La Juventus tenta l’allungo, l’Inter tiene il passo

Negli anticipi di Serie A, bianconeri e nerazzurri vincenti con Atalanta e Torino. Mentre tra Milan e Napoli finisce 1-1.

La Juventus batte l’Atalanta e tenta l’allungo subito rintuzzato dall’Inter, dilagante in casa del Torino. Mentre la sfida tra le due malate illustri della Serie A, Napoli e Milan, finisce con un pareggio che serve a poco a entrambe.

HIGUAIN E DYBALA RIBALTANO L’ATALANTA

Nel sabato di anticipi di prestigio di questa 13esima giornata di Serie A, le prime big a scendere in campo sono Atalanta e Juventus, a Bergamo. Nerazzurri avanti con il gol di Robin Gosens su assist di Musa Barrow, che in precedenza aveva fallito un rigore. Nell’ultimo qarto d’ora la reazione della Juventus – orfana di un acciaccato Cristiano Ronaldo -, con la doppietta di Gonzalo Higuain (il secondo gol è viziato da un fallo di mano di Juan Cuadrado) e la rete del definitivo 1-3 di Paulo Dybala.

BONAVENTURA RIACCIUFFA IL NAPOLI

Nel match delle 18, a San Siro il Napoli del grande ex Carlo Ancelotti va avanti sul Milan con il gol di Hirving Lozano, che raccoglie la conclusione di Lorenzo Insigne sbattuta sulla traversa. Il vantaggio dei partenopei dura pochi minuti: il pareggio, con un gran destro, è firmato Giacomo Bonaventura, al gol dopo oltre 400 giorni segnati da una lunga sequela di infortuni.

LAUTARO E LUKAKU LANCIANO L’INTER

Nel match serale, l’Inter sbanca il campo del Torino grazie ai gol di Lautaro Martinez, Stefan De Vrij e Romelu Lukaku. Con questi risultati, la Juventus resta in vetta (35 punti) alla classifica con una lunghezza di vantaggio sull’Inter. Il Napoli, a 20 punti, rischia di vedersi allontanare ulteriormente la zona Champions, ora a 4 lunghezze, mentre il Milan resta impaludato nelle zone medio-basse della classifica, a 14 punti, cinque sopra la zona retrocessione.

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La strategia di Grillo dietro l’incontro con Di Maio

Il fondatore torna in campo per blindare il capo politico del M5s ma anche l'accordo col Pd. E zittire le sirene leghiste. Mettendo il cappello sulla transizione pentastellata. Con Casaleggio più defilato. Lo scenario.

Luigi Di Maio è e resta il capo politico del Movimento 5 stelle. Allo stesso modo, però, l’alleato di governo rimane il Pd e le sirene leghiste vanno messe a tacere. Sono questi i due concetti principali che emergono dell’incontro tra Di Maio e Beppe Grillo. Il fondatore del M5s blinda Di Maio, assicurandogli di essere lui al timone nella fase più delicata, ma fa lo stesso con l’intesa coi dem. Quello di Grillo è un ritorno in campo quasi obbligato per evitare l’implosione del M5s. E che, al momento, vede defilato Davide Casaleggio, più scettico rispetto a un percorso a braccetto con il Pd. Sarà Grillo, dunque, il garante della transizione che porterà il Movimento agli Stati generali della prossima primavera. Una buona notizia per l’ala riconducibile a Roberto Fico e anche per chi guarda al governo con il Pd con convinzione maggiore di Di Maio.

VERSO UN DIRETTORIO SOTTO MENTITE SPOGLIE

Di Maio ora è chiamato ad accelerare, entro metà dicembre, su quella formazione del “team del futuro” che sarà fatto di 12 referenti tematici e 6 referenti organizzativi. Ed è in quest’ultima tranche che potrebbe concentrarsi quella divisione di poteri che in tanti, tra i cinque stelle, ora pretendono. Tanto che più che di facilitatori si parla anche di una sorta di “triumvirato” che abbia le funzioni che furono del direttorio. Grillo aveva già incontrato, singolarmente, scontenti e vecchia guardia, manifestando loro il rischio che un leader si circondi di yes man. Questa volta, però, il fondatore “vigilerà” anche sulla linea politica. Con la Lega non si torna, è il messaggio. Grillo lo ha detto chiaramente a Di Maio, consapevole dei sospetti – circolati tra alcuni big del Movimento – che il ministro degli Esteri non sia convinto della strada comune del Pd e che, in questo suo scetticismo, si ritrovi perfettamente con Alessandro Di Battista.

Non siamo più quelli che eravamo dieci anni fa, mettetevelo in testa. È l’ entropia la nostra matrice, dal caos vengono le idee meravigliose, e ci saranno

Beppe Grillo

Non è detto che l’intervento di Grillo sia risolutivo. Qualcuno, nel Movimento, sperava nello strappo del fondatore rispetto a Di Maio. E, anche su Facebook, non mancano le proteste di qualche eletto alla blindatura di Di Maio. Certo, nel video l’ex comico torna a ribadire la fine del Movimento conosciuto finora. «Non siamo più quelli che eravamo dieci anni fa, mettetevelo in testa. È l’ entropia la nostra matrice, dal caos vengono le idee meravigliose, e ci saranno», è l’appello di Grillo ad attivisti ed eletti. Parole che nel disegno del fondatore si potrebbero tramutare in una svolta filo-Pd in Emilia-Romagna.

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Cosa c’è dietro il riavvicinamento tra governo e ArcelorMittal

L'esecutivo teme i costi politici dello stallo. L'azienda le ripercussioni giudiziarie. All'indomani del vertice a Palazzo Chigi, la multinazionale si fa più conciliante. Mentre dietro le quinte fervono i negoziati.

La schiarita ancora non c’è, ma paiono diradarsi timidamente le nubi sui rapporti tra il governo e Arcelor Mittal, all’indomani dell’incontro tra il premier Giuseppe Conte e i vertici dell’azienda. All’orizzonte, l’ipotesi di un compromesso per superare il braccio di ferro sugli impianti della ex Ilva. Da una parte, ArcelorMittal costretta dall’offensiva giudiziaria a restare a Taranto. Dall’altra, il governo che apre all’ulteriore ricorso alla cassa integrazione, a un ridimensionamento della produzione nel lungo periodo, fino a un possibile ruolo del settore pubblico nella riconversione ambientale. Il tavolo di Palazzo Chigi, dunque, potrebbe aver sbloccato lo stallo che aveva fatto fibrillare la maggioranza dopo l’annuncio del colosso siderurgico di ‘staccare la spina’ all’ex Ilva a gennaio. Anche se gli ostacoli restano.

GUALTIERI OTTIMISTA: «SIAMO SU BINARI POSITIVI»

Il negoziato si annuncia lungo, al netto di possibili, ulteriori colpi di scena che obbligano alla prudenza. Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano avverte che «non ci si deve fare illusioni, non credo che Mittal si innamorerà nuovamente dell’Ilva». Più ottimista il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: «Si sono create condizioni e la situazione si è rimessa su binari positivi». Da fonti vicine ad ArcelorMittal trapela una «quadro di normalità» nei livelli produttivi e negli ordini, con l’intenzione di pagare il 60% delle fatture scadute per l’indotto-appalto «entro lunedì 2 dicembre». Le ditte dell’indotto, che rivendicano il saldo delle fatture, sono al sesto giorno consecutivo di presidio delle portinerie dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ancora non ha ricevuto risposta la richiesta, ribadita da Conte, di garanzie dalla multinazionale a non staccare la spina agli impianti già a gennaio. I toni di ArcelorMittal, però, si sono fatti più concilianti.

Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto

ArcelorMittal

L’incontro «per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è stato costruttivo», si legge in una nota della multinazionale siderurgica. «Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto». Prevale la volontà di cercare un’intesa. ArcelorMittal teme i rischi derivanti dall’apertura di fronti giudiziari in Italia. Il governo quelli (politici) derivanti dall’attuale stallo. Per facilitare la trattativa, l’esecutivo sarebbe pronto a invitare i commissari dell’Ilva ad acconsentire a una «breve dilazione» – come spiegava il 23 novembre una nota di Palazzo Chigi – dell’udienza del 27 novembre al Tribunale di Milano da cui ci si aspetta una dichiarazione di illegittimità della decisione della multinazionale.

IN CERCA DI UN COMPROMESSO, TRA DECARBONIZZAZIONE ED ESUBERI

Si cerca insomma di guadagnare tempo, per entrare nel vivo di un negoziato che rivedrebbe il piano industriale. Meno altiforni, conversione verso sistemi produttivi innovativi e più sostenibili. Con l’ipotesi di un ingresso dello Stato in una ‘newco’ che si occuperebbe della decarbonizzazione. E quella di un decreto ad hoc per Taranto, probabilmente prima di Natale, con l’intervento di società a controllo pubblico che contribuirebbero a ridurre l’impatto degli esuberi. L’esecutivo sarebbe disposto a concedere una riduzione dei livelli produttivi (già scesi a 4,5 da 6 milioni di tonnellate) nel lungo termine. Ma una linea rossa resta: il ‘no’ all’ipotesi che i 5 mila esuberi dichiarati dall’azienda divengano licenziamenti tout court. La soluzione potrebbe essere il ricorso agli ammortizzatori sociali con cassa integrazione per non più di 2.500 dipendenti.

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Ilaria Cucchi minacciata di morte sui social

Il post è stato pubblicato da un account riconducibile a un sostenitore della Lega. Che in passato aveva invocato attentati a moschee e al parlamento europeo. La sorella di Stefano: «Vorrei sapere Salvini cosa ne pensa».

Una pallottola in testa. È l’auspicio contenuto in un messaggio di morte indirizzato via social a Ilaria Cucchi. A denunciarlo, il 23 novembre, è stata la stessa sorella di Stefano su Facebook, dove ha allegato l’immagine del post di un utente che a 24 ore dall’annuncio della querela nei confronti del leader della Lega ha scritto: «Qualcuno le metterà una palla in testa prima o poi». «Chiedo a Matteo Salvini e a tutti gli iscritti alla Lega», ha commentato Ilaria, «cosa pensano di questo post. Dato che viene da un soggetto che ha un profilo nel quale si dichiara loro sostenitore. Non posso far altro che denunciare ma mi rendo conto che di fronte a tutto questo io e la mia famiglia siamo senza tutela».

UN ACCOUNT SOSPESO DA FACEBOOK PIÙ DI UNA VOLTA

Il post, che a quanto si apprende è stato segnalato alla polizia, è stato pubblicato da un account non nuovo a frasi minatorie nei confronti di Ilaria. «Insistendo, insistendo otterrà quello che vorrà», si legge in un altro post corredato dall’emoticon di un diavolo.

insistendo insistendo otterrà quello che merita😈

Posted by Valerio Melchila on Tuesday, November 19, 2019

Innumerevoli quelli contro il movimento delle Sardine e a favore della Lega e del suo leader Salvini. In un paio di messaggi, il titolare dell’account auspicava un attentato alle moschee o al parlamento europeo tanto da essere stato sospeso da Facebook più di una volta.

