Cosa contiene la bozza del decreto Rilancio

Gualtieri assicura lo scioglimento di tutti i nodi politici. Si va verso un taglio dell'Irap per le imprese fino a 250 milioni di fatturato. Sconto Imu per gli alberghi. E stabilizzazione per 16 mila insegnanti.

Calo dell’Irap ma non per tutte le imprese. Via la prima rata dell’Imu per alberghi e stabilimenti balneari. Più fondi per gli ammortizzatori e stabilizzazione di altri 16 mila insegnanti che saranno in cattedra da settembre. Si avvicina a tagliare il traguardo il tanto atteso decreto Rilancio, con le nuove misure per attutire l’impatto economico dell’epidemia del coronavirus. Un provvedimento «molto consistente» ha ribadito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri spiegando che i nodi politici sono stati superati – tranne a quanto si apprende la regolarizzazione dei lavoratori immigrati su cui il M5s ha alzato le barricate – e ora si tratta solo di chiudere le norme nei dettagli.

BONUS DI 500 EURO PER LE VACANZE IN ITALIA

Tra questi, nelle ultime bozze, ne spuntano diversi che vanno dall’ampliamento di chi potrà usare il 730 per fare la dichiarazione dei redditi, a un aumento delle famiglie che potranno sfruttare il bonus per andare in vacanza in Italia. Il tetto di Isee infatti sale da 35 mila a 50 mila euro per un tax credit che si potrà spendere in strutture ricettive e b&b a fronte di pagamenti registrati (fattura elettronica o documenti con codice fiscale del destinatario dello sconto). Il bonus rimane di massimo 500 euro a famiglia (300 euro in due e 150 euro per una persona sola).

TAGLIO DELL’IRAP DA QUASI 2 MILIARDI

Per aiutare il turismo, il settore più martoriato, ci saranno anche sconti per gli affitti (previsti anche per tutti quelli che hanno avuto perdite ma solo fino al 60%) e ora anche l’abolizione della prima rata dell’Imu (con una copertura di circa 120 milioni), a patto che alberghi e pensioni siano gestiti dai proprietari. La cancellazione dell’Imu vale anche per le strutture turistiche di laghi e fiumi. Il pacchetto per le imprese, comunque, resta uno dei più corposi del provvedimento: confermati contributi a fondo perduto per micro-aziende, commercianti, artigiani e autonomi sotto i 5 milioni di ricavi, mentre si sta ancora lavorando agli aiuti per le imprese di medie dimensioni. La novità è quella del taglio dell’Irap che potrebbe valere circa 1,5-2 miliardi. La platea al momento sarebbe quella delle attività tra 5 e 250 milioni di ricavi, come ha confermato Gualtieri: si tratterebbe di circa 54 mila imprese su un totale di 1,8 milioni di attività produttive, artigianali e commerciali sottoposte all’Irap. Ma si starebbe ancora cercando di allargarla anche alle imprese più piccole.

AL VAGLIO MISURE PER LE RICAPITALIZZAZIONI

Le coperture arriverebbero dai 10 miliardi già previsti per gli aiuti a fondo perduto. Difficile indicare comunque sia la platea sia il risparmio effettivo per le imprese che non andranno alla cassa entro il 16 giugno per pagare saldo e acconto dell’imposta, sia perché l’acconto si potrà calcolare tenendo conto dell’andamento reale della propria attività (secondo norme introdotte con i precedenti decreti), sia perché al momento è previsto un paletto legato alle perdite di fatturato legate al Covid (almeno due terzi nel confronto tra aprile 2019 e aprile 2020). Ancora in valutazione anche le misure a sostegno delle ricapitalizzazioni, nelle prime ipotesi un mix tra sconti fiscali e intervento dello Stato attraverso Invitalia, mentre per le grandi imprese dovrebbe essere confermato il coinvolgimento di Cdp con un fondo apposito.

FONDI PER SANIFICAZIONE E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE

Per le imprese sono in arrivo anche altri fondi per rendere più sicuri i luoghi di lavoro e ridurre il rischio contagio. I primi 50 milioni messi a disposizione di Invitalia con il programma Imprese sicure sono finiti il primo giorno, davanti a un boom di domande per oltre un miliardo di richieste di rimborsi per i soli acquisti di mascherine e dispositivi di protezione. Ora dovrebbero esserci altri 600 milioni tra credito d’imposta per le sanificazioni e i dispositivi e aiuti a fondo perduto sempre per adeguare i posti di lavoro: le imprese fino a nove dipendenti potranno avere massimo 15 mila euro, 50 mila euro fino a 50 dipendenti e quelle più grandi massimo 100mila euro.

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Conte vuole restare in politica

Il premier annuncia un impegno a lungo termine. Ma per ora esclude di voler fondare un partito: «Sono un costruttore, non sono divisivo».

L’avvocato del popolo ormai ci ha preso gusto: «Dopo questo mio intenso coinvolgimento, non vedo un futuro senza politica». Il premier Giuseppe Conte, in un lungo colloquio con il quotidiano la Repubblica, ha annunciato così la volontà di impegnarsi a lungo termine sulla scena pubblica italiana.

NO A «PROSPETTIVE DISTORTE»

Il presidente del Consiglio ha voluto comunque precisare che il suo sguardo è rivolto «al presente», perché «iniziare a ragionare sul proprio futuro quando si ha un incarico così rilevante rischia di creare una falsa e distorta prospettiva», che come «un tarlo» finirebbe «per distrarre o peggio per condizionare le decisioni che si è chiamati ad assumere».

IL MESSAGGIO PER M5S E PD

Quindi un messaggio per gli alleati di governo, M5s e Pd: almeno per il momento, Conte non pensa di fondare un partito personale. «La politica non è solo fondare un partito o fare il leader di partito o fare competizioni elettorali», ha detto infatti il premier, «ci sono mille modi per partecipare alla vita politica e dare un contributo al Paese». E «qualsiasi contributo mi ritroverò a dare, sarà comunque in linea con la mia inclinazione: sono un costruttore, non sono divisivo».

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Prescrizione ma non solo: il gennaio a ostacoli di Conte

Il nodo giustizia fa tremare il governo. Alle prese anche con le delicate questioni Autostrade e Ilva. Italia viva sul piede di guerra. Mentre nel M5s è tutti contro tutti.

Un gennaio a ostacoli, che avrà nella giustizia – e nella prescrizione in particolare – la prima, spinosissima tappa. Ad attendere il premier Giuseppe Conte sarà un mese infuocato. M5S, Pd e Iv viaggiano su binari lontanissimi e il rischio è che lo stallo sulla riforma Bonafede inquini sul nascere il confronto nel governo dal quale il presidente del Consiglio vuol far ripartire la sua agenda. La maggioranza resta fragile. Con l’ombra del nuovo gruppo alla Camera che, nonostante l’appello del premier a non destabilizzare, resta un’ipotesi sul tavolo. Il capo del governo arriverà al vertice sulla giustizia previsto il 7 gennaio probabilmente dopo aver completato l’insediamento di nuovi ministri alla Scuola e all’Università e Ricerca Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi. La scelta dello spacchettamento, a livello numerico, avvantaggia il Pd e, allo stesso tempo, frena la possibile richiesta di un mini-rimpasto da parte dei Dem dopo le Regionali.

IL TUTTI CONTRO TUTTI NEL MOVIMENTO 5 STELLE

Il Movimento, dal canto suo, si consola con la promozione del suo sottosegretario, la deputata Azzolina. La sua indicazione trova il gradimento dei vertici e forse scontenta l’ala ortodossa (tra i papabili c’era anche il presidente della commissione Cultura Luigi Gallo) ma non dovrebbe creare ulteriori crepe in un Movimento dove, da giorni, è in atto un tutti contro tutti. Oggi è il “dissidente” Gianluigi Paragone a parlare. «Proveranno a espellermi, certo. Forse ce la faranno pure, ma poi metterò in evidenza che il collegio dei probiviri è composto da persone che sono incompatibili, come la ministra Dadone che non può essere ministro e probiviro insieme», attacca il senatore. Difficile, tuttavia, che Luigi Di Maio aumenti la tensione optando per espellere subito dissidenti e ritardatari sui rimborsi. Più facile che, almeno alla Camera, siano i dissidenti ad andar via.

I TIMORI DEL PREMIER

L’ipotesi del gruppo “contiano”, guidato da Lorenzo Fioramonti, resta concreta e potrebbe raccogliere almeno una decina di scontenti M5S ma, arrivare a quota 20 deputati – necessaria per avere l’ok della Camera – non è semplice. E già fioccano smentite. Su due battaglie i pentastellati si mostrano uniti. La revoca delle concessioni ad Autostrade e la riforma della prescrizione. Sul primo punto la linea di Conte sembra convergere con quella Di Maio: nessuno sconto ad Autostrade, ha spiegato il premier nell’attesa che finisca l’istruttoria. Ma lo scontro con Iv è alle porte. Il Pd, invece, è in una posizione attendista, forse anche perché, almeno dal punto di vista cronologico, il dossier Autostrade s’incrocia con quello della prescrizione, dove i Dem sono invece in trincea. L’obiettivo, per Conte, è fare in modo che il vertice del 7 non si trasformi in un’ennesima fumata nera.

SI CERCA L’ACCELERATA SULL’ILVA

«Bonafede faccia un passo di lato», è l’invito del ministro Francesco Boccia che dà al Guardisigilli due mesi di tempo per trovare un punto di caduta. «Oppure andremo avanti con la nostra proposta di legge», avvertono i dem. Sempre nella prima metà di gennaio, Conte proverà a dare un’accelerata al dossier Ilva varando contestualmente il decreto “Cantiere Taranto” che, nella strategia del governo, è parte della soluzione di rilancio dello stabilimento.

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L’iter per la nomina dei ministri Azzolina e Manfredi

Prima un decreto per lo spacchettamento del dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento.

Prima il decreto in Consiglio dei ministri per lo spacchettamento tra ministero dell’Istruzione e ministero dell’Università e della Ricerca di competenze finora accorpate in un solo dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento. È il timing che attende Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, i ministri indicati dal premier Giuseppe Conte per il post-Fioramonti: la prima messa a capo del ministero della Scuola, il secondo titolare dell’Università e della Ricerca. Per l’ufficialità, tuttavia, a quanto spiegano fonti di governo, bisogna attendere almeno i primi di gennaio. Anche perché l’iter richiede più tappe.

L’ITER CHE PORTA ALL’INSEDIAMENTO DEI DUE MINISTRI

Innanzitutto è necessario un decreto legge (ipotesi altamente più probabile di un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri – Dpcm) che spacchetti le competenze assegnate all’attuale Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, che è un dicastero con portafoglio. Quindi il Consiglio dei ministri deve dare il via libera all’operazione, in modo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su indicazione del premier Giuseppe Conte, possa procedere alla nomina. Solo allora i ministri nominati potranno salire al Quirinale per il giuramento e insediarsi nei loro nuovi uffici. A quel punto i ministri del governo Conte Bis passeranno da 21 a 22.

UN ESECUTIVO COMPOSTO DA 63 PERSONE

Come precisato dallo stesso presidente del Consiglio non è prevista la nomina di nuovi sottosegretari. Che in totale, compresi i viceministri, erano 42. Con le nomine del 28 dicembre diventano 41 per il passaggio di Azzolina dalla sottosegreteria alla guida del nuovo dicastero della Scuola. In totale i componenti dell’Esecutivo sono quindi 63. Il governo Conte Uno con la maggioranza gialloverde era arrivato a 64, uno in più. I cinque premier precedenti hanno totalizzato rispettivamente: Paolo Gentiloni 60 elementi, Matteo Renzi 63, Enrico Letta 63, Mario Monti 47. Quest’ultimo, il “governo dei professori”, risulta il più magro di tutti. Il record assoluto di affollamento spetta invece al secondo governo di Romano Prodi che, insediatosi nel 2006, in due anni di durata arrivò alla cosiddetta «carica dei 102», il totale tra ministri e sottosegretari. L’Andreotti VII nel ’91 si era fermato a 101.

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La conferenza stampa di fine anno del premier Conte

Il premier incontra la stampa per il tradizionale evento organizzato dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.

