti del festival milanese il 15 giugno 2022, mentre il giorno dopo salirono sul palco del Firenze Rocks. I biglietti, che costeranno 56 euro, saranno disponibili in prevendita su My Live Nation dalle ore 10 di giovedì 9 novembre. La vendita libera aprirà invece il giorno successivo, alle 10.30 del mattino, sui circuiti Ticketmaster, Ticketone e Vivaticket. I tagliandi, come già avvenuto per numerosi altri eventi dal vivo, saranno nominativi al fine di combattere il bagarinaggio online e il secondary ticketing.

I Nothing But Thieves suoneranno a Milano anche il 26 e 27 febbraio

Se per i Green Day dovrebbe trattarsi dell’unica data italiana del tour, per i fan dei Nothing But Thieves sarà invece la terza occasione di sentire i loro beniamini dal vivo. La band rock alternative dell’Essex guidata dal frontman Conor Mason sarà infatti sempre a Milano per due date al Fabrique il 26 e il 27 febbraio 2024. I biglietti sono già disponibili su Ticketone e Ticketmaster al costo di 41,60 euro. I britannici, già in Italia nel 2017 quando si esibirono prima di Blink-182 e Linkin Park a Monza, canteranno le loro hit di successo Welcome to the DCC e Overcome tratte dal nuovo disco.

I Green Day suoneranno il 16 giugno 2024 all'Ippodromo La Maura di Milano per gli I-Days. Con loro sul palco i Nothing But Thieves.
I Nothing But Thieves ad Aarhus, in Danimarca (Getty Images).

Mariah Carey di nuovo in tribunale per All I Want for Chrismas is You

Non c’è pace per Mariah Carey e la sua All I Want for Christmas is You. Andy Stone, paroliere e cantante country noto con il nome d’arte Vince Vance, ha infatti citato in giudizio la cantante per il secondo anno di fila, accusandola di avergli rubato il successo di Natale. Lo stesso autore aveva dapprima presentato e solo in seguito ritirato un reclamo simile nel 2022. Stavolta ci riprova portando, secondo i suoi legali, prove ben più concrete che confermerebbero il furto del brano da parte della star. Vance ritiene che Carey abbia violato i diritti d’autore della sua canzone registrata nel 1989 e diffusa ampiamente nel 1993 con la traccia omonima distribuita nel 1994. «La sua arroganza non conosce limiti», ha sbottato il cantante a Billboard. «Persino il suo coautore non crede alla storia che ha raccontato».

Mariah Carey si sarebbe inventata la storia sulla genesi del brano di Natale

«Ho scritto All I Want for Christmas is You quando ero davvero all’inizio della mia carriera», ha raccontato Mariah Carey nel 2021. «Pensavo ancora alla mia infanzia e a quanto desideravo vedere la neve ogni anno. Ho composto il pezzo su una tastiera Casio nella mia casa di New York, scrivendo di tutte le cose che mi facevano pensare al Natale». Una storia intima e tenera ma, secondo Vince Vance, del tutto inventata. «Ha spacciato come sua la canzone narrando una falsa storia di origine», hanno scritto i legali dell’autore nella denuncia. «È un chiaro atto di violazione perseguibile». In supporto della sua teoria, l’artista ha ricordato come Walter Afanasieff, che scrisse la canzone con Carey, abbia smentito la sua storia. In un’intervista del 2022, infatti, disse che era «impensabile che avesse composto il singolo su una tastiera Casio. È una teoria un po’ esagerata».

L'autore country Vince Vance, come fatto nel 2022, ha accusato Mariah Carey di avergli rubato la canzone All I Want for Christmas is You.
Mariah Carey durante un concerto natalizio (Getty Images).

L’accusa di Andy Stone, inoltre, presenta dettagli più accurati sulle grandi somiglianze che vi sono sia nel testo sia nelle note delle due canzoni. Sotto i riflettori infatti una «struttura linguistica unica» e l’utilizzo di vari elementi musicali copiati. «La combinazione della progressione di accordi nella melodia con l’aggancio letterale è un clone superiore al 50 per cento dell’opera originale», ha spiegato Stone. «Un caso che torna con la scelta del testo». Confrontando le parole delle due canzoni, come ha dimostrato il Guardian, molti termini si ripetono dando vita alle medesime immagini, dall’arrivo di Babbo Natale ai regali sotto l’albero. Vince Vance ha poi ricordato la presenza del singolo nel film Love Actually del 2003, che ha contribuito a dare un nuovo slancio alla canzone.

Il post su Instagram per annunciare le feste: «È ora»

In attesa di scoprire gli sviluppi sulla nuova accusa di Vince Vance, Mariah Carey si prepara per una nuova stagione di successo. Con un post su Instagram, l’artista ha dato il via alla feste di Natale “scongelandosi” per l’occasione. «È ora», ha scritto la cantante nel video in cui scaccia le maschere di Halloween indossando il costume di Babbo Natale. All I Want for Christmas is You ha raggiunto la prima posizione nella Billboard Hot 100 per quattro anni consecutivi, restandovi nel 2022-23 persino per 12 settimane di fila. Con l’avvento delle piattaforme streaming, la hit ha aumentato sempre più il suo consenso, tanto da non mancare dalle classifiche dal 2007. Nel 2022 l’Economist stimò 2,5 milioni di incassi annuali dalle vendite del brano online, arrivando a un totale di 72 milioni dall’uscita.

Videoclip d’autore, da Guadagnino a Tim Burton: i grandi registi nella musica

Cresce l’attesa per l’uscita di Now and Then, l’ultimo inedito dei Beatles in arrivo il 2 novembre. Al brano, che vanterà la voce di John Lennon e la presenza di Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison, farà seguito il giorno seguente un videoclip diretto da Peter Jackson, già autore del documentario Get Back. Il neozelandese, noto regista de Il Signore degli Anelli, esordirà così nel campo musicale, seguendo una tendenza molto diffusa nella storia del cinema. Prima di lui, infatti, diversi cineasti di Hollywood avevano collaborato con le star del palcoscenico, dando vita a clip rimaste nella storia. È il caso di Martin Scorsese, che per Michael Jackson ha diretto Bad, o di Tim Burton, che ha lavorato al fianco dei Killers. Non mancano i casi in Italia, da Luca Guadagnino con Paola e Chiara ai Manetti Bros. per Piotta.

Peter Jackson ha diretto il videoclip di Now and Then dei Beatles. Da Guadagnino a Tim Burton, gli altri grandi registi nella musica.
Il regista neozelandese Peter Jackson (Getty Images).

I 10 videoclip musicali più famosi diretti dai grandi registi del cinema

Luca Guadagnino fra Ornella Vanoni, Elisa e il duo Paola e Chiara

Leone d’Argento a Venezia 2022 per Bones and All, Luca Guadagnino ha lavorato anche con le star della musica. Nel 2000 infatti diresse Paola e Chiara nel loro successo più iconico, Vamos a Bailar (Esta vida nueva), capace di far ballare spiagge, piazze e festival per un’estate intera. L’anno successivo, il regista di Chiamami col tuo nome e del remake di Suspiria ha lavorato anche con Elisa per il brano Luce (tramonti a nord est), vincitore del Festival di Sanremo. Nel 2021 invece ha diretto Toy Boy di Colapesce Dimartino e Ornella Vanoni.