La droga fa male sempre e comunque, spero di non essere denunciato se il sabato pomeriggio denuncio che la droga fa male

Matteo Salvini

Salvini, da parte sua, il 23 novembre è tornato sul caso di Stefano Cucchi, pur senza citarlo, ribadendo un concetto che tanto aveva fatto discutere in seguito alla condanna di tre carabinieri per l’omicidio preterintenzionale del geometra romano, morto nell’ottobre del 2009: «La droga fa male sempre e comunque, spero di non essere denunciato se il sabato pomeriggio denuncio che la droga fa male, sempre e comunque», ha detto il leader della Lega.

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Quando le Sardine erano loro

A Bologna e in Emilia-Romagna torna a farsi sentire la cosiddetta società civile. Ma qual è il futuro di questo movimento e quali rischi corre? L43 ne ha parlato con ex girotondini e popolo viola, ex no-global e con le Madamin di Torino.

Oggi Sardine, ieri Madamin, signore anti-degrado a Roma, Popolo viola, Girotondini e chi più ne ha più ne metta. Il fiume carsico della società civile (per dirla con un girotondino illustre, Paolo Flores D’Arcais) irrompe ancora una volta nel dibattito pubblico italiano, spiazzando i politici e sparigliando le carte.

Chissà se questa volta porterà a qualche risultato concreto, visto che in passato queste fiammate si sono via via spente. O trasformate radicalmente, come nel caso del M5s, nato da un Vaffa gridato da migliaia di arrabbiati sempre in piazza Maggiore e finito rinchiuso nella scatoletta di tonno (tanto per restare nell’ittico) che aveva promesso di aprire.

Ma è davvero sempre lo stesso fenomeno, che riemerge in forme diverse quando la politica si distacca dal sentimento comune? La faccenda è già controversa, visto che anche per i protagonisti delle battaglie di ieri i nuovi attivisti sono un mondo sconosciuto.

LEGGI ANCHE: Perché i gattini di Salvini non neutralizzeranno le Sardine

SARDINE, DALLE PIAZZE AL MANIFESTO

C’è chi li iscrive di diritto nel filone della sacrosanta protesta dei cittadini stufi di un andazzo deteriore. Ma altri avanzano distinguo e aspettano ancora di vedere in che mare nuoteranno questi nuovi pesci della politica dopo le manifestazioni di Bologna e Modena. Intanto i quattro capi-banco hanno pubblicato una sorta di manifesto in cui mettono in guardia i populisti: «Ci troverete ovunque, la festa è finita. Benvenuti in mare aperto».

Gianfranco Mascia, ex girotondino e Popolo viola.

MASCIA: «CERCANO DI NON FARSI STRUMENTALIZZARE»

Che il fenomeno sia partito spontaneamente dal basso non sembra in discussione. «Il fatto stesso di non volere ingerenze da parte delle forze politiche me li fa sentire vicini alle iniziative degli anni scorsi», dice a Lettera43.it Gianfranco Mascia, veterano dei Girotondi, del Popolo viola e, prima ancora, dei comitati antiberlusconianiBoicottare il biscione“. E poco importa se ora, come responsabile della comunicazione dei Verdi (di cui è stato fra i fondatori), si trova, in un certo senso, dall’altra parte della barricata. «Non credo siano contro i partiti. Cercano solo di non farsi strumentalizzare e secondo me hanno ragione. Se posso permettermi un suggerimento: forse un legame con il movimento Fridays for Future creato da Greta Thunberg potrebbe dargli una mano a strutturarsi e a difendersi da ingerenze». 

LEGGI ANCHE:Mattia Santori sulle sfide e il futuro delle “sue”” Sardine

AGNOLETTO: «PER ORA SONO SOLO UN’AGGREGAZIONE»

Ma il punto è proprio che la mobilitazione delle Sardine, per quanto baciata da un incredibile successo, non può ancora definirsi movimento. Almeno non secondo i canoni classici della politica. «Al momento si tratta solo di un’aggregazione», obietta Vittorio Agnoletto, già coordinatore del movimento no-global in Italia, fra gli organizzatori di Genova 2001 e poi eurodeputato eletto come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista. «Sia chiaro che lo considero un fenomeno positivo», prosegue, «ma per me è del tutto improprio paragonarlo al movimento che all’inizio degli anni Duemila ha coinvolto centinaia di migliaia di persone e ha organizzato manifestazioni in tutto il mondo». 

Vittorio Agnoletto.

GLI OBIETTIVI VENGONO PRIMA DI TUTTO

Dunque che cosa dovrebbero fare le nostre Sardine per potersi guadagnarsi i galloni sul campo? «Anzitutto darsi degli obiettivi. Questo li difenderebbe da qualsiasi ingerenza. Sono contro Matteo Salvini? Benissimo», continua Agnoletto. «Il passo successivo dovrebbe essere quello di battersi per la cancellazione dei suoi decreti. Poi potrebbero essere le forze politiche in parlamento a dare concretezza a questo proposito con un provvedimento di legge». E si torna così ancora una volta al rapporto con i partiti politici, su cui ruota ogni giudizio sulle prospettive dei manifestanti aggregati dai quattro attivisti bolognesi.

Flash Mob Sì Tav a Piazza Carignano, Torino, il 9 marzo 2019.

LE MADAMIN: «NOI IN PIAZZA “PER” NON “CONTRO”»

Anche le Madamin torinesi, che un anno fa portarono in piazza decine di migliaia di persone a favore della Tav e contro le scelte della sindaca Chiara Appendino tengono a marcare le distanze. «La manifestazione organizzata da noi era per qualcosa, mentre loro nascono dichiaratamente contro», osserva Adele Olivero, presidente del Comitato “Sì, Torino va avanti“, riferendosi ovviamente all’avversione al sovranismo salviniano che è stato finora il collante delle persone scese in piazza. Per poi concludere: «Non ci si può considerare parte di un fenomeno comune, sebbene riconosco che anche nel loro caso si tratta di un pezzo di società che sceglie di esprimersi direttamente, non trovando voce nei partiti esistenti». È evidente, insomma, che le Sardine di cui si è appena formato il banco sono ancora troppo giovani perché chiunque possa sapere in che direzione andranno. Nel frattempo si prende nota del fatto che si tratta di un fenomeno spontaneo, battagliero, eppure alieno, finora, dal linguaggio aggressivo che una certa politica ha adottato. È questa forse la novità più interessante, con cui tutti potrebbero doversi confrontare in futuro. 

 

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Non Una Di Meno, una «marea» contro la violenza sulle donne

Il movimento sfila a Roma. In piazza persone da tutta Italia: «Serve una rivolta permanente». Anche Boldrini in corteo. Mentre il ministro Gualtieri annuncia: «Pronti ad attivare il fondo per gli orfani di femminicidio».

Il 23 novembre migliaia di persone sono scese in piazza a Roma per alzare la voce contro la violenza sulle donne. Una «marea femminista» contro «la violenza patriarcale, economica, istituzionale», l’ha definita il movimento che ha organizzato il corteo, Non Una Di Meno. La manifestazione, a cui hanno partecipato persone da tutta Italia, ha l’obiettivo di «affermare che l’unico cambiamento possibile è a partire dalla rivolta permanente: dalle pratiche, dalle lotte, dalla solidarietà femministe». Gli ultimi numeri sulla violenza di genere parlano da soli: ogni 72 ore in Italia una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo partner; tre femminicidi su quattro avvengono in casa; il 63% degli stupri è commesso da un partner o ex partner.

«Purtroppo sembra un virus, una cosa terrificante che avviene e che non desta quello scandalo sociale che dovrebbe», ha detto Laura Boldrini, che ha sfilato in corteo. «Questa manifestazione, invece, vuole riportare l’attenzione su questo tema. Non solo stando accanto a tutte le donne che combattono questo fenomeno, ma anche per dire che siamo qui per chiedere protagonismo, centralità e capacità di incidere nel nostro Paese, dove ancora le donne sono sempre tenute un po’ al margine e dove devono faticare dieci volte più degli uomini per avere lo spazio che meritano. Una manifestazione contro ogni tipo di violenza sulle donne ma anche per riaffermare la centralità delle donne nella società».

NON UNA DI MENO: «SERVONO ATTI CONCRETI»

«La violenza non ha passaporto né classe sociale, ma spesso ha le chiavi di casa e si ripete nei tribunali e nelle istituzioni. Per questo il lavoro dei centri antiviolenza femministi va riconosciuto, garantito e valorizzato», ha affermato Non Una Di Meno. «Difendiamo e moltiplichiamo gli spazi femministi e transfemministi, come la casa delle donne Lucha y Siesta di Roma sotto minaccia di sgombero! L’indipendenza economica e la libertà di movimento sono le condizioni fondamentali per affrancarsi dalla violenza». Ma, ha avvertito il movimento, «servono atti concreti: un salario minimo europeo, un reddito di autodeterminazione svincolato dalla famiglia e dai documenti di soggiorno. Serve abolire i decreti sicurezza e le leggi che mantengono in condizione di ricattabilità le persone migranti, e in particolare le donne!». Il 24 novembre Non Una Di Meno si riunirà in assemblea nazionale nel quartiere San Lorenzo, per preparare lo sciopero globale femminista dell’8 marzo 2020.

I soldi non restituiscono l’affetto mancato ma con 12 milioni da lunedì finanzieremo borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento al lavoro

Roberto Gualtieri

Nel giorno della manifestazione di Roma, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha fatto sapere che è pronto il decreto ministeriale per attivare il fondo per gli orfani di femminicidio. «I soldi», ha detto il ministro, «non restituiscono l’affetto mancato ma con 12 milioni da lunedì finanzieremo borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento al lavoro». Misure e risorse per gli orfani di femminicidio sono state introdotte innanzitutto con la legge di bilancio per il 2018. Gli stanziamenti sono stati quindi incrementati con la legge ad hoc a tutela degli orfani per crimini domestici dell’11 gennaio 2018 e poi con la legge di bilancio per il 2019. Infine la legge ‘Codice rosso’ del 19 luglio di quest’anno ha previsto un ulteriore aumento, estendendo l’ambito di applicazione anche alle famiglie affidatarie. Oltre alle risorse già stanziate per il 2018, pari a 6,5 milioni di euro, sono stati quindi appostati in bilancio circa 12,4 milioni di euro per il 2019, 14,5 milioni di euro per il 2020 e a regime 12 milioni di euro all’anno.

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Bella ciao, la nuova vita dell’inno partigiano

Alcune versioni house e pop l'oltraggiano. Ma grazie alla moda della Casa di carta la canzone è tornata il leitmotiv delle rivolte. Mai così politica come dagli Anni 70.