Tradizionale appuntamento di fine anno con la stampa per il premier Giuseppe Conte. A Roma il presidente del Consiglio ha preso parte all’evento organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, rispondendo alle domande della platea. Conte ha tracciato un primo bilancio del suo secondo esecutivo, ribadendo l’orizzonte temporale che la maggioranza ha davanti e parlando a tal proposito di una «maratona di tre anni».

«Non solo è stata disinnescata l’Iva», ha spiegato Conte, «ma abbiamo anche iniziato a realizzare alcuni degli impegni sui quali abbiamo chiesto la fiducia del parlamento e dei cittadini. Ora abbiamo davanti a noi una maratona di tre anni, non significa che andremo a passo lento, marceremo spediti, ma questo spazio temporale ci consentirà di programmare senza l’affanno di questi mesi le nostre iniziative di governo. Vogliamo un piano ambizioso e riformatore per realizzare quelle misure che il Paese attende da anni per migliorare la qualità della vita dei cittadini».

«ABBIAMO MESSO IL PAESE IN SICUREZZA»

«In questi primi giorni del nuovo governo siamo stati costretti a correre i 100 metri, anzi una corsa a ostacoli, per mettere il Paese in sicurezza e reperire i 23 miliardi per disinnescare l’Iva», ha spiegato Conte in apertura del suo intervento. «Sono orgoglioso di avere raggiunto gli obiettivi prefissati».

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Conte a Taranto rassicura sul futuro dell’Ilva

Il premier in città fa visita all'ospedale e agli operai. E promette: «Sul piano industriale ci mettiamo la faccia, ho fiducia nel rilancio di quest'area».

La vigilia di Natale a Taranto, per assicurare l’impegno dello Stato sulla delicata questione che vede al centro lo stabilimento ArcelorMittal. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha trascorso la giornata del 24 dicembre prima in ospedale e poi con gli operai, ribadendo la ferma volontà del governo di far fronte alla vertenza.

«SUL PIANO INDUSTRIALE LO STATO CI METTE LA FACCIA»

«Stiamo lavorando al piano industriale, abbiamo ormai confermato che ci sarà il coinvolgimento dello Stato, lo Stato ci metterà la faccia», ha detto Conte. «Vogliamo migliorare questo piano, renderlo sempre meno carbonizzato, lo Stato è una garanzia per tutti». «Sono qui per portare la testimonianza dell’attenzione e della premura per questa comunità ferita», ha spiegato il premier nel corso di un punto stampa. «Quando sono venuto qui ho promesso che il sistema Italia avrebbe lavorato per alleviare le sofferenze».

«MOLTO FIDUCIOSO SUL RILANCIO DI QUESTA CITTÀ»

«Alcune misure le abbiamo approvate, altre le approveremo», ha poi proseguito Conte soffermandosi sul decreto “cantiere Taranto” che il governo è chiamato a varare nei prossimi giorni. «Nel complesso sta venendo una bella risposta che offriamo per il rilancio di questa città. Sono molto fiducioso, l’Italia è membro del G7, è impossibile che l’Italia non riesca a risollevare una città».

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Le tensioni nel governo sul salvataggio della Banca Popolare di Bari

Il giorno dopo la minaccia di rottura da parte di Italia viva, Conte prova a ricomporre il caso: «Non tuteleremo nessun banchiere». E spiega: «Faremo una sorta di Banca del Sud a partecipazione pubblica».

La tensione resta alta nella maggioranza, alle prese col salvataggio della Banca Popolare di Bari che ha innescato un’ulteriore frattura nei già fragili equilibri di governo. Il giorno dopo i toni forti utilizzati da Italia viva per stigmatizzare «il salvataggio dei banchieri» da parte di Movimento 5 stelle e Partito democratico c’è spazio per le mediazioni. E per il tentativo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte di ridimensionare una questione che rischia seriamente di mettere a repentaglio la tenuta dell’esecutivo.

«NON TUTELEREMO NESSUN BANCHIERE»

«Non tuteleremo nessun banchiere», ha detto Conte nella conferenza stampa sui primi 100 giorni di governo nella Sanità, specificando che sulla Popolare di Bari «interverremo attraverso uno strumento nella pancia di Invitalia, Mediocredito Centrale. Cerchiamo di fare di necessità virtù. Assicureremo a Mediocredito centrale le necessarie risorse per poi, con un fondo interbancario, intervenire per rilanciare la Pop Bari. Avremo una sorta di Banca del Sud degli investimenti a partecipazione pubblica». Il premier ha poi provato a smorzare le polemiche, sottolineando di aver chiarito la posizione di Italia viva sulla vicenda. «Nessuna tensione», ha detto, «abbiamo chiarito, con Marattin ci siamo anche sentiti al telefono».

«MASSIMA TUTELA PER I RISPARMIATORI»

Conte ha poi promesso la massima tutela per i risparmiatori. «Non resteremo mai indifferenti rispetto a una situazione critica di una banca, perché dietro ci sono 70 mila azionisti e tanti correntisti. C’è la massima tutela dei risparmiatori», c’è l’occasione di «approfittare per potenziare il sistema creditizio del Sud e per il rilanciare la Popolare di Bari».

SALVINI INVOCA UN COMITATO DI SICUREZZA NAZIONALE

Toni decisamente più emergenziali quelli utilizzati da Matteo Salvini. «Se vogliamo salvare l’Italia, fermiamoci e mettiamoci attorno a un tavolo con un comitato di salvezza nazionale», è stato l’appello lanciato dal leader della Lega. «Se salta la Popolare Bari, salta la Puglia e salta l’Italia. Stiamo vivendo un momento drammatico, non penso sia più il momento delle polemiche».

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Conte tra rilancio della maggioranza e agenda per il 2023

Intervistato dal Corriere il premier torna sull'agenda di governo e sulla necessità di mettere a punto un cronoprogramma. «Dobbiamo correre insieme».

«Stare appeso non è nel mio carattere e la forza ci viene dai risultati. Più che di una verifica si tratterà di un rilancio». Così il premier Conte al Corriere della sera dopo la proposta di un “cronoprogramma” di governo fino al 2023. «Il dibattito pubblico di queste settimane non ci ha fatto bene perché ha restituito l’immagine di una maggioranza in cui sono tanti i tentativi di appuntare bandierine. Dobbiamo correre insieme». «Inviterò tutti», ha spiegato, «ad abbracciare questo spirito e pretenderò da tutti un chiaro impegno».

I PROGRAMMI PER IL 2020

«Abbiamo idee e gambe», ha affermato il premier, «per portare a compimento questa stagione riformatrice. Dobbiamo lavorare per tagliare ancor più le tasse. Occorre una decisa riforma dell’Irpef e della giustizia tributaria. Dobbiamo abbreviare i tempi dei processi penali e civili. Dobbiamo rilanciare il piano degli investimenti, con razionalizzazione delle risorse pubbliche, più efficace partenariato pubblico privato, riduzione dei lacci burocratici, semplificazione del quadro normativo, sostegno alle piccole e medie imprese. E accelerare la digitalizzazione della pubblica amministrazione».

LA CACCIA ALLE RISORSE PER IL 2021

Alla domanda su quali siano le risorse (almeno 18 miliardi servono per sterilizzre l’Iva per il 2021), Conte ha poi risposto: «Sono fiducioso. Se in 100 giorni abbiamo trovato risorse per 23 miliardi ed evitato un salasso di 540 euro di tasse a famiglia, in 365 giorni riusciremo a fare molto di più». Sull’evasione il capo del governo ha detto di voler seguire le parole del presidente della Repubblica Mattarella: «Dobbiamo perseverare nella lotta all’evasione, che insieme alla fiducia dei mercati finanziari ci consentirà di recuperare maggiori risorse».

PRONTO A LAVORARE CON RENZI

«Con Luigi Di Maio», ha spiegato ancora il premier, «ci conosciamo meglio e abbiamo buoni rapporti personali. Mi interessa rilanciare il lavoro di squadra, per governare nell’interesse degli italiani». «Con Renzi», ha poi spiegato, «non ho avuto molte occasioni, ma mi farà piacere incontrarlo presto. Io non ho problemi con nessuno, il dialogo è il principio metodologico della mia azione». Per quanto riguarda il Fondo Salva-Stati, osserva: «Sul Mes non ha aiutato l’Italia l’insieme di falsità della coppia Salvini-Borghi. La Lega che ho conosciuto io aveva respinto le pulsioni antieuropeiste».

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Conte spinge per l’ingresso dello Stato nell’Ilva

Il premier: «Prevediamo anche la partecipazione di una società pubblica, per rendere il piano industriale più sostenibile». L'obiettivo è ridurre i drastici tagli alla forza lavoro chiesti da ArcelorMittal.

Il premier Giuseppe Conte crede nell’ingresso dello Stato per evitare il drastico ridimensionamento dell’Ilva, dopo che ArcelorMittal ha presentato un piano industriale con la richiesta di 4.700 esuberi entro il 2023 per tenersi gli impianti italiani.

SÌ ALL’INGRESSO DI UNA SOCIETÀ PUBBLICA

Il presidente del Consiglio, a margine di un convegno organizzato da Eni, ha detto infatti che nella trattativa con la multinazionale franco-indiana «il governo prevede anche la partecipazione di una società pubblica» per rendere «il piano industriale più sostenibile». Ovvero per evitare che la forza lavoro venga falcidiata, con costi sociali pesantissimi soprattutto nell’area di Taranto.

CONTROPROPOSTA DEL GOVERNO SUGLI ESUBERI

Il premier ha ripercorso le ultime tappe della vicenda, chiamando direttamente in causa Lakshmi Mittal: «È venuto a Palazzo Chigi e nel primo incontro c’è stata un’interruzione del dialogo, perché le posizioni dell’azienda erano inaccettabili. Nel secondo incontro lui stesso ha dichiarato che c’è stato un ottimo dialogo con il governo per l’avvio di un negoziato». Ma i 4.700 esuberi «sono già stati respinti e stiamo facendo delle controproposte».

IPOTESI SGRAVI TRIENNALI PER CHI ASSUME OPERAI IN ESUBERO

Alla vigilia dello sciopero proclamato dai sindacati, con manifestazione nazionale a Roma il 10 dicembre, anche il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha fatto cenno al possibile intervento della mano pubblica: «Lo Stato entra attraverso il ministero dell’Economia». Non è ancora chiaro, tuttavia, quale dovrebbe essere la società chiamata a farsi avanti. Quanto agli esuberi, Patuanelli ha detto che «lavoriamo perché siano il minor numero possibile, ma anche per dare altre opportunità occupazionali attraverso Fincantieri e Snam». Tra le ipotesi al vaglio un fondo da 50 milioni e incentivi rafforzati, con sgravi che arriverebbero al 100% per tre anni, per chi assume lavoratori in uscita dall’acciaieria.

L’INCHIESTA SULL’ALTOFORNO 2

Intanto, sul fronte giudiziario, è arrivato il parere favorevole dei pm di Taranto alla richiesta di proroga presentata dai commissari sull’uso dell’altoforno 2, sequestrato e dissequestrato più volte nell’inchiesta sulla morte dell’operaio Alessandro Morricella.

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Il piano di Conte: a gennaio verifica di governo, poi rilancio e investimenti

Per il premier il punto con la maggioranza si deve fare «un minuto dopo l'approvazione della legge di bilancio». Zingaretti: «Lavoriamo all'agenda per il 2020». Ma sui tempi dell'esame della finanziaria è ancora caos.