I Manetti Bros. hanno diretto Supercafone di Piotta

Ben più vasta la lista di videoclip musicali che vantano la regia dei Manetti Bros., autori della trilogia di Diabolik giunta al terzo capitolo presentato alla Festa del Cinema di Roma. Il più famoso è certamente Supercafone, successo del 1999 targato Piotta con protagonista anche l’attore Valerio Mastandrea. I due cineasti hanno però lavorato anche con gli 883 in Come deve andare e Bella vera, oltre che con Alex Britti per le sue hit Mi piaci e Solo una volta. Senza dimenticare la collaborazione con Gigi D’Alessio per il singolo Il cammino dell’età.

Tim Burton, suo il videoclip di Bones dei Killers

Passando al campo internazionale, è impossibile non vedere il tocco di Tim Burton in Bones dei Killers. Il regista di Nightmare before Christmas e della serie Netflix Mercoledì ha infatti diretto nel 2006 il videoclip della band di Brandon Flowers in cui compare anche la modella Devon Aoki. Nel filmato i protagonisti, tra cui gli stessi musicisti, si trasformano in scheletri mentre si trovano in un drive-in. Burton ha collaborato nuovamente con i Killers sei anni dopo, nel 2012, dirigendo per loro Here with Me con Winona Ryder che racconta l’amore a tinte dark tra un ragazzo e la star di Hollywood.

Martin Scorsese e John Landis al servizio di Michael Jackson

Nel corso della sua carriera, Michael Jackson ha realizzato videoclip leggendari. Su tutti spicca Bad che nella versione integrale dura 18 minuti e vanta la regia di Martin Scorsese. Costato oltre 2,2 milioni di dollari, che segnò un record nel 1986, richiese quattro giorni di lavoro e fermò persino la produzione di un film. Il regista era infatti impegnato sul set de Il colore dei soldi con Tom Cruise e Paul Newman, ma mise in pausa le riprese per spostare la sua troupe a New York. Il re del Pop ha collaborato invece con John Landis, autore di Una poltrona per due e The Blues Brothers, per il suo singolo più famoso, Thriller, e per Black or White, in cui appare anche un giovane Macaulay Culkin, che interpreta un fan di MJ.

David Fincher ha diretto Madonna nel videoclip di Vogue

Regista di Fight Club e The Social Network, solo per citarne alcuni, David Fincher ha diretto il videoclip di Madonna Vogue. Girato in bianco e nero, richiamando il look dei film Anni 30, è considerato uno dei più belli di sempre, tanto da issarsi al 28esimo posto di tutti i tempi per Rolling Stone. I due avevano anche collaborato in precedenza per i singoli Express Yourself e On Father.

Xavier Dolan e Adele insieme per Hello e Easy on Me

Gran Prix al 69esimo Festival di Cannes per È solo la fine del mondo, il regista canadese Xavier Dolan ha diretto due importanti videoclip nella carriera di Adele. Sua infatti la mano dietro a Hello, che nel 2015 segnò il ritorno della cantante britannica dopo quattro anni di assenza. Girato a Montréal, racconta la stagione degli addii e l’abbandono con l’artista intenta a meditare sui ricordi in una casa spoglia e vuota. I due hanno collaborato anche per Easy on Me del 2021, primo estratto del disco 30.

Brian De Palma al servizio del Boss per Dancing in the Dark

Autore di Scarface, Carrie – Lo sguardo di Satana e del primo capitolo di Mission: Impossibile, Brian De Palma ha lavorato anche al fianco di Bruce Springsteen. Il regista americano ha infatti realizzato per il Boss il videoclip di Dancing in the Dark, brano del 1984 e primo estratto dell’album Born in the Usa. Nel filmato, che immortala anche la serata di apertura del tour omonimo della rockstar statunitense, è presente una giovanissima Courteney Cox, che all’epoca aveva appena 20 anni. Dieci anni dopo sarebbe diventata nota per aver interpretato Monica Geller nella sitcom Friends.

Marc Webb ha diretto il videoclip 21 Guns dei Green Day

Nel 2009, un anno prima di assumere la regia di The Amazing Spider-Man, Marc Webb lavorò a 21 Guns dei Green Day. Con la band aveva già collaborato per Waiting, mentre più recentemente ha diretto anche Avril Lavigne in Wish You Were Here e Zayn e Sia in Dusk Till Dawn. Nel filmato i due protagonisti, interpretati dagli attori Lisa Stelly e Josh Boswell, replicano anche la foto che campeggia sulla copertina di 21st Century Breakdown, album di Billie Joe Armstrong e soci che contiene il singolo.

Anton Corbijn fra Nirvana e Depeche Mode

Regista olandese di Control e Life, Anton Corbijn ha lavorato a numerosi videoclip musicali prima di iniziare la sua carriera a Hollywood. Il regista ha legato il suo nome principalmente a grandi star del palcoscenico, fra cui è impossibile dimenticare Nirvana e Depeche Mode. Per i primi infatti diresse nel 1993 Heart-Shaped Box, uno dei singoli più celebri dell’album In Utero, terzo e ultimo progetto in studio con Kurt Cobain uscito dopo il grande successo di Nevermind. Tre anni prima aveva invece collaborato con i Depeche Mode per il singolo Enjoy the Silence. Un cult che vede il frontman Dave Gahan nei panni di un re che attraversa Regno Unito, Svizzera e Portogallo.

Robert Rodgriguez con Demi Lovato, Lady Gaga e Ariana Grande

Grande amico di Quentin Tarantino, con cui ha collaborato per Kill Bill e Grindhouse, Robert Rodriguez è autore di film cult come Sin City, Dal tramonto all’alba e Machete. In carriera ha realizzato anche due videoclip musicali. Il primo risale al 2015, quando diresse Confident per Demi Lovato, che si trasforma in una guerriera action al fianco della special guest Michelle Rodriguez. Nel 2020 ha invece realizzato per Lady Gaga e Ariana Grande Rain on Me, incluso nell’album Chromatica. Il suo tocco è chiaramente visibile grazie all’atmosfera dark del filmato, girato in una città sotto la pioggia.

Con Ragazza sola Annalisa chiude in bellezza una fortunata trilogia

Annalisa ci prova di nuovo. O meglio, ci prova per la prima volta. Prova, cioè, a dimostrare di essere davvero lei la regina del pop italiano, sfornando, a un anno quasi esatto dall’uscita di quella Bellissima che ha cambiato in qualche modo il corso della sua vita artistica, Ragazza sola, che proprio con Bellissima e la più che fortunata Mon Amour va a costruire una trilogia degna di Guerre Stellari (il che potrebbe anche suonare come un augurio, vai di prequel e sequel).

La faticosa ricerca di una identità

Facciamo il classico passo indietro, così da avere modo di guardare il quadro nella sua interezza. Annalisa arriva alla musica, a quella professionistica, attraverso il talent di Maria De Filippi, Amici, nell’anno del Signore 2011. Ci arriva convincendo tutti, certo, ma non portando a casa la vittoria finale, fatto che in qualche modo diventerà parte integrante del suo personaggio. A vincere, in quella edizione, fu Virginio, altro talento che oggi firma parte dei successi di Laura Pausini. Ma sarà lei quella destinata a farsi largo nel mondo del pop. Dotata di una voce molto bella, a livello di timbro e pasta, e anche assai educata, Annalisa entrerà nello show business vestendo i passi dell’interprete abbastanza tradizionale, seppur la sua prima hit Diamante lei e luce lui sia nei fatti un pop leggero, adatto alla sua età. Complice la sua voce potente e una bellezza elegante, Annalisa è una interprete che potrebbe serenamente iscriversi nel novero dei nomi importanti che tra gli Anni 60 e i 70 hanno animato la scena musicale. La sua versione di Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina dava indicazioni piuttosto precise a riguardo. Poi il quadro si fa confuso, come una serie di macchie a colori alla Pollock, e del resto questa non è una biografia. La nostra comincia a lavorare inseguendo una identità che sembra sia faticosa da trovare. Partecipa più volte al Festival di Sanremo, tira fuori album e singoli, si affaccia anche al mondo della televisione, mettendo a frutto quella laurea in Fisica, pegno pagato alla famiglia che la voleva comunque laureata prima di intraprendere la carriera da cantante.