Nell’arco di una stagione il Professore più famoso di Netflix ha portato Bella ciao nelle piazze in rivolta. Un revival così non si vedeva dagli Anni 70. La canzone dei partigiani è diventata il leitmotiv delle proteste popolari riesplose in Medio Oriente contro i governi inefficienti e corrotti. Si canta a squarciagola anche nei cortei che attraversano l’America latina, dal Cile all’Ecuador alla Bolivia in sommossa. E naturalmente nelle piazze europee, incluse quelle delle sardine in Emilia-Romagna, si spera per altre e antiche ragioni ma non è detto. Anche le sardine, attenzione, sono un fenomeno dilagato dalla Rete, strette tra loro potrebbero stare delle tute rosse a volto coperto (dalla maschera di Salvator Dalì) che scandiscono il canto della Resistenza come migliaia di altre tute rosse nel mondo. Il Professore è il loro capo nella Casa di carta, la serie televisiva spagnola che gira su Netflix, e, con Internet, è l’ultimo sdoganatore di Bella ciao.

Azza Zarour, Bella ciao.

L’INNO DELLA CASA DI CARTA

Il contagio del 2019 si deve al successo degli ingredienti della trama ideata da Alex Pina: Bella ciao viene cantata in italiano nelle scene più salienti, dai protagonisti che irrompono nel Palazzo della zecca spagnola (la casa di carta) per stampare miliardi di euro e fuggire col malloppo, e poi nella Banca centrale per rubare l’oro. Bella ciao, spiegano al pubblico i protagonisti, era le canzone cantata dal nonno del Professore mentre da partigiano combatteva i fascisti, «tutta la vita del Professore girava intorno a un’unica idea: Resistenza». Nella serie accade anche che i rapinatori, tutti scelti con precedenti penali, non torcano un capello ai sequestrati; e che di questi tempi per le loro imprese trovino la solidarietà della popolazione. La gente in strada protesta e parteggia per i loro colpi, Bella ciao è il collante che ha reso i rapinatori Robin Hood in guerra con lo Stato. Con quest’ultima moda e la sua carica rivoluzionaria Bella ciao è sbarcata nelle rivolte vere.

Bella ciao saudita, Gedda.

In versione house Bella ciao ha oltre 30 milioni di visualizzazioni

DAI CURDI ALLA DISCO MUSIC

Ancora chi protesta in Asia magari non conosce bene la storia e non capisce il testo in italiano, ma il senso della canzone è chiaro a tutti. Un gap che si sta colmando: traduzioni in arabo e in altre lingue e servizi dei media locali ripercorrono la genesi e il significato di Bella ciao. Che in Medio Oriente è cantata dai curdi dagli Anni 70, e dal 2011 è tornata popolare nella lotta armata per scacciare l’Isis e per costruire regione autonoma socialista del Rojava. Tra la Siria e l’Iraq, insieme ai volontari stranieri uniti alla causa curda, si era ricreata una comunità partigiana che naturalmente cantava Bella ciao. Ma finché la melodia nel 2018 non è apparsa nelle puntata della Casa di carta non aveva attecchito nelle piazze, tra gli arabi. Con la serie della piattaforma online, la più vista tra quelle non di lingua inglese, Bella ciao ha avuto una eco planetaria. In versione house, Bella ciao ha più di 30 milioni di visualizzazioni, un altro adattamento disco brasiliano più di 170 milioni.

Blaya chara, Iraq.

UNA MODA ANCHE OFFENSIVA

L’autore Pina sostiene che Bella ciao sia un «inno alla resistenza come la serie» e che nel mondo finché ci «sarà resistenza ci sarà speranza», sottinteso anche con la Casa di carta. La verità è meno nobile: con la serie sono nate cover anche oltraggiose dell’inno dei partigiani. Una versione saudita è in circolazione, grazie a un accordo tra Netflix e gli studi di Gedda del cantante Amine el Berjawi: la nota dittatura conta milioni di fan della serie spagnola. In Turchia, se non altro con più coerenza, la Casa di carta è invece censurata per il sospetto di messaggi contro Recep Tayyip Erdogan; e lo è ancora di più la Bella ciao di piazza Taksim e del Pkk curdo. Diverse versioni modaiole di Bella ciao sono in compenso diventate virali in Medio Oriente: a settembre la sex symbol libanese Shiraz ha lanciato anche un clip per il karaoke, in Palestina ci ha pensato la bella cantante e attrice Azza Zarour, seguitissima in tivù e sui social. Anche in tuta rossa.

Un Bella ciao rave, Tripoli (Libano).

In Libano la Bella ciao araba è diventata la canzone più ballata a Beirut e Tripoli

POI DI NUOVO CANZONE POLITICA

Solo poi si sono propagate le contestazioni tra il Libano, l’Iraq, il Kuwait, infine l’Iran. Sempre grazie al tam tam anche spurio della Rete. Ma ne è comunque valsa la pena. Le Belle ciao rivisitate dagli attivisti e dai dimostranti in Iraq e in Libano toccherebbero i cuori dei partigiani. A Mosul un gruppo di 20enni ha confezionato un video ispirato alla serie di Netflix, ma con la versione politica Blaya chara («nessuna via d’uscita)» di Bella ciao, «in solidarietà ai manifestanti». In Libano la Bella ciao araba è diventata la canzone più ballata delle contestazioni a Beirut e Tripoli che hanno fatto dimettere il premier Saad Hariri e assediano il parlamento. Come in Cile, dove assieme al Pueblo unido  la canzone italiana è il tormentone dei cortei di Santiago, la intonano i professori e gli studenti cileni in rivolta. Alla fine la Casa di carta non ha snaturato Bella ciao, semmai è vero il contrario. È la Casa di carta a sfruttare – anche – la fortuna di Bella ciao e a farla, questo sì, di rivivere di vita propria.

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Un professore emiliano minaccia i suoi studenti sardine

Il caso a Fiorenzuola d'Arda. «Se becco qualcuno di voi, renderò la vostra vita un inferno».

Lui vota Lega, e non può tollerare che i suoi studenti manifestino in piazza contro Matteo Salvini. Così Giancarlo Talamini Bisi, professore dell’istituto superiore di Fiorenzuola d’Arda, ha deciso di minacciarli dal suo profilo Facebook. «Io sarò presente. Cari studenti, se becco qualcuno di voi, da martedì cambiate aria, nelle mie materie renderò la vostra vita un inferno, vedrete il 6 col binocolo e passerete la prossima estate sui libri. Di idioti in classe non ne voglio. Sardina avvisata». Un post che non poteva passare inosservato e ha sollevato un vero e proprio caso.

FIORAMONTI: «VERIFICA E SOSPENSIONE»

«A tutela dei diritti degli studenti e della stessa scuola ho attivato gli uffici del Miur per verificare i fatti e procedere con provvedimento immediato alla sospensione», ha scritto su Facebook il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. «Educare al rispetto dei principi della Costituzione è uno dei fondamenti dell’istituzione scolastica, tra questi vi sono certamente il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero ed a partecipare alla vita pubblica secondo i modi garantiti dalla Costituzione stessa. La scuola è inclusiva e, per definizione, deve educare al pensiero critico e indipendente. Anche il corpo docente, nell’esercitare la sua importantissima funzione, deve attenersi a questi principi, trasferendoli agli studenti, per non venir meno ai suoi doveri. Non sono perciò assolutamente ammissibili condotte lesive di tali valori, o che addirittura mettano a rischio la fiducia della comunità scolastica».

L’INTERVENTO DEL GOVERNO

«Chiederò all’ufficio scolastico regionale di fare i dovuti accertamenti, perché siamo di fronte a una situazione inaccettabile», ha affermato Peppe De Cristofaro, sottosegretario all’Istruzione. «È evidente che un docente non può permettersi un linguaggio e un comportamento del genere», ha aggiunto l’esponente di Leu. «Sono certo che verranno presi al più presto tutti i necessari provvedimenti per tutelare l’istituzione scolastica pubblica, l’istituto in cui lavora, e gli studenti di quella scuola». Scuola che si è prontamente dissociata dal comportamento dell’insegnante.«Preso atto della notizia che si sta diffondendo sui social riguardo le affermazioni di un proprio docente», l’istituto «comunica di aver già informato del fatto gli organi superiori dell’amministrazione scolastica al fine di adottare le misure opportune. Si sottolinea l’estraneità della scuola dalle affermazioni del docente in questione».

LA DENUNCIA DELLA VICEMINISTRA

«In molti stamattina mi hanno segnalato il gravissimo comportamento di Giancarlo Talamini Bisi», aveva denunciato la viceministra all’Istruzione Anna Ascani (Partito democratico). «Un insegnante che offende e promette di penalizzare gli studenti solo perché vorrebbero partecipare alle manifestazioni delle sardine, usando turpiloquio e minacce non troppo velate. Non è un comportamento tollerabile. Mi attiverò affinché si prendano provvedimenti. Nessuno può essere discriminato per le proprie idee, tanto meno nella scuola».

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Un professore emiliano minaccia i suoi studenti sardine

Il caso a Fiorenzuola d'Arda. «Se becco qualcuno di voi, renderò la vostra vita un inferno».

Lui vota Lega, e non può tollerare che i suoi studenti manifestino in piazza contro Matteo Salvini. Così Giancarlo Talamini Bisi, professore dell’istituto superiore di Fiorenzuola d’Arda, ha deciso di minacciarli dal suo profilo Facebook. «Io sarò presente. Cari studenti, se becco qualcuno di voi, da martedì cambiate aria, nelle mie materie renderò la vostra vita un inferno, vedrete il 6 col binocolo e passerete la prossima estate sui libri. Di idioti in classe non ne voglio. Sardina avvisata». Un post che non poteva passare inosservato e ha sollevato un vero e proprio caso.

FIORAMONTI: «VERIFICA E SOSPENSIONE»

«A tutela dei diritti degli studenti e della stessa scuola ho attivato gli uffici del Miur per verificare i fatti e procedere con provvedimento immediato alla sospensione», ha scritto su Facebook il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. «Educare al rispetto dei principi della Costituzione è uno dei fondamenti dell’istituzione scolastica, tra questi vi sono certamente il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero ed a partecipare alla vita pubblica secondo i modi garantiti dalla Costituzione stessa. La scuola è inclusiva e, per definizione, deve educare al pensiero critico e indipendente. Anche il corpo docente, nell’esercitare la sua importantissima funzione, deve attenersi a questi principi, trasferendoli agli studenti, per non venir meno ai suoi doveri. Non sono perciò assolutamente ammissibili condotte lesive di tali valori, o che addirittura mettano a rischio la fiducia della comunità scolastica».

L’INTERVENTO DEL GOVERNO

«Chiederò all’ufficio scolastico regionale di fare i dovuti accertamenti, perché siamo di fronte a una situazione inaccettabile», ha affermato Peppe De Cristofaro, sottosegretario all’Istruzione. «È evidente che un docente non può permettersi un linguaggio e un comportamento del genere», ha aggiunto l’esponente di Leu. «Sono certo che verranno presi al più presto tutti i necessari provvedimenti per tutelare l’istituzione scolastica pubblica, l’istituto in cui lavora, e gli studenti di quella scuola». Scuola che si è prontamente dissociata dal comportamento dell’insegnante.«Preso atto della notizia che si sta diffondendo sui social riguardo le affermazioni di un proprio docente», l’istituto «comunica di aver già informato del fatto gli organi superiori dell’amministrazione scolastica al fine di adottare le misure opportune. Si sottolinea l’estraneità della scuola dalle affermazioni del docente in questione».

