La parabola di Corbyn al capolinea dopo il crollo laburista

Il grande sconfitto del voto nel Regno Unito difficilmente avrà un'altra chance. Paga le ambiguità sulla Brexit e una leadership mai così incerta. Tra i Labour gia si pensa al suo erede.

Una sconfitta così, dalle parti del Labour, non si vedeva da quasi un secolo. Per la precisione dal 1935. E un fiasco di tali dimensioni, difficile anche solo da prevedere alla vigilia, non può che ricadere sulle spalle di Jeremy Corbyn, il cui futuro, all’indomani del voto del 12 dicembre, sembra già essere scritto.

DALLE RETROVIE AL CENTRO DELLA SCENA

Per decenni più noto alle piazze dei militanti che non nei palazzi, alla Camera dei Comuni, dove pure siede da quasi 37 anni, Corbyn è sempre stato l’eterno backbencher: uno di quelli seduti agli ultimi banchi, la retrovia dei battitori liberi, fra gli indisciplinati della sinistra laburista. A 70 anni suonati, il compagno Jeremy, sembrava essersi abituato al centro della scena, ma ora sarà gioco forza costretto a un passo indietro obbligatorio.

L’IDEALISMO CHE NON LO HA MAI ABBANDONATO

Alfiere del ‘no all’austerity’, pacifista e socialista mai pentito, Corbyn è arrivato all’ultima chance politica della vita con gli stessi sogni, gli stessi pregi e difetti, gli stessi abiti sdruciti della gioventù. Solo la barba si è fatta grigia, da rossa che era. E il sorriso si è come addolcito: da nonno ribelle, caro ai molti giovani millennials apparsi a frotte, nella sorpresa un po’ stizzita dei media di establishment, ad acclamarlo fin dalla campagna del 2017 al grido “Jez, we can!”. Nato a Chippenham, nel Wiltshire, figlio di un ingegnere e di una insegnante di matematica conosciutisi sulla trincea repubblicana durante la Guerra civile spagnola, Jeremy è cresciuto in un clima di attivismo politico destinato a segnarne tutte le scelte future.

LE MILLE BATTAGLIE COMBATTUTE IN PRIMA LINEA

Dopo essere stato funzionario sindacale, è diventati deputato nel collegio londinese di Islington a 34 anni. Le sue cause hanno spaziato dai diritti dei lavoratori alla pace in Irlanda del Nord e in Palestina. Per Nelson Mandela, allora in cella nelle galere di un regime razzista sudafricano trattato coi guanti dai governi di Margaret Thatcher, si è fatto pure arrestare. Paladino del disarmo nucleare, ostile all’interventismo militare (in Iraq, Afghanistan, Libia, ma anche nei Balcani), è altrettanto radicale nella vita privata. Vegetariano, astemio e ambientalista, si è sposato tre volte: dalla seconda moglie, Claudia Bracchitta, italiana, ha avuto tre figli e ha divorziato nel 1999, pare uno screzio sull’iscrizione di uno dei ragazzi a una scuola privata, da lui considerata off limits. La consorte attuale è cilena e gli ha portato in dote il micio El Gato.

LA SCALATA UN PO’ A SORPRESA ALLA LEADERSHIP LABURISTA

La svolta nel suo destino è arrivata nel 2015, quando è stato eletto a sorpresa leader dei laburisti, sull’onda del rifiuto dilagante nella base verso gli ex blairiani liberal in carriera. L’anno dopo ha stravinto una seconda sfida malgrado il fuoco amico di gran parte della nomenklatura interna. E la bandiera del Labour è rimasta così nelle sue mani, sia contro Theresa May sia contro Boris Johnson, in barba agli alti e bassi della Brexit, alle critiche alla sua leadership incerta, alle polemiche sull’atteggiamento che gli è stato imputato rispetto a certi rigurgiti di antisionismo (ma anche di antisemitismo di sinistra) nel partito.Ma il suo punto debole è probabilmente rimasto il rapporto con la platea più vasta degli elettori, la maggioranza silenziosa. Anche se pareva aver fatto breccia tra i disillusi e gli sconfitti della globalizzazione, come fra gli under 30. Il risveglio, tuttavia, è stato traumatico e adesso è difficile credere che la parabola di Jeremy non sia giunta al capolinea.

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I timori di expat e italo-inglesi dopo il voto che avvicina la Brexit

Le voci dal Regno Unito nel giorno del trionfo di Johnson. Tra le incertezze dei piccoli imprenditori e le paure di chi di Londra ha fatto la propria seconda casa.

Con il voto britannico che ha spianato – una volta per tutte – la strada alla Brexit, le future norme sull’immigrazione restano la principale preoccupazione tra gli expat italiani nel Regno Unito. Ma anche fra la generazione dei ‘vecchi’ italo-inglesi, sullo sfondo di elezioni svoltesi Oltremanica in una giornata grigia e piovosa di dicembre. Qualcuno di loro ha votato. Qualcuno non lo ha fatto o non lo può fare, perché non è suddito di Sua Maestà e non ha chiesto il passaporto, anche se magari sull’isola ci vive da decenni.

UN’INCERTEZZA CHE SPAVENTA GLI INVESTITORI

Il voto del 12 dicembre è stato qualcosa di molto simile a un secondo referendum sul divorzio da Bruxelles, nota Alessandro Belluzzo, presidente della Camera di Commercio italo-britannica e londinese d’adozione, che parla di «elezioni legate alla Brexit, non c’è stato spazio per altro. La priorità per il Paese è superare quest’incertezza, radicale, persino violenta. Noi eravamo contrari, ma se il popolo ha deciso così, dobbiamo accettarlo». Un nodo cruciale è quello degli investimenti. «Gli imprenditori», insiste Belluzzo, «hanno bisogno di certezze, di una cornice economico-sociale chiara entro cui operare. Dal voto per la Brexit abbiamo registrato una diminuzione d’interesse per questo Paese. Prima c’era più voglia di provarci, ora chi viene per investire o lavorare ha molti più dubbi e domande».

Ho vissuto qui per 40 anni, ma nonostante abbia una moglie inglese e figli con passaporto inglese mi chiedo quale sarà il mio futuro

Salvatore Calabrese

Questi timori sono condivisi anche da chi del Regno ha fatto una seconda patria. «La Brexit fa paura, soprattutto a chi è arrivato qui nel secondo dopoguerra e sente il Regno Unito come fosse casa sua», spiega Gianna Vazzana, del patronato Acli, dalla sede di Clerkenwell Road, accanto alla chiesa cattolica italiana di San Pietro, nel cuore di quella che fu la mini Little Italy di Londra fin dall’arrivo dei primi rifugiati ai tempi di Giuseppe Mazzini e poi delle prime comunità di migranti. «Gente che magari non ha mai preso la doppia cittadinanza, e ora teme di doversene andare», aggiunge. Ipotesi estrema, improbabile. Eppure evocata anche da Salvatore Calabrese, celebre barman e oggi consulente del più antico albergo della capitale, il Brown’s Hotel. «Ho vissuto qui per 40 anni, ma nonostante abbia una moglie inglese e figli con passaporto inglese mi chiedo quale sarà il mio futuro».

UNA CAMPAGNA ELETTORALE DAI TONI «VIOLENTI»

Lui non ha votato, e comunque non avrebbe saputo chi scegliere. «Ho sempre detto che politica e religione non devono entrare nei miei bar, ma in questi giorni è stato impossibile. Non si è parlato che di politica. Sono state le elezioni più imprevedibili che io ricordi. Boris Johnson è un personaggio divisivo, piace ed è detestato alla stessa maniera». A fare da contraltare al trionfo del premier c’è la disfatta del leader laburista Jeremy Corbyn, che «rispetto a due anni fa non ha potuto contare sull’effetto sorpresa, e forse ha pagato anche qualche incertezza sulla Brexit», dice Dimitri Scarlato, direttore d’orchestra e membro di ‘The 3 million’, un movimento nato per tutelare per i diritti dei cittadini europei nel Regno.

Se potessi chiederei al premier di smettere di dire tutte le bugie che ho sentito

Alessandro Gallenzi

La Brexit ha «spaccato il Paese», ma ne ha pure evidenziato gravi lacune amministrative, accusa Alessandro Gallenzi, fondatore della casa editrice Alma. «Piccole aziende come la mia sono rimaste al buio, nonostante le nostre ripetute richieste di chiarimento e, se potessi, chiederei» alla politica «di smettere di dire tutte le bugie che ho sentito». O se non altro di moderare certi toni «aspri, di fortissima contrapposizione», fa eco Lazzaro Pietragnoli, consigliere del Labour nel municipio circoscrizionale di Camden. Lui, in campagna elettorale, è stato coinvolto direttamente, secondo la tradizione britannica del porta a porta. Ma ne parla come di «una campagna più negativa che positiva, in cui entrambi i leader si sono preoccupati soprattutto di spiegare perché non votare l’avversario».

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Chi è Sofia Tornambene, la vincitrice di X Factor 2019

La cantante, della squadra under di Sfera Ebbasta ha avuto la meglio sui tre finalisti Davide Rossi, La Sierra e i Booda.

La tredicesima edizione di X Factor ha il suo vincitore. Dopo un’accesa sfida, dove non sono mancati come da tradizione i colpi di scena, a spuntarla è stata Sofia Tornambene. Fuori dai giochi quindi Davide Rossi, La Sierra e i Booda che completavano il quartetto arrivato alla finale del talent show musicale in onda su Sky Uno.