Con Ragazza sola Annalisa chiude in bellezza una fortunata trilogia
Annalisa (dal profilo Fb).

Un’artista poliedrica e sempre sul pezzo ma non sempre dotata di riconoscibilità

Ecco, la laurea in Fisica. Annalisa, ligure, carattere introverso, anche abbastanza ostentato nei primi anni della sua carriera –  intervistarla significava fare i conti con una artista di buone maniere ma non semplicissima da far aprire – per anni è stata raccontata come la ragazza caparbia, che prima di iniziare a cantare per un grande pubblico, Amici, Ariston, la radio, ha portato a casa una laurea anche difficile, complicata. Come se mancassero altri elementi per poterla raccontare meglio. Certo, il pop che negli anni ha sfornato, si trattasse di ballad, quali L’ultimo addio, Il diluvio universale, Il mondo prima di te, mid tempo, quali Senza riserva o Bye Bye, o mossi, quali Scintille, in odor di swing, Splende, Se avessi un cuore, Direzione la vita – cito alcune canzoni tra le tante pubblicate, comprese quelle in collaborazione con altri come Tutto per una ragione, con Benji e Fede, Vento sulla luna con Rkomi –  ci hanno mostrato una artista sempre molto sul pezzo, perfettamente in grado di vestire sfumature anche differenti tra loro, una poliedricità davvero rara in casa nostra, ma anche difficile da restare impigliata nella rete della riconoscibilità. Fatta eccezione per una voce importante, infatti, l’aver cercato come una rabdomante la giusta direzione, ha portato negli anni Annalisa a sperimentare davvero tanto, finendo, a tratti, per spiazzare l’ascoltatore attento, e lo dice che da sempre indica in lei un talento assoluto, unico nel nostro panorama.

La svolta con Avocado Toast fino a Bellissima, tormentone tardivo 

La svolta, questa la opinione insindacabile dell’autore, avviene con Avocado Toast, nel giugno 2019, canzone spiazzante per quel giocare con suoni e strutture solo in apparenza lontane da una vocalità così forte e impostata. Un brano che ci mostrava una Annalisa decisamente inedita, Annalisa che poi sarebbe esplosa prendendosi finalmente la scena solo più recentemente, con una hit divenuta incredibilmente tormentone estivo pur essendo uscita in settembre, quella Bellissima che l’ha imposta come una nostrana popstar assoluta, anche molto più in sintonia, siamo sempre nei pressi dell’insindacabilità delle opinioni dell’autore, con il proprio fisico, a sua volta importante, spesso tenuto sotto chiave in un cassetto. Bellissima, canzone che si è imposta nell’immaginario comune anche grazie a una certa autoironia della nostra, a fare balletti su TikTok, arriva dopo una hit estiva vera, nel senso di uscita nell’estate, come Tropicana dei Boomdabash, canzone che, come buona parte dei brani tirati fuori dalla cricca salentina, indurrebbe chiunque si occupi di critica musicale a infilarsi un ferro da lana nelle orecchie, sperando in un po’ di sollievo, non certo per l’apporto di Annalisa al brano, quanto piuttosto per questa modalità tamarra che i Boomdabash sono capaci di spalmare su qualsiasi cosa producano con una naturalezza che lascia di stucco. Ecco, riuscire a sopravvivere a Tropicana, andando a tirare fuori una mina come Bellissima, canzone che ha allungato l’estate fino all’inverno inoltrato, è stato un miracolo che ci ha regalato una Annalisa ironica, sensuale e decisamente a fuoco. Una donna che interpreta il pop con serietà, e quindi con leggerezza – il pop è leggerezza – molto più giovane, in apparenza, di quanto non fosse 11 anni prima, ai tempi del suo esordio a Amici.

Mon Amour, la costruzione della hit perfetta

Chiaramente, Bellissima è stata un fenomeno a suo modo unico, canzone che entra di colpo nelle teste intorpidite degli italiani, tornati a scuole e al lavoro dopo l’estate, andando in qualche modo a ribaltare un modus ormai cristallizzato da tempo. Pensare di replicare la faccenda nei tempi canonicamente giusti era impresa impossibile, o quasi. Invece ecco che Annalisa, sempre con la medesima squadra, tira fuori Mon Amour, brano che non solo spopola ancora più di Bellissima, ma addirittura ci regala lo slogan memabile, al pari di «Questa non è Ibiza» dei The Kolors, che con lei si sono divisi la torta della tormentonabilità dell’estate 2023, quel «Ho visto lei che bacia lui, che bacia lei che bacia me» che, in assenza di virgole, ha mandato in confusione un po’ tutti gli appassionati di gossip. Un brano perfetto, per struttura, orecchiabilità, leggerezza e sempre con la sua voce che, come quella della Virna Lisi di un tempo, potrebbe davvero cantare anche l’elenco del telefono. Certo, tanto per non farsi mancare niente, a sfidare Mon Amour in questa anomala estate a base di tornadi e picchi di caldo, è stato Disco Paradise, classico brano alla Fedez, classico sul trend Mille e La dolce vita, un mix di brani già sentiti, product placement per l’Algida e chi più ne ha più ne metta che vede proprio Annalisa intonare il ritornello al fianco del signor Ferragni e di J-Ax degli Articolo 31. Intendiamoci, Mon Amour è tutt’altra cosa, non c’è proprio partita. Il caschetto, in realtà una parrucca, che la nostra ha esibito nel lanciarlo, così come lo stacco di gambe generosamente offerto (si può dire oggi stacco di gambe senza finire nella gogna del politicamente corretto?) a supporto di una canzone pop perfetta.

Con Ragazza sola arrivano echi di quel passato che era un suo riferimento a inizio carriera

Ora è il turno di Ragazza sola, terza parte di tre, lei di colpo bionda, ultima tappa di avvicinamento all’atteso album, ottavo in carriera, E poi siamo finiti nel vortice, atteso per il 29 settembre, e alla sua prima data al Forum di Assago, per la quale toccherà invece aspettare il 4 novembre. Molti la danno per certa anche al Festival di Sanremo edizione 2024, quinto di cinque firmato Amadeus. Se così sarà, tanto per rimanere in tema kermesse canora, non si può che citare il famoso slogan portato in riviera da Piero Chiambretti, «comunque vada sarà un successo». Ragazza sola è una ballad che come succede oggi con le ballad è anche qualcosa d’altro. Dovessi allestire un paragone mi verrebbe in mente Vampire di Olivia Rodrigo, e attenzione, è un paragone di quelli su cui chiunque ambisca a essere una popstar dovrebbe mettere una firma col sangue. Ragazza sola è una canzone che concede ad Annalisa il modo di farci arrivare una ennesima sfumatura tra le tante in suo possesso, con echi anche a quel passato che era un suo riferimento in partenza di carriera. Una canzone che mette ulteriormente in risalto la sua voce, certo, e questa trovata capacità di inchiodartisi al cervello con ritornelli killer, quel «Sola» reiterato e accompagnato da quegli urletti «Uh Ah Oh» che con Mon Amour abbiamo tutti imparato a conoscere. Un’ottima scelta quella di chiudere così una trilogia particolarmente fortunata, una canzone che, fossimo tra quanti si lasciano andare a pronostici, ci accompagnerà a lungo.