LA DENUNCIA DELLA VICEMINISTRA

«In molti stamattina mi hanno segnalato il gravissimo comportamento di Giancarlo Talamini Bisi», aveva denunciato la viceministra all’Istruzione Anna Ascani (Partito democratico). «Un insegnante che offende e promette di penalizzare gli studenti solo perché vorrebbero partecipare alle manifestazioni delle sardine, usando turpiloquio e minacce non troppo velate. Non è un comportamento tollerabile. Mi attiverò affinché si prendano provvedimenti. Nessuno può essere discriminato per le proprie idee, tanto meno nella scuola».

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Salvini spara ai migranti, polemica sulla scultura

L'opera dell'artista napoletano Salvatore Scuotto ritrae il leader della Lega come dentro un videogame e con la scritta 'Game Over'.

Matteo Salvini punta la pistola contro due migranti con le fattezze di zombie. L’opera di Salvatore Scuotto, esposta domenica 23 novembre a Napoli nella mostra collettiva ‘Virginem=Partena’ nella galleria Nabi Interior Design, fa discutere. E non piace per niente al leader della Lega: «Cosa non si fa per farsi un po’ di pubblicità, che squallore», ha commentato Salvini, «è una vera schifezza, è istigazione all’odio e alla violenza, altro che arte. Non vedo l’ora di tornare a Napoli per ammirare i fantastici Presepi tradizionali, non queste porcherie».

OPERA INIZIATA CON SALVINI MINISTRO

Così l’artista ha spiegato la genesi della sua opera al quotidiano Il Mattino: «Quando ho iniziato a creare, Salvini era ancora ministro dell’Interno. Ho voluto rappresentarlo come un bambinone che gioca a un videogame popolato da fantasmi, come si vede dai dettagli della pistola che è intenzionalmente sproporzionata. Dico che il suo messaggio politico è infantile, come una costante Play station in cui bisogna individuare il nemico e abbatterlo». Attaccato al pistola c’è un messaggio, ‘Game over’. «identifica la conclusione del videogioco. Chissà cosa indica: la fine di Salvini o quella dei suoi nemici?».

«COMUNISTA? SEMMAI ANARCHICO»

Scuotto, che questa volta partecipa in proprio ma fa parte del gruppo della Scarabattola – formazione controcorrente di maestri presepiali che nella natività ha inserito anche donne nude e diavoli – precisa anche di non aver creato «questa parodia salviniana perche sono comunista. Al massimo aspirerei a essere anarchico, non credo alla sinistra, troppo tiepida. Non voglio esprimere alcuna appartenenza ma so in cosa non credo».

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L'opera dell'artista napoletano Salvatore Scuotto ritrae il leader della Lega come dentro un videogame e con la scritta 'Game Over'.

Matteo Salvini punta la pistola contro due migranti con le fattezze di zombie. L’opera di Salvatore Scuotto, esposta domenica 23 novembre a Napoli nella mostra collettiva ‘Virginem=Partena’ nella galleria Nabi Interior Design, fa discutere. E non piace per niente al leader della Lega: «Cosa non si fa per farsi un po’ di pubblicità, che squallore», ha commentato Salvini, «è una vera schifezza, è istigazione all’odio e alla violenza, altro che arte. Non vedo l’ora di tornare a Napoli per ammirare i fantastici Presepi tradizionali, non queste porcherie».

OPERA INIZIATA CON SALVINI MINISTRO

Così l’artista ha spiegato la genesi della sua opera al quotidiano Il Mattino: «Quando ho iniziato a creare, Salvini era ancora ministro dell’Interno. Ho voluto rappresentarlo come un bambinone che gioca a un videogame popolato da fantasmi, come si vede dai dettagli della pistola che è intenzionalmente sproporzionata. Dico che il suo messaggio politico è infantile, come una costante Play station in cui bisogna individuare il nemico e abbatterlo». Attaccato al pistola c’è un messaggio, ‘Game over’. «identifica la conclusione del videogioco. Chissà cosa indica: la fine di Salvini o quella dei suoi nemici?».

«COMUNISTA? SEMMAI ANARCHICO»

Scuotto, che questa volta partecipa in proprio ma fa parte del gruppo della Scarabattola – formazione controcorrente di maestri presepiali che nella natività ha inserito anche donne nude e diavoli – precisa anche di non aver creato «questa parodia salviniana perche sono comunista. Al massimo aspirerei a essere anarchico, non credo alla sinistra, troppo tiepida. Non voglio esprimere alcuna appartenenza ma so in cosa non credo».

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No, non siamo angeli, anche noi disabili vogliamo fare sesso

Immaginare che una persona in sedia a rotelle o con disabilità cognitiva possa fare sesso crea ancora oggi molto scandalo, alimentando paure ed emozioni profonde e ancestrali. Ma fare l'amore è un diritto per tutti.

Vi ricordate la prima volta che avete baciato, abbracciato, toccato, accarezzato qualcuno/a eroticamente? Il mio primo bacio io me lo ricordo bene. L’ho dato a 22 anni al mio primo “ragazzo” ma prima di riuscirci quanta ansia da prestazione! Succede così quando gli standard estetici comunemente accettati come “normali” fanno sentire diversa una come me, ben consapevole che, a causa della sua condizione fisica, in quel criteri non ci rientra. .

Conosco persone con disabilità che hanno un compagno o una compagna oppure che preferiscono vivere avventure occasionali. In linea generale però, com’è tristemente noto a chi lo sperimenta quotidianamente sulla propria pelle, le persone disabili potrebbero vincere il guinness dei primati per la durata dei loro periodi di astinenza volontaria. Volontaria in quanto voluta sì, ma da altri!

Immaginare che una persona in sedia a rotelle o, peggio ancora, con disabilità cognitiva possa fare sesso crea ancora oggi molto scandalo, forse perché sia alla condizione di disabilità che alla sfera sessuale sono legate paure ed emozioni profonde e ancestrali. Forse il confronto con la diversità dell’altro spaventa perché in essa vediamo riflessa la nostra. Ma credo che il mito del “corpo senza imperfezioni” impaurisca pure molte persone disabili,creando in loro molte insicurezze e “ansie da prestazione”.

QUEI PREGIUDIZI SUL CORPO CHE IMPRIGIONANO

La sessualità delle donne e degli uomini con disabilità è purtroppo ancora oggi un tabù di cui si pensa sia molto meglio non parlare. I “normodotati”, salvo rare eccezioni, preferiscono immaginarci angeli asessuati con cui magari intrattenere piacevoli conversazioni ma non certo iniziare stuzzicanti avventure erotiche. Ma i criteri secondo cui definiamo un corpo bello o sessualmente attraente – non mi stancherò mai di ripeterlo – non sono “realtà oggettive e inconfutabili” ma “costruzioni socio-culturali” di senso comune generate da noi. Questa è però una buona notizia perché significa che i canoni estetici che abbiamo costruito possono essere modificati o distrutti per crearne di nuovi. Basta solo osare farlo ma per poterci riuscire è necessario smettere di ignorare il tema e, al contrario, metterlo sotto le luci della ribalta. Qualcuno per fortuna ci sta provando.

LA PRIMA VOLTA, VIDEO-INCHESTA SU VITA SESSUALE E DISABILITÀ

La prima volta è un progetto di crowdfunding finalizzato alla produzione di una video-inchiesta sulla dimensione e vita sessuale della persone con disabilità. Il video nasce dalla collaborazione tra Comitato LoveGiver, associazione fondata da Max Ulivieri, promotore della proposta di legge sull’introduzione del ruolo professionale di assistente sessuale, oggi rinominato Operatore all’Emotività, all’Affettività e alla Sessualità (Oeas) delle persone con disabilità, e il collettivo di giornalisti freelance Lorem Ipsum.

Genitori costretti a masturbare i loro figli come unica soluzione a un bisogno “sano” e un desiderio legittimo

Un’importante inchiesta video che racconterà le esperienze dirette di uomini e donne con disabilità fisica, sensoriale e cognitiva relativamente a come vivono la loro dimensione sessuale. Io mi aspetto purtroppo di vedere e sentire tante storie che raccontano di diritti alla sessualità e all’affettività negati, di genitori costretti a masturbare i loro figli come unica soluzione a un bisogno “sano” e un desiderio legittimo, di uomini e donne che, pur essendo adulti, non hanno diritto a quella sacrosanta privacy di cui tutti e tutte dovrebbero poter godere quando praticano l’autoerotismo o fanno sesso con qualcuno/a/*.

Anticipo anche che questa video inchiesta potrebbe farci conoscere l’esperienza di donne e uomini impossibilitati ad avere rapporti sessuali a causa di patologie fortemente invalidanti, ad esempio chi è costretto a trascorrere buona parte delle sue giornate a letto o in un polmone d’acciaio, come lo scrittore Mark O’Brien, la cui vita è stata raccontata nel film The Sessions. Ma spero anche che ci verranno mostrate esperienze di sessualità realmente e pienamente goduta con uno o più partner, ovvero compagni/e di vita e/o di pratiche erotiche.

IL VUOTO NORMATIVO ATTORNO ALLA FIGURA DELL’OEAS

Noi come società, come collettività abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a vedere che vivere una sessualità appagante è possibile anche per persone disabili e che di fatto succede. Di fronte a teorie di senso comune che ci dipingono come “angeli” o “eterni bambini”, l’unica strada che vedo percorribile è anteporre non solo episodi di sessualità negata, pur reali ed esistenti, ma anche esperienze positive, di persone che godono e traggono soddisfazione dalle loro relazioni erotiche, nonostante i benpensanti ritengano che i “piaceri della carne” non siano adatti a noi.

L’aiuto di un Oeas può essere un supporto sia per sperimentare sensazioni precluse, sia per incrementare fiducia e autostima

La prima volta approfondirà anche la conoscenza del ruolo professionale dell’Oeas, mostrando da vicino come lavora, qual è il suo rapporto con gli utenti ed evidenziando le criticità di operare in un contesto, quello italiano, caratterizzato da un vuoto normativo. Infatti la proposta di legge per il suo riconoscimento giace in parlamento ormai da anni ed è assurdo che non sia ancora stata esaminata.

Le persone disabili devono poter avere il diritto di scegliere se usufruire di questo servizio oppure no e, affinché sia possibile, occorre che questa professione venga ufficializzata. L’aiuto di un Oeas può secondo me essere un supporto prezioso sia per sperimentare sensazioni ed emozioni altrimenti precluse, sia allo scopo di incrementare la fiducia e l’autostima delle persone con disabilità.