CHI È SOFIA TORNAMBENE

Sofia Tornambene, categoria under affidata a Sfera Ebbasta, era la più giovane dell’edizione 2019 di X Factor. La cantante, 16 anni, ha conquistato giudici e pubblico con la sua semplicità e l’inedito A domani per sempre scritto quando aveva appena 14 anni. La giovane viene da Civitanova Marche dove frequenta la terza all’Istituto Tecnico Grafico-Pubblicitario. Sofia però è una predestinata con la musica nel sangue. Il padre della ragazza, Giovanni, è un musicista e ha avvicinato la figlia a questo mondo già all’età di otto anni. Tanto che la 16enne è capace a suonare la chitarra, la batteria e il pianoforte. I suoi artisti preferiti sono mostri sacri della musica come i Bee Gees, i Queen e Michael Jackson. Ma Sofia non è nemmeno un volto del tutto nuovo al piccolo schermo. Proprio nel 2019 ha partecipato a Sanremo Young.

GLI ELIMINATI DELLA FINALE DI X FACTOR

Il quarto classificato della finale di X Factor è stato Davide Rossi. Il cantante era nella squadra di Malika Ayane, che è rimasta così senza concorrenti come Mara Maionchi, ed è stato anche il primo ad abbandonare la competizione. Terzi classificati i La Sierra di Samuel che aveva a disposizione per la finalissima a due contro Sofia anche i Booda. Proprio questi ultimi si sono posizionati sul secondo gradino del podio lasciando il primo posto a Sofia Tornambene.

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I risultati delle elezioni nel Regno Unito

Johnson punta a superare i 326 seggi per portare a termine la Brexit. Altrimenti sarà nuovamente stallo. Con Corbyn che promette un secondo referendum e guarda a una (improbabile) alleanza con LibDem e Snp.

Un plebiscito per la Brexit. Il 12 dicembre il Regno Unito è andato alle urne per la seconda chiamata alle elezioni generali da quando il referendum del 2016 ha messo in moto il tribolato iter per il divorzio di Londra dall’Unione europea. E il responso è stato inequivocabile, almeno stando ai primi exit poll: Partito conservatore a valanga, con 368 seggi, 42 in più della maggioranza assoluta. Male il Labour di Jeremy Corbyn, fermo a 191. Terza forza è lo Scottish National Party (Snp), a 55 seggi. Soltanto 13 per i LibDem, unico partito convintamente pro Remain.

OBIETTIVO 326 SEGGI PER JOHNSON

Le elezioni anticipate del 12 dicembre sono state volute dal premier conservatore Boris Johnson, nel tentativo di ottenere quella maggioranza assoluta in parlamento che, defezione dopo defezione, aveva visto allontanarsi sempre di più negli ultimi mesi a Downing Street e che è necessaria per portare a termine la Brexit.

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Le canzoni più famose di Ultimo

Da Pianeti a Rondini al guinzaglio, passando per Il ballo delle incertezze e I tuoi particolari. Ecco i brani più conosciuti del cantante romano.

Nato a Roma il 27 gennaio 1996, Ultimo (al secolo Niccolò Morconi) è tra gli ospiti più attesi della finale di X Factor 2019. Il cantante, già vincitore a Sanremo 2018 nella categoria Nuove Proposte con il brano Il ballo delle incertezze, è pronto a salire sul palco del talent show di Sky Uno dove si esibirà con un medley delle sue canzoni più celebri. Ma quali hanno fatto più successo? Eccone 10.

PIANETI

Quando parliamo di Pianeti bisogna ricordarci che si tratta dell title track del debut album di Ultimo. Il singolo è stato pubblicato a ottobre 2017 per poi tornare fortemente in auge nel 2019 dopo la partecipazione del cantante al Festival di Sanremo.

OVUNQUE TU SIA

Il secondo singolo, sempre estratto dall’album d’esordio Pianeti, è Ovunque tu sia. Il brano ha anche vinto il disco d’oro.

SOGNI APPESI

E se Ovunque tu sia ha vinto il disco d’oro, con Sogni appesi ultimo ha guadagnato nel 2019 il disco di platino grazie agli altissimi ascolti in streaming su piattaforme certificate e agli altrettanti download digitali.

IL BALLO DELLE INCERTEZZE

Senza ombra di dubbio Il ballo delle incertezze è il brano più conosciuto di Ultimo. Questa è la canzone che ha dato la svolta alla carriera del cantante. Presentato nella categoria Nuove Proposte di Sanremo 2018, arrivando al primo posto nella categoria, questo singolo è il primo estratto del secondo album in studio Peter Pan.

POESIA SENZA VELI

Arriva sempre dall’album Peter Pan anche Poesia senza veli. In questo brano Ultimo parla di innocenza e amicizia. E di quello sguardo trasognato ma puro che si aveva da bambini. Poesia senza veli è una delle canzoni di Ultimo più ascoltate su Spotify con oltre 36 milioni di streaming.

CASCARE NEI TUOI OCCHI

E se Poesia senza veli ha collezionato 36 milioni di streaming, di gran lunga superiori sono quelli di Cascare nei tuoi occhi. A oggi su Spotify sono 42 milioni gli ascolti di un brano molto romantico e che parla dell’infatuazione per una ragazza e del desiderio di entrare a far parte del suo mondo da parte di un ragazzo. Il singolo ha vinto il doppio disco di platino.

LA STELLA PIÙ FRAGILE DELL’UNIVERSO

Disco di platino anche per La stella più fragile dell’universo. Curiosamente il brano, che è contenuto nel brano Peter Pan, non è stato lanciato come singolo. Questo non ha impedito di essere diventato uno dei pezzi preferiti dei fan di Ultimo.

TI DEDICO IL SILENZIO

Era il 14 dicembre 2018 quando il cantante romano pubblicava il suo ultimo singolo estratto da Peter Pan. Si trattava di Ti dedico il mio silenzio, vincitore anche lui di un disco di platino. Piccola curiosità: il videoclip del brano è stato realizzato durante un concerto di Ultimo.

I TUOI PARTICOLARI

I tuoi particolari è stato il tormentone del 2019. Lanciato a febbraio come singolo del terzo album in studio di Ultimo – Colpa delle favole – il brano era stato presentato in anteprima in occasione del Festival di Sanremo 2019 arrivando al secondo posto nella categoria big subito dietro a Soldi di Mahmood. In pochi mesi questo singolo si è guadagnato il doppio disco di platino.

RONDINI AL GUINZAGLIO

Si arriva infine a Rondini al guinzaglio, ovvero il terzo singolo estratto da Colpa delle favole. La canzone, come ha spiegato lo stesso Ultimo, è un inno alla libertà individuale. In appena un mese, era stato lanciato ad aprile 2019, il singolo è stato certificato disco d’oro.

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L’allerta meteo per neve e pioggia del 13 dicembre

Un orda artica è pronta a colpire l'Italia da Nord a Sud. Previsto vento forte e gelo. E a Roma la sindaca Raggi chiude le scuole per precauzione.

Fine settimana di dicembre come non si vedeva da tempo, all’insegna del freddo e della neve che ha già imbiancato il Nord, anche la pianura, arrivando fino alla Toscana. Per il momento non si segnalano grandi disagi ma secondo le previsioni dei meteorologi nelle prossime ore, e a ridosso del weekend, è previsto l’arrivo della “tempesta di Santa Lucia“, una sorta di “ciclone” che attraverserà l’Italia da Nord a Sud.

A ROMA SCUOLE CHIUSE PER PRECAUZIONE

Tanto che il Dipartimento della Protezione Civile ha emesso una nuova allerta meteo che prevede a partire dalla tarda mattinata del 13 dicembre venti di burrasca fino a tempeste su Emilia-Romagna orientale, Toscana, specie nei settori costieri e meridionali, coinvolgendo Umbria, Marche, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e Puglia. Attese, inoltre, precipitazioni diffuse localmente anche molto intense e accompagnate da grandinate su Campania, Basilicata e Calabria, specie sui settori tirrenici. E a seguito dell’allerta meteo diramata dalla Protezione civile della Regione Lazio, la Sindaca di Roma Virginia Raggi ha firmato un’ordinanza per disporre la chiusura di tutte le scuole di ordine e grado, parchi, cimiteri e ville storiche.

PRIME NEVICATE IN VENETO E LOMBARDIA

Intanto a fare i conti con la neve in pianura è stato il Veneto: precipitazioni deboli, ma che hanno interessato Padova, Verona, Vicenza, Rovigo, ma anche l’Altopiano di Asiago e sui monti veronesi della Lessinia. Altra neve anche in Valtellina e Valchiavenna, in provincia di Sondrio con il rischio di gelate notturne per gli annunciati cali delle temperature. Imbiancato anche il Mantovano, mentre la prima neve ha raggiunto la Toscana con i passi dell’Appennino imbiancati e i mezzi in azione per viabilità. Purtroppo anche la zona del terremoto del Mugello è stata interessata nella notte dalle nevicate che poi si sono trasformate in pioggia. Disagi, invece, in provincia di Bergamo, sia alla circolazione che all’aeroporto di Orio al Serio con ritardi dei voli in partenza per consentire le operazioni di disgelo delle ali che hanno comportato un lavoro di circa mezz’ora su ogni velivolo.

LE PREVISIONI PER IL 13 DICEMBRE

L’attenzione si sposta ora sulle previsioni: «Avremo nuove precipitazioni al Nord, nevose in collina se non ancora in pianura tra Piemonte, Lombardia, Emilia occidentale, a tratti mista a pioggia anche sul resto dell’Emilia, Veneto e alto Friuli», ha spiegato il meteorologo di 3bmeteo.com, Edoardo Ferrara. Al Centro-Sud non andrà meglio. Arriveranno infatti piogge e temporali, «in particolare sui versanti tirrenici, dove si potranno avere fenomeni talora di forte intensità con rischio di intensi temporali o nubifragi dalla Toscana al Lazio, compresa la capitale dove è stata diffusa una allerta, e successivamente anche Campania e Calabria». Attenzione inoltre al vento, avverte Ferrara, «che soffierà anche molto forte dapprima di Libeccio e Ponente, poi di Maestrale, con raffiche di oltre 120 chilometri orari tra Tirreno e Isole Maggiori». Nel weekend, infine, ci attende un miglioramento, ma la tregua potrebbe durare poco con una nuova perturbazione in avvicinamento al Nord.