L’idea è quella di approvare la manovra e una volta superato lo scoglio ridare slancio agli investimenti e con quelli all’azione di governo. Questo il piano che il primo ministro Giuseppe Conte ha illustrato al Rome investment Forum. «Una volta che sarà approvata la manovra ci dedicheremo a progettare un futuro migliore per il mostre Paese e a mettere in campo le riforme strutturali necessarie. Una magna pars del
tavolo sarà dedicata a un programma per realizzare in modo più efficace gli investimenti. Tre le direttrici: razionalizzare le risorse pubbliche rafforzando il partenariato tra pubblico e privato, semplificare il quadro delle regole, ridurre gli oneri burocratici», ha dichiarato Conte. «Un minuto dopo l’approvazione della legge di bilancio», ha aggiunto il capo del governo, «dovrà aprirsi la verifica di governo che è “necessaria” e che dovrà indicare «un cronoprogramma fino al 2023», ha detto il presidente del Consiglio.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante il Rome Investment Forum 2019, Roma, 9 dicembre 2019. ANSA / ETTORE FERRARI

A Conte ha fatto eco il segretario del Pd, Nicola Zingaretti: «Chiudiamo bene la manovra economica. Poi, con il Presidente Conte, lavoriamo ad una nuova Agenda 2020 per riaccendere i motori dell’economia, per creare lavoro, per sostenere la rivoluzione verde, per rilanciare gli investimenti,
per semplificare lo Stato, per sostenere la rivoluzione digitale, per le infrastrutture utili, per investire su scuola, università e sapere. Alleanza vuol dire condivisione e avere a cuore gli interessi dell’Italia», ha scritto su Facebook il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

FICO: «PREOCCUPAZIONE PER I TEMPI DELLA LEGGE DI BILANCIO»

L’iter della legge di bilancio tuttavia è ancora nel caos. Il presidente della Camera Roberto Fico ha scritto una lettera alla presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati per esprimere “preoccupazione” sui tempi di esame della Manovra. Giovedì 12 dicembre alle 14 si terrà a Montecitorio una nuova riunione della conferenza dei capigruppo per riorganizzare i tempi di esame. «Non resta che fare un appello al Governo affinché la programmazione dei tempi di esame dei provvedimenti consenta al Parlamento di interpretare appieno quella centralità che gli riconosce la Costituzione, ha affermato il Presidente del Senato Elisabetta Casellati in risposta alla lettera di Fico che, sottolinea, «ha ragione nell’esprimere preoccupazione sui tempi di esame della manovra di bilancio».

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Il governo delle tasse rimangiate

Conte dopo il vertice-fiume sulla manovra: «Azzerato il prelievo sulle auto aziendali». Plastic tax ridotta a 50 centesimi al chilo e rinviata a luglio. Mentre la sugar tax partirà soltanto a ottobre. Il premier: «Nessuno dica più che siamo l'esecutivo delle imposte». Ma preoccupano i tempi contingentati in parlamento.

Azzerata la tassa sulle auto aziendali, dimezzata (50 centesimi al chilo) quella sulla plastica, che partirà dal primo luglio. Mentre la sugar tax viene rinviata a ottobre, così le imprese «avranno tutto il tempo per riformulare le loro linee produttive e rielaborare le loro strategie». Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha confermato che la maggioranza ha trovato un accordo sulla manovra. «Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse», ha scandito il presidente del Consiglio, «sarebbe una bugia inoppugnabile». Coperture alternative potrebbero arrivare da una nuova stretta sui giochi: allo studio un prelievo del 15% sulle vincite superiori a 25 euro.

AUMENTO DELL’IRES SOLO SUI CONCESSIONARI DEI TRASPORTI

Un’altra importante novità riguarda la Robin tax, ovvero l’aumento dell’Ires del 3% per le società concessionarie di servizi pubblici. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha spiegato che la platea è stata fortemente riddotta. L’aumento, infatti, «riguarderà solo i concessionari dei trasporti», ad esempio Autostrade per l’Italia, per «limitare l’impatto di questa misura sui cittadini».

IL COLLOQUIO FRA CONTE E MATTARELLA

Conte ha chiarito anche la natura del colloquio al Quirinale con il presidente Sergio Mattarella: «Era un incontro già programmato da tempo, rientra nelle mie abitudini aggiornare ogni tanto il Capo dello Stato. C’è stato anche un rapido ragguaglio sullo stato della manovra, ma nessun accenno alla tenuta della maggioranza».

IL RISCHIO DI “ESAUTORARE” LA CAMERA

Tuttavia, alle innegabili fibrillazioni interne alla compagine di governo (Italia viva ha già fatto sapere che «per noi è una priorità cancellare del tutto plastic tax e sugar tax, lavoreremo per questo nei prossimi mesi»), si somma il rischio di un esame compresso della legge di bilancio in parlamento. I tempi sono talmente stretti che le modifiche potrebbero essere concentrate tutte al Senato, mentre la Camera rischia di non toccare palla. In altre parole, Montecitorio dovrebbe limitarsi a ratificare il testo licenziato da Palazzo Madama senza intervenire, altrimenti sarebbe necessario un ulteriore passaggio al Senato per il quale non c’è più tempo.

SOLO 25 GIORNI PER EVITARE L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Le opposizioni già minacciano ricorsi alla Consulta e sul punto anche i partiti che sostengono il governo avrebbero opinioni divergenti. Di sicuro c’è che per evitare l’esercizio provvisorio ci sono solo 25 giorni, da qui al 31 dicembre. Dunque nel vertice a Palazzo Chigi, e verosimilmente anche nel colloquio fra Conte e Mattarella, si sono affrontate questioni di calendario che però non sono affatto meramente formali, visto che riguardano gli equilibri di potere fra le due Camere.

LA LEGA SUL PIEDE DI GUERRA

È possibile che gli emendamenti presentati e votati dai senatori a partire dal 7 dicembre vengano in parte condivisi con i deputati, chiamati a “travasare” le loro istanze. Ma la Lega e le altre forze di centrodestra sono pronte a dare battaglia. Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio a Montecitorio, ha dichiarato: «Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi-emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare alla Camera con la fiducia. Non ci sarebbero precedenti, e allora altro che l’intervento della Consulta dell’anno scorso…».

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Il governo delle tasse rimangiate

Conte dopo il vertice-fiume sulla manovra: «Azzerato il prelievo sulle auto aziendali». Plastic tax ridotta a 50 centesimi al chilo e rinviata a luglio. Mentre la sugar tax partirà soltanto a ottobre. Il premier: «Nessuno dica più che siamo l'esecutivo delle imposte». Ma preoccupano i tempi contingentati in parlamento.

Azzerata la tassa sulle auto aziendali, dimezzata (50 centesimi al chilo) quella sulla plastica, che partirà dal primo luglio. Mentre la sugar tax viene rinviata a ottobre, così le imprese «avranno tutto il tempo per riformulare le loro linee produttive e rielaborare le loro strategie». Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha confermato che la maggioranza ha trovato un accordo sulla manovra. «Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse», ha scandito il presidente del Consiglio, «sarebbe una bugia inoppugnabile». Coperture alternative potrebbero arrivare da una nuova stretta sui giochi: allo studio un prelievo del 15% sulle vincite superiori a 25 euro.

AUMENTO DELL’IRES SOLO SUI CONCESSIONARI DEI TRASPORTI

Un’altra importante novità riguarda la Robin tax, ovvero l’aumento dell’Ires del 3% per le società concessionarie di servizi pubblici. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha spiegato che la platea è stata fortemente riddotta. L’aumento, infatti, «riguarderà solo i concessionari dei trasporti», ad esempio Autostrade per l’Italia, per «limitare l’impatto di questa misura sui cittadini».

IL COLLOQUIO FRA CONTE E MATTARELLA

Conte ha chiarito anche la natura del colloquio al Quirinale con il presidente Sergio Mattarella: «Era un incontro già programmato da tempo, rientra nelle mie abitudini aggiornare ogni tanto il Capo dello Stato. C’è stato anche un rapido ragguaglio sullo stato della manovra, ma nessun accenno alla tenuta della maggioranza».

IL RISCHIO DI “ESAUTORARE” LA CAMERA

Tuttavia, alle innegabili fibrillazioni interne alla compagine di governo (Italia viva ha già fatto sapere che «per noi è una priorità cancellare del tutto plastic tax e sugar tax, lavoreremo per questo nei prossimi mesi»), si somma il rischio di un esame compresso della legge di bilancio in parlamento. I tempi sono talmente stretti che le modifiche potrebbero essere concentrate tutte al Senato, mentre la Camera rischia di non toccare palla. In altre parole, Montecitorio dovrebbe limitarsi a ratificare il testo licenziato da Palazzo Madama senza intervenire, altrimenti sarebbe necessario un ulteriore passaggio al Senato per il quale non c’è più tempo.

SOLO 25 GIORNI PER EVITARE L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Le opposizioni già minacciano ricorsi alla Consulta e sul punto anche i partiti che sostengono il governo avrebbero opinioni divergenti. Di sicuro c’è che per evitare l’esercizio provvisorio ci sono solo 25 giorni, da qui al 31 dicembre. Dunque nel vertice a Palazzo Chigi, e verosimilmente anche nel colloquio fra Conte e Mattarella, si sono affrontate questioni di calendario che però non sono affatto meramente formali, visto che riguardano gli equilibri di potere fra le due Camere.

LA LEGA SUL PIEDE DI GUERRA

È possibile che gli emendamenti presentati e votati dai senatori a partire dal 7 dicembre vengano in parte condivisi con i deputati, chiamati a “travasare” le loro istanze. Ma la Lega e le altre forze di centrodestra sono pronte a dare battaglia. Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio a Montecitorio, ha dichiarato: «Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi-emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare alla Camera con la fiducia. Non ci sarebbero precedenti, e allora altro che l’intervento della Consulta dell’anno scorso…».

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Conte è salito al Quirinale per un incontro con Mattarella

Il colloquio mentre è ancora in corso il vertice a Palazzo Chigi sulla manovra, durante il quale la maggioranza avrebbe trovato un accordo. Attesa in serata una conferenza stampa chiarificatrice.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è salito al Quirinale per un colloquio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’incontro – definito «interlocutorio» da fonti del Quirinale – è avvenuto mentre era in corso il vertice a Palazzo Chigi sulla manovra, non ancora concluso, durante il quale la maggioranza avrebbe trovato un’intesa per “correggere” la plastic tax e la sugar tax. Le coperture alternative arriverebbero da un’ulteriore stretta sui giochi, con un prelievo del 15% sulle vincite superiori a 25 euro. In serata, o nella notte, è attesa una conferenza stampa chiarificatrice.

LA FRAGILE TENUTA DEL GOVERNON

Non sono infatti note al momento le ragioni che hanno spinto il premier a recarsi al Colle, ma è lecito supporre che Conte abbia voluto informare preventivamente il Capo dello Stato sullo svolgimento del vertice e sui riflessi per la fragile tenuta del governo. Il 5 dicembre il leader di Italia viva, Matteo Renzi, aveva detto pubblicamente che l’esecutivo aveva «il 50% di possibilità» di restare in piedi. Ma lo scenario di una crisi, almeno per ora, dovrebbe essere scongiurato. Conte, probabilmente, ha voluto rassicurare Mattarella sotto questo profilo.

IL RISCHIO DI TEMPI CONTINGENTATI PER LA MANOVRA

Alle fibrillazioni interne alla maggioranza, tuttavia, si somma il rischio di un esame compresso della legge di bilancio in parlamento. I tempi sono tanto stretti che le modifiche saranno probabilmente concentrate tutte al Senato, mentre la Camera rischia di non toccare palla. Le opposizioni già minacciano ricorsi alla Consulta e sul punto anche i partiti che sostengono il governo avrebbero opinioni divergenti.

(notizia in aggiornamento)

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Il caso Alpa e le ombre di conflitto d’interessi su Conte

Un documento proverebbe la pregressa collaborazione tra il premier e il suo insegnante-mentore, che fu anche esaminatore al concorso per la nomina a professore associato. Palazzo Chigi smentisce. Ma non c'è chiarezza su parcelle e presunto studio legale comune. La storia.

In un Paese dai mille paradossi come l’Italia, divorato dall’evasione fiscale, può persino accadere che a creare imbarazzo al presidente del Consiglio sia una fattura. Anzi, un «progetto di parcella», come puntualizzato da Palazzo Chigi. Insomma, il documento che dimostrerebbe una pregressa collaborazione tra Giuseppe Conte, all’epoca semplice avvocato (non «degli italiani») e il professor Guido Alpa che, oltre a essere suo insegnante e mentore, fu pure il suo esaminatore al concorso all’Università Vanvitelli di Caserta per la nomina a professore associato.

CARTA INTESTATA TROVATA DA LE IENE

La Lega cerca la parcella da mesi, Le Iene sembrano essere riuscite a recuperarla e su quella carta intestata potrebbe giocarsi il futuro della legislatura. Tanto che Matteo Salvini a Stasera Italia, su Rete 4, non si è lasciato sfuggire l’occasione di infierire: «Se c’è il dubbio che il premier abbia vinto un concorso pubblico in modo non corretto è qualcosa di grave. Spero che la racconti tutta e non finisca in una bolla di sapone. In un qualunque altro Paese europeo si sarebbe già dimesso, non solo un premier ma anche un sindaco o un ministro sospettato di aver raccontato una bugia o una parziale verità». Ma andiamo con ordine.