L’OBIETTIVO È ARRIVARE A VIVERE UNA SESSUALITÀ PIENA E AUTONOMA

Tuttavia ritengo che ritenere l’assistenza sessuale l’unica soluzione ai “problemi” di una determinata categoria di persone sia profondamente sbagliato e assolutamente da evitare, anche perché contrario allo spirito e alla volontà con cui la proposta è stata concepita. È una possibilità, un sostegno utile a superare una fase critica della vita sessuale di un individuo ma il fine dell’intervento è che poi la persona riesca a vivere la propria sessualità in modo soddisfacente senza l’aiuto del o della professionista.

Un Oeas può toccare l’utente, accarezzarlo e farsi accarezzare, masturbarlo. Sono invece vietati i rapporti orali e la penetrazione

Il corso di formazione per diventare Oeas è aperto sia a donne che a uomini, con diversi orientamenti sessuali per soddisfare tutte le possibili esigenze. Un Oeas può toccare l’utente, accarezzarlo e farsi accarezzare, masturbarlo. Sono invece vietati i rapporti orali e la penetrazione.

Forse in futuro si potrebbe considerare di ampliare la gamma delle possibili esperienze erotiche consentite, includendo anche queste due pratiche che, secondo me, giocano un ruolo molto importante nelle fantasie delle persone ma possono anche causare ansia da prestazione in chi non le ha mai potute sperimentare. Intanto attendo con impazienza di vedere La prima volta è mi auguro che questo documento possa contribuire a rendere la sessualità più libera per tutti.

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Donna incinta uccisa dal compagno a Partinico

Ana Maria Lacramioara Di Piazza aveva 30 anni e aspettava un figlio dal suo assassino. Gli aveva chiesto dei soldi, lui glieli aveva promessi, poi la lite e il femminicidio.

Aspettava un figlio dall’uomo che l’ha uccisa, Ana Maria Lacramioara Di Piazza, 30enne di origini rumene adottata da una coppia del piccolo centro in provincia di Palermo. Antonino Borgia, l’imprenditore di Partinico che la donna frequentava, ha confessato di averla presa a coltellate e colpi di bastone, e ha ricostruito le fasi del delitto.

UNA RELAZIONE INIZIATA DA UN ANNO

Ana Di Piazza, che aveva iniziato una relazione da un anno con l’imprenditore, gli aveva detto di essere incinta. I due si sono incontrati nella zona di Balestrate, il 22 novembre verso le 7. Lei è salita a bordo del furgone bianco in un cantiere dove l’impresa di Borgia, che realizza piscine, stava facendo alcuni lavori. La vittima aveva chiesto dei soldi all’uomo, circa 3 mila euro. Lui la sera prima aveva promesso di darglieli. Una volta arrivati al cantiere, dopo un rapporto sessuale, i due avrebbero iniziato a litigare. A quel punto Borgia ha estratto un coltello colpendo la donna alla pancia. Lei ha tentato di fuggire ma l’imprenditore l’ha rincorsa facendola risalire sul furgone. L’uomo aveva promesso alla vittima di portarla in ospedale. Ma nuovamente lungo la strada i due hanno ripreso a litigare. Alla fine lui l’ha colpita in testa con un bastone e poi le ha tagliato la gola. Ha nascosto il corpo nelle campagne.

DECISIVO UN TESTIMONE

Le aggressioni sarebbero state segnalate ai carabinieri della compagnia di Partinico da due testimoni che hanno chiamato in caserma. Dopo il fermo di Borgia, alle 17.30 circa si è presentato un uomo che ha riferito di avere visto in alcune riprese del sistema di videosorveglianza della sua abitazione in campagna a Balestrate la scena di un’aggressione. Nelle immagini c’era un uomo che senza pantaloni inseguiva una giovane insanguinata. Dopo che la donna aveva gridato di aspettare un figlio da lui Borgia avrebbe gettato il coltello, che sarà ritrovato dai carabinieri della compagnia di Partinico sporco di sangue, fa salire la giovane nel furgone per dirigersi verso l’ospedale di Partinico.

IL CORPO RITROVATO DAI CARABINIERI

Nel corso delle indagini i militari sono riusciti a ritrovare prima il corpo legato e nascosto in campagna con un telo e sotto le frasche e poi il furgone dell’imprenditore che aveva avuto il tempo di fare colazione in un bar, ripulire il mezzo e iniziare gli incontri di lavoro. Nel pomeriggio, dopo il pranzo, l’uomo è andato anche dal barbiere. L’indagine è coordinata dall’aggiunto Annamaria Picozzi e dal pm Chiara Capoluongo. Borgia è stato portato in carcere.

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Cosa sappiamo sui metodi di tortura impiegati dalla Cina

Il caso del dipendente consolare Cheng è solo l'ultimo in ordine di tempo. Le testimonianze passate hanno permesso di mettere in fila circa 100 tecniche. Dai morsi di serpente alla famigerata "Panchina della tigre".

Dominic Raab, segretario di Stato per gli Affari esteri del Regno Unito, non ha usato mezze parole: «Il trattamento della Cina nei confronti del signor Cheng equivale a tortura». Così il caso di Simon Cheng, ex dipendente del consolato britannico di Hong Kong, arrestato lo scorso agosto e riapparso dopo essere rimasto nelle mani della Polizia cinese per 15 giorni, rischia di creare un incidente diplomatico tra Pechino e Londra. In un’intervista esclusiva al Wall Street Journal, Cheng ha dichiarato che la polizia segreta cinese lo ha picchiato, privato del sonno e incatenato a bocca aperta mentre cercava di estorcergli informazioni sugli attivisti che guidano le proteste democratiche a Hong Kong. Ma il suo non è certo il primo caso che testimonia dell’uso abituale della tortura da parte del regime cinese, un sistema largamente praticato per estorcere informazioni e false confessioni.

Arrestato a Pechino all’inizio di gennaio 2016 e tenuto in cattività per 23 giorni, anche l’attivista svedese Peter Dahlin ha subito un simile calvario in Cina, quasi tre anni prima che i canadesi Michael Kovrig e Michael Spavor venissero arrestati (sono attualmente ancora detenuti dalle autorità cinesi ormai da quasi un anno). Dahlin, co-fondatore di China Action, una Ong che supporta molti avvocati per i diritti umani in Cina, sostiene che Kovrig – il quale, come lui, è stato catturato a Pechino – sia attualmente detenuto nella stessa struttura in cui avevano rinchiuso lui: una prigione segreta, con quattro piani e due ali indipendenti, nella parte meridionale della capitale cinese. Spavor invece, che viveva e operava nella Cina nordorientale, sarebbe tenuto prigioniero in una struttura diversa.

LA TESTIMONIANZA DELL’ATTIVISTA SVEDESE DAHLIN

Secondo la testimonianza di Dahlin, ai prigionieri vengono applicate diverse forme di tortura. Due poliziotti, alternandosi nel ruolo consolidato di “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, lo hanno interrogato in continuazione per giorni. Nella rare pause, due guardie nella sua cella osservavano ogni sua minima mossa, come girarsi nel letto. «Pesanti tende impediscono totalmente alla luce del giorno di penetrare nella cella, mentre le luci restano sempre accese, giorno e notte, privando il detenuto nella nozione del tempo e della possibilità di dormire», ha raccontato. Secondo quando dichiarato da Farida Deif, direttore dell’ufficio canadese di Human Rights Watch (Hrw) “tenere le luci accese con la conseguente privazione del sonno è una delle forme più pesanti di tortura fisica e mentale”.

ALCUNI DETENUTI MUOIONO PER LE TORTURE

Sempre secondo le testimonianze raccolte da Human Rights Watch, il regime cinese usa ogni mezzo a sua disposizione «per mettere a tacere chiunque non sia un cieco sostenitore del Partito comunista al potere». Ai detenuti in Cina vengono somministrate con la forza anche droghe psicotrope. Alcuni vengono stuprati, legati in posizioni dolorose per giorni, affamati, denudati ed esposti al freddo gelido per ore e anche colpiti da forti scariche con bastoni elettrici, per citare solo alcuni deli metodi utilizzati dagli aguzzini cinesi. Applicando una scarica elettrica che può raggiungere i 300 mila volt, i bastoni vengono impiegati per ottenere il massimo effetto su parti sensibili del corpo come la bocca, i genitali, il collo e la pianta dei piedi. In alcuni casi i prigionieri perdono coscienza e muoiono per le conseguenze.

Amnesty ha raccolto dirette testimonianze di quasi 100 diversi metodi di tortura

Secondo le organizzazioni per i diritti umani, l’uso della tortura e degli abusi in Cina contro i gruppi perseguitati rimane dilagante. Alcuni dei metodi di tortura possono essere fatti risalire al Medioevo, mentre altre forme di abuso, come il prelievo forzato di organi, non hanno precedenti nella storia. Il rapporto di Amnesty International intitolato No End in Sight: Torture and Forced Confessions in China ha raccolto dirette testimonianze di quasi 100 diversi metodi di tortura. Questi includono anche alimentazione forzata con urina o feci, ustioni da sigaretta, infezioni di scabbia, isolamento totale, perforatura delle unghie con bastoncini di bambù affilati e morsi di cani o serpenti.

I NOMI IN CODICE DELLE TORTURE

Molti dei metodi di tortura hanno persino dei nomi specifici, come “Piccola gabbia” (la persona viene ammanettata all’interno di una piccola gabbia in modo tale che non possa stare in piedi o sedersi); “Hell Confinement” (un dispositivo costituito da legacci e manette applicato in modo tale che le vittime non possano camminare, sedersi, usare il bagno o nutrirsi); “Covering a Shed” (soffocamento) e “Tortura del trascinamento” (le vittime vengono trascinate ripetutamente su terreni accidentati). C’è poi il metodo considerato il più terribile di tutti, la famigerata “Panchina della tigre“, dove la vittima si siede con le gambe distese e legate strette alla panchina con delle cinghie. Mattoni, o altri oggetti, vengono posti sotto i talloni della vittima, con più strati aggiunti fino a quando le cinghie si rompono, causando un dolore insopportabile.

ANCHE I CRISTIANI “NON ALLINEATI” NEL MIRINO

Il target preferito dai torturatori cinesi è rappresentato, tra gli altri, dai cristiani “non allineati” (quelli che si rifiutano di sottomettersi alla Chiesa di Stato gestita dal Partito Comunista), i buddisti tibetani, i musulmani uiguri, i seguaci del Falun Dafa e gli attivisti democratici o chiunque sospettato di «attività anti-governativa», come i due canadesi ancora detenuti in Cina. L’artista e scultore canadese di origine cinese Kunlun Zhang, che è riuscito a sopravvivere alle torture e a ritornare in Canada, ha raccontato che le guardie gli ripetevano: «Possiamo fare di te qualsiasi cosa senza essere ritenuti responsabili. Se muori, ti seppelliremo e diremo a tutti che ti sei suicidato perché avevi paura di un’accusa criminale».

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Come è andato l’incontro tra Di Maio e Beppe Grillo

La riunione tra il leader e il guru del M5s finisce in distensione: «Siamo d'accordo su tutto», dice il ministro. E Beppe lo conferma ma aggiunge: «Sarò più presente per aiutarlo».