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Le canzoni più belle di Robbie Williams

Da Angels sino a Bodies. Ecco i 10 brani più famosi di sempre del cantante britannico tra gli ospiti illustri a X Factor.

Tempo di finale in casa X Factor 2019. Il talent in onda su Sky Uno dalle 21.15 è infatti arrivato alla sua fase conclusiva. E come ogni anno, anche per la 13esima edizione sono tanti gli ospiti attesti sul palco per esibirsi con i concorrenti. Su tutti Robbie Williams che a pochi giorni dall’uscita di The Christmas Present, il suo primo album di Natale, arriva in Italia per la gioia di tutti i fan. Che sicuramente non possono non conoscere alcune delle sue canzoni più belle.

ANGELS

Life thru a Lens è il primo album da solista di Robbie Williams. Formato da 11 tracce per una durata di oltre 54 minuti di musica, contiene anche il brano Angels. La canzone è stata scritta, oltre che dal cantante britannico, con la collaborazione di Guy Chambers. Il singolo Angels ha venduto 1.210.000 copie diventando il 48esimo brano di maggior successo del Regno Unito.

MILLENNIUM

Uno dei brani più famosi di Robbie Williams è senza dubbio Millennium. Datata 1999, questa canzone è presente nel celebre album, nonché suo secondo dopo l’addio ai Take That, The Ego Has Landed. La canzone prende in prestito l’arrangiamento del brano You Only Live Twice di Nancy Sinatra.

SUPREME

Uscita nel 2000, Supreme è all’interno dell’album Sing when you’re winning. La canzone utilizza la base musicale di I Will Survive del popolare brano di Gloria Gaynor. Al contrario la parte strumentale del brano è tratta dalla colonna sonora del film Ultimo domicilio conosciuto e scritta dal compositore francese François de Roubaix.

ROCK DJ

Sempre da Sing when you’re winning arriva il brano Rock Dj. Si tratta di una canzone quasi interamente basata su un campionamento del brano del 1977 It’s Ecstasy When You Lay Down Next To Me di Barry White. Il video, diretto da Vaughan Arnell, vede Williams ballare su un cubo e per attirare una bella dj arriva persino a strapparsi la pelle di dosso.

ETERNITY

Si passa al 2001 con Eternity, brano presente nell’album Somethin’ Stupid. Al brano, presente anche in una raccolta dei migliori successi del cantante britannico, ha partecipato il chitarrista Brian May dei Queen. Con lui Williams ha collaborato per realizzare la cover di We Are the Champions.

FEEL

Nel 2002 esce Escapology, album che contiene una delle canzoni più famose di sempre di Robbie Williams: Feel. Il videoclip è stato diretto da Vaughan Arnell e mostra il cantante nei panni di un cowboy. Nel filmato c’è anche l’attrice Daryl Hannah.

RADIO

Nel 2004 esce Radio. Si tratta di un singolo che è stato utilizzato per lanciare il Greatest Hits di Robbie Williams uscito nello stesso anno. Si tratta di uno delle sue canzoni più famose.

TRIPPING

Anno 2005, con l’album Intensive Care esce anche il brano Tripping. In diverse interviste Robbie Williams ha parlato di questa canzone definendola «una specie di mini opera gangster» piuttosto che «una sorta di cabaret-reggae». Nonostante Tripping sia stata molto apprezzata nel Regno Unito, non ha avuto lo stesso successo in altri paesi, su tutti gli Usa.

RUDEBOX

Con un balzo in avanti di un anno si arriva al 2006 e a Rudebox, brano che dà il nome anche all’omonimo album. Questa canzone era stata bocciata dalla critica britannica che l’aveva classificata come un flop. A oltre 10 anni di distanza da quella data Rudebox è considerata una delle hit di maggior successo del cantante.

BODIES

Il 12 ottobre 2009 esce Bodies. Il brano fa parte dell’album Reality Killed the Video Star. Nel Regno Unito ha venduto più di 200 mila copie, mentre in Italia più di 30 mila. Bodies è stata scritta da Robbie Williams, Brandon Christy e Craig Russo. La canzone è stata usata anche da Vodafone per una sua campagna pubblicitaria.

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Chi è Simone Benini, il candidato M5s in Emilia-Romagna

Il consigliere comunale di Forlì è risultato il più votato sulla piattaforma Rousseau con 335 voti. «Saremo le sentinelle dei cittadini», le sue prime parole.

Sarà il forlivese Simone Benini il candidato presidente del Movimento 5 stelle alle prossime Regionali in Emilia-Romagna. È risultato il più votato su Rousseau con 335 preferenze.

RINNOVABILI E SOSTENIBILITÀ TRA I PUNTI DEL SUO PROGRAMMA

Benini, 49 anni, è nato e vive a Forlì. Secondo la biografia diffusa dal M5s, è un piccolo imprenditore attivo nel campo It, sistemista programmatore senior, esperto di sistemi informatici. Politicamente, è legato alle energie rinnovabili, politiche rifiuti zero, sostenibilità ambientale applicata in ogni campo. È appassionato di apicultura ed è lui stesso apicoltore. Dal 2014 è consigliere comunale del M5s di Forlì, dove è stato riconfermato nel mandato a maggio di quest’anno. Durante il primo mandato è stato vice presidente della seconda Commissione consiliare programmazione, investimenti, urbanistica, ambiente, attività economiche.

«SAREMO LE SENTINELLE DEI CITTADINI»

«Saremo le sentinelle utili dei cittadini. Solo la nostra presenza permette di affrontare le sfide del futuro», sono state le prime parole, affidate a Facebook del neocandidato presidente. «Sarà una bellissima sfida che affronteremo tutti insieme, piazza per piazza, mercato per mercato. Come abbiamo sempre fatto», ha scritto Benini, certo «che solo una forte presenza del M5s in Assemblea legislativa metterà al centro i temi che interessano i cittadini e le sfide del futuro e non le solite lotte di potere tra partiti»

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Su Alitalia De Micheli apre al controllo straniero

Un investitore europeo ha detto la ministra, non può essere escluso. Provenzano: «Il compito del commissario è rimetterla sul mercato». Il 13 dicembre 24 ore di sciopero del comparto.

Ventiquattrore di sciopero per alzare la voce sulla situazione di Alitalia e di tutto il trasporto aereo. L’arrivo del neo commissario dell’ex compagnia di bandiera Giuseppe Leogrande, per il quale si attende ancora l’ufficializzazione della nomina, e la prospettiva non esclusa da Paola De Micheli di un futuro passaggio sotto il controllo straniero in mano a un vettore europeo (come sarebbe quindi Lufthansa), non fermano i sindacati che tornano a scegliere la strada della protesta per dire no a tagli sul lavoro e al rischio spezzatino. E per chiedere che la vertenza, dopo oltre due anni e 7 mesi di amministrazione straordinaria e 1,3 miliardi di euro di soldi pubblici, trovi finalmente una soluzione. «Per Alitalia rigettiamo ogni ipotesi di spezzatino, chiediamo un piano industriale di vero rilancio che garantisca investimenti e crescita, senza sacrifici sul fronte del lavoro», afferma la Filt Cgil. Cui fa eco la Uiltrasporti: «Lo sciopero è per affermare che rigettiamo qualsiasi ipotesi di smembramento e di taglio del numero dei dipendenti e che non c’è più tempo da perdere. Ora è tempo di agire»

UNA RIFORMA CONTRO IL DUMPING CONTRATTUALE

La protesta, indetta unitariamente dalle sigle di categoria di Cgil, Cisl, Uil e Ugl (che dalle 10 saranno anche in presidio a Fiumicino, Linate e Malpensa), scatterà a mezzanotte e interesserà piloti, assistenti di volo e personale di terra di Alitalia e Air Italy, nel rispetto delle fasce di garanzia 7-10 e 18-21. Dietro lo sciopero, oltre alle crisi delle due compagnie, la richiesta di una riforma del comparto che intervenga nella concorrenza tra imprese del settore, di norme specifiche contro il dumping contrattuale e del finanziamento strutturale del Fondo di Solidarietà di settore, in scadenza a fine anno e che integra gli ammortizzatori sociali. Altri scioperi di 24 ore del personale Alitalia sono indetti per domani anche da Anpac, Anpav e Anp e dall’Usb lavoro privato. E la compagnia per contenere i disagi ha già cancellato 315 voli, sia nazionali che internazionali, nella giornata di domani, annullato un’altra quarantina di collegamenti nella serata di oggi e nella prima mattinata di sabato, e attivato un piano straordinario per riprenotare i viaggiatori coinvolti (la metà dei passeggeri dovrebbe riuscire a viaggiare nella stessa giornata di domani).