Francesca Michielin annulla il tour per motivi di salute

Francesca Michielin è costretta per motivi di salute a un nuovo stop. La cantante ha così annullato tutte le tappe del tour. «Ci tenevo a raccontarvi quello che mi è successo nell’ultimo anno. Purtroppo non sarò in grado di tornare presto sul palco come pensavo, ma sono costretta ad annullare le ultime date del tour, sono molto dispiaciuta. Grazie per la comprensione», ha scritto sui social. La cantante aveva già annullato i concerti di agosto in vista dell’intervento a cui si sarebbe dovuta sottoporre. Operazione «riuscita benissimo», ha assicurato, ma da cui si rimetterà più lentamente del previsto.

«Ho avvertito dolori addominali insostenibili»

«Proprio un anno fa ho scoperto di avere un problema fisico», racconta Michielin sui social. «Ho cercato di conviverci, continuando a fare la mia vita, nonostante la presenza costante del dolore, ma l’ho fatto perché amo il mio lavoro e amo condividerlo con voi, e mi sono così scoperta molto più forte di quanto pensassi, proprio nel coabitare con la mia fragilità». Purtroppo, aggiunge, «in questi 12 mesi, nonostante diversi tentativi, il problema non è rientrato, anzi: ho dovuto fare un intervento abbastanza invasivo – un mese fa – perché non avevo alternative». Nonostante l’intervento sia «fortunatamente riuscito benissimo» la cantante ha «avvertito dei dolori addominali sempre più importanti, che si sono intensificati e sono diventati insostenibili. Pensavo sarebbero rientrati, che era tutto normale, ma ogni giorno stavo sempre peggio». Per questo venerdì 8 settembre i medici le hanno imposto di fermarsi più del tempo inizialmente preventivato, spiega Michielin scusandosi con i fan.

 

 

 

I Rolling Stones sveleranno il nuovo album in live streaming con Jimmy Fallon

Dopo l’annuncio sibillino sui giornali britannici, i Rolling Stones hanno ufficializzato anche sulle loro pagine social l’arrivo del nuovo album. Per l’occasione, mercoledì 6 settembre alle 15,30 italiane, in diretta da Londra, Mick Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood terranno un live streaming su YouTube con un ospite d’eccezione, il noto presentatore americano Jimmy Fallon, autore del suo personale Tonight Show su Nbc. Nel video in anteprima, la band telefona al conduttore – tra l’altro fermo dal 2 maggio a seguito dello sciopero degli sceneggiatori – per convocarlo al loro evento. «Parleremo del disco, di nuova musica e di una nuova era per gli Stones», si legge invece nella didascalia che accompagna il filmato.

Rolling Stones, online i primi secondi del nuovo singolo Angry

In attesa di saperne di più sui primi inediti dei Rolling Stones da 18 anni, sono già disponibili online alcuni secondi del brano Angry. Destituito invece il sito hackneydiamonds.com su cui era stato effettuato il primo annuncio criptico del disco, che ormai rimanda direttamente alla piattaforma ufficiale della band. Per quanto riguarda le altre tracce, tutto resta avvolto nel mistero anche se precedenti interviste dei membri del gruppo hanno già rivelato qualcosa. Si sa infatti che saranno presenti incisioni originali alla batteria di Charlie Watts, scomparso nell’agosto 2021 all’età di 80 anni. Inoltre, prevista la presenza di alcune rockstar britanniche, tra cui l’ex Beatles Paul McCartney.

L'evento è previsto il 6 settembre alle 15.30 sul canale YouTube dei Rolling Stones. Online i primi secondi del singolo Angry.
Jimmy Fallon sarà in live streaming con i Rolling Stones (Getty Images).

L’ultimo disco di inediti dei Rolling Stones è al momento A Bigger Bang, contenente 16 canzoni tra cui le hit Rain Fell Down e Streets of Love, capaci di raggiungere la vetta delle classifiche anche in Italia. Mick Jagger e soci sono invece assenti dalla scena musicale dal 2016, quando incisero l’album di cover Blue & Lonesome, un omaggio alla storia del blues con alcuni capolavori del genere. È probabile che, con l’uscita del disco, gli Stones annuncino anche un nuovo tour mondiale. L’ultima esibizione in Italia risale al giugno 2022 per i 60 anni di carriera, quando suonarono allo stadio San Siro di Milano.

Lecce, caos al ventennale dei Negramaro. Sangiorgi: «Non è colpa nostra»

«Negramaro, per sempre con voi». Si conclude così il video di Giuliano Sangiorgi, frontman della band salentina. Nella serata di sabato 12 agosto si è tenuto il concerto per celebrare il ventennale del gruppo, sul palco Elisa, Ariete, Aiello e Sangiovanni tra gli altri. Tra il pubblico, molti dei paganti non sono riusciti a essere tra i presenti. Nel mezzo il racconto di un sogno, quello con cui avevano immaginato il concerto nell’aeroporto di Galatina nella provincia di Lecce. In un hub del tutto innovativo, mai testato prima. Di cui oggi certamente si conosce l’inefficienza. A causa della portata delle strade, inadatte a eventi di grandi dimensioni. E di parcheggi insufficienti. Sangiorgi nel video ha commentato: «Sono profondamente triste per quello che è successo a molti di voi, ma fiducioso che possiate comprendere tutto il nostro amore».

 

Selvaggia Lucarelli: «Il più grande disastro organizzativo dell’estate»

File di chilometri per arrivare a destinazione: c’è chi è giunto nella location individuata con il concerto già iniziato da parecchio e c’è chi invece, nonostante il biglietto acquistato da mesi, ha preferito tornare a casa davanti agli ingorghi. Proteste in Rete. Malumori diffusi sui social anche per i parcheggi dislocati in aree di campagna prive di illuminazione distanti oltre un chilometro dall’aeroporto. Selvaggia Lucarelli ha commentato: «Il concerto dei Negramaro è stato a quanto pare il più grande disastro organizzativo dell’estate». Nel video Sangiorgi ha provato a chiedere scusa per quanto accaduto sabato 12 agosto: «Purtroppo abbiamo saputo dei problemi. Io in prima persona sono stato coinvolto: mia madre e i parenti per i quali avevo preso un pulmino sono arrivati quasi a metà concerto». E ancora, il frontman della band  ha raccontato: «Abbiamo pensato giorno e notte a costruire un sogno che fosse degno della vostra grandezza: di tutto quello che ci avete dato in questi anni». Il cantante, rivolgendosi ai fan, non ha nascosto la sua amarezza. Poi Sangiorgi ha concluso: «Ho sofferto e sto soffrendo con voi, per il fatto che avete messo l’anima per raggiungere il nostro concerto. Per molti non è stato possibile e spero che si possa trovare una soluzione. Ma spero anche che non si vanifichi quello che i Negramaro hanno voluto fortemente: portare quello che avremmo potuto fare in posti più consoni, abituati ai grandi eventi, a Lecce nel Salento».