Perfettamente allineati, fiducia reciproca confermata. O almeno così dicono. L’incontro tra Luigi Di Maio e Beppe Grillo, tenutosi a Roma, all’hotel Forum, si è concluso dopo un’ora e mezza. «Siamo d’accordo su tutto, abbiamo smentito le leggende metropolitane di questi giorni», ha detto Di Maio prima di partire per la Sicilia, dove riprenderà il tour cominciato il 22 novembre. E Grillo ha speso parole di elogio per il leader del Movimento da lui fondato e di cui si fa garante: «Lavora 25 ore al giorno e non può essere sostituito per nessuna ragione, anzi va sostenuto». Poi però ha aggiunto una postilla: «Io ci sarò di più e gli darò una mano». Se non è commissariamento, poco ci manca. «Una persona deve poter decidere e fare scelte importanti. Un referente ci vuole», ha aggiunto Grillo all’interno di una nota diramata dopo l’incontro.

NUOVO CONTRATTO DI GOVERNO

I due hanno discusso del nuovo corso governativo del M5S. «Non possiamo essere gli stessi di prima, dobbiamo guardare avanti con grande entusiasmo», hanno sottolineato Di Maio e Beppe Grillo, convenendo sull’ipotesi di avanzare la proposta di un nuovo contratto di governo «a partire da gennaio» per finalizzare «progetti ambiziosi e di alto livello, con lo scopo di intervenire su tematiche fondamentali del nostro Paese e non solo come il clima, salario minimo, il reddito universale, l’intelligenza artificiale, l’energia, le infrastrutture». Secondo il capo politico e il garante, «il mondo è già cambiato», questo «è un momento di grande entusiasmo» e il futuro bisogna progettarlo insieme.

GRILLO: «SERVE EUFORIA»

«È un momento magico. Noi non possiamo continuare a fare dei Facebook in cui si dice questo qua non va bene. Adesso le cose devono essere chiare, il capo politico è lui, quindi non rompete i coglioni perché sennò ci rimettiamo tutti», ha poi ribadito Beppe Grillo in un video con Di Maio pubblicato su Facebook. «Siamo in un momento di caos, ma il caos è nella nostra natura, è nel caos che vengono fuori le belle idee. Il discorso è che non possiamo essere gli stessi, pensare come eravamo. Noi eravamo meravigliosi. Ma dobbiamo essere straordinariamente euforici», ha aggiunto. Grillo ha poi parlato delle elezioni in Emilia-Romagna: «Ci andiamo per beneficenza. Come dai un euro a uno non puoi dare un piccolo voto anche a noi per beneficenza? Così magari facciamo da tramite tra una destra un po’ pericolosetta e una sinistra che si deve formare anche lì», ha detto. Con la sinistra, però, c’è l’idea di continuare a collaborare per «progetti alti, bellissimi. Sui trasporti, su come costruire le cose, su cosa è la città… È un momento magico».

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La situazione del maltempo a Genova il 23 novembre 2019

Allagamenti, strade chiuse, 27 persone sfollate. La città si ritrova a gestire l'emergenza per l'allerta rossa meteo. La Valpolcevera è la zona più colpita.

Durante la notte del 23 novembre, il maltempo atteso con un’allerta rossa si è abbattuto con forza su Genova. La Valpolcevera è allagata per la pioggia intensa che si è abbattuta in particolare tra le 2 e le 4 del mattino. Sono esondati i rii Fegino e Ruscarolo. Diverse strade cittadine sono state chiuse e la protezione civile ha invitato i cittadini delle zone interessate a non uscire di casa. Ventisette persone sono state sfollate in via Rivarolo e a Teglia, tutti hanno trovato sistemazione autonoma, ha spiegato il Comune. I 125 abitanti in corso Perrone, dove quattro palazzine sono isolate a causa di allagamenti e una frana, sono invece nelle loro case in attesa che passi l’emergenza.

STRADE CHIUSE IN CITTÀ E FUORI

Diverse strade sono state chiuse in città e fuori. Il tratto di A7 Genova Milano tra Bolzaneto e Busalla in direzione Busalla è stato interrotto per un allagamento all’interno della galleria Brasile. Una frana è invece la causa della chiusura al traffico della strada SP 52 che porta al santuario di Nostra Signora della Guardia, il più importante santuario mariano della Liguria. La riapertura della strada è prevista solo dopo la messa in sicurezza del versante e l’unico percorso alternativo diventa quello attraverso la SP 51 di Livellato. Tutte percorribili le altre strade provinciali.

TOTI: «VALPOLCEVERA LA PIÙ COLPITA»

«Notte di forti piogge a Genova, la zona più colpita è stata la Valpolcevera, dove si sono registrati i danni maggiori con allagamenti diffusi, alcune strade chiuse, auto e scantinati finiti sott’acqua e decine di interventi da parte dei vigili del fuoco», ha scritto sui social il presidente della Liguria Giovanni Toti. Al momento è la vallata colpita dalla tragedia del ponte Morandi, l’area più interessata dalla perturbazione delle ultime ore. «Raccomandiamo di limitare il più possibile gli spostamenti e di prestare attenzione. Seguite tutti gli aggiornamenti tramite i siti di riferimento tra cui quello di Regione Liguria e allertaliguria.gov.it».

NESSUN FERITO

«Fortunatamente non c’è nessuno che si è fatto male. Ci sono persone sfollate, isolati per le tante frane che stiamo gestendo», ha detto l’assessore alla protezione civile di Regione Liguria Giacomo Giampedrone a Primocanale intervenendo nella diretta dell’emittente sull’emergenza meteo rossa in corso in Regione e sui vari allagamenti registrati in val Polcevera. «Il fenomeno notturno ha fatto capire ancora una volta cosa significa gestire una allerta rossa a Genova e in Liguria. Sono caduti quasi i 300 millimetri di pioggia in tre ore in tutta la Valpolcevera. La perturbazione si sta spostando verso ponente», ha spiegato. «Ora la val Bormida è attenzionata speciale considerando che negli ultimi giorni sono caduti oltre 1.200 millimetri di pioggia, quando ne cadono solitamente 1.700 in un anno. Non mi stupirei se ci fosse una prosecuzione dell’allerta, magari anche di colore più tenue», nella prima parte della giornata di domani.

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Bach non brancola nel buio

Dall’amore per Sebastian, a cui si deve il linguaggio di tutta la musica che conosciamo, ai segreti dei suoi famosi dark concert. L’estroso maestro Cesare Picco si racconta a Roma InConTra.

La musica al buio. Quello vero, profondo, in cui neanche uno spiraglio di luce è concesso, dove le tenebre avvolgono tutto e tutti lasciando spazio solo al suono sprigionato dalle sapienti mani del maestro Cesare Picco.

È una dimensione affascinante quella che si vive nei Blind date – Concert in the Dark, che il compositore e improvvisatore classico porta in giro nei teatri di tutta Italia, valorizzando la melodia con il fascino imperscrutabile del buio. Tutto parte da regole precise, a cui il pubblico è conscio di doversi attenere: i primi minuti con una luce fioca che pian piano si spegne, fino a diventare per circa una mezz’ora buio assoluto, quello visibile – si fa per dire – solo nelle caverne o nelle profondità estreme del mare.

Ecco, è quello lo stadio in cui la musica viene espressa nella sua purezza, quasi viscerale, in cui lo spettatore viene calato in un’esperienza sensoriale autentica. Non per tutti, sia chiaro, sconsigliata agli apprensivi o chi soffre di attacchi di panico, ma adatta certamente a coloro che intendono affrontare attraverso il buio le proprie paure vivendo la musica per la musica, senza bisogno di altro.

CESARE PICCO, ARTISTA FUORI DAGLI SCHEMI

Una scelta originale, che rende Picco un artista fuori dagli schemi, oltre che un improvvisatore vero, con la barba da dandy, folta ma armonica, e la voce piena, corposa, forse modellata sulla qualità della musica che suona. A partire da quella di Joan Sebastian Bach, o solo Sebastian, come è intitolato il suo libro scritto per Rizzoli, presentato da Enrico Cisnetto a Roma InConTra. Bach per Picco è un riferimento imprescindibile, un genio, un supereroe, un’autentica rockstar, a cui l’intera musica, non solo quella classica, deve praticamente tutto.

Da sinistra, Enrico Cisnetto e Cesare Picco.

DOPO BACH TUTTA LA CONCEZIONE DELLA MUSICA È CAMBIATA

Bach, infatti, è il padre della codificazione del linguaggio del suono come lo conosciamo ora, su cui si basa la scrittura della musica. Un linguaggio quasi matematico, certamente frutto di uno sforzo sovraumano, realizzato in tempi in cui la musica veniva scritta per 18-20 ore al giorno, a orecchio, senza poter mettere le mani sullo strumento, senza l’ausilio di nessuna tecnologia e, nel caso di Bach, con la perdita graduale della vista, che lo rese cieco sin dalla giovane età. Eppure non esiste alcuna musica arrivata dopo Sebastian che non abbia fatto i conti con i codici da lui inventati, una sorta di dizionario di regole grammaticali che permettono di affrontare qualunque tipo di musica: dal blues al jazz, passando per il pop e per quella dei Beatles.

Cesare Picco.

UN CONCERTO AL BUIO CHE FA VIAGGIARE AD OCCHI APERTI

Ma l’omaggio che Picco rende al genio tedesco non è affatto la solita biografia tecnico-celebrativa, bensì un vero romanzo, che conduce il lettore, non per forza musicista, alla scoperta del giovane Bach, negli anni della scintilla che lo porterà a diventare uno dei riferimenti della storia della musica classica. Un viaggio a occhi aperti, questo sì, magari da alternare con le melodie che lo stesso Picco consiglia. Musica scritta, messa nero su bianco, da eseguire con minuziosa precisione, tutt’altra cosa rispetto al flusso imprevedibile generato sul momento nei suoi dark concert. Quello è pura creazione di suono in tempo reale, ogni sera diversa, espressa in un percorso che dalla luce va verso il buio, per poi ritornare alla luce. Un’esperienza coinvolgente. Persino illuminante.

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Le agitazioni del Sud America arrivano anche in Colombia

Proteste, incidenti e coprifuoco a Bogotà. Tre poliziotti uccisi in un attentato esplosivo. Il Paese si unisce all'ondata di sollevazione popolare.

Anche la Colombia si incendia del fuoco delle agitazioni che pervadono il continente sudamericano. Almeno tre poliziotti sono stati uccisi e sette sono rimasti feriti in un attacco con esplosivi avvenuto la notte di venerdì 22 novembre contro una stazione di polizia a Santander de Quilichao. Lo ha reso noto l’agenzia Efe. Il governo colombiano aveva disposto il coprifuoco a Bogotà per la persistenza di gravi incidenti – scontri, saccheggi e blocchi stradali – legati alla giornata di sciopero nazionale di giovedì.