«COMPITO DEL COMMISSARIO È RIMETTERLA SUL MERCATO»

Intanto, nell’attesa che Leogrande si insedi in azienda (manca ancora il decreto di nomina del Mise), un piccolo passo avanti lo fa la ministra dei Trasporti. Sollecitata a Porta a Porta sull’interesse di Lufthansa, De Micheli spiega, pur con estrema prudenza, che un eventuale controllo straniero, “ovviamente europeo”, della compagnia non può essere escluso. «Un’Alitalia rigenerata farà gola a tanti», ha assicurato. Il lavoro durerà sei sette mesi, ha aggiunto, ma qualcosa in più emergerà forse già nell’incontro di martedì al Ministero dello sviluppo tra il ministro Patuanelli e i sindacati. Un tavolo necessario per capire dal Governo come si muoverà il neo commissario chiamato ad avviare un piano di “efficientamento e riorganizzazione” e a preparare il nuovo bando di vendita. “Confidiamo che Patuanelli inverta la tendenza e crei le condizioni” che portino ad un rilancio, chiede la Fit Cisl. Dal Governo risponde il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano: «Il compito del commissario è rimetterla sul mercato». Sempre il 17 partirà anche il confronto tra azienda e sindacati sulla nuova procedura di cigs aperta dagli ex commissari: la richiesta è di una una nuova cassa per 1.180 lavoratori fino al 23 maggio 2020 e le parti hanno tempo fino al 31 dicembre per trovare un’intesa.

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In Italia oltre 450mila lavoratori autonomi “dipendenti” da clienti

Secondo l'Istat nel nostro Paese sta cambiando la fisionomia del lavoro, con un aumento dei liberi professionisti con fisionomia da lavoratori dipendenti ma senza contratto.

L’occupazione è ferma nel terzo trimestre. L’ultimo rapporto sul mercato del lavoro dell’Istat ha registrato una stazionarietà di fondo, dove la crescita dei lavoratori dipendenti, compensa il calo degli autonomi. Rispetto a prima della crisi, nel terzo trimestre 2008, ci sono 492 mila lavoratori indipendenti in meno a fronte di 774 mila dipendenti in più.

CHI SONO I “DEPENDENT CONTRACTOR”

Queste due categorie, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro Ilo, non sono più sufficienti a raccontare il mondo del lavoro, dove sono emerse nuove figure autonome, simili per molti aspetti al lavoro dipendente. Sono i cosiddetti “dependent contractor“, lavoratori autonomi senza dipendenti – oltre 450 mila in Italia, secondo la prima stima dell’Istat – i cui compensi sono completamente stabiliti da clienti o da terzi. Spesso sono donne (il 39,1%), con meno di 35 anni (il 26,4%) e con una laurea in tasca (il 32,9%). Lavorano come agenti di commercio, agenti assicurativi, gestori finanziari, insegnanti di arte o lettere, istruttori di sport, infermieri, ostetrici, autisti, guide e operatori di call center. Circa un quarto ha un contratto come collaboratore, gli altri si dividono tra lavoratori in proprio e liberi professionisti.

IDENTIKIT DEI LIBERI PROFESSIONISTI

Quest’ultima categoria è cresciuta a doppia cifra nell’ultimo decennio, mentre quella dei collaboratori si è quasi dimezzata. Contraddistinguono questi lavoratori alcuni aspetti per i quali sono più simili ai lavoratori dipendenti che agli autonomi in senso stretto. La metà lavora per un unico cliente e uno su tre ha limitazioni sul luogo e l’orario di lavoro. Quelli che dichiarano di cercare una nuova occupazione è vicina a quella dei dipendenti a termine (8,5% e 9,6%, rispettivamente), anche perché molti lavorano a tempo parziale, fino a 20 ore a settimana. La diffusione del part time, e in particolare di quello involontario, è un altro aspetto che è emerso dagli ultimi dati Istat. Oltre un lavoratore su dieci lavora a tempo ridotto non per propria volontà nel terzo trimestre.

CRESCONO I CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO

Complessivamente gli occupati sono 151 mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma questo aumento riguarda solo i lavoratori part-time, mentre quelli a tempo pieno sono in calo. Nei dodici mesi appare anche una tendenza a rapporti di lavoro un po’ più stabili: la crescita degli occupati è trainata dai dipendenti a tempo indeterminato, che sono 212 mila in più, mentre calano i precari e gli indipendenti. Aumenta inoltre la permanenza nell’occupazione, soprattutto per le donne e i ragazzi sotto i 35 anni, e le transizioni verso il tempo indeterminato. Le ore lavorate crescono dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% rispetto al 2018, mentre il tasso di disoccupazione scende al 9,8%. I disoccupati sono ancora oltre 2 milioni e mezzo, ma la situazione migliora rispetto allo scorso anno (c’è un calo del 2,5%), in particolare per le persone in cerca della loro prima occupazione.

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Dalla banca popolare di Bari azione di responsabilità contro gli ex vertici

Nel mirino l'ex amministratore delegato, Giorgio Papa, e due ex dirigenti, l'ex responsabile della direzione crediti, Nicola Loperfido, e l'ex condirettore generale, Gianluca Jacobini, figlio dell'ex presidente Marco Jacobini.

Il consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Bari ha avviato le procedure per una azione di responsabilità nei confronti dell’ex amministratore delegato e di ex dirigenti dell’Istituto di Credito. Sono l’ex amministratore delegato, Giorgio Papa, e due ex dirigenti, l’ex responsabile della direzione crediti, Nicola Loperfido, e l’ex condirettore generale, Gianluca Jacobini, figlio dell’ex presidente Marco Jacobini, i soggetti contro cui il cda della Banca Popolare di Bari ha deliberato di procedere con l’azione di responsabilità. La procedura dovrà essere deliberata dall’assemblea della Banca che verrà convocata nei prossimi mesi.

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Di Maio non vede che Tripoli sta per cadere in mano russa

La crisi libica mette in risalto tutta l'inadeguatezza del ministro degli Esteri. Troppo preso dalle grane interne al M5s per accorgersi che l'Italia si sta condannando all'ininfluenza.

L’inesperienza e l’insipienza di Luigi di Maio – e del premier Giuseppe Conte – hanno ormai espulso l’Italia da un qualsiasi ruolo nella crisi libica. Il ministro degli Esteri infatti si muove all’insegna di un dogma: «Non esiste soluzione militare: rinnoviamo l’impegno dell’Italia per una soluzione pacifica». Ma il punto è che invece proprio la soluzione militare si sta imponendo con l’imminente conquista armata di Tripoli da parte del generale Khalifa Haftar. L’allarme non è nostro, ma è stato lanciato con toni drammatici dallo stesso inviato dell’Onu Ghassam Salamé che ha dato per certa la caduta di Tripoli, non grazie alla abilità militare di Haftar (che non ha mai vinto né una guerra né una battaglia), ma come conseguenza ovvia della decisione strategica della Russia di Vladimir Putin di gettare nella battaglia attorno alla capitale libica la potente forza d’urto di 1.400-2.000 mercenari della Organizzazione Wagner –una macchina da guerra efficientissima- che stanno facendo capitolare le difese delle milizie di Misurata.

L’ANNUNCIO DI ERDOGAN E LA MINACCIA DI HAFTAR

L’imporsi imminente di una drammatica soluzione militare è tale che immediata e speculare è stata la reazione del presidente turco Tayyp Erdogan che ha annunciato che –su richiesta del governo legittimo di Fayez al Serraj– è pronto a inviare a Tripoli una forza di 5 mila militari per garantirne la difesa. Il governo di al Serraj ha immediatamente accolto con favore questa opzione. Anche Haftar ha preso sul serio questa opzione, tanto che ha minacciato «di affondare tutte le navi turche che portino soldati in Libia». Tuoni crescenti di guerra. Dunque, lo stallo della guerra civile libica che dura da anni, ha avuto una improvvisa accelerazione bellica dovuta alla decisione di Putin di applicare il “modulo ucraino”: un forte e determinante impegno militare russo affidato non già a truppe regolari (come in Siria), ma grazie agli “uomini verdi”, ex membri delle Forze speciali russe –formidabili combattenti reduci dal conflitto ceceno- inquadrati in una organizzazione privata, ma funzionale alla politica di Putin e coordinata col Cremlino.

DI MAIO SI GUARDA BENE DAL VOLARE A MOSCA E AD ANKARA

Il governo italiano non ha minimamente preso atto di questo drammatico cambiamento di scenario e ha rifiutato di compiere l’unica mossa indispensabile se vuole continuare a giocare in Libia: un intervento diplomatico diretto sulla Russia (e sulla Turchia). Ma Di Maio –preso come è dalle grane interne al M5s– si guarda bene dal volare a Mosca e ad Ankara. Pure, vi sarebbe un ampio spazio di manovre diplomatica per il nostro Paese. Putin ed Erdogan, infatti, hanno ampiamente dimostrato in Siria che –pur con interessi a volte divergenti- sono in grado di mediare le proprie strategia. Sono in contatto telefonico sulla crisi libica e si apprestano ad un vertice l’8 gennaio. L’Italia ha (avrebbe) tutti i titoli per inserirsi in questa dinamica di trattativa su Tripoli. Ma dà segno di non essersi nemmeno accorta che la propria visione del conflitto è scaduta, che i vertici non servono a nulla quando è la forza delle armi che determina i rapporti di forza. Un esempio raro e drammatico di dilettantismo.

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Le ultime novità sulla manovra prima del voto di fiducia

Al Senato procede la discussione generale in vista del banco di prova atteso per il prossimo 16 dicembre. Intanto slitta al 2022 la fine del mercato tutelato per l'energia.

Ha preso il via nel pomeriggio la discussione generale sulla legge di Bilancio al Senato, destinata ad andare avanti fino alle 22 e a proseguire anche nella giornata di venerdì 13 dicembre. I lavori riprenderanno poi lunedì 16, quando verrà posta la questione di fiducia, con la prima “chiama” dei senatori prevista verso le 15.15.