Lizzo accusata di molestie sessuali da tre ex ballerine del tour

Pesanti accuse nei confronti della popstar americana Lizzo da parte di tre ex ballerine che l’hanno seguita nel suo Special Tour. Arianna Davis, Crystal Williams e Noelle Rodriguez hanno lamentato infatti molestie sessuali, religiose e razziali all’interno di un ambiente ostile di lavoro. La cantante le avrebbe anche costrette a partecipare a uno spettacolo sessuale dal vivo in uno strip club di Amsterdam. Lizzo avrebbe persino richiamato l’attenzione sull’aumento di peso del suo corpo di ballo, portando una bilancia durante le prove per i live. Un’accusa, quest’ultima, che farebbe crollare l’immagine dell’artista, da sempre paladina della body positivity, ossia l’accettazione del proprio corpo. Come hanno riportato Bbc e Billboard, che per primi hanno dato la notizia, né Lizzo né il suo entourage hanno risposto alle accuse. Sui social i fan invece si dividono, tra chi mette in risalto l’incoerenza e chi non vuole crederci. «Qualsiasi cosa accada, siate gentili con entrambe le parti», ha postato Davis su Instagram.

Lizzo avrebbe anche creato un ambiente di lavoro ostile fatto di discriminazioni razziali e religiose. E commentato l'aumento di peso.
La storia pubblicata sui social da Arianna Davis (Instagram)

Dalle molestie sessuali al body shaming, le accuse nei confronti di Lizzo

Gli eventi citati dalle tre ballerine risalgono a un periodo compreso fra il 2021 e il 2023, durante le tappe dello Special Tour che ha portato Lizzo anche in Italia. Sotto accusa, oltre alla popstar, anche il suo capo della squadra di ballo Shirlene Qingley, che avrebbe tentato di convertire le performer alla sua religione, rimproverandole per aver avuto rapporti sessuali prematrimoniali. La coreografa avrebbe anche discusso apertamente della verginità di una danzatrice durante il Watch Out of the Big Grrrls, reality show con cui Lizzo seleziona il suo corpo di ballo. Informazioni private e intime che avrebbe anche condiviso in Rete e in alcune interviste senza alcun consenso. Le tre ballerine hanno anche riportato situazioni imbarazzanti nei viaggi per il mondo. Gli autisti degli autobus avrebbero intonato canzoni sessualmente esplicite e fatto commenti sessisti che «mettevano a disagio e facevano temere per l’incolumità».

Lizzo avrebbe anche creato un ambiente di lavoro ostile fatto di discriminazioni razziali e religiose. E commentato l'aumento di peso.
Lizzo durante un concerto a New Yor City a giugno 2023 (Getty Images).

Le accuse riguardano anche il periodo delle audizioni. Secondo le tre ballerine, Lizzo avrebbe sottoposto la squadra intera a «continui e strazianti test» nell’aprile 2023 dopo aver scoperto il consumo di alcolici prima degli eventi live. Il clima di terrore scaturito ha spinto le ragazze a non allontanarsi mai dalla sua vista, per timore di essere licenziate. «Avevo paura di perdere il posto tanto da non andare nemmeno in bagno», ha detto una delle performer. «Alla fine ho perso il controllo della mia vescica». Lizzo avrebbe minacciato poi di mandare a casa tutto il corpo di ballo quando scoprì che Davis aveva registrato una riunione sul proprio smartphone. Come ha riportato Billboard, l’artista si sarebbe avvicinata minacciosamente alla ragazza con i pugni chiusi, come se intendesse colpirla.

Le ragazze costrette a uno spettacolo sessuale in uno strip club di Amsterdam

Le tre ballerine sostengono che Lizzo e Qingley le avrebbero spinte, contro la loro volontà, a partecipare a uno spettacolo sessuale nel quartiere a luci rosse di Amsterdam. «La popstar ha invitato le performer a toccare a turno le spogliarelliste nude, a prendere sex toys dalle loro vagine e mangiare banane simulando sesso orale», si legge nella causa. «In particolare, Lizzo ha fatto pressione su Davis affinché toccasse il seno di una donna nuda intonando una canzone». La ballerina avrebbe acconsentito soltanto per «porre fine alle sue richieste e far cessare i canti». Infine, secondo l’accusa, Lizzo e i suoi collaboratori «non lo hanno mai dichiarato esplicitamente», ma hanno fatto credere che Davis «dovesse spiegare il suo aumento di peso e rivelare dettagli personali intimi della sua vita per mantenere il suo lavoro».

Lizzo avrebbe anche creato un ambiente di lavoro ostile fatto di discriminazioni razziali e religiose. E commentato l'aumento di peso.
Lizzo sul palco di un live con il corpo di ballo (Getty Images).

Salmo e Luchè ci hanno fregato: il dissing era solo uno spot

Per un attimo ci abbiamo creduto: dopo anni di coccole e collaborazioni, finalmente sembrava che il rap fosse tornato ai bei tempi in cui gli artisti se le dicevano di santa ragione, dissing dopo dissing. L’illusione però è durata poche ore, il tempo di qualche scazzottata in rima. Dietro la rissa verbale si nascondeva implacabile il business.

Con il dissing tra Salmo e Luchè abbiamo sperato nel ritorno del vero rap

Ad avere fatto ‘sognare’ i cultori del genere sono stati Salmo e Luchè. È successo che, dopo uno scazzo consumato su Instagram nel 2019, il primo ha infilato il secondo dentro una sua rima nel corso del Red Bull 64 Bars che qualche giorno fa lo ha visto protagonista. Niente di particolarmente violento, giusto un riferimento al telefono inglese che lo stesso Luchè aveva più volte citato appunto quattro anni fa (sosteneva di avere in un “telefonino inglese” un messaggio in cui Salmo si complimentava con lui per l’album Malammore) quando i dissapori erano venuti a galla in una serie di botta e risposta che avevano come tema chi era vero e chi no, chi era più bravo, insomma, roba da adolescenti, non fosse che il dissing è sempre stato parte dell’immaginario hip-hop. Quindi Salmo cita il telefono inglese, così, di sfuggita e Luchè, nel mentre ringalluzzito da buoni risultati raggiunti, perde la brocca. Tempo un paio di giorni e pubblica una traccia, Estate dimmerda 2, riprendendo il titolo di un hit del nostro, nella quale attacca sul personale e a più riprese il rapper sardo. Nei passaggi più duri fa riferimento a una presunta regalia di biglietti, 10 mila addirittura, per il concerto a San Siro, foto intime mandate alla fan via messaggio, oltre a varie e eventuali sul suo, di Salmo, essersi più volte speso in privato per dichiarare la sua stima al collega napoletano, salvo poi negarlo in pubblico. Apriti cielo. Salmo si incazza, e risponde davvero per le rime, andando a pubblicare una hit dal titolo Dove osano le papere. Una canzone violentissima, con rime vere, perché va detto che Luchè, tecnicamente, ha lasciato molto a desiderare con il suo brano in cui a osare erano le aquile. Si parla di chirurgia estetica, di incapacità nei live, e si affonda anche contro Dikele e la sua Esse Megazine, rei di aver appoggiato la carriera del cantante napoletano. A vederla così, Salmo avrebbe vinto ai punti. E nettamente. A lato pure una stoccata a Damiano dei Maneskin, colpevole di aver commentato con un «ouch» la canzone di Luchè. Solo che Luchè non ci sta, e torna con un nuovo brano, Hai paura di uscire? nel quale gli schiaffi ripartono di brutto, sempre con rime discutibili. A chiudere la canzone un invito incomprensibile, al momento, di vedersi a Scampia.