MISURA CHIESTA DAL SINDACO

Via Twitter il presidente Iván Duque ha precisato che la misura restrittiva, attiva dalle 21, è stata richiesta dal sindaco della capitale Enrique Penalosa «per garantire la sicurezza di tutti gli abitanti della città». Intanto nella serata di venerdì, per il secondo giorno consecutivo, la gente è uscita in strada a Bogotà per ripetere il ‘cacerolazo’ (concerto di pentole e coperchi) già realizzato la sera di giovedì nella maggior parte delle città colombiane.

UNO SCIOPERO NAZIONALE PARTECIPATO

La Colombia si è unita così al movimento di protesta che interessa da mesi il Sud America con uno sciopero nazionale antigovernativo molto partecipato, caratterizzato da un clima di festa e allegria, ma segnato anche da incidenti in alcune città come Bogotà, Cali e Popayán. Marce e cortei sono cominciati di prima mattina in quasi tutto il Paese, con un indiscusso protagonismo di Bogotà, dove la protesta è stata particolarmente forte. Originariamente si trattava di uno sciopero sindacale contro trasformazioni che il governo intende apportare al regime pensionistico e alla legislazione del lavoro. Ma poi l’adesione di organizzazioni studentesche e di movimenti sociali ha portato allo scoperto un malessere accumulato da anni per un modello di società che non soddisfa molti colombiani.

UN COMMANDO DI PERSONE COL VOLTO COPERTO

Nella serata di giovedì 21 novembre era apparso un commando di persone con il volto coperto che ha ricoperto di scritte le pareti degli edifici e si è scontrato con la polizia che ha usato gas lacrimogeni. Altri incidenti sono avvenuti in un ampio settore del Nord Est della capitale e lungo la nazionale che conduce all’aeroporto El Dorado, dove i manifestanti hanno cercato di giungere, però senza esito. Scontri fra manifestanti e polizia, infine, sono avvenuti anche a Cali, dove per tutta la giornata la protesta si era sviluppata nella calma, e a Popayán, capitale del dipartimento di Cauca, dove vi è stato negli ultimi mesi un gran numero di indigeni assassinati. Da più parti, anche con l’intervento dell’ex candidato presidenziale della sinistra e attuale senatore Gustavo Petro, è stato proposto che le manifestazioni nel centro di Bogotà si ripetano per «esprimere il disagio soprattutto delle giovani generazioni che lottano per un modello di società differente da quello attuale».

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Franco Ortolani è morto, addio al senatore M5s

Professore di Geologia all'Università Federico II di Napoli era simbolo delle battaglie ambientali in Campania, in prima linea nella battaglia per la Terra dei fuochi.

È morto nella notte tra il 22 e il 23 novembre il senatore del Movimento 5 Stelle, Franco Ortolani. Professore ordinario di Geologia all’Università Federico II di Napoli, aveva 75 anni ed era malato da tempo. A stroncarlo sono stati due tumori di cui aveva parlato pubblicamente su Facebook, affermando di averli contratti «per colpa dei veleni in Campania».

UNA VITA AL SERVIZIO DELL’AMBIENTE

Ortolani era nato a Molinella, nel Bolognese, il 29 agosto 1943, ma aveva vissuto gran parte della sua vita a Napoli, a servizio della Campania e delle battaglie ambientaliste che ha condotto con grande coraggio. Simbolo della lotta alla Terra dei Fuochi, si era opposto anche alle discariche di Chiaiano e alle ecoballe. Negli Anni ’90 era stato in prima linea nella lotta al dissesto idrogeologico di Napoli città mentre erano aperti i cantieri per la ex linea tramviaria rapida (oggi Linea 6) che doveva collegare Fuorigrotta al centro e che è rimasto un progetto incompiuto dopo Tangentopoli.

SENATORE DAL 2018

Il suo impegno civile e ambientale e la sua propensione alla divulgazione scientifica lo hanno fatto notare alla stampa prima e alla politica poi. Così nel 2018 il Movimento 5 Stelle ha scelto di candidarlo al Senato. Ortolani è stato eletto nel collegio uninominale di Napoli-Arenella, portando nelle aule del parlamento la sua battaglia. A dare la notizia della scomparsa, sul suo profilo Facebook, è stata la collega pentastellata Vilma Moronese: «Qualche giorno fa ho scritto un messaggio al caro collega Franco Ortolani, per dirgli che stavamo ultimando i lavori sul dl clima, un provvedimento su cui ero certa gli sarebbe piaciuto lavorare. Gli ho scritto che comunque c’era ancora tanto da fare e che tutti i colleghi chiedevano di lui e che la commissione ambiente del senato lo aspettava. Purtroppo non abbiamo avuto neanche il tempo di un ultimo saluto. Franco mancherà a tutti anche per i modi garbati con cui si poneva agli altri. È un momento molto triste per tutti noi, abbiamo perso una grande persona, un cittadino esemplare, un guardiano dell’ambiente ed un validissimo servitore dello Stato».

Qualche giorno fa ho scritto un messaggio al caro collega Franco Ortolani, per dirgli che stavamo ultimando i lavori sul…

Posted by Vilma Moronese Cittadina Senatrice M5S on Friday, November 22, 2019

IL SALUTO DI DI MAIO

La morte di Ortolani è stata commentata anche dal leder del Movimento, Luigi Di Maio: «Una vita dedicata alla tutela del territorio, alla salvaguardia dell’ambiente. Quando c’era da proteggere il nostro territorio, da sostenere cittadini contro discariche illegali e roghi tossici in Campania, lui c’era sempre. Lo ricordo con grande affetto, non solo per il suo grande lavoro da Senatore del MoVimento 5 Stelle. Nel 2007 ero Presidente dell’associazione degli studenti di Giurisprudenza e del Consiglio degli Studenti di Facoltà. Riuscimmo ad ottenere un’intervista con l’allora Commissario all’emergenza rifiuti in Campania Gianni De Gennaro. Lo avevamo incalzato su una serie di questioni cocenti che riguardavano la nostra terra e le nuove discariche che si volevano realizzare. Se tante comunità in Campania non sono state intossicate da discariche o impianti inquinanti, lo si deve al professor Franco Ortolani. Grazie Franco, tutto il MoVimento ti abbraccia».

Si è spento il professor Franco Ortolani, Senatore del MoVimento 5 Stelle. Una vita dedicata alla tutela del…

Posted by Luigi Di Maio on Saturday, November 23, 2019

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Quella sindrome del buffone che inquina la nostra politica

Ormai a forza di promesse impossibili, battute e semplificazioni il dibattito è diventato un circo. Dove vince chi la spara più grossa o la butta in caciara. Senza nessun rispetto per la verità. Ma comportarsi come le parodie crozziane non porta fortuna.

«Non comprerei un’auto usata da nessuno dei due». È il commento di un lettore del Guardian all’indomani del primo confronto elettorale televisivo fra Jeremy Corbin e Boris Johnson, giudicato da un altro «così deprimente» da indurre un terzo lettore a definirlo «non un dibattito ma un circo».

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA POLITICA

Gli interessati però non se ne danno pena. Anzi, come un po’ tutti gli altri leader, in Europa e negli Usa, non si rendono conto di essere ai minimi storici di credibilità e fiducia. Parlano e straparlano con una leggerezza che è particolarmente penosa quando affrontano temi seri e riducono la complessità di molti problemi a battute. Non capiscono di essere ridicoli, proprio quando fanno i duri e le sparano grosse, perché sono degli orfani di partito. Vittime della scomparsa delle tradizionali strutture partitiche, che garantivano contraddittorio e confronto interni, dunque la possibilità di ricredersi, rettificare, aggiustare i pensieri, modificare le proposte. Non capiscono perché sono preda di un narcisismo che soprattutto i social hanno fatto deflagrare. Incapaci di autocritica, dunque di autovalutazione, sono invariabilmente sordi a qualsiasi osservazione, anche da parte di amici (non solo di Facebook), e incapaci di chiedere scusa o dichiararsi pentiti anche quando hanno fatto o detto una cazzata. 

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Boris Johnson.

IL CASO DEL SINDACO DI BIELLA

Naturalmente ci sono eccezioni. Ultimo, ma da sincero applauso, il sindaco di Biella, il leghista Claudio Corradino, che dopo avere negato la cittadinanza onoraria a Liliana Segre e averla offerta a Ezio Greggio, si è pubblicamente pentito della “cretinata” commessa. Ma qui più del peraltro fulminante hastag #biellaciao colpisce che a indurre alle scuse sia stato lo stesso Greggio, cioè un comico vero e non un politico in vena di battute. Ma su questa rovesciamento di ruoli tornerò. Ora volevo segnalare come le “cazzate” – traduzione letterale del saggio del 1986 del filosofo Harry G.Frankfurt e ripubblicato nel 2005 On Bullshit – e soprattutto la loro proliferazione in un ambito serio come è stato e dovrebbe essere la politica, scaturiscono dalle proprietà che hanno, appunto, le cazzate. Ovvero parole, secondo la teoria di Frankfurt applicata alla comunicazione, intese a persuadere senza riguardo per la verità. Il bugiardo, nella quotidianità, si preoccupa della verità e cerca di nasconderla; al bullshitter viceversa non importa se ciò che dice è vero o falso, ma solo se gli ascoltatori sono persuasi.

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L’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi.

LE TRISTI COMICHE E LE PROMESSE IMPOSSIBILI

In questa luce si comprende perché i leader con i testa quelli populisti e sovranisti siano i più prolifici nello sparare promesse impossibili e nel fare a gara a chi rende più facile, secondo il classico meccanismo pubblicitario, la soluzione di emergenze epocali o di vertenze economiche molto complicate. È il famoso «uomo che non deve chiedere mai (scusa)» che ispira Capitan Salvini quando dice e ridice che «la droga fa male», ignorando che non è quello il problema evocato dalle sue dichiarazioni sul caso Cucchi. Con l’ex ministra del Mezzogiorno, la grillina Barbara Lezzi che auspica, in tandem con il compagno di partito Manlio Di Stefano, la miticoltura come risposta occupazionale alla chiusura dell’Ilva, siamo invece nei film di Totò. Con le cozze al posto dell’acciaio, alle comiche di governo. Ciak si gira: Azione. Per evocare l’ultimo scherzo (a parte): il nuovo partito di Carlo Calenda. Che dimostra come anche nel centrosinistra si faccia molta fatica a fare i conti con la realtà. Ovvero a leggerla, a interpretarla e in qualche modo anticiparla. Ma soprattutto a capire bene se si sta scherzando o facendo sul serio. 

MEME E TORMENTONI AUMENTANO IL RIDICOLO

Due casi recenti lo mostrano con vivezza. Il primo è la mobilitazione delle Sardine che ha spiazzato tutti, ma in modo particolare il leader leghista preso in contropiede da un evento assolutamente imprevisto, per la velocità e dimensione assunta dalla protesta di piazza anti-Lega. Il secondo è il tormentone cucito addosso a Giorgia Meloni dopo il comizio di San Giovanni: «Sono una donna….sono cristiana…sono una madre….». Questo meme, chiaramente canzonatorio, è diventato virale. Ha fatto il botto, ha spaccato, come si dice in gergo. A quel punto l’interessata, ma anche una vasta schiera di giornalisti e comunicatori, pure non simpatizzanti, ha cominciato a pensare e dire che lo sfottò anziché mettere in ridicolo la leader di Fratelli d’italia l’ha resa più simpatica.