LA FINE DEL MERCATO TUTELATO PER L’ENERGIA SLITTA AL 2022

Intanto, un subemendamento del Movimento 5 stelle approvato dalla commissione Bilancio del Senato prevede lo slittamento da luglio 2020 al primo gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l’energia. Si stabilisce anche che il Mise, sentita l’Autorità per l’energia (Arera) entro marzo stabilisca «modalità e criteri dell’ingresso consapevole» nel mercato libero dei clienti finali. Arriva anche una stretta sui fornitori di energia elettrica: entro marzo saranno ridefiniti i paletti per rientrare nell’elenco dei soggetti abilitati, «a tutela dei consumatori».

IN ARRIVO 150 MILIONI PER LE AREE DI CRISI, TRA CUI L’EX ILVA

In arrivo poi 150 milioni di euro in due anni, i primi 50 milioni già nel 2020, per le aree di crisi complessa, tra cui figura anche l’area di Taranto. È quanto prevede un emendamento dei relatori alla manovra corretto, anche in questo caso, da una subemendamento del M5s. Previsti anche 100 milioni l’anno per due anni per le agevolazioni per l’attrazione degli investimenti privati, con focus particolare sul Mezzogiorno. Arrivano poi 10 milioni nel 2020 e 90 nel 2021 per il Fondo Ipcei, che dà contributi alle imprese che partecipano al progetto europeo sulla microelettronica.

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Nel M5s anche Castaldo contro Di Maio sul listino bloccato

Il vicepresidente del parlamento Ue Castaldo, capo delegazione del M5s in Europa, contro il leader i suoi "facilitatori". E cioè la segreteria del M5s, di cui sei membri scelti direttamente dal ministro degli Esteri.

Dopo le fuoriuscite di Lucidi e Grassi, i due senatori che sono passati alla Lega, il M5s prova a cambiare pagina con il voto su Rousseau di quella che in altri partiti si sarebbe chiamata segreteria. Ma quel voto è un prendere o lasciare comprese le sei persone scelte direttamente dal capo politico Luigi Di Maio. Un metodo che non è piaciuto affatto a un nome che nel movimento sta acquisendo sempre più peso cioè quel Fabio Massimo Castaldo eletto vice presidente del parlamento europeo e che guida il gruppo grillino che a Bruxelles ha segnato il divorzio dalla Lega votando a favore della commissione di Ursula Von der Leyen.

Fabio Massimo Castaldo durante il convegno ”Open Democracy ? Democrazia in rete e nuove forme di partecipazione cittadina”, organizzato dal Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati presso la Sala Mappamondo, 18 aprile 2016 a Roma. ANSA/FABIO CAMPANA

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«Una scelta d’ampia incoerenza: #iodicono alle liste bloccate!». Così in un post il vicepresidente M5s del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo commenta il voto in blocco su Rousseau del listino dei cosiddetti facilitatori nazionali scelti dal capo politico del Movimento Luigi Di Maio. «La trovo una scelta ampiamente incoerente: abbiamo portato avanti per anni la battaglia a favore delle preferenze nella legge elettorale, abbiamo combattuto sempre contro i listini bloccati e imposti dall’alto, e ora poniamo i nostri attivisti davanti a un voto del genere?», ha chiesto. «Credo che non sia affatto corretto presentare un listino bloccato e dare la possibilità di votare solamente Si o No all’intera lista: si sarebbe dovuto dare a tutti noi la possibilità di votare individualmente ogni componente di quella squadra. Mi sembra non solo incoerente, ma anche limitante», ha scritto su Fb, Castaldo protestando sulla scelta di far semplicemente ratificare dalla rete i sei facilitatori M5S scelti dal capo politico.

Il capo politico del M5s Luigi Di Maio.

Il ragionamento del vicepresidente del parlamento europeo prosegue: «Si sceglie, infatti, una squadra di 18 persone che affiancherà il capo politico del Movimento nei processi decisionali e nelle scelte programmatiche. In questo percorso «sei facilitatori sono indicati direttamente dal capo politico, con funzioni estremamente rilevanti, e oggi si vota anche per confermare o declinare tale scelta». Nel listino, sottolinea l’eurodeputato, ci sono nomi «diversi di assoluto valore per competenze, capacità e impegno dimostrato in questi anni. Ma in tutta franchezza non posso tacere sul fatto che ci sia un problema non tanto di merito, sul quale non voglio esprimermi per non influenzare in alcun modo il vostro giudizio». «Si sarebbe dovuto dare a tutti noi la possibilità di votare individualmente ogni componente di quella squadra. Svolgeranno funzioni molto diverse gli uni dagli altri, pertanto il voto avrebbe dovuto essere sulla competenza dei singoli» sostiene. Il problema, invece, è «di metodo. E per questo vorrei porre una riflessione a tutti noi attivisti».

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Usa e Cina sarebbero pronti a un accordo sui dazi

Trump ha annunciato che presto potrebbe esserci un'intesa con Pechino. E il Wsj anticipa che Washington avrebbe proposto un taglio del 50% di quelli esistenti.

«Un grande accordo con la Cina è vicino. Loro lo vogliono, e anche noi». Lo stringato tweet di Donald Trump ha innescato un rally a Wall Street: gli indici americani hanno fatto segnare a nuovi record spinti dall’ottimismo su una schiarita nei rapporti commerciali fra le due superpotenze economiche. Una schiarita che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, sarebbe positiva per Washington e Pechino e soprattutto per l’economia mondiale.

IL 15 DICEMBRE PREVISTO UN NUOVO PACCHETTO DI TARIFFE

Il cinguettio di Trump è arrivato in una giornata storica, quella del voto alla commissione giustizia della Camera sull’impeachment del presidente americano. Ed è arrivato in vista della scadenza del 15 dicembre quando, in assenza di una svolta, dovrebbero scattare i nuovi dazi di Trump su 156 miliardi di dollari di Made in China. Non è ancora chiaro come la Casa Bianca intenda procedere sulle nuove tariffe: le indiscrezioni al riguardo sono contrastanti visto lo scarso tempo a disposizione per chiudere la prima fase dell’intesa fra Stati Uniti e Cina sul fronte commerciale. Ma il tweet di Trump, che per la prima volta ha affermato di volere anche lui un accordo, ha dato l’impressione di aprire a un’eliminazione o almeno a un posticipo dei dazi previsti entrare in vigore a breve.

TIMORI PER IL MERCATO USA IN VISTA DEL NATALE

All’interno della Casa Bianca molti sono favorevoli a un rinvio nella convinzione che imporre dazi in prossimità delle feste natalizie si traduca nell’imporre una tassa sugli americani e quindi in un’ondata di nuove critiche contro l’amministrazione, già nel mirino per l’impeachment. Fra le aziende che seguono con interesse gli sviluppi c’è Apple: gli Stati Uniti e la Cina sono infatti i suoi due maggiori mercati e la guerra commerciale rischia di avere un impatto forte sulle vendite di Cupertino nella Repubblica popolare, dove l’iPhone fatica ad affermarsi. Secondo Credit Suisse, le consegne sono infatti calate del 35,4%, il secondo calo consecutivo a due cifre.

LE RICHIESTE DI WASHINGTON PER LA TREGUA

Secondo il Wall Street Journal, nell’ultima proposta messa sul piatto dall’amministrazione Trump alla Cina, gli Stati Uniti hanno proposto un taglio del 50% degli attuali dazi su 360 miliardi di prodotti cinesi e la cancellazione delle tariffe che dovrebbero scattare domenica prossima. In cambio Washington avrebbe chiesto a Pechino un impegno a maggiori acquisti di prodotti agricoli americani, una più forte tutela dei diritti di proprietà intellettuale e un maggiore accesso per le aziende americane al settore dei servizi finanziari cinese. Nel caso in cui la Cina sottoscrivesse l’offerta ma non rispettasse gli impegni, gli Stati Uniti sono pronti a far tornare i dazi ai livelli attuali.

LE MOSSE DI TRUMP IN VISTA DEL VOTO

Una pausa nella guerra commerciale con la Cina, con la firma della fase uno di un accordo più ampio, consentirebbe a Trump di guadagnare tempo e avviarsi all’anno delle elezioni presidenziali con un’importante carta in tasca da giocare. Un carta in grado di spingere Wall Street a nuovi record e permettere al presidente di rivendicare il successo della sua ricetta economica per gli Stati Uniti, che proseguono nel loro 11mo anno di ripresa.

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Perché la Tirrenia rischia 1.000 esuberi

Allarme dei sindacati per licenziamenti e trasferimenti coatti in vista del prossimo anno. Dopo il vertice tra le parti sociali e l'azienda emerge la volontà di chiudere le sedi di Napoli e Cagliari.

Per Tirrenia-Cin c’è «la prospettiva di 1.000 esuberi tra il personale marittimo dal 2020 e della chiusura delle sedi di Napoli e Cagliari con trasferimento coatto di tutto il personale nelle sedi di Portoferraio, Livorno e Milano». L’allarme è arrivato da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti a dopo l’incontro del 11 dicembre dell’incontro con Tirrenia-Cin, che collega tali decisioni alla scadenza della convenzione ministeriale per la continuità territoriale. Prospettiva «inverosimile e, qualora confermata, non esiteremmo a respingerla», hanno aggiunto i rappresentanti dei lavoratori che hanno già proclamato lo stato di agitazione.

TRA LE CAUSE LA SCADENZA DELLA CONVENZIONE MINISTERIALE

Tirrenia-Cin, hanno spiegato i sindacati, collega tali decisioni alla scadenza della convenzione ministeriale che sovvenziona la continuità territoriale di diverse linee ed a una riorganizzazione aziendale. «Abbiamo già proclamato lo stato di agitazione», proseguono Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, e avvieremo le procedure per lo sciopero, che sarà inevitabile se l’azienda persevererà in tale percorso». Dal mese di settembre del prossimo anno potrebbe esserci un esubero del personale navigante proprio in conseguenza della cessazione del contratto relativo alla continuità territoriale con Sardegna e Sicilia. «Per la città di Napoli sarebbe un altro durissimo colpo», ha detto Amedeo D’Alessio della Filt Cgil. Sono, infatti, 65 gli addetti occupati nella sede partenopea.