QUESTIONE SOLLEVATA DA LA REPUBBLICA

Fu il quotidiano la Repubblica, il 5 ottobre 2018, a porre per primo la questione. «Per la nomina a professore ordinario nel 2002», riportava il giornale, «il premier venne esaminato da Guido Alpa con cui, secondo il curriculum ufficiale, condivideva uno studio legale. La replica del maestro: “Eravamo solo coinquilini“». Secondo la tesi del giornale il concorso per diventare professore ordinario vinto da Conte sarebbe stato viziato da una grave incompatibilità rintracciabile nel pregresso rapporto lavorativo tra esaminatore ed esaminato.

concorso conte alpa iene
Il documento trovato da Le Iene.

L’EX VICEPREMER SALVINI IGNORÒ LA VICENDA…

Pochi giorni dopo il Partito democratico partì all’attacco depositando in Senato una interrograzione parlamentare. «Si chiede di sapere», scrivevano i senatori dem rivolgendosi direttamente a Conte, «se non ritenga che tale vicenda esponga ulteriormente la sua carica di presidente del Consiglio dei ministri a un discredito che nuoce all’interesse generale del Paese». All’epoca Salvini non diede peso alla vicenda, del resto era vicepremier.

ALTRI TRASCORSI UNIVERSITARI IN COMUNE

In realtà quella non fu nemmeno la prima volta che Conte inciampò su una questione legata ai suoi trascorsi universitari e con Guido Alpa. Poche settimane prima, a fine settembre, venne infatti fuori che il premier, nel mese di febbraio (ben prima di ottenere l’incarico che lo portò a Palazzo Chigi) aveva presentato domanda per la cattedra di Diritto privato alla Sapienza di Roma.

QUELLA CATTEDRA LASCIATA LIBERA PROPRIO DA ALPA

Risultato idoneo assieme ad altri tre candidati, il presidente del Consiglio avrebbe dovuto sostenere un esame di inglese legale il 10 settembre. «Avremo un premier a mezzo servizio», tuonarono dal Pd ventilando ipotesi di conflitto di interessi. La notizia, riportata da Politico.eu, creò qualche imbarazzo soprattutto alla parte cinque stelle dell’esecutivo (da sempre in lotta contro la Casta, le baronie e il moltiplicarsi delle poltrone) e spinse Conte ad annunciare che non sarebbe andato a sostenere la prova «per impegni istituzionali». Il collegamento con Alpa? La cattedra lasciata libera era proprio quella del professore, andato in pensione.

concorso conte alpa iene
Il premier Giuseppe Conte intervistato da un inviato de Le Iene.

ANCHE IL SALVATAGGIO DI CARIGE IMBARAZZÒ IL GOVERNO

E ci fu almeno un terzo caso che costrinse Conte a spiegare il suo rapporto con Alpa. All’inizio del 2019 il governo fu investito della questione del salvataggio pubblico di Banca Carige, deciso nel Consiglio dei ministri nella serata del 7 gennaio 2019. Le opposizioni tornarono all’attacco con la questione di un presunto conflitto di interessi che germinava, ancora una volta, dai trascorsi tra Conte e Alpa. Il suo mentore, infatti, dal 2009 al 2013 fu membro del consiglio di amministrazione di Carige; dal dicembre 2013 al febbraio 2014 si sedette a quello di Fondazione Carige. E, ancora, da aprile 2013 a dicembre 2013 ricoprì il ruolo di presidente di Carige Assicurazioni e Carige Vita nuova, oltre a essere stato legale di uno dei soci di minoranza dell’istituto, Raffaele Mincione, che, peraltro, in passato si è avvalso anche della consulenza dello stesso Giuseppe Conte.

PAGAMENTO DI 26 MILA EURO SU UN UNICO CONTO CORRENTE

Tornando invece al presunto conflitto di interessi che rischierebbe persino di invalidare il concorso per diventare professore ordinario di Diritto privato, la nuova prova presentata dal Le Iene sarebbe una fattura congiunta con in calce le firme del premier e di Alpa. Si tratta di un documento redatto su carta intestata a entrambi, che riporta la richiesta di pagamento di 26.830,15 euro da effettuare su un unico conto corrente di una filiale di Genova di Banca Intesa, quindi cointestato.

LA PROVA DI INTERESSI PROFESSIONALI COINCIDENTI?

Si tratterebbe di quanto dovuto per i servizi professionali resi per l’assunzione, nel 2001 (un anno prima del concorso) della difesa del Garante per la privacy in una controversia legale con Rai e Agenzia delle entrate, aperta al tribunale civile di Roma. Insomma, la tesi è che quel documento proverebbe comuni interessi professionali ed economici preesistenti al concorso tra l’allora candidato Giuseppe Conte e un membro della commissione.

LE LEGHISTA BORGONZONI FECE UN’INTERROGAZIONE

Sarebbe insomma il famoso preavviso di fattura che la Lega cerca ininterrottamente da quando Salvini ha fatto cadere il governo e ha eletto come proprio bersaglio proprio Giuseppe Conte. L’8 ottobre 2019, infatti, in una interrogazione parlamentare presentata da Lucia Borgonzoni, il partito di Salvini rispolverando le questioni del Pd domandava al presidente del Consiglio se potesse «escludere l’esistenza di progetti di parcella firmati da entrambi e su carta cointestata riferiti ai patrocini prestati al Garante per la protezione dei dati personali». «In caso contrario», veniva chiesto, «come ciò possa conciliarsi con la più volte ribadita autonomia e se reputi opportuno che un presidente del Consiglio dei ministri, nell’escludere un conflitto, ricostruisca i fatti omettendo di esplicitare elementi decisivi».

LETTERA D’INCARICO INVIATA A UN SOLO INDIRIZZO

Secondo gli autori del servizio, quel documento venuto infine alla luce – unito alla lettera d’incarico del Garante per la privacy rivolta a entrambi – proverebbe appunto ciò che sostenne a suo tempo la Repubblica. «Conte», hanno scritto Le Iene, «ha sempre negato la comunanza di interessi economici con Alpa, nonostante nel suo curriculum vitae lui stesso avesse scritto: “Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, diritto societario e fallimentare”». Poi hanno sottolineato: «La lettera ha un unico numero di protocollo, è inviata a un unico studio legale, presso un unico indirizzo: al prof. Guido Alpa e al prof Avv. Giuseppe Conte, Via Sardegna 38, Roma».

SOLO COINQUILINI? O CONTE ERA OSPITE?

Quindi non lo studio su due piani di via Cairoli già oggetto della replica che il presidente del Consiglio indirizzò a la Repubblica l’8 ottobre 2018. «Io e il prof. Alpa», si giustificò il premier, «non abbiamo mai avuto uno studio professionale associato né mai abbiamo costituito un’associazione tra professionisti. Sarebbe bastato ai giornalisti chiedere in giro». Il premier anche su Facebook scrisse che «Alpa, all’epoca dei fatti, aveva sì uno studio associato, ma a Genova. Mentre a Roma siamo stati “coinquilini” utilizzando una segreteria comune». Ora «il documento», secondo Le Iene, «conferma un’altra circostanza, su cui Guido Alpa e Giuseppe Conte non avrebbero detto la verità». E cioè che «prima del concorso universitario, come ha riferito Alpa, Conte era ospite in via Sardegna e non come aveva detto il premier con un contratto d’affitto separato per il suo studio al piano di sopra di quello di Alpa, in piazza Cairoli, dove si trasferirà alcuni anni dopo».

PALAZZO CHIGI RIDIMENSIONA I CASI FATTURA E CONCORSO

Conte, da parte sua, ha smentito ancora una volta ogni accusa. A iniziare dal fatto che quel documento non costituirebbe fattura, ma un «progetto di parcella» e non esisterebbero parcelle congiunte. Non solo, a quel preavviso sarebbe seguita un’unica fattura, di Alpa. Conte non avrebbe chiesto alcunché al cliente in quanto «il suo apporto all’istruzione e alla conduzione della causa sarebbe stato assolutamente marginale rispetto a quello del professor Alpa». Mentre, sul concorso, ha ribadito: «Era un concorso per titoli, vuol dire che si mandano le pubblicazioni e vengono valutate», sottolineando di averlo «superato con l’unanimità della commissione, Alpa era uno dei cinque commissari».

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Dal 5G alla Libia: le spine di Conte al vertice Nato

Bilaterale con Trump, che annuncia il passo indietro dell'Italia sulla rete di quinta generazione. Il premier smentisce: «Non ne abbiamo parlato». Sul tavolo anche il ruolo di Washington a Tripoli.

Difesa del ruolo della Nato, Mes, dossier libico, ma soprattutto il 5G. Sono questi i temi al centro del vertice dell’Alleanza Atlantica nelle parole del premier Giuseppe Conte. Il capo del governo, arrivato nella mattina del 4 dicembre al summit Nato di Watford, nel Nord di Londra, e subito incalzato dai giornalisti sul dibattito relativo all’importanza dell’Alleanza nel contesto globale di oggi e di domani, ha risposto: «La Nato è e rimane un punto di riferimento sia per la dimensione militare che per quella politica. Certo che ha un futuro». Il premier ha avuto un bilaterale con il primo ministro britannico Boris Johnson e uno con il presidente Usa Donald Trump, all’indomani della minaccia del tycoon di imporre nuovi dazi contro la digital tax.

IL BOTTA E RISPOSTA SUL 5G CON TRUMP

E proprio con Trump è andato un scena un botta e risposta a distanza sulla scottante questione del 5G. Il presidente l’ha definito un «pericolo per la sicurezza», affermando che vari Paesi, tra cui l’Italia, non andranno avanti nel progetto di implementazione della tecnologia d’intesa col colosso cinese Huawei. «Ho parlato all’Italia e sembra che non procederanno», ha detto Trump. «Ho parlato con altri Paesi, non procederanno. Tutti quelli con cui ho parlato non andranno avanti». Immediata è arrivata la smentita del premier Conte: «Non abbiamo trattato questo tema», ha tagliato corto. Tema che è «rimesso alle prescrizioni del nostro ordinamento giuridico. Sul 5G l’Italia si è dotata di struttura normativa particolarmente avanzata» con la golden power, unica in Europa, «ed è quella che governa le nostre azioni», ha spiegato Conte.

LA POLITICA USA IN LIBIA

Sul Mes che tanti problemi sta creando in seno alla sua maggioranza, Conte ha poi detto: «C’è una logica di pacchetto, rimaniamo vincolati a questa prospettiva. Con gli altri leader europei abbiamo parlato di molte cose, e senza entrare nei dettagli, posso dire che quando c’è da difendere gli interessi dell’Italia non mi distraggo mai. Se vedo il rischio di dover mettere un veto in Ue o di una spaccatura nella maggioranza? Non vedo né il primo né il secondo rischio. Quando il Mes sarà firmato decideranno i responsabili politici dei singoli Paesi, ci sono tempi e modi che decideremo in seguito». Conte ha poi parlato del minisummit a quattro che si è tenuto il 3 dicembre: «Era un vertice sulla Siria che nasceva con un altro formato, nessuno parlerebbe di Libia senza coinvolgere l’Italia». Sul dossier libico a preoccupare Conte è l’imprevedibilità di Trump, ondivago nel suo sostegno al governo riconosciuto di Fayez al-Serraj e al generale Khalifa Haftar.

Gli Usa in Libia possono e devono avere un ruolo fondamentale

Giuseppe Conte

«Sicuramente gli Usa hanno un ruolo fondamentale nel Mediterraneo allargato e, anche per la Libia, possono e debbono avere un ruolo fondamentale, noi li abbiamo sempre coinvolti in questi dossier», ha detto Conte. «Prescindere da loro per cercare di indirizzare alla soluzione politica il conflitto libico sarebbe impensabile».

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Da Conte arriva un’apertura al rinvio del Mes

Il premier parla a margine del vertice Nato e spiega: «Non firmo cambiali in bianco, ma basta propaganda». Di Maio: «Nessuna crisi di governo».