Nella rissa in rima interviene persino un big come Inoki

Nel mentre, tirato in ballo dal rapper napoletano, interviene anche Inoki, un campione vero della vecchia scuola, che con la sua Cazzominomini, nella quale per altro riprende il tipico flow di Nto, ex socio di Luchè nei Co’Sang – Salmo dirà a più riprese che dei due era lui quello bravo – si prende briga di regolare i conti, quasi cinque minuti di pugni in faccia. Pugni in faccia alla vecchia, con tanto di battute sulla presunta omosessualità di Luchè e con riferimenti al suo essere un pizzaiolo, non proprio originale per un napoletano, ma cinque minuti di puro stile. Ko tecnico, cui si aggiunge un brano, se vogliamo chiamarlo così, piuttosto delirante di Truce Baldazzi, a sua volta tirato in mezzo e lì a specificare che non ha nulla a che fare con la faccenda. Tanta roba, tanto più se si tiene conto che da anni il rap non ha più presentato dissing che possano dirsi tali, come quelli storici tra Fibra e Vacca, per dire, o lo stesso Inoki e Guè. Anzi è stato teatro di collaborazioni su collaborazioni perché, si sa, unendo le forze si fanno view e stream e ci si guadagna tutti. Neanche il tempo di ridere delle rime di Inoki che Salmo sembra chiudere la faccenda con nuove rime, sempre violente.

Salmo e Luchè ci hanno fregato: il dissing era solo uno spot
Inoki (dal profilo Instagram).

Il teatrino per lanciare il Red Bull 64 Bars a Scampia 

Ci eravamo così illusi di essere tornati ai tempi d’oro. Ma ecco che arriva la notizia che lì dove tutto è iniziato tutto andrà a finire, e che anche stavolta, come nel caso dei tanti Feat degli ultimi anni, di business si tratta. A ottobre a Scampia, là dove Luchè ha sfidato Salmo, ci sarà infatti un Red Bull 64 Bars con vari ospiti tra i quali, fate attenzione, Salmo e Luchè. Tra i protagonisti annunciati anche Lazza, Geolier, Noyz Narcos, Rose Villain e Miles. Salmo, proprio nelle ore nelle quali usciva la notizia dell’evento napoletano, si auto-dichiarava incoerente nei social, sottolineando come i dissing fossero tutto un gioco. E non stupisce vista la pace fatta persino con Fedez. Certo, un manto di tristezza si è posato sui cuori degli amanti del rap un po’ più attempati che almeno per qualche ora ci avevano creduto. Ma in fondo l’arte, anche quella che si spaccia per più vera e sincera, è tutta finzione, figuriamoci se era il caso di credere a due 40enni che hanno giocato a darsele e dirsele di santa ragione.

Ultimo rosica ancora e continua ad attaccare la stampa

Stando alla Treccani, il verbo “rosicare” indica un rodimento dovuto a invidia o gelosia. È evidente che dalla parte della Treccani si frequenti poco il mondo dei social, dove il verbo rosicare viene usato spesso per indicare chi è incartato in una condizione di rabbia illogica per ragioni che, appunto, non hanno a che fare con situazioni legate a invidia o gelosia, quanto piuttosto a un malumore dovuto da qualcosa che ci disturba. Je rode il culo, dove l’articolo piò essere sostituito comodamente dal romanesco “er” lo si può quindi applicare serenamente a chi apparentemente ha già tutto, sicuramente più di noi, ma è comunque disturbato da qualcosa che sta accadendo o è accaduto.

Ultimo rosica ancora e continua ad attaccare la stampa
Ultimo (dal profilo Instagram).

Le stroncature di Solo e di Vivo coi sogni appesi sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso

Ecco, se questo articolo fosse cominciato con un classico “A Ultimo je rode il culo con la stampa”, nessuno avrebbe dovuto avere nulla da eccepire. È un fatto, del resto, inoppugnabile, e il buon Niccolò, questo il suo nome all’anagrafe, da San Basilio, non ha perso occasione per farcelo capire anche dal palco del suo nuovo tour, nella data zero di Lignano Sabbiadoro. Durante l’esecuzione del brano Canzone stupida, infatti, quella che per intendersi inizia con «Avessi avuto solo un briciolo di dignità/ ti avrei mandata a fare in culo quattro mesi fa», Ultimo ha fatto proiettare sul maxi schermo alcuni articoli che negli anni lo hanno attaccato, qualcuno con riferimento all’ultimo Sanremo e agli applausi che avrebbero accolto il suo quarto posto, poi una stroncatura sul Fatto Quotidiano di Paolo Talanca del suo album Solo, e uno su Mow di Grazia Sambruna del suo documentario Vivo coi sogni appesi (Prime Video) andando poi a cambiare lievemente il testo alla canzone, dedicata in origine a una lei e qui trasformata in una canzone contro i giornalisti. I versi «canzone stupida, canzone stupida, come me, come quello che dico/ canzone stupida, canzone stupida/ come te come ogni tuo respiro» è stata così trasformata in «canzone stupida, canzone stupida, come me, come quello che dici/ canzone stupida, canzone stupida/ come te come quello che scrivi», con tanto di gesto del vergare su foglio, immagino una ennesima stroncatura. Per altro, esattamente come certi innamorati che fanno sapere reiteratamente ai propri ex di non star lì a pensarli dimostrando esattamente il contrario, Ultimo non fa che sottolineare quanto je rode, così come i suoi fan che si fiondano poi sui profili dei giornalisti in questione commentando “non sappiamo neanche chi sei”. Sì, come no.

Ultimo rosica ancora e continua ad attaccare la stampa
Ultimo in concerto (dal profilo Instagram).

Da Venditti a Guccini fino al dito medio di Laura Pausini: i precedenti che hanno fatto la storia

Ora, che i cantanti ce l’abbiano con la stampa specializzata è storia vecchia, vecchissima. In principio fu Venditti a scrivere Penna a sfera, nell’album del 1975 Lilly, indispettito da Enzo Cafarelli che su Ciao 2001 aveva osato scrivere un pezzo piuttosto critico nei suoi confronti dal titolo Comapagni e champagne. A lui aveva fatto seguito, in maniera decisamente più roboante Francesco Guccini, che nel 1976, nel brano L’avvelenata aveva scritto gli ormai famosissimi versi «Tanto ci sarà sempre/ lo sapete/ un musico fallito, un pio, un teorete/ un Bertoncelli, un prete a sparar cazzate». Riccardo Bertoncelli, a ragione considerato tra i padri della critica musicale italiana, infiocinato con rabbia dal maestrone di Pavana, colpevole di non essere stato benigno con lui. Via via la critica si è ammorbidita, in parte, e i casi di attacchi nelle canzoni si sono rarefatti, anche se le poche voci rimaste libere ed efficaci sono state colpite da altri strali: si pensi al famoso dito medio che Laura Pausini ha sfoderato sul palco di San Siro, come a Tommaso Paradiso che, fresco dal successo del concerto al Circo Massimo, di lì a qualche giorno avrebbe annunciato la sua uscita dai Thegiornalisti, invece che gioire rivendicava quel successo verso il solo che aveva osato mettere in dubbio la veridicità dei numeri, e per questioni personali mi guardo ben dal dire in entrambi i casi a chi fossero indirizzati dita medie e parole di fuoco.