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Il Vaticano apre al dialogo con le Sardine

Il prefetto del Dicastero per lo Sviluppo umano Turkson: «Prima dobbiamo conoscere le cause della popolarità e capire cosa c'è dietro a tutto questo, poi aspettiamo una mossa della Cei e solo dopo scendiamo in campo».

Dai pescatori di pesci evangelici ai pescatori di Sardine. Il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, non disdegna l’ipotesi di un dialogo con il movimento nato a Bologna e di cui uno dei fondatori Mattia Santori, ha detto di essere impegnato in un percorso di fede. «Prima dobbiamo conoscere le cause della popolarità e capire cosa c’è dietro a tutto questo», risponde il porporato a Vatican Insider, a margine della presentazione del messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace 2020, «poi aspettiamo una mossa della Cei e solo dopo scendiamo in campo».

«ACCOMPAGNIAMO I GRUPPI VERSO IL MESSAGGIO DELLA CHIESA»

«Quello che posso dire su questo fenomeno», ha affermato Turkson, «è che ribadiamo il diritto di ognuno di esprimere le proprie idee, i propri pensieri. Se alcuni sono convinti che per promuovere il senso della democrazia in Italia è utile un tale gruppo, bene, noi lo accompagniamo cercando sempre di andare incontro con il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa. Stiamo facendo la stessa cosa con i gruppi che combattono la xenofobia: li invitiamo ad una conferenza e cerchiamo di indirizzarli verso il messaggio della Chiesa. L’accompagnamento è il nostro grande mezzo per dialogare con questi sforzi».

«ASPETTIAMO UNA MOSSA DELLA CEI»

Quindi la Santa Sede è disposta a dialogare con le sardine o ad invitarle in un convegno in Vaticano? «Eventualmente…», replica il capo dicastero, «Questo movimento è molto popolare, va benissimo, ma noi prima dobbiamo capire: perché è così popolare? Cosa c’è dietro a tutto questo? Prima cerchiamo di scoprire le cause e poi, come dicevo, di indirizzare il messaggio. Inoltre si tratta di un fenomeno italiano, locale. Pertanto aspettiamo prima una mossa della Conferenza episcopale italiana, solo dopo possiamo appoggiare e scendere in campo».

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Le cose da sapere sulla finale di X Factor 2019

Dai concorrenti rimasti in gara a quelli esclusi, passando per gli ospiti e i contenuti extra. Ecco tutte le curiosità sull'ultima puntata del talent di Sky.

È giunto il momento. Giovedì 12 dicembre, in prima serata su Sky Uno, gli appassionati di X Factor 2019 conosceranno il vincitore del talent musicale. Tutto pronto quindi al Mediolanum Forum di Assago per la sfida finale dei quattro concorrenti rimasti.

A CHE ORA INIZIA LA FINALE DI X FACTOR 2019

Televisori sintonizzati quindi su Sky Uno già dalle ore 20.25. Prima della finale, infatti, è prevista una speciale edizione dell’Ante Factor condotta da Pilar Fogliati Achille Lauro. Una puntata in stile amarcord dove è possibile rivedere i protagonisti dell’Extra Factor e le loro performance tra l’esilarante e il grottesco. Il pre-show ha in scaletta anche diversi ospiti di punta. Tra i più attesi i tre giudici di MasterChef Italia Antonino Cannavacciuolo, Bruno Barbieri e Giorgio Locatelli. Ma anche il giudice di Italia’s Got Talent Frank Matano e la conduttrice Lodovica Comello. Ma c’è spazio anche per I delitti del Barlume con Lucia Mascino, Enrica Guidi e Michele Di Mauro. Alle 21.15 è invece prevista la finale vera e propria con Alessandro Cattelan nel ruolo di conduttore e traghettatore della lunga serata Sky.

CHI SONO I FINALISTI DI X FACTOR

Dicevamo dei finalisti. Quattro in tutto, due dei quali sono stati portati avanti da Samuel. Il frontman dei Subsonica è riuscito ad avere la meglio sugli altri giudici vincendo la sua personalissima scommessa con i La Sierra e i Booda. Al contrario Malika Ayane punta tutto su Davide Rossi, mentre Sfera Ebbasta è ancora in gara grazie a Sofia Tornambene. Fuori dai giochi invece Mara Maionchi che quest’anno non è riuscita a portare in finale nessuno dei suoi artisti. Potrebbe quindi essere lei l’ago della bilancia per la finalissima al Forum di Assago.

CHI SONO GLI OSPITI DELLA FINALE

La 13esima edizione di X Factor ha in serbo anche ospiti eccezionali. Su tutti Robbie Williams chiamato a calcare il palco insieme ai concorrenti cantando Time for change e Let it snow. Oltre alla star britannica anche Ultimo, l’atteso ospite italiano della finalissima. Per lui è previsto un medley delle sue canzoni più belle. The last but not the least, direbbero gli inglesi, è la stella nascente Lous and the Yakuza. La giovanissima artista belga autrice del singolo Dilemme è l’ultima degli artisti famosi chiamati a esibirsi sul palco del talent di Sky Uno.

GLI ESCLUSI ILLUSTRI

Tra i papabili vincitori dell’edizione 2019 di X Factor c’era Eugenio Campagna. Era lui l’ultimo over della squadra di Mara Maionchi che si è ritrovata così senza concorrenti in finale. Anche Lorenzo Rinaldi era stato indicato dai giudici come uno dei possibili finalisti. Il cammino del concorrente finito nella squadra under di Malika Ayane si è però interrotto un paio di puntate prima. Un altro lutto per i fan sono state le eliminazioni di Giordana e Mariam tra le più apprezzate della 13esima edizione del talent.

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La Bce di Lagarde in pressing sui Paesi che possono spendere

Stime di crescita al ribasso: +1,1% per il 2020. La presidente dell'Eurotower: «I governi che hanno spazio di bilancio dovrebbero essere pronti ad agire in maniera efficace e tempestiva». E poi precisa: «Non sono né una colomba né un falco, la mia ambizione è essere un gufo, che è dotato di saggezza».

La prima riunione di politica monetaria della Banca Centrale Europea guidata da Christine Lagarde si è conclusa lasciando i tassi d’interesse invariati: il tasso principale resta fermo a zero, quello sui prestiti marginali allo 0,25% e quello sui depositi a -0,50%.

«NÉ FALCO NÉ COLOMBA, SARÒ GUFO»

La Bce ha «leggermente rivisto» al ribasso le stime di crescita per il 2020, a 1,1%. Le stime sono ora di una crescita dell’1,2% quest’anno, dell’1,1% il prossimo, e dell’1,4% nel 2021 e 2022. Nella conferenza stampa al termine del board Lagarde ha spiegato: «Non sono né una colomba né un falco, la mia ambizione è essere un gufo, che è dotato di saggezza».

«IL MES NON PRENDE DI MIRA NESSUNO»

Alla presidente Bce è stata posta anche una domanda sul dibattito italiano riguardante il meccanismo europeo di stabilità: «L’idea che il Mes prenda di mira uno specifico Paese è totalmente errata, a mio parere».

«BENE LE APERTURE DELL’ITALIA SUI BOND»

E poi ha aggiunto: le aperture arrivate da alcuni policy maker italiani a proposito di ridurre la concentrazione di titoli di Stato nazionali nei portafogli delle banche «è un grosso passo avanti, e qualsiasi passo avanti in quest’area è una buona notizia».

«CHI HA SPAZIO DI BILANCIO, AGISCA IN MANIERA TEMPESTIVA»

Poi Lagarde è tornata in pressing sulla Germania e gli altri Paesi che hanno surplus di bilancio: «I governi che hanno spazio di bilancio dovrebbero essere pronti ad agire in maniera efficace e tempestiva» per stimolare la crescita.

«L’EUROPA NON VA VERSO LA JAPANIFICATION»

Infine, riferendosi al rischio, evocato da alcuni economisti, di una spirale di deflazione e bassa crescita come quella del ‘decennio perduto’ giapponese, ha commentato: «Una ‘Japanification’? non credo affatto che siamo a questo punto, il credito alle imprese europee presenta un quadro completamente diverso da quello giapponese. Non credo affatto che una ‘Japanification’ sia fra le ipotesi sul tavolo»

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Questi repubblicani senza senso della nazione si meritano Trump

Difendono strenuamente il loro leader dall'impeachment nonostante sia il peggior presidente della storia degli Stati Uniti. I democratici ai tempi della messa in stato d'accusa di Clinton erano stati più severi.

Credo di essere una delle poche persone ad aver ascoltato tutte le testimonianze date sia alla Commissione di Intelligence che a quella di Giustizia riguardo l’impeachment di Donald Trump. Come è ormai noto, gli articoli sono due: abuso di potere e ostruzione al Congresso.

UNA DIFESA SCONTROSA E MALEDUCATA

Fino alla fine, i democratici hanno mostrato un rigore e un’organizzazione nello spiegare con più dettagli possibili gli eventi che hanno portato alla decisione di messa in stato d’accusa del presidente americano, mentre i repubblicani, che non sembrano interessati ai fatti ma alle teorie complottistiche, non hanno mai perso occasione di pretendere in modo scontroso e maleducato di spiegare l’innocenza del loro leader. La frase che hanno pronunciato più spesso è la seguente: «Da quando Trump è stato eletto, i democratici hanno fatto di tutto per dargli l’impeachment».