Non esclude un rinvio, o un accorgimento per far coincidere l’entrata in vigore del Mes con altre riforme, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che parla a diversi quotidiani a Londra, a margine del summit Nato. Al Corriere della Sera il premier spiega che «ci stiamo muovendo in una logica di pacchetto», che significa che «il progetto comprende unione bancaria e monetaria: è giusto che l’Italia si esprima solo quando avrà una valutazione complessiva su dove si sta andando, io ancora non ho firmato nulla, tanto meno una cambiale in bianco. Già domani si entrerà nel vivo sul dossier dell’unione bancaria, io non ho nessuna intenzione di firmare in bianco».

«NIENTE RICATTI NÉ FIGURACCE»

Nessuna figuraccia per l’Italia, aggiunge Conte: «Nemmeno per sogno, ci sono 19 Paesi che stanno scrivendo una riforma, c’è una sintesi nazionale da fare e poi una europea» e «non è un ricatto», «state sicuri che non ci faremo fregare». Non esclude un rinvio sul Mes, ma osserva: «Abbiamo evitato già tante insidie, io non ho abbracciato in parlamento fideisticamente il Mes», ma bisogna evitare «la fanfara propagandistica che fa salire lo spread». Conte parla anche a Fatto Quotidiano e Stampa, e a proposito del post di Di Maio che rivendica per il M5s il ruolo di ago della bilancia, sottolinea che «la volontà del Movimento 5 stelle sarà assolutamente determinante», ma «come presidente del Consiglio aggiungo che anche le altre forze politiche di maggioranza possono dire che senza i loro voti non si fa nulla».

DI MAIO: «MAI PARLATO DI CRISI DI GOVERNO»

Lo stesso Di Maio che di lì a poco ha chiarito: «Non ho mai parlato di crisi di governo, semplicemente chiediamo un rinvio per migliorare questo meccanismo. La cosa incredibile è che noi assistiamo a una Lega che attacca su questo fondo quando tutto questo è patito dal governo Berlusconi-Lega, alla faccia dei sovranisti»

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Di Maio fa il pompiere sul Mes

Il leader del M5s dopo il gelo con il premier: «Ho sentito Conte e siamo in piena sintonia». Ma l'asse con Di Battista preoccupa il Pd. Occhi puntati sul ministro Gualtieri, che all'Eurogruppo tratterà modifiche alla riforma del fondo salva-Stati.

Negoziare all’Eurogruppo e con i leader europei, ottenere almeno un rinvio della firma del Meccanismo europeo di stabilità.

Per raffreddare gli animi in Senato ed evitare che l’11 dicembre una spaccatura della maggioranza apra una crisi politica. Il rischio c’è, affermano dal Pd, anche perché il gruppo M5s è spaccato e imprevedibile. In più, preoccupa l’asse di Luigi Di Maio con Alessandro Di Battista contro la riforma del fondo salva-Stati: «Il M5s è l’ago della bilancia, decidiamo noi».

Il ministro degli Esteri invia un segnale distensivo: «Conte l’ho sentito due ore fa e siamo in piena sintonia, sia sul Mes sia sul tema della prescrizione», ha detto a Di Martedì su La7. Ma i dem non si fidano e le fibrillazioni preoccupano anche Italia viva.

LEGGI ANCHE: Cos’è il Mes e perché Salvini e Meloni attaccano il governo

Nelle prossime ore gli occhi saranno tutti puntati sul ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che all’Eurogruppo tratterà con gli alleati europei sul Mes. In discussione non c’è l’impianto del Meccanismo, ma regolamenti secondari ancora oggetto di negoziato. In più, in una “logica di pacchetto”, si avvierà la trattativa sull’Unione bancaria, che è ancora a una prima stesura: il ministro, come più volte affermato, dirà che l’Italia si oppone al meccanismo – sostenuto dalla Germania ma per noi svantaggioso – che punta a ponderare i titoli di Stato detenuti dalle banche sulla base del rating dei singoli Paesi.

LA FIRMA DEL MES NON PRIMA DI FEBBRAIO

Anche Conte, nei suoi colloqui a margine del vertice Nato di Londra, discuterà del “pacchetto” europeo con gli altri leader, a partire da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Ma è il fattore tempo quello su cui il governo spera di far leva, nell’immediato. La firma del Mes, anche per ragioni tecniche, non dovrebbe arrivare prima di febbraio. Da quel momento i singoli Paesi dovranno ratificare il trattato. La speranza è che i dubbi emersi anche in Francia e fattori come la crisi di governo a Malta possano spingere la lancetta un po’ più in là.

LA DIFFICILE RICERCA DI UN’INTESA IN PARLAMENTO

Negoziazioni nell’ambito del “pacchetto” Ue e rinvii saranno la leva sulla quale si cercherà di plasmare un’intesa di maggioranza sulla risoluzione che dovrà essere votata l’11 dicembre in Parlamento, alla vigilia della partecipazione di Conte al Consiglio europeo. «Sono legittime diverse sensibilità», dichiara il premier cercando di placare gli animi e assicurando che «l’ultima parola spetta al Parlamento» e che «lavoriamo per rendere questo progetto utile agli interessi dell’Italia».

BASTA UNA MANCIATA DI VOTI PER METTERE IN CRISI IL GOVERNO

Da Bruxelles, però, Matteo Salvini incalza e rilancia Mario Draghi come candidato al Colle: «Il trattato non è emendabile, bisogna bloccarlo. Conte ha lo sguardo di chi ha paura e scappa». Lega e Fratelli d’Italia non faranno sconti in Aula. Ed è in Aula che può scoppiare l’incidente. Perché, spiegano fonti dem dal Senato, è impossibile prevedere i comportamenti dei senatori M5s (Paragone e Giarrusso già si sono smarcati). I “contiani” lavorano a un’intesa, ma basta una manciata di voti a far andare in minoranza il governo. Di qui il pressing su Di Maio perché lavori per compattare le truppe su una posizione unica e chiara in asse con il governo. Il M5s sta lavorando a una risoluzione di maggioranza, a partire dalle proprie posizioni. Ma i dem non sono disposti a cedere. Per chiudere, servirà probabilmente un nuovo vertice di maggioranza. Ma, come emerge da un incontro di Italia viva con Conte, i punti di divergenza sono tanti e il clima sempre più agitato.

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Gli aggiornamenti sul dibattito del Mes del 1 dicembre

Salvini attacca ancora il premier: «Se passa danno grave per l'Italia». Ma Martina chiede a Di Maio di non dare altra benzina al leader del Carroccio per appiccare nuovi incendi.

Continua a tenere banco, tanto nella maggioranza quanto nell’opposizione, la questione sul Mes. Ecco che anche domenica 1 dicembre i leader dei principali partiti sono tornati a parlare sul Meccanismo europeo di stabilità. Come sempre il più agguerrito è stato Matteo Salvini. Ma non sono mancate nemmeno le dichiarazioni di Giorgia Meloni e Maurizio Martina.

COSA HA DETTO SALVINI SUL MES

«Domani sarò a Roma da italiano, curioso di sentire se il presidente del Consiglio ha capito quello che faceva e ha tradito. Oppure molto semplicemente non ha capito quello che stava facendo, perché tutto è possibile», ha detto Salvini a margine dell’incontro elettorale a favore di Lucia Borgonzoni in riferimento all’informativa sul Mes del premier Conte di lunedì 2 dicembre alle Camere. «E poi martedì sarò a Bruxelles perché non voglio che l’Italia sia rappresentata da qualcuno che cede nella battaglia ancora prima di cominciarla», ha aggiunto. Il leader del Carroccio ha anche detto che l’approvazione del Meccanismo europeo di stabilità «sarebbe un danno enorme per l’Italia e gli italiani».

MELONI AUSPICA LA CADUTA DEL GOVERNO

Anche Giorgia Meloni si è omologata al pensiero salviniano. Questa volta cambiando destinatario e passando da Conte a Di Maio. «Credo che dovrebbe cadere il governo sul Mes. Nel senso che se Di Maio ha un briciolo di dignità questo è il momento in cui lo deve dimostrare. Basta proclami, Luigi Di Maio. I numeri in Parlamento ce li hai tu», ha detto a margine dell’evento organizzato dal gruppo al Senato di FdI al teatro EuropAuditorium di Bologna. «Se non vuoi che il Mes venga sottoscritto devi dire che ritiri il sostegno del Movimento 5 stelle dal Governo nel caso passi. Basta fare i pagliacci e fare finta di dire una cosa per poi farne un’altra», ha aggiunto.

MARTINA GETTA ACQUA SUL FUOCO

«Io mi auguro che Di Maio non voglia dare altra benzina a Salvini per appiccare fuochi pericolosi per l’Italia. Salvini è un esperto di questa logica folle, Di Maio eviti di dargli una mano perché in gioco c’è la forza del nostro
Paese non il destino di una persona sola», ha invece detto Maurizio
Martina
ai microfoni di Sky Tg24.

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La strategia di Conte contro Salvini sul Mes

Ricompattare la maggioranza sul sì al negoziato europeo. Dimostrare che il leader della Lega era informato delle trattative da mesi. E giocare di sponda con il Quirinale. Così il premier pianificare di salvare il governo dalla polemica sul fondo Salva Stati.

Sbugiardare l’avversario numero uno del governo giallorosso, Matteo Salvini. L’obiettivo di Giuseppe Conte, a mesi di distanza dalla fine del suo esecutivo, resta lo stesso, ma cambiano i contenuti della sfida. Se a Montecitorio mesi fa, il confronto con Salvini era sul governo insieme, oggi è sul fondo Salva Stati. Conte prepara la sua nuova controffensiva anti-Lega. Una controffensiva che porta con sé una strategia parallela: spingere la maggioranza a dare un placet in gran parte condiviso a quel Meccanismo economico di Stabilità dal quale l’Italia, di fatto, non può sfilarsi. Ed è una strategia nella quale Palazzo Chigi sembra trovare una sponda al Quirinale.

LA SPONDA DEL QUIRINALE PER IL PREMIER

Al Colle regna il silenzio rispetto agli appelli e agli attacchi di Salvini. Il presidente Sergio Mattarella e Conte, sul Mes, si sono sentiti nei giorni scorsi. Ed è una vicenda spinosa, quella del fondo Salva-Stati, che mette in gioco i rapporti tra l’Italia e i grandi d‘Europa. E che rischia di porre il Paese in una posizione di svantaggio sul terzo e delicato pilastro delle riforme dell’eurozona: l’Unione bancaria. Su quest’ultimo punto l’Italia deve far fronte alla proposta Scholz, ministro delle Finanze tedesco, che contiene una trappola per Paesi con alto debito e spread elevati come il nostro: non rendere più “a rischio zero” l’acquisto di titoli di Stato da parte delle banche. Per questo, a Palazzo Chigi si muovono su un doppio binario: quello del prudente negoziato nella Ue e quello della ferma risposta agli attacchi di Salvini. Attacchi sui quali Conte trova l’implicita sponda del Colle. Mattarella non considera quella lanciata da Salvini una chiamata in causa a cui sente il dovere di rispondere. Tanto che, al Quirinale, in queste ore si ricorda come il capo dello Stato, in passato, non abbia ricevuto gruppi parlamentari o partiti che intendevano criticare i lavori delle Camere. L’argomento Mes, insomma, investe il governo e il Parlamento nelle loro rispettive prerogative.

IL SÌ DELL’EUROZONA PREVISTO PER FEBBRAIO

È proprio su questo punto, da qui a lunedì prossimo, che lavorerà Conte. Documentando come del Mes si sia già ampiamente parlato nei Consigli dei ministri e anche nelle commissioni parlamentari all’epoca gialloverde. E con il sostanziale, sebbene silenzioso, placet dell’allora ministro dell’Interno. Una volta chiariti agli italiani gli elementi del negoziato Conte, a metà dicembre, non si sottrarrà nel toccare l’argomento al Consiglio Ue. Ma è difficile che il sì dei governi dell’eurozona arrivi per dicembre: nella maggioranza si prevede che sia febbraio il mese in cui l’eurosummit dia il suo ok definitivo. Ben diverso l’approccio del premier con Luigi Di Maio. Il leader del M5S sulle sue critiche al Mes, ha ricompattato i gruppi trovando d’accordo, alla congiunta, persino “big” dell’ala ortodossa come Giuseppe Brescia. Ma, si sottolinea nel Movimento, l’approccio di Di Maio è meno urlato e “non è contro qualcuno”. In queste ore i contatti con Conte sono frequenti e a lui Di Maio ha chiesto di sfruttare ogni margine per migliorare il trattato. Ed è un punto che trova il premier d’accordo.