Ultimo rosica ancora e continua ad attaccare la stampa
Ultimo a Sanremo 2023 (Getty Images).

Ultimo si concentra più sulle poche voci contro che sui suoi fan adoranti

Finiti gli anni belli dei dissing su Twitter, con scontri anche epici che coinvolgevano pure i fanclub, è arrivato il momento del silenzio assenso, nessuno critica e quindi nessuno si incazza. O almeno, quasi nessuno. Ultimo è recidivo, in realtà. Già quando il “ragazzo Mahmood” nel 2017 gli sfilò incautamente dal naso la vittoria al Festival di Sanremo, con le gag festanti dei giornalisti al Roof dell’Ariston e col conseguente discorso ormai entrato nella storia in conferenza stampa quando disse che i giornalisti erano delle merde, e che gliel’avevano tirata. I secondo gliela avevano giurata. E l’applauso al suo quarto posto quest’anno arriva da lì. Ma che ancora oggi, al secondo tour glorioso negli stadi, quando ormai nessuno può davvero aver nulla da ridire sul suo successo, lui se ne stia lì a rosicare, bè, ce lo fa stare decisamente simpatico. Ultimo è uno qualunque arrivato al successo, al punto da concentrarsi più sui pochissimi che hanno osato uscire dal coro che a tutti gli altri a quattro zampe, o meglio, al tanto pubblico che legittimamente lo segue adorante. A Sanremo, del resto, Ultimo ha praticamente evitato la stampa, incontrata in precedenza, con una operazione di diplomazia da parte del suo ufficio stampa immaginiamo non semplicissima, ma l’idea che la critica possa non essere inchinata deve proprio rimanergli indigesta. La colpa, suppongo, sia di Maria De Filippi che negli anni ha invitato i giornalisti un tempo critici nei confronti del suo talent davanti allo schermo e sotto i riflettori, portandoseli tutti (o quasi) dalla sua parte, inventandosi la favoletta della “critica costruttiva” e ammazzando, in sostanza, un settore già malmesso di suo. Benvenga Ultimo che almeno alza i toni e da borgataro quasi invita a vedersela “da uomini”. Perché una cosa è certa: meglio con gli occhi neri che a quattro zampe. Per cui, Niccolò, tu sarai pure di San Basilio, io di Ancona, tu sei cresciuto nella borgata, io in una città col porto: quando vuoi, dimmi solo il posto e il giorno, a mani nude, ovviamente.

Funky Nothingness, l’ultimo regalo di Frank Zappa

Curato, come è avvenuto sinora praticamente per tutta la produzione post mortem di Frank Zappa, dal figlio Ahmet e da Joe Travers (e con un un mastering di altissimo livello curato da John Polito), a 30 anni dalla scomparsa del compositore e musicista americano, è appena uscito Funky Nothingness. Di per sé, la cosa non farebbe particolare notizia, visto che, ormai, gli album pubblicati dopo la scomparsa del genio di Baltimora hanno superato quelli pubblicati in vita (siamo ormai oltre i 70, contro la cinquantina o poco più pubblicati dal 1966 al 1993, anno, appunto, della morte di Zappa). Ma in questo caso, il nuovo lavoro merita particolare attenzione: non solo presenta molte tracce inedite e rare (23 sulle 25 presenti in vari formati, dal cd al vinile), ma propone un materiale che, come cita la comunicazione ufficiale della Zappa Records, era stato selezionato dallo stesso Zappa come potenziale sequel di Hot Rats, ovvero l’album se non più celebre, sicuramente il più iconico di tutta la sua sterminata produzione.

Funky Nothingness, l'ultimo regalo di Frank Zappa
La copertina di Funky Nothingness.

Una band stellare: Underwood, Sugarcane Harris, Bennett e Dunbar

Sin dall’inizio della sua carriera musicale, Zappa si era reso conto di quanto fosse importante registrare tutto il possibile, che fosse una jam session improvvisata in studio o una performance live. In questo caso, si tratta di una serie di session svoltesi tra febbraio e marzo del 1970 presso il Record Plant di Los Angeles, all’epoca fresco di apertura. Protagonisti, quattro straordinari musicisti, Ian Underwood (tastiere, sassofono, chitarra ritmica), Max Bennett (basso), Don Sugarcane Harris (violino, organo e voce) e Aynsley Dunbar (batteria). Gli stessi che, l’anno prima, avevano suonato nella maggior parte dei brani registrati per Hot Rats, l’album, prevalente strumentale, che aveva consacrato Zappa e i Mothers of Invention come protagonisti della scena mondiale del rock. In realtà, non è facile stabilire quanto questa formazione avesse provato e registrato, ma è probabile che i musicisti si fossero ritrovati per ben più a lungo, se è vero, come ha scritto Ken Dryden su All about jazz, che «la band aveva chiaramente una padronanza delle nuove composizioni e degli arrangiamenti di Zappa, suonandoli con l’intensità di repertorio abituale di un set live».

Funky Nothingness, l'ultimo regalo di Frank Zappa
Zappa nel 1969 (Getty Images).

Blues, R&B a go-go e molte chicche

Zappa aveva già selezionato i brani migliori e li aveva mixati per una futura pubblicazione ma, vuoi per il molto tempo passato a comporre, provare con le varie band, andare in tour, vuoi perché in quello stesso anno aveva incontrato sulla sua strada Howard Kaylan e Mark Wolman (“Eddy & Flo”) e con loro si era buttato a capofitto nella realizzazione di un altro straordinario album, Chunga’s Revenge, quel materiale è rimasto sepolto negli archivi fino a oggi. Senza contare che, sempre in quel periodo, il compositore stava altrettanto alacremente lavorando a 200 Motels, l’opera orchestrale (poi anche colonna sonora dell’omonimo film) che sarà eseguita in anteprima al Pauley Pavilion dell’UCLA il 15 maggio 1970 dalla Filarmonica di Los Angeles diretta da Zubin Mehta. Funky Nothingness regala quindi ai fan di Frank Zappa una vera “perla” d’epoca. Propone, soprattutto, materiale relativo alle radici blues e R&B del compositore, generi che non aveva mai smesso di esplorare, e che Hot Rats propone spesso in un suggestivo impasto con rock e soprattutto jazz. C’è quindi un po’ tutto il classico “repertorio” appunto blues (sia acustico che elettrico) e non mancano gli omaggi alle canzoni R&B vintage degli Anni 50 (tanto amate da Zappa). Basta ascoltare il gioioso medley di due successi di Hank Ballard, Work With Me Annie e Annie had a Baby, per cogliere tutta l’ammirazione del genio di Baltimora per questo tipo di produzione musicale. E propone alcune chicche davvero impagabili. Per esempio l’esteso “workhout” (12 minuti) di I’m a Rollin’ Stone del bluesman Lightnin Slim, in cui, oltre a suonare la chitarra, Zappa è impegnato come voce principale. Per gli zappofili potrebbe essere interessante godersi quella voce, perché sarà, tutto sommato, una delle ultime occasioni: nel dicembre dell’anno successivo (1971), a seguito di una rovinosa caduta dal palco, durante un concerto al Rainbow Theatre di Londra, procuratagli dall’aggressione un giovane spettatore (pare ingelosito per alcuni apprezzamenti rivolti da Zappa alla sua fidanzata), oltre a riportare fratture multiple alle gambe, trauma cranico, ferite alla schiena e al collo che lo costringeranno a quasi un anno di forzata semi-immobilità, il musicista si ritroverà con uno schiacciamento della laringe che gli abbasserà per sempre la voce di mezza ottava.