Giorgia Meloni in piazza San Giovanni.

La satira avrebbe funzionato al contrario. Ma davvero quella caricatura ha reso più popolare Giorgia Meloni? Meno truce e minacciosa e più glam e spiritosa? Non scherziamo. L’ho chiesto a molti giovani, universitari e liceali: tutti hanno detto che fa ridere. Ennesima conferma che quando non si vuole capire non si capisce. O meglio si capisce che a destra prevale assolutamente la convinzione che è importante che se ne parli. Bene o male, vero o falso, per tornare alla teoria delle cazzate, non fa differenza. Perché l’unica cosa che conta è che un messaggio, un volto, una situazione, una protesta, legittima o meno, si fissino nell’immaginario collettivo del momento. Siano memorizzati. Diventino, appunto, un meme, un messaggio semplificato ma per questo ben più efficace di tanti discorsi. 

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Il leader della Lega Matteo Salvini.

GATTINI PERDENTI CONTRO LE SARDINE

La comparsa del movimento autoconvocato delle Sardine segnala però alcune rilevanti novità. Anzitutto la rapidità con cui è montato e ha scalato l’attenzione dell’opinione pubblica. In secondo luogo l’efficace azione di contrasto («Abbiamo imparato a fare il tuo lavoro in sei giorni») alla Bestia leghista. Che alle Sardine ha risposto con i gattini, #gattiniconSalvini, che rappresentano però il grado zero dei social, ma anche della comunicazione. Oltre che della politica trasformata nel cartoon di Gatto Salvini. In terzo luogo, ma è la novità più significativa, la comparsa di un uso gentile dei social. Evocando “sardine slegate”, anziché paure e “uomini neri” (parliamo di Bibbiano), si dice basta all’idea e pratica populista del trolling, dell’uso disinvolto e aggressivo di fake, degli attacchi personali. Il tweet più condiviso è stato infatti un tweet umoristico: «Politico vero risponde con fatti, politico finto risponde con gatti» firmato @VujaBoskov.

LEADER TRASFORMATI IN PARODIE CROZZIANE

Ora non so se i nostri politici capiranno che è ora di smettere di dire “cazzate”. Ma soprattutto di non ridere quando vengono presi in giro, pensando che mostrarsi spiritosi renda simpatici e popolari. Luigi Di Maio ad esempio, venerdì scorso a Accordi&Disaccordi, sulla Nove, invitato a guardare Maurizio Crozza che lo imitava ha detto che per lui «è un onore» essere preso in giro. Sarebbe troppo ricordargli che, certo in altri tempi, un grande leader come Enrico Berlinguer quando fu raffigurato, in una vignetta di Forattini, in vestaglia e pantofole sulla poltrona di casa, mentre gli operai sfilavano in corteo, si infuriò e con lui tutto il popolo comunista. Ma sarà bene che consideri che due segretari del Pd, entrambi poi fuoriusciti, Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi, sono naufragati nel momento in cui hanno cominciato a comportarsi e parlare come le loro parodie crozziane. «Oh ragassi! non siamo qui a pettinare le bambole» è una frase in qualche modo storica. Nel ribadire il carattere alla lunga auto-distruttivo del politico che si traveste da comico e fa battute. Anche perché è provato, come dimostrano Beppe Grillo e Volodymyr Zelenski in Ucraina, che se la politica diventa una comica, allora è meglio affidarsi a un comico vero.


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Chi sono i foreign fighters dell’Isis che la Turchia vuole rispedire in Europa

Sarebbero 1.200 i cittadini europei catturati in Siria. Molti di loro sono jihadisti che Ankara è pronta a rimpatriare nei Paesi d'origine. Che però, nella mancata comunicazione tra intelligence, non sanno gestirli. Il punto.

L’11 novembre la Turchia ha espulso il primo dei combattenti stranieri dell’Isis trattenuti sul suo suolo, un americano che alla fine sembra essere stato abbandonato sul confine con la Grecia (quindi dell’Ue), rimbalzato più volte tra le polizie. «Non è un nostro problema», ha dichiarato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Sono seguiti due rimpatri, uno verso la Germania l’altro verso la Danimarca, e nei giorni dopo effettuati decine di voli verso l’Europa. «Centinaia e centinaia ce ne saranno ancora», ha promesso Erdogan e fa sul serio. Chi invece a lungo ha declinato, e declina, le proprie responsabilità sulle migliaia di foreign fighter (gli stranieri partiti per combattere con l’Isis e al Qaeda in Medio Oriente) sono i maggiori governi europei: la Gran Bretagna, come gli Stati Uniti, disconosce questi cittadini, la Francia e il Belgio tentano di farli processare in Iraq, la Germania li accetta ma non sa ancora bene dove mettere le mani.

LE LACUNE DELLE INTELLIGENCE

Ci sono prove o sufficienti elementi per disporre custodie cautelari? È certa alle intelligence la loro identità? In alcuni casi no. Il ministero degli Esteri tedesco ha ammesso di non conoscere ancora tutti i nomi dei concittadini in partenza dalla Turchia, solo un terzo dei rientrati è sotto inchiesta. Si tratta poi di stranieri catturati (circa 2280) dalla coalizione guidata dai curdo-siriani (Ypg) durante la liberazione caotica del Nord della Siria. Combattenti jihadisti detenuti in origine nelle carceri del Rojava, regione invasa questo autunno dalle forze turco-arabe dopo l’improvviso ritiro degli americani. Nell’ultima indagine dell’Egmont Institute si stima che circa 1.200 foreign fighter dell’Europa fossero finiti nelle prigioni curde. Sarebbe stato necessario un gioco di squadra tra i dipartimenti dell’antiterrorismo per ricostruire i percorsi dei sopravvissuti: migliaia di jihadisti stranieri sono morti o dispersi in guerra, alcuni di loro erano tracciati, mentre altri in vita no. Invece i governi occidentali chiamati in causa erigono muri. 

Un foreign fighter arrestato in Italia.
Un foreign fighter arrestato in Italia.

IN ITALIA NESSUN ARRIVO

L’Italia stavolta non fa testo: era tra i Paesi dell’Ue con meno foreign fighter, anche per le dinamiche di immigrazione più recenti. Tra i circa 140 partiti dal nostro Paese, una cinquantina risultano morti, e nel totale solo 25 erano cittadini italiani: tra loro, alcuni sono rientrati in Ue e diversi sono monitorati. Non ci sarebbero italiani in arrivo dalla Turchia: anche all’estero, ha fatto notizia la storia del piccolo Elvin, identificato dall’antiterrorismo italiano nel campo dell’Isis di al Hol, in Siria, e riportato a casa grazie alla collaborazione con le forze curde attraverso un corridoio umanitario tra Damasco e il Libano. Si ha contezza anche di altri bambini italiani nel Nord-Est della Siria sotto il controllo delle Ypg, che si tentano di rimpatriare. In ogni caso le donne e i minori rappresentano un problema nel problema, anche tra i foreign fighter in Turchia: circa due terzi di questi detenuti (ovvero 700) sono bambini tratti in salvo nei combattimenti. Spesso orfani di un genitore (come Elvin della madre), quando non dell’intera famiglia.

IL DESTINO DELLE DONNE RECLUTATRICI

Alcune donne dell’Isis sono rilasciate all’arrivo in Europa, per il ruolo passivo o la mancanza di prove, seguite poi nella de-radicalizzazione come è accaduto in Germania. Altre, come un’altra tedesca subito portata in carcere a Francoforte, sono accusate di avere avuto un ruolo attivo nella rete terroristica. E, quindi, sono considerate ancora pericolose come la combattente e reclutatrice di spose per i miliziani Tooba Gondal: 25enne di origine pachistana, è cresciuta a Londra dove vorrebbe tornare dalla famiglia, ed è ben nota all’intelligence del Regno Unito che le ha vietato il soggiorno. Tooba però, più volte vedova di jihadisti e con diversi figli, ha il passaporto francese. Di conseguenza era nella lista turca di ex membri dell’Isis da rimpatriare in Francia, dove in compenso l’intelligence ha pochi elementi su di lei. Il suo caso, come quello del primo espulso americano, è emblematico del groviglio sul destino dei terroristi cittadini di Stati occidentali che non li vorrebbero indietro.

Isis foreign fighter Turchia Ue
Circa 700 membri dell’Isis europei catturati in Siria sono bambini. GETTY.

LE CITTADINANZE REVOCATE

A questo proposito, negli Stati Uniti un giudice ha appena negato la cittadinanza a una donna dell’Isis, nata e cresciuta nell’Alabama, ma figlia di un diplomatico yemenita all’Onu: condizione che le è valsa l’altolà al rientro dalla Siria. Allo stesso modo il Regno Unito ha revocato la cittadinanza a diversi jihadisti (comprese alcune convertite da Gondal) per i quali si sostiene ci sarebbero gli estremi per la cittadinanza automatica nei Paesi d’origine. E sebbene anche i britannici si siano adeguati all’ultimatum («la Turchia non è un albergo»), lasciando atterrare dei sospetti terroristi, insistono affinché siano «processati nel luogo dove sono stati commessi i crimini», cioè in Siria e in Iraq. Una posizione sostenuta anche dal Belgio, costretto ad «aprire procedure bilaterali» con Ankara, ma con Baghdad si vedrà. Le resistenze sui connazionali nell’Isis restano forti anche in Francia, dove dal 2014 sono rientrati circa 250 affiliati grazie ad accordi con la Turchia. Ma i circa 400 che erano in Siria si vorrebbe fossero giudicati e detenuti in Iraq.

IL GIRO DI DENARO TRA RAQQA, LA TURCHIA E L’UE

A Baghdad c’è la pena di morte, anche le donne dell’Isis colpevoli di gravi reati sono giustiziate, mentre in Francia sconterebbero pene in media di 10 anni. Eppure gli esperti di terrorismo raccomandano di non mettere la testa nella sabbia, anche per ragioni di sicurezza: gli ultimi attacchi non sono stati compiuti da ex foreign fighter, in un modo o nell’altro, tracciati. Ma da cani sciolti come i rifiutati dagli Usa e dall’Ue, o fanatici e fanatiche apolidi o in fuga – con i figli – dai campi di prigionia verso le tante cellule sparse dell’Isis in Siria e in Iraq. E resta il fatto che più di 1000 jihadisti siano a tutti gli effetti cittadini Ue. Vero è che neanche la Turchia può fare il poliziotto buono, sottraendosi alle responsabilità sull’Isis: il dipartimento del Tesoro Usa sta sanzionando aziende turche che hanno rifornito al Baghdadi per anni. Money transfer, cambi valute e gioiellerie aperte dai jihadisti hanno operato anche dal Gran Bazar di Istabul verso Raqqa e gli altri territori dell’Isis. Con ramificazioni in Medio Oriente e fino in Belgio, nel cuore dell’Ue.

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