L’AMMINISTRAZIONE PIÙ CORROTTA DI SEMPRE

Hanno ragione, ma è anche vero che nella storia degli Stati Uniti non c’è stata amministrazione più corrotta e azioni fatte dal presidente così scandalose. È stato accusato di aver accettato soldi illeciti da Paesi esteri (vietato dalla Costituzione), di avere un conflitto di interessi tra la sua posizione di potere e il suo business, che ha tentato più volte di promuovere (vietato dalla Costituzione), ostruzione alla giustizia, associazione con gruppi neo nazisti, e di promozione dell’odio, è tutt’ora indagato per possibili azioni illecite finanziarie.

DAGLI IMMIGRATI ALL’FBI, QUANTE MACCHIE PER DONALD

Ma non solo: ha pubblicamente insultato l’Fbi, gli immigrati messicani («Sono tutti spacciatori e vengono qui a violentare le nostre donne!»), ha incarcerato migliaia di bambini ai confini con il Messico, separandoli dalle loro famiglie. Per non parlare della sua amministrazione: molti sono stati accusati di corruzione, alcuni (compreso il suo ex avvocato Cohen) sono ancora in carcere. Tutto questo per dire che i repubblicani hanno ragione a dire che si sta cercando di fermare Trump dall’inizio del suo mandato, ma anche che qualche ragione per farlo mi sembra che ci sia.

Donald Trump.

LA “PISTOLA FUMANTE” C’È ECCOME

Un’altra frase che i repubblicani insistono a ripetere è che «There is no smoking gun!». Non capisco davvero a cosa si riferiscano: più della famosa telefonata tra Trump e Volodymyr ZelenskyI have a favor, though»), più che le decine di testimonianze date da esperti, spesso repubblicani, che confermano la tesi che Trump ha abusato del suo potere, negando l’aiuto finanziario all’Ucraina e l’invito alla Casa Bianca del neopresidente in cambio di un aiuto politico per denigrare il suo rivale alla presidenza per il 2020, più che prendere atto del fatto che la Casa Bianca abbia negato accesso a documenti importanti e a testimoni, cosa serve ai repubblicani per capire che la smoking gun è davanti ai loro occhi?

TRA I DEM ALMENO C’ERA DELUSIONE PER CLINTON

Eppure nessuno di loro ha mostrato di essere amareggiato, deluso, perplesso dei comportamenti del loro beniamino. Durante l’ultimo iter per l’impeachment di Bill Clinton, per esempio, molti democratici avevano a gran voce condiviso la loro delusione nei confronti delle azioni del presidente, anche se non tutti pensavano che una reazione tanto grave come l’impeachment fosse necessaria. I repubblicani che appoggiano Trump (tutti) devono andare alle elezioni per il Senato tra qualche anno, e non vogliono certo contrariare il presidente pubblicamente, per paura di perdere il loro potere, visto che il tycoon in certi ambienti è, malgrado tutto, ancora molto popolare. Così hanno deciso di farlo perdere a istituzioni di importanza vitale per la democrazia americana come il Congresso.

SENZA SENSO PER IL BENE DELLA NAZIONE

A volte mi viene da pensare che forse queste persone, che non sono in grado di mettere il bene della nazione davanti al loro potere, si meritino un presidente come il loro: una persona che da subito si è sentita al di sopra della giustizia, e che passerà alla storia come il peggior presidente americano. Indagato, corrotto e, lasciatemelo dire, ignorante come una capra.

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La polemica tra Trump e Greta Thunberg dopo la copertina del Time

Il presidente Usa ha attaccato l'attivista svedese via social invitandola a curare la sua rabbia. E la giovane ironicamente cambia la bio.

Botta e risposta via social tra “persone dell’anno”. I protagonisti della vicenda sono il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, incoronato dalla rivista Time nel 2016, e Greta Thunberg fresca di nomina per il 2019. L’inquilino della Casa Bianca, noto negazionista climatico, ha attaccato la giovane attivista svedese via Twitter. Commentando un tweet di congratulazioni Trump ha affermato: «È ridicolo», è andato all’attacco, «Greta dovrebbe lavorare sul suo problema di controllo della rabbia e poi andare a vedere un buon film con un amico! Calma Greta, calma!».

Trump, forse in maniera inconsapevole, ha quindi puntato il dito contro uno degli aspetti che caratterizza una persona affetta da sindrome di Asperger come Greta. Negli adulti, infatti, la patologia comporta una certa difficoltà a regolare le emozioni, in particolare ansia e rabbia.

E GRETA CAMBIA LA BIO SU TWITTER

L’attivista ha scelto invece l’ironia per rispondere al tycoon, non direttamente con un tweet ma cambiando la sua biografia e descrivendosi come una «teenager che lavora sul problema della gestione della sua rabbia. Attualmente sto uscendo per andare a vedere un vecchio buon film con un amico».

time greta thunberg trump

ATTIVISTA IN DIREZIONE DI TORINO

Per il 13 dicembre intanto resta confermata la presenza di Greta all’appuntamento del movimento FridaysForFuture in piazza a Torino. L’11 dicembre la stessa Greta ha twittato che alle 15 scenderà in Piazza Castello con gli altri giovani: «Non vedo l’ora di unirmi allo sciopero per il clima a Torino, in Italia, sulla via del ritorno a casa».

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Come maneggiare i pregiudizi nelle assunzioni e nel marketing

L'effetto alone fa formulare valutazioni specifiche basandosi su impressioni generali. Per esempio facendoci ingaggiare una persona solo per l'aspetto fisico. Colloqui strutturati evitano questa distorsione. Che invece serve a valorizzare i brand. Guida per aziende ai "bias" cognitivi.

Nonostante le loro migliori intenzioni, anche i manager possono cadere preda di generalizzazioni, stereotipi e pregiudizi. Questi meccanismi sono in grado di influenzare profondamente l’individuo e, conseguentemente, l’andamento dell’azienda, arrivando perfino a ostacolarne il buon processo decisionale.

AUTOMATISMI MENTALI CHE CI FANNO SBAGLIARE

I bias cognitivi, così vengono denominate in psicologia le forme di comportamento mentale caratterizzate da valutazioni distorte della realtà, sono molto difficili da individuare e da tenere sotto controllo. Si tratta, infatti, di schemi di deviazione del giudizio, condizionati da concetti preesistenti nella nostra mente, spesso senza legami logici o razionali. Questi errori di giudizio e automatismi della mente possono spingerci a prendere decisioni affrettate, approssimative e sbagliate e avere importanti ripercussioni sulla vita personale e professionale di ognuno di noi.

SPUNTI INTERESSANTI PER LA GESTIONE AZIENDALE

Per questi motivi, alla luce degli studi condotti tra la fine degli Anni 60 e l’inizio degli Anni 70 da due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman, quest’ultimo vincitore del premio Nobel per l’Economia nel 2002, è necessario affrontare questa tematica anche in relazione alla gestione aziendale. In particolare, tra i tanti bias cognitivi esistenti e individuati nel corso di questi anni, l’halo effect o “effetto alone” sembra essere uno dei più interessanti.

IMPLICAZIONI NELLA SELEZIONE DEL PERSONALE

Se da un lato questo è in grado di incidere negativamente su delicate decisioni aziendali, dall’altro può essere sfruttato per incentivare la propria reputazione aziendale. Proprio in un articolo pubblicato sul Mckinsey Quarterly di dicembre 2019 sono state evidenziate le conseguenze dell’effetto alone su amministratori delegati di importanti aziende, in particolar modo come questo possa influenzare il processo di selezione del personale.

L’ASPETTO ESTETICO FA SEMBRARE TUTTO POSITIVO

L’effetto alone, infatti, influenza i singoli individui e li induce a formulare giudizi specifici basati su impressioni generali. In poche parole, secondo quanto riportato dallo psicologo Edward L. Thorndike, il primo a coniare il termine nel 1920, è sufficiente valutare positivamente una singola caratteristica di una persona, come per esempio l’aspetto estetico, per farsi l’idea che in essa siano presenti quasi esclusivamente aspetti positivi.

TEST IDENTICI E INDICATORI PRECISI EVITANO DISTORSIONI

Tra i compiti di un manager vi è certamente un’adeguata selezione del personale. Questa attività, così come il rapporto che si ha con i clienti, è profondamente influenzata dall’effetto alone. Per evitare che questo bias influenzi scelte aziendali, così come riporta l’articolo del McKinsey Quarterly, quando si tratta di decisioni di assunzione, la predisposizione di colloqui strutturati può contribuire a mitigare l’effetto alone. Impostare colloqui o test identici e misurati rispetto a precisi indicatori può certamente aiutare a gestire la selezione del personale.

SERVE UNA SCALA DI VALORI STANDARDIZZATA

Valutare i candidati secondo specifici criteri basati su mission, vision e obiettivi aziendali, utilizzando una scala di assunzione standardizzata, rappresenta certamente una valida soluzione per evitare di incappare nell’effetto alone e per consentire l’assunzione e la formazione di personale allineato sugli stessi obiettivi e valori. Dunque, certamente l’impostazione di colloqui strutturati non previene l’uso di bias cognitivi, ma può aiutare utilmente a ridurli e tenerli sotto controllo.

L’EFFETTO ALONE PUÒ ESSERE UN’ARMA PER IL MARKETING

Differentemente da quanto riportato rispetto all’assunzione del personale aziendale, l’effetto alone può rappresentare un’ottima arma per il marketing. In questo ambito, infatti, l’effetto alone viene ampiamente sfruttato per migliorare l’immagine di alcuni prodotti e posizionare un brand sul mercato. La condivisione di esperienze positive online di prodotti e servizi può influenzare altri clienti, creando così un orientamento positivo a favore dell’azienda stessa. Questo orientamento può essere costruito investendo sulla pubblicità di prodotti di punta e sull’associazione di personaggi famosi a particolari brand.