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La strategia di Conte contro Salvini sul Mes

Ricompattare la maggioranza sul sì al negoziato europeo. Dimostrare che il leader della Lega era informato delle trattative da mesi. E giocare di sponda con il Quirinale. Così il premier pianificare di salvare il governo dalla polemica sul fondo Salva Stati.

Sbugiardare l’avversario numero uno del governo giallorosso, Matteo Salvini. L’obiettivo di Giuseppe Conte, a mesi di distanza dalla fine del suo esecutivo, resta lo stesso, ma cambiano i contenuti della sfida. Se a Montecitorio mesi fa, il confronto con Salvini era sul governo insieme, oggi è sul fondo Salva Stati. Conte prepara la sua nuova controffensiva anti-Lega. Una controffensiva che porta con sé una strategia parallela: spingere la maggioranza a dare un placet in gran parte condiviso a quel Meccanismo economico di Stabilità dal quale l’Italia, di fatto, non può sfilarsi. Ed è una strategia nella quale Palazzo Chigi sembra trovare una sponda al Quirinale.

LA SPONDA DEL QUIRINALE PER IL PREMIER

Al Colle regna il silenzio rispetto agli appelli e agli attacchi di Salvini. Il presidente Sergio Mattarella e Conte, sul Mes, si sono sentiti nei giorni scorsi. Ed è una vicenda spinosa, quella del fondo Salva-Stati, che mette in gioco i rapporti tra l’Italia e i grandi d‘Europa. E che rischia di porre il Paese in una posizione di svantaggio sul terzo e delicato pilastro delle riforme dell’eurozona: l’Unione bancaria. Su quest’ultimo punto l’Italia deve far fronte alla proposta Scholz, ministro delle Finanze tedesco, che contiene una trappola per Paesi con alto debito e spread elevati come il nostro: non rendere più “a rischio zero” l’acquisto di titoli di Stato da parte delle banche. Per questo, a Palazzo Chigi si muovono su un doppio binario: quello del prudente negoziato nella Ue e quello della ferma risposta agli attacchi di Salvini. Attacchi sui quali Conte trova l’implicita sponda del Colle. Mattarella non considera quella lanciata da Salvini una chiamata in causa a cui sente il dovere di rispondere. Tanto che, al Quirinale, in queste ore si ricorda come il capo dello Stato, in passato, non abbia ricevuto gruppi parlamentari o partiti che intendevano criticare i lavori delle Camere. L’argomento Mes, insomma, investe il governo e il Parlamento nelle loro rispettive prerogative.

IL SÌ DELL’EUROZONA PREVISTO PER FEBBRAIO

È proprio su questo punto, da qui a lunedì prossimo, che lavorerà Conte. Documentando come del Mes si sia già ampiamente parlato nei Consigli dei ministri e anche nelle commissioni parlamentari all’epoca gialloverde. E con il sostanziale, sebbene silenzioso, placet dell’allora ministro dell’Interno. Una volta chiariti agli italiani gli elementi del negoziato Conte, a metà dicembre, non si sottrarrà nel toccare l’argomento al Consiglio Ue. Ma è difficile che il sì dei governi dell’eurozona arrivi per dicembre: nella maggioranza si prevede che sia febbraio il mese in cui l’eurosummit dia il suo ok definitivo. Ben diverso l’approccio del premier con Luigi Di Maio. Il leader del M5S sulle sue critiche al Mes, ha ricompattato i gruppi trovando d’accordo, alla congiunta, persino “big” dell’ala ortodossa come Giuseppe Brescia. Ma, si sottolinea nel Movimento, l’approccio di Di Maio è meno urlato e “non è contro qualcuno”. In queste ore i contatti con Conte sono frequenti e a lui Di Maio ha chiesto di sfruttare ogni margine per migliorare il trattato. Ed è un punto che trova il premier d’accordo.

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Tra Salvini e Conte è duello a suon di minacce giudiziarie sul Mes

Il leader della Lega dice che vuolei presentare un esposto sul fondo Salva Stati contro il premier. Che replica: «Vada in procura, lo querelerò». E promette battaglia per l'audizione in parlamento: «Spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni».

Nuovo duello, vecchi contendenti. Ma questa volta il tema è il Mes e le armi rischiano di essere giudiziarie. Il premier Giuseppe Conte promette battaglia, anzi una sostanziala resa dei conti sul fondo Salva Stati. Di fronte alle minacce di un epsosto da parte del leader della Lega Matteo Salvini, il presidente del Consiglio ha dichiarato: «Il primo momento utile è lunedì, come sempre sarò in Parlamento, in modo trasparente, a riferire tutte le circostanze. Chi oggi si sbraccia a minacciare, io dico: Salvini vada in procura a fare l’esposto, e io querelerò per calunnia».

L’intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte all’Università del Ghana, Accra, 28 novembre 2019. ANSA/ FILIPPO ATTILI UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Parlando al Parlamento lunedì «spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni», ha detto Conte incontrando i cronisti dopo il suo intervento all’università del Ghana, interpellato sulla vicenda del fondo Salva-stati. «Vorrei chiarire agli italiani che io non ho l’immunità, lui sì, e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Veda questa volta, perché io lo querelerò per calunnia di non approfittarne più», ha concluso.

Il leader della Lega Matteo Salvini durante la conferenza stampa alla Camera, Roma, 20 novembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Tra Salvini e Conte è duello a suon di minacce giudiziarie sul Mes

Il leader della Lega dice che vuolei presentare un esposto sul fondo Salva Stati contro il premier. Che replica: «Vada in procura, lo querelerò». E promette battaglia per l'audizione in parlamento: «Spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni».

Nuovo duello, vecchi contendenti. Ma questa volta il tema è il Mes e le armi rischiano di essere giudiziarie. Il premier Giuseppe Conte promette battaglia, anzi una sostanziala resa dei conti sul fondo Salva Stati. Di fronte alle minacce di un epsosto da parte del leader della Lega Matteo Salvini, il presidente del Consiglio ha dichiarato: «Il primo momento utile è lunedì, come sempre sarò in Parlamento, in modo trasparente, a riferire tutte le circostanze. Chi oggi si sbraccia a minacciare, io dico: Salvini vada in procura a fare l’esposto, e io querelerò per calunnia».

L’intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte all’Università del Ghana, Accra, 28 novembre 2019. ANSA/ FILIPPO ATTILI UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Parlando al Parlamento lunedì «spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni», ha detto Conte incontrando i cronisti dopo il suo intervento all’università del Ghana, interpellato sulla vicenda del fondo Salva-stati. «Vorrei chiarire agli italiani che io non ho l’immunità, lui sì, e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Veda questa volta, perché io lo querelerò per calunnia di non approfittarne più», ha concluso.

Il leader della Lega Matteo Salvini durante la conferenza stampa alla Camera, Roma, 20 novembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Il leader della Lega Matteo Salvini durante la conferenza stampa alla Camera, Roma, 20 novembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Nuovo duello, vecchi contendenti. Ma questa volta il tema è il Mes e le armi rischiano di essere giudiziarie. Il premier Giuseppe Conte promette battaglia, anzi una sostanziala resa dei conti sul fondo Salva Stati. Di fronte alle minacce di un epsosto da parte del leader della Lega Matteo Salvini, il presidente del Consiglio ha dichiarato: «Il primo momento utile è lunedì, come sempre sarò in Parlamento, in modo trasparente, a riferire tutte le circostanze. Chi oggi si sbraccia a minacciare, io dico: Salvini vada in procura a fare l’esposto, e io querelerò per calunnia».

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Il leader della Lega Matteo Salvini durante la conferenza stampa alla Camera, Roma, 20 novembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Ilva, manovra, riforma del Mes: gli ostacoli del governo per arrivare a fine 2019

Da qui alla fine dell'anno il governo Conte bis rischia di inciampare. Tutti i fronti caldi che possono spaccare la maggioranza entro la fine dell'anno.

Aumentano gli ostacoli sul cammino del governo Conte bis. Tanto che potrebbe rivelarsi persino ottimistica la previsione che fissa la scadenza della maggioranza M5s-Pd-Italia viva-Leu al prossimo 26 gennaio, giorno delle Regionali emiliano-romagnole. Una sconfitta in casa potrebbe infatti convincere i democratici a strappare l’alleanza, soprattutto considerato che Matteo Renzi sembra voler trascinare l’esperienza governativa al solo scopo di logorarli. Ma da qui alla fine di gennaio c’è comunque ancora da portare a casa la legge di Bilancio, discutere sulla riforma della giustizia e sullo Ius soli, senza dimenticare la necessità di trovare un accordo sulle sorti dell’Ilva. L’inciampo, insomma, rischia di essere dietro l’angolo. Ecco una veloce rassegna delle prove che l’esecutivo dovrà affrontare nei prossimi giorni.

IUS SOLI E IUS CULTURAE: LA BATTAGLIA DEL PD

La prima fibrillazione potrebbe arrivare dalla decisione del Pd di provare a portare a compimento l’introduzione nel nostro ordinamento dello Ius soli. Nicola Zingaretti ne ha bisogno per far ritrovare al partito una propria identità di sinistra. L’alleato pentastellato teme invece di perdere altro consenso tra gli elettori. «Col maltempo che flagella l’Italia, il futuro di 11 mila lavoratori a Taranto in discussione, qui si parla di ius soli: sono sconcertato», ha sibilato Luigi Di Maio. Non è la prima volta che questo tema mette in difficoltà un esecutivo. Accadde anche tra il 2015 e il 2017, quando il partito di Angelino Alfano congelò l’azione del governo Renzi prima e Gentiloni poi. La riforma, auspicata da Leu, dovrebbe essere sostenuta anche dai renziani.

L’intervento del segretario nazionale del Partito democratico Nicola Zingaretti alla convention del Pd a Bologna il 17 novembre.

BARUFFA SU QUOTA 100

C’è un altro tema che potrebbe registrare una inedita convergenza tra Partito democratico e Italia viva: l’abrogazione di Quota 100, che è per sua stessa natura destinata comunque a sparire, quindi bisognerà vedere come intendano concretamente anticiparne la chiusura. Eppure, sulla fine della riforma leghista il governo giallorosso discute da quando è nato. In ottobre, i malumori interni alla maggioranza (in quell’occasione la partita si giocò tra renziani e grillini, con i democratici alla finestra) fecero persino slittare alle ultime ore disponibili il Consiglio dei ministri per sciogliere i nodi sul documento programmatico di bilancio da inviare improrogabilmente alla Commissione europea. Ora il tema sembra essere cavalcato con prepotenza anche da Zingaretti, cui Di Maio ha già replicato in modo stizzito: «Qui siamo all’assurdo che si vuole fare lo Ius soli da una parte e togliere Quota 100 dall’altra per ritornare alla legge Fornero. Mi sembra un po’ eccessivo».

Matteo Renzi, leader di Italia Viva.

LA GRANDE BATTAGLIA SULLA LEGGE DI BILANCIO

L’ultima batosta elettorale subita dalle forze di maggioranza alle Regionali umbre di fine ottobre sembra averle spronate ad avanzare proposte dal forte sapore propagandistico in sede di legge di Bilancio. E così una manovra quasi integralmente dedicata al reperimento di risorse per il disinnesco delle clausole Iva rischia ora di tramutarsi in tutt’altro, se si considera la gragnuolata di 4.550 emendamenti presentati in commissione Bilancio al Senato. Di questi, 921 sono piovuti dal Partito democratico, 435 portano la firma di Movimento 5 stelle e 230 sono stati presentati dai renziani, segno che nei prossimi giorni si giocherà una intensa battaglia muscolare. Tra i punti di maggior frizione, la richiesta del Pd di abbassare la plastic tax voluta dai pentastellati da 1 euro a 80 centesimi al chilo mentre potrebbe essere più facile una intesa sulle tasse sulle auto aziendali inquinanti, oggetto di emendamenti firmati tanto dai dem quanto dai grillini. Su questo fronte, sarà Italia viva la più difficile da accontentare, dato che i renziani si trincerano dietro la volontà di espungere dalla manovra tutte le “micro-tasse” e non sembrano disponibili a trattare.

Matteo Salvini (Foto LaPresse/Filippo Rubin).