Funky Nothingness, l'ultimo regalo di Frank Zappa
Frank Zappa è nato a Baltimora il 21 dicembre 1940 e morto a Los Angeles il 4 dicembre 1993 (Getty Images).

The Clap con Zappa batterista 

Altra curiosità è il brano The Clap (ripreso poi su Chunga’s Revenge), un assolo di percussioni suonato dallo stesso Zappa che, nelle due versioni del brano (una di 11, e una di quattro minuti), dimostra tutta la sua attrazione per i poliritmi e le soluzioni percussive più originali. Del resto, come sanno gli zappofili più incalliti, prima di “scoprire” la chitarra, Zappa era nato come batterista e, 14enne, si esibiva come tale con la sua prima band, i Ramblers. Vero «tesoro» (parola di Ken Dryden) di Funky Nothingness è però la doppia esecuzione (due versioni, più una falsa partenza, inserita probabilmente per interesse “storico”), di Twinkle Tits, una poco conosciuta eppure straordinaria jam session strumentale «che fonde diversi generi in una forza esplosiva». La versione migliore è probabilmente la n. 5, che in 16 minuti propone, dopo un’introduzione esotica di influenza quasi mediorientale (che include un po’ di pianoforte honky-tonk, un basso acustico, marimba e chitarra), una dominante virata molto bluesy, mentre Harris e Zappa si alternano con assoli di energia pazzesca.

Il boogie della Transilvania e altri inediti

Ma non è finita qui: c’è un’altra “scoperta”, quella di un master inedito di 18 minuti di uno dei capolavori zappiani, Transylvania Boogie, che suona molto diverso dalla versione pubblicata su Chunga’s Revenge, anche se gli ultimi cinque minuti sembrano essere stati utilizzati per la traccia base dell’LP originale. Zappa domina la scena con una lunga e trascinante improvvisazione, mentre la sezione ritmica mantiene il “fuoco”, come si dice, per tutta la durata della jam, con un sublime assolo di organo bluesy di Underwood. Ci sono poi anche due versioni inedite di Sharleena (sempre pubblicata poi su Chunga’s Revenge) e due bonus, Halos and Arrows, un affascinante brano strumentale con due chitarre separate, chitarra ritmica e basso, e Khaki Sack. Come si vede, insomma, non mancano i motivi per scoprire un lavoro che si segnala probabilmente come una delle cose migliori e più interessanti della produzione zappiana postuma fin qui realizzata.

Fabri Fibra e la rivoluzione del rap nostrano

Proprio negli stessi giorni in cui la casa editrice Castello pubblica Tutti vogliono un fenomeno, la biografia Fabri Fibra scritta dal critico musicale Michele Monina, Universal lancia sul mercato per la prima volta in vinile, a distanza di 17 anni dall’uscita, l’album Tradimento, con cui il rapper di Senigallia nel 2006 debuttava con una major. Dando inizio a una rivoluzione.

Fabri Fibra e la rivoluzione del rap nostrano 0
La copertina di Tradimento (dal profilo Fb di Fabri Fibra).

Oggi tutto è rap ma alla fine degli Anni 90 il genere era dato per morto

Oggi il rap è dappertutto, basta accendere la radio, guardare i programmi televisivi e le vetrine dei negozi di streetwear nelle strade delle principali città italiane. Rime a profusione, basi irresistibili, taglie over, capelli colorati, tatuaggi e soprattutto un mare di sneaker. E oggi, anche in Italia, è entrato a far parte del sistema, del mainstream, oltre a essere un’industria capace di generare montagne di utili. Sembra strano ma tutto questo si deve in gran parte proprio a quel ragazzo marchigiano, oggi 46enne, che all’anagrafe risponde al nome di Fabrizio Tarducci. Nel 2006, da solo, con Tradimento, Fabri Fibra riaccese le luci su un movimento ormai dato da tutti per morto e sepolto. La scena, nata intorno alla metà degli Anni 90, era ormai implosa. I gruppi che ne avevano fatto la fortuna non esistevano più: i Sangue misto, sciolti; gli Articolo 31, sciolti; i Sottotono, sciolti. Tanto per citarne alcuni. Restava qualche sparuto manipolo di coraggiosi, che imperterrito continuava a fare rime ritrovandosi in una nicchia fatta di jam e di dischi autoprodotti, totalmente ostracizzata dalle radio e dalle etichette discografiche. Anche il giornale, o meglio la fanzine, AELLE, che di quel mondo era sia il megafono sia il punto di riferimento, era stata costretta a chiudere i battenti.

Fabri Fibra e la rivoluzione del rap nostrano 0
Fabri Fibra in concerto (dal profilo Fb).

In fuga dalla provincia

Poi arrivò Fabri Fibra e tutto cambiò. Lo spiega bene Paola Zukar, oggi tra le più importanti manager discografiche italiane, che di AELLE era stata una delle fondatrici, nel suo libro Rap. Una storia italiana, edito da Baldini+Castoldi: «Il disco di Fibra, Mr. Simpatia, è stato la svolta del rap italiano, come una puntata pilota di una serie di successo con il riscontro di critica e pubblico scelto, che poi ha convinto l’industria a produrre la serie intera. È arrivato con la roba giusta nel momento giusto, con determinazione incrollabile, dalla più profonda provincia centro-italiana». Fibra negli ambienti si era già fatto notare a cavallo degli Anni 2000, con alterne fortune: presente in un cult dell’epoca come Novecinquanta, l’album prodotto da Fritz Da Cat, che raccoglieva il meglio tra gli emergenti della scena hip-hop, con gli Uomini di Mare, la sua prima band intrisa di suoni west coast, sempre nello stesso anno aveva pubblicato Sindrome di fine millennio. Lavoro al quale seguì nel 2002 Turbe giovanili, il suo primo album solista, prodotto da un altro mostro sacro dell’ambiente, Neffa. «Era il disco di un ragazzo di provincia, che raccontava la vita di provincia e cercava di uscire dalla provincia. Avevo stampato 1000 copie, scegliendo anche delle lavorazioni costose per l’artwork e mettendoci un sacco di soldi di tasca mia; e le avevo spedite in giro un po’ a tutti quelli che pensavo sarebbero stati interessati a quell’album, nella speranza che succedesse qualcosa. Non successe», raccontò Fibra in un’intervista a Rolling Stone. Con Mr. Simpatia e soprattutto con Tradimento che segnò l’esplosione totale del personaggio invece qualcosa successe, eccome.

Così Fibra ha aperto la strada a Club Dogo e Marracash

Fabri Fibra diventò contemporaneamente il nemico pubblico numero uno e il rapper più odiato in Italia. Pezzi come Rap in guerra, Su le mani, Ogni donna e il contestassimo Cuore di latta, che raccontava la storia di Erika e Omar e dell’omicidio di Novi Ligure, contengono messaggi che ancora oggi affascinano quanto sconvolgono. Le radio iniziarono a trasmettere a nastro il singolo Applausi per Fibra e il disco schizzò in testa alle classifiche. La scena hip-hop si era ufficialmente azzerata e rigenerata dando vita a fenomeni come i Club Dogo prima e Marracash. Quanto a quel ragazzo di Senigallia, ancora oggi è sulla cresta dell’onda e affronta a testa alta la sfida di rimanere uno dei top player del game in un mercato iper giovanilista. Tutto questo senza Tradimento non sarebbe stato possibile.

1 2