COSÌ SI AUMENTA FEDELTÀ A MARCHI E VALORI

In conclusione, una volta individuati e compresi i pregiudizi e le distorsioni della realtà che la nostra mente può attuare, è possibile sfruttarli in una visione strategica per implementare la reputazione aziendale e aumenterà la fedeltà a marchi e valori.

*Professore di Strategie di comunicazione, Luiss, Roma

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La manovra salva la cannabis light

Un emendamento prevede che sotto lo 0,5 il thc non sia più considerata sostanza stupefacente, liberalizzata la vendita dei fiori e la biomassa di canapa.

La cannabis light è alla fine stata salvata. Almeno stando a quanto scritto dal senatore Del Movimento Cinque stelle Matteo Mantero su Facebook: «Ragazzi ce l’abbiamo fatta: questa notte in commissione bilancio abbiamo approvato uno dei nostri emendamenti» alla manovra «sulla canapa industriale. È quello meno ambizioso, che riguarda principalmente la biomassa, ma che comunque modifica le legge sulla canapa consentendo di commercializzare i fiori e soprattutto modifica il testo unico per gli stupefacenti stabilendo una volta per tutte che sotto lo 0,5% di thc la canapa non si può considerare sostanza stupefacente».

LEGGI ANCHE: La sentenza della Cassazione sulla cannabis

A fine maggio la Cassazione aveva imposto il divieto di vendita di tutti i  prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», mettendo in crisi il commercio da poco legalizzato della cannabis light.

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Il senatore Ugo Grassi passa dal M5s alla Lega

Salvini lo accoglie a braccia aperte. Di Maio durissimo su Facebook: «Quelli come lui ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Il senatore Ugo Grassi ha lasciato il gruppo parlamentare del M5s per passare a quello della Lega. Il giurista napoletano, eletto nel 2018 nel collegio uninominale di Avellino, l’11 dicembre ha votato in dissenso sulla risoluzione con cui la maggioranza ha dato mandato al premier Giuseppe Conte di proseguire la trattativa sul Mes in sede europea.

SALVINI LO ACCOGLIE A BRACCIA APERTE

Il leader della Lega, Matteo Salvini, lo ha accolto con calore: «Diamo il benvenuto al senatore Grassi. Porte aperte per chi, con coerenza, competenza e serietà, ha idee positive per l’Italia e non è succube del Pd. Sulla riforma della giustizia e sul rilancio delle università italiane, col senatore Grassi lavoreremo bene».

DI MAIO FURIOSO SU FACEBOOK

Opposto il commento del capo politico del M5s, Luigi Di Maio, affidato a una diretta video su Facebook: «Senatori come Grassi possono passare alla Lega, ma non raccontino balle. Dicano che il tema non è il Mes, ma che gli hanno proposto altre contropartite. Il mercato delle vacche a cui stiamo assistendo è la solita logica dei voltagabbana che noi abbiamo sempre combattuto. Ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Grassi, da parte sua, ha scritto una lettera per rendere pubblici i motivi che lo avrebbero spinto a cambiare gruppo: «Il mio dissenso non nasce da un mio cambiamento di opinioni, bensì dalla determinazione dei vertici del M5s di guidare il Paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine. Gli effetti di questo modo di procedere sono così gravi ed evidenti (a chi vuol vedere), da non dover neppure essere esposti. Basti l’esempio della gestione dell’ex Ilva per dar conto dell’assenza di una programmazione nella gestione delle crisi».

GRASSI: «LA LEGA MI OFFRE UNA SECONDA OPPORTUNITÀ»

Il senatore ha quindi rievocato l’esperienza del governo Conte I, quando avrebbe avuto modo di «comprendere che molti dei miei obiettivi politici erano condivisi dal partito partner di governo», ovvero dalla Lega. Lo stesso partito che oggi «mi offre una seconda opportunità per raggiungere quegli obiettivi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi e a fronte di un evidente fallimento della mia iniziale esperienza». Ma per Di Maio non basta: «Senatori come Grassi dicano semplicemente che vogliono cambiare casacca e tradire il mandato che i cittadini gli hanno dato. Non c’è nulla di male. Ma vadano a casa, altrimenti a quella lettera alleghino anche un listino prezzi sul mercato delle vacche».

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Omicidio Sacchi: per il gip la versione di Anastasia è inverosimile

Il giudice per le indagini preliminari ha valutato «lacunose e scarsamente plausibili» le dichiarazioni della fidanzata di Luca.

«Lacunose, inverosimili e in più punti scarsamente plausibili»: così giudica il gip di Roma le dichiarazioni rese da Anastasia, la fidanzata di Luca Sacchi, nel provvedimento con cui ha respinto una istanza di revoca della misura dell’obbligo di firma presentata dal difensore al termine dell’interrogatorio svolto il 4 dicembre scorso. Per il giudice Costantino De Robbio le dichiarazione di Anastasia «appaiono del tutto inidonee a scalfire il quadro indiziario» e arrivano da un soggetto «interessato e non obbligato a rispondere dicendo la verità».

L’ORIGINE DELLA PISTOLA

Si aggrava intanto la posizione di uno degli indagati nell’inchiesta. Il gip di Roma ha notificato un provvedimento di custodia cautelare in carcere a Armando De Propris, padre di Marcello, il giovane di San Basilio che ha dato l’arma a Valerio Del Grosso, autore materiale dello sparo. All’uomo,in carcere per possesso di droga, i pm contestano la detenzione illegale della pistola calibro 38, mai trovata, utilizzata da Del Grosso.

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Il racconto della vita quotidiana stravolta da Piazza Fontana

Milano piena di operaie che chiedevano pari trattamento economico con gli uomini. All'insegna dello slogan Anni 70 «riprendiamoci la vita». Un fumetto della Bonelli scritto da Manfredi ripercorre il contesto sociale in cui scoppiò la bomba. Libri, musica, teatro e cinema: la strage nella cultura italiana.

A 50 anni di distanza, la strage di Piazza Fontana diventa un fumetto della Bonelli. Milano, 12 dicembre è il titolo: copertina e disegni sono di Roberto Rinaldi, soggetto e sceneggiatura di Gianfranco Manfredi.

STORIA INSERITA DENTRO “CANI SCIOLTI”

Già cantautore e scrittore, Manfredi si è poi segnalato soprattutto come autore per la Bonelli, per cui oltre a storie di Tex e Dylan Dog ha realizzato varie serie autonome: il western horror Magico Vento: Volto Nascosto, che è ambientata attorno alla battaglia di Adua e ha un seguito in Shangai Devil, durante la Rivolta dei Boxers; Adam Wild, che si svolge nell’Africa coloniale; e appunto Cani sciolti, in cui si inserisce questa storia.

TRA OCCUPAZIONI UNIVERSITARIE E UTOPIE

«Cani sciolti si svolge dal 1968 al 1989: dalla contestazione alla caduta del Muro di Berlino», spiega a Lettera43.it. «Protagonisti sono un gruppo di ragazzi attorno ai 20 anni che si conosco durante le occupazioni universitarie a Milano. Mostra la loro crescita, anche contrapponendo il come erano al come sono diventati. È un intervallo non casuale, perché la generazione dei baby boomer è cresciuta nell’epoca della Guerra fredda, e bene o male la caduta dei muri ha segnato la fine dei blocchi e una certa compiutezza nella loro esperienza, anche se la caduta del Muro di Berlino non ha certo realizzato loro utopie. Non è che il mondo venuto dopo sia assomigliato in maniera particolare a Imagine di John Lennon».

La copertina di “Cani sciolti”.

DOMANDA. Questo numero come mette i Cani sciolti a confronto con la Strage di Piazza Fontana?
RISPOSTA. Si tratta di una esperienza tra le più scioccanti vissuta nella storia di Milano. Siccome ovviamente avevo previsto che sarebbero usciti molti libri di rievocazione politica dell’evento, ho voluto invece trattarlo dal punto di vista della vita quotidiana.

In che modo?
Ho raccolto oltre a ricordi personali anche ricordi di amici, cui ho chiesto dove erano e cosa facevano quando è scoppiata la bomba. Quindi molti spunti finiti nella storia sono autentici.

Per esempio?
Alla casa discografica e musicale Ricordi, che è in Via Berchet a due passi da piazza Fontana, quando è scoppiata la bomba era in corso una riunione per decidere sulla partecipazione di Bobby Solo al Festivalbar. Lo scoppio fece uscire tutti fuori a vedere cosa era successo, e quindi mi hanno raccontato lo spaesamento del passare da un appuntamento di lavoro che sembrava divenuto improvvisamente futile a qualcosa che in quel momento era sconvolgente e inimmaginabile.

Quindi un fumetto per ricollocare Piazza Fontana nel suo contesto?
L’impatto che questo evento ha avuto sulla vita quotidiana, ma anche il periodo che lo aveva preceduto. Quando si seguono le piste complottistiche e spionistiche si tende un po’ a smarrire il contesto sociale di quella che era stata l’ultima grande agitazione operaia della storia italiana.

Cosa stava succedendo?
A Milano l’autunno caldo era stato vissuto in modo molto particolare perché, come racconto appunto nel fumetto, la città era piena di fabbriche a prevalenza femminile. Quindi le manifestazioni di donne erano continue: non solo le operaie, ma anche le infermiere della clinica Melloni, le portinaie, le sarte di Via Montenapoleone, le donne dell’editoria che chiedevano pari trattamento economico con gli uomini perché non facevano più semplicemente le segretarie.

E gli operai uomini?
Le loro rivendicazioni erano prevalentemente salariali e contrattuali