L’INCOGNITA SULL’ABOLIZIONE DEI DECRETI SALVINI

Sembra che il “nuovo” Pd che Zingaretti sta provando a tratteggiare sia intenzionato a chiedere agli alleati di governo un altro coraggioso passo avanti per rimarcare le differenze rispetto all’era gialloverde: l’abolizione dei decreti Salvini. «Creano discriminazioni e insicurezza», ha detto il segretario dem da Bologna. Ma quei decreti, nonostante se li fosse intestati il leader della Lega, portano anche le firme di Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio, immortalati sorridenti accanto all’allora ministro dell’Interno al momento del varo. Difficile per loro rimangiarsi l‘intero testo, più facile che si vada verso un ammorbidimento per cercare una quadra. Anche in questo caso, si avrebbe una convergenza tra Pd, Italia viva e Leu e una contrapposizione comune con M5s.

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

LA RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE

Nubi oscure si addensano anche sulla riforma della prescrizione voluta dai 5 stelle contenuta nella Spazzacorrotti. I pentastellati, che un anno fa riuscirono a convincere la Lega a sostenerla, la consideravano ormai portata a casa. Invece il Pd sembra tentato di ridiscuterne i contorni approfittando del nuovo testo di riforma della giustizia su cui il governo sta lavorando. Secondo le nuove norme, dal primo gennaio 2020 le lancette dell’orologio della prescrizione si congeleranno dopo la sentenza di primo grado. «Il cittadino resterà dunque in balia della giustizia penale per un tempo indefinito, cioè fino a quando lo Stato non sarà in grado di celebrare definitivamente il processo che lo riguarda», ha già denunciato l’Unione delle Camere penali.

LO SCUDO DELL’ILVA SPACCA I 5 STELLE

Finora non sono serviti gli appelli all’unità che il presidente del Consiglio Conte ha rivolto ai sostenitori della maggioranza. I giallorossi rischiano infatti di arrivare al tavolo con l’Ilva separati e litigiosi. Il punto del contendere è sempre lo stesso: il ripristino dello scudo penale, che Pd e Italia viva sarebbero disponibili a concedere ad ArcelorMittal per toglierle facili pretesti. Anche Di Maio sembra possibilista, ma teme di spaccare il partito, già incrinato da tutte le batoste elettorali subite nell’arco del 2019, e non sembra avere la forza per opporsi all’irremovibilità della fronda pugliese capitanata da Barbara Lezzi.

manovra conte di maio evasione fiscale
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

LE TRIBOLAZIONI SULLA RIFORMA DEL MES

Studiato nel 2012 per sostituire e unire due istituti analoghi (il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria), il Mes (o Esm secondo l’acronimo inglese) è il Fondo salva-Stati che l’Unione europea riserva ai Paesi membri in difficoltà in cambio di riforme strutturali imposte dalla Commissione. Ora Bruxelles ha stabilito di riformarlo, decisione che sta causando l’insonnia del governo. Secondo le nuove condizioni d’accesso (non essere in procedura d’infrazione, avere da almeno un biennio un deficit sotto il 3% e un debito pubblico sotto al 60%), l’Italia verrebbe automaticamente esclusa dal programma di aiuti e, per potervi accedere, dovrebbe accettare, spalle al muro, una pesante ristrutturazione del debito con un cronoprogramma scritto a Bruxelles che rischia di essere lacrime e sangue. I sovranisti sono già all’attacco e sostengono persino che Conte abbia firmato «l’eurofollia» (credit di Giorgia Meloni) di nascosto.

LEGGI ANCHE: Perché per uscire dalla spirale dei rendimenti negativi serve un’unione bancaria

In realtà, l’iter per una eventuale ratifica non è nemmeno stato avviato, ma bisognerà vedere come intende procedere l’esecutivo e se si apriranno crepe anche su un fronte che rappresenta per Salvini e Meloni una ghiotta opportunità di muovere guerra ai giallorossi. Il leader della Lega è partito all’attacco: «Conte subito in parlamento a dire la verità, il sì alla modifica del Mes sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della sovranità nazionale».

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Giuseppe Conte ha detto che non ci sarà la crisi di governo

Ma, avverte, basta litigi. «Con il nuovo anno dovremo realizzare un cronoprogramma con le riforme che l’Italia attende da anni». E sull'ex Ilva dice: «Mittal è disponibile a tornare sui suoi passi».

Baste con le liti. Non ci sarà la crisi di governo, anzi occorrerà accelerarne l’azione con «una lista di priorità utili a rilanciare il Paese». A parlare è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che, intervistato da Repubblica in apertura domenica mattina, ha richiamato gli alleati alla «concentrazione» sui nodi più importanti, tra i quali l’ex Ilva, su cui vede possibile una soluzione: «Mittal è disponibile a tornare sui suoi passi». «Con il nuovo anno dovremo realizzare un cronoprogramma con le riforme che l’Italia attende da anni», tra cui anche la revisione del sistema fiscale e in particolare l’Irpef, e «investire più efficacemente nell’istruzione, nella ricerca e nell’innovazione», ha annunciato.

«MAI PENSATO DI PRENDERE IL POSTO DI DI MAIO»

Il premier ha risposto inoltre a Nicola Zigaretti, che ha invitato il governo a trovare una sua anima: «Questo governo lavora per un Paese più verde, più digitalizzato, più equo e inclusivo» e «abbiamo un’anima forte, decisa, ad un tempo visionaria e pragmatica». Quanto allo ius culturae, Conte ha registrato la mancanza di convergenza per un accordo parlamentare e invita a prenderne atto e a concentrarsi sui temi su cui c’è piena condivisione. Il presidente del consiglio ha puntualizzato di non avere alcuna ambizione a prendere il posto di Di Maio come nuovo leader M5s: «Non mi sono mai candidato a questo ruolo. Non nutro alcuna aspirazione o velleità di questo tipo. Il Movimento», ha detto, «sta vivendo una fase di transizione. Sta per operare alcuni significativi cambiamenti, peraltro già annunciati. Auguro a Luigi Di Maio e al Movimento intero di realizzarli nel migliore dei modi». Infine, quanto alla soluzione sull’ex Ilva: «Le premesse ci sono. Un primo risultato l’abbiamo raggiunto: abbiamo bloccato il recesso di Arcelor-Mittal da Taranto» ed «evitato un disastro economico e sociale», «ho rispedito al mittente la loro richiesta di taglio». Non c’è più bisogno di un intervento pubblico? «Non lo escludo. Ma non in sostituzione. Se ci sarà, sarà una presenza di sostegno e, direi, di controllo».

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Cos’è il Mes e perché Salvini e Meloni attaccano il governo

Infiamma la polemica sul meccanismo europeo di Stabilità, con Lega e Fratelli d'Italia che accusano il premier Conte di "tradimento". Ma cos'è e come funziona il fondo Salva Stati e quali sono gli aspetti più criticati della riforma? Il punto.

Se ne parla da giorni, si parla solo di quello, è il tema più cavalcato dalle opposizioni e sta creando spaccature anche all’interno della maggioranza.

È il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, istituto sovranazionale che ha fatto irruzione nel dibattito politico mettendo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sotto assedio da parte di Lega e Fratelli d’Italia.

L’accusa? Aver firmato di nascosto un accordo per trasformare «il Fondo Salva Stati in fondo ammazza Stati», ha tuonato il segretario della Lega. «Noi come Lega abbiamo sempre detto a Conte e a Tria che NON avevano il mandato per toccare il Mes», ha rincarato la dose il 20 novembre. «Se qualcuno ha agito, lo ha fatto tradendo il mandato del popolo italiano, e l’alto tradimento costa caro. Non è la prima volta che l’ex avvocato del popolo mente, ma la verità verrà fuori».

CONTE BUGIARDO! #STOPMES

Noi come Lega abbiamo sempre detto a Conte e a Tria che NON avevano il mandato per toccare il MES.Se qualcuno ha agito, lo ha fatto tradendo il mandato del popolo italiano, e l'alto tradimento costa caro. Non è la prima volta che l'ex avvocato del popolo mente, ma la verità verrà fuori.

Posted by Matteo Salvini on Wednesday, November 20, 2019

Ma che cos’è il Mes e perché sta facendo tribolare l’esecutivo?

LA PRIMA RISPOSTA ALLA CRISI GRECA

Chiariamo subito un aspetto. Il Mes non è una novità di questi giorni. Tirato in ballo prima dai leghisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi poi da Salvini, il trattato istitutivo fu siglato all’interno dell’Eurozona il 2 febbraio 2012 e l’istituzione vera e propria fu inaugurata alla fine dello stesso anno. Era il periodo in cui l’Europa doveva far fronte alla crisi della Grecia e andava deciso se continuare a provare a salvarla (a Bruxelles era già stato definito un pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro), oppure fosse meglio abbandonare Atene al proprio destino, facendola scivolare fuori dal club europeo.

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La crisi greca rivelò ai vertici comunitari che l’Ue era esposta a bordate speculative fatali in momenti di recessione globale. Da qui la necessità di approntare una controffensiva che potesse operare in autonomia e celermente, senza attendere i tempi della politica. La risposta comunitaria fu la creazione di un’organizzazione intergovernativa da 160 dipendenti regolata dal diritto pubblico internazionale, con sede in Lussemburgo

COME FUNZIONA IL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ

Studiato per proseguire in modo più efficace l’opera del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf) istituito nel 2010, il Mes emette strumenti di debito per finanziare prestiti nei Paesi dell’Eurozona. Gli azionisti dell’organizzazione sono 17 Paesi membri dell’Unione che concorrono pro-quota (in base al proprio peso economico) al versamento di circa 80 degli oltre 700 miliardi di euro totali del fondo. L’Italia, per esempio, con i suoi 14 miliardi messi sul piatto, è il terzo sostenitore dopo Germania e Francia. Venendo alle funzioni, il Mes è autorizzato a concedere prestiti nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico, ma può anche acquistare titoli di debito sui mercati finanziari primari e secondari, aprire linee di credito e finanziare la ricapitalizzazione di istituzioni con prestiti ai governi dei suoi Stati membri.

IL MEMORANDUM FIRMATO DAGLI STATI UE

Considerato anche il Fesf, dal 2010 a oggi questo meccanismo è stato attivato cinque volte (per 295 miliardi) per salvare dal fallimento altrettante nazioni: oltre alla Grecia, è servito per rimettere i conti in ordine di Cipro, Spagna, Portogallo e Irlanda. Non si tratta di aiuti integralmente a fondo perduto (anzi, vanno restituiti, seppure a condizioni di favore): è stato infatti previsto che, per potervi accedere, gli Stati sottoscrivano preliminarmente un Memorandum of understanding finalizzato a predisporre pacchetti di riforme strutturali stabiliti dalla famigerata Troika (Commissione Ue, Banca centrale europea e Fondo Monetario Internazionale).

IL NOCCIOLO DELLA RIFORMA

L’intenzione dei Paesi del Nord Europa è ora quella di procedere con una riforma che da un lato aumenti l’indipendenza dell’organismo e, dall’altro, restringa le condizioni d’accesso. Secondo le bozze dell’accordo, infatti, i Paesi in difficoltà che vorranno usufruirne non potranno essere in procedura d’infrazione e dovranno avere da almeno un biennio un deficit sotto il 3% e un debito pubblico sotto al 60%. Il nuovo meccanismo di supporto sarà operativo, stando alla roadmap dell’Eurogruppo, entro dicembre 2023 ma potrebbe essere introdotto prima sulla base di una valutazione dei progressi compiuti nell’ambito della riduzione dei rischi che sarà effettuata nel 2020.

LE CRITICHE ITALIANE ALLA RIFORMA

Le critiche di chi si oppone alla riforma sono diverse, ma semplificando si potrebbero ricondurre a due ordini. Da un lato viene fatto notare che l’Italia, dovesse mai avere bisogno degli aiuti, con le nuove regole verrebbe automaticamente esclusa e, per potervi accedere, dovrebbe accettare, spalle al muro, una pesante ristrutturazione del debito. Questo non significherebbe solo essere costretti ad attenersi a un cronoprogramma scritto dalla Troika che per i gli italiani rischierebbe di essere lacrime e sangue, ma anche di trovarsi maggiormente esposti agli attacchi speculativi. Ristrutturare il debito è infatti ammissione dell’impossibilità di fare fronte a tutti gli impegni presi con i propri creditori. Insomma, una dichiarazione di insolvenza in piena regola, che deflagrerebbe tra gli investitori, mettendoli in fuga. In merito il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha avvertito: «I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default».

IL TIMORE DI UNA SUPER TROIKA A TRAZIONE TEDESCA

La seconda critica ricorrente riguarda invece la governance del Mes che, per alcuni, diverrebbe persino legibus solutus, vale a dire che potrebbe operare al di sopra della legge. Se a questo aggiungiamo che già oggi il Managing Director del Fondo salva-Stati è il tedesco Klaus Regling e che la Germania è il maggior contributore, potrebbe concretizzarsi – dicono i detrattori – il pericolo di un istituto contemporaneamente sovranazionale e sovralegislativo teleguidato da Berlino.

#STOPMES ALLA CARICA

A opporsi con maggior vigore alla riforma la destra che, oltre a condividere le critiche appena esposte, evidenzia la beffa che l’Italia oggi sia il terzo finanziatore di un Fondo che le sarà precluso (non è del tutto vero: come si è visto, il nostro Paese ha messo 14 miliardi su oltre 700, perché il Mes si autofinanzia stando sul mercato). Come si è detto, è stato Salvini a tirare in ballo la questione (seguito a ruota da Giorgia Meloni e dal popolo del #StopMes), spolverando però qualcosa che era già al vaglio dei parlamentari da almeno cinque mesi. Come testimoniano infatti i resoconti stenografici della Camera, Conte riferì al parlamento dello stato dei lavori lo scorso 19 giugno elencando uno a uno i punti critici. All’epoca Salvini era ministro dell’Interno, eppure non fece alcuna polemica sul Mes. Il 18 giugno aveva twittato invocando la sterilizzazione di una donna rom e nelle ore seguenti avviava una querelle social con l’attrice porno Valentina Nappi, che lo aveva attaccato. Insomma, il leader della Lega in quei giorni pensava a tutt’altro. Ma non il collega Claudio Borghi che aveva presentato con altri deputati del Carroccio un’interrogazione all’allora ministro dell’Economia Giovanni Tria sull’iter della riforma. Tacevano, invece, pure i 5 stelle e il Pd, che pure all’epoca stava all’opposizione.

DICEMBRE, MESE CRUCIALE

Ma c’è un motivo se ora Salvini ha deciso di cavalcare in prima persona una questione già aperta. Nell’accordo raggiunto dall’Eurogruppo lo scorso 13 giugno era stato stabilito che, su richiesta tra gli altri di Italia e Germania, le procedure per le ratifiche nazionali venissero avviate solo quando tutta la documentazione sarebbe stata concordata e finalizzata con previsione quindi di aprire la discussione in parlamento nel prossimo dicembre. Sempre a dicembre e più precisamente il 10, è notizia delle ultime ore, il premier Conte riferirà alle Camere sul Mes. Vedremo se in quella data le forze politiche staranno più attente alle sue parole di quanto non accadde durante la seduta del 19 giugno scorso.

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La riforma del fondo salva-Stati incendia lo scontro tra governo e Lega

Torna altissima la tensione tra Conte e Salvini. Il premier accusa l'opposizione di «sovranismo da operetta» dopo mesi di silenzio. Gualtieri difende il negoziato. E il M5s è in fermento.

La riforma del meccanismo Salva-Stati riporta il dibattito tra maggioranza e opposizione ai livelli di guardia, con il premier e il leader della Lega che affilano i coltelli. Giuseppe Conte, chiamato a riferire in parlamento il prossimo 10 dicembre, sembra essere tornato ad agosto, quando sfoderava la sua verve polemica contro l’alleato che faceva cadere il governo. Si scaglia contro Matteo Salvini con una inusuale forza dandogli dell’«irresponsabile» per aver sollevato un «delirio collettivo» su un argomento che la Lega di governo aveva ampiamente condiviso in vertici di maggioranza e «con i massimi esponenti» del Carroccio.

«DALL’OPPOSIZIONE SOLO SOVRANISMO DA OPERETTA»

Ora, attacca il presidente del Consiglio, c’è chi «scopre» di essersi seduto al tavolo «a sua insaputa» o «non avendo capito quel che si era studiato». In questo modo, è l’attacco definitivo, non si fa «un’opposizione seria, credibile» in difesa degli interessi nazionali ma solo «sovranismo da operetta». La replica, neanche a dirlo, è altrettanto velenosa. «Il signor Conte è bugiardo o smemorato. Se fosse onesto direbbe che a quei tavoli, così come a ogni dibattito pubblico, compresi quelli parlamentari, abbiamo sempre detto di no al Mes. Non è difficile da ammettere», ribatte Salvini.

L’ULTIMO VERO DIBATTITO IN ITALIA LA SCORSA ESTATE

Ma dal governo contestano anche questa ricostruzione e invitano ad andare a rileggere le dichiarazioni della Lega in proposito. Di certo in tutto questo marasma quel che colpisce è la tempistica. Se è vero che la riforma dell’Esm, o Mes come la si chiama in Italia, sarà al centro del prossimo Eurogruppo di dicembre dove lo stesso vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis si augura di poter «raggiungere un accordo», è anche vero che l’ultimo vero dibattito in Italia, se si fa eccezione per alcune audizioni, risale alla scorsa estate.

GUALTIERI CONFERMA LA LINEA DI TRIA

«Da marzo a giugno 2019 abbiamo avuto quattro vertici di maggioranza coi massimi esponenti della Lega, in cui abbiamo discusso di Mes, delle fasi di avanzamento del negoziato e tutti i risvolti. Oggi si scopre l’esistenza del Mes e si grida allo scandalo», sottolinea Conte. E Salvini controbatte: «Ho sempre detto a Conte e Tria che non avevano mandato a trattare. Se qualcuno l’ha fatto, l’ha fatto tradendo il mandato del popolo italiano». Ma l’ex ministro del Tesoro, Giovanni Tria, ha già dato la sua versione sulla stampa: dice di aver combattuto «una battaglia durissima» per evitare l’inserimento di regole fisse sulla sostenibilità dei debiti di Paesi e che alla fine «i parametri fissi sono stati eliminati» dalle bozze di accordo. E il suo successore conferma: la riforma non introduce «in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario. Effettivamente, all’inizio del negoziato alcuni Paesi lo avevano chiesto», ma, «anche grazie alla ferma posizione assunta dall’Italia, queste posizioni sono state respinte».

IL M5S INVOCA E OTTIENE UN VERTICE DI GOVERNO

Insomma, taglia corto Roberto Gualtieri: «Il dibattito di questi giorni su questo argomento è senza senso». Interviene anche Bankitalia, chiamata in causa da alcuni deputati secondo i quali avrebbe espresso preoccupazioni sulla revisione del trattato. «Il governatore Visco non ha espresso un giudizio sfavorevole sulla riforma del Mes», sottolinea palazzo Koch che conferma: la riforma non prevede né preannuncia «un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani». La questione intanto agita anche il M5s dopo la richiesta fatta a Di Maio dai deputati di adoperarsi per convocare un vertice di governo. La riunione è stata accordata, si terrà venerdì mattina molto presto, ma sul capo M5s è piovuta l’accusa di aver teso un sgambetto al premier, e per di più andando dietro a Salvini. Di Maio nega e il M5s lo appoggia: «Eravamo e continuiamo a essere contrari all’affidamento al Mes di compiti di sorveglianza macroeconomica degli Stati membri». Una posizione rimasta agli atti visto che a giugno il blog M5s tuonava contro la riforma e chiedeva a Conte di porre il veto. Anche per questo un sottosegretario M5s assicura: «Questa riforma non passerà o il gruppo parlamentare non lo teniamo più».

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Conte e Merkel, intesa d’acciaio

Il premier italiano e la cancelliera tedesca vogliono cooperare nel settore siderurgico. Sintonia anche su migranti, Nato e Libia.

Sintonia su migranti, Libia e Nato. E un confronto sullo spinoso dossier ArcelorMittal. Il premier Giuseppe Conte ha accolto la cancelliera tedesca Angela Merkel a Roma, ribadendo la comune volontà di lavorare insieme per affrontare le grandi sfide internazionali e combattere le «intolleranze» e le «forze disgregatrici» in seno all’Europa.

CONTE RIVENDICA LA SUA AUTONOMIA

Il premier ha rivendicato anche la sua autonomia di pensiero, a prescindere dalla coalizione che lo sostiene: «Se avrete la bontà di comparare le posizioni del sottoscritto assunte nel precedente esecutivo e quelle che esprimo in questo, non vedrete differenze. Anche sul piano dell’approccio all’immigrazione ho sempre ritenuto che si dovesse partire dai diritti fondamentali di queste persone, che soffrono e cadono in mano ai trafficanti di esseri umani».

L’IDEA DI COOPERARE NEL SETTORE SIDERURGICO

Con la canceliera Merkel si è parlato anche di AcelorMittal: «Ci siamo ripromessi una cooperazione sull’acciaio, anche per cercare di confrontarci sulle soluzioni più avanzate dal punto di vista tecnologico. Il governo sta lavorando a una soluzione che tenga in piedi da una parte la tutela della salute e dell’ambiente, dall’altra la salvaguardia dei livelli di occupazione». Comune sentire anche su altri dossier: dalla Nato – dopo lo schiaffo del presidente francese Emmanuel Macron, che l’ha definita «in stato di morte cerebrale» – all’immigrazione, che vede la Germania in prima linea.

LA NATO «PILASTRO» DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

«Voglio ringraziare pubblicamente il governo tedesco perché in materia di migrazioni non ha fatto mancare il suo aiuto all’Italia. La Germania, se parliamo di sensibilità sul quadro complessivo dei problemi e l’esigenza della redistribuzione, è un Paese in prima linea e questo va riconosciuto», ha detto il premier italiano. Ringraziamenti che la cancelliera tedesca ha restituito «per l’impegno dell’Italia sulla Libia». E a meno di un mese dal prossimo vertice Nato, Merkel ha sottolineato come l’Alleanza atlantica resti «un pilastro della politica internazionale».

IL NODO DELL’UNIONE BANCARIA EUROPEA

I capi dei governi di Italia e Germania hanno affrontato anche il tema dell’Unione bancaria europea. «L’Italia è favorevole a un raforzamento, ma non temiamo scossoni per il nostro sistema», ha detto Conte. Su questo punto la cancelliera non si è sbilanciata: «Mi sono aggiornata sullo sviluppo dei rischi nel sistema bancario italiano. Devo esprimere la mia soddisfazione, avete compiuto notevoli progressi».

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Libia e crescita economica al centro del vertice Conte-Merkel

Il premier riceve la cancelliera a Roma. Dal dossier immigrazione alla necessità di rafforzare la governance europea: i temi sul tavolo.

Dalla crisi libica al dossier immigrazione, passando per il rafforzamento della governance europea. Sono i temi più importanti al centro dell’incontro in programma l’11 novembre a Roma tra il premier Giuseppe Conte e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma la cena di lavoro arriva anche in concomitanza con le battute finali della trattativa su Alitalia. Trattativa che coinvolge anche il colosso tedesco Lufthansa. Ed è dunque probabile che finisca sul tavolo dell’incontro. Prima a due, e poi allargato alle delegazioni al completo.

Il dossier libico e quello sui migranti saranno tra i temi principali, a una settimana dal summit di Berlino “Compact with Africa“, che avrà la Libia come tema chiave e vedrà anche la partecipazione di Conte. Sulla questione, Italia e Germania sono in sintonia: entrambe contrarie a qualsiasi soluzione diversa da quella politica, entrambe convinti della necessità di un meccanismo europeo di redistribuzione dei migranti. Non a caso, il 10 novembre, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ringraziato Berlino per la solidarietà mostrata in questi ultimi mesi per il ricollocamento di chi sbarca sulle coste italiane.

UNA RISPOSTA «COESA» CONTRO I DAZI USA

Ma Merkel e Conte parleranno anche di economia. La Germania è in recessione tecnica. L’Italia rallenta. Per Berlino e Roma, i dazi Usa impongono una risposta organica e «coesa» di tutta l’Ue. Un’Ue che – e questo sarà la posizione di Conte – è chiamata ad allargare le maglie su investimenti per crescita e occupazione. In questo contesto s’inserisce la necessità, caldeggiata dall’Italia e sostenuta dalla Germania, di un rafforzamento della “governance” economica europea, da mettere in atto sfruttando l’inizio della nuova legislatura Ue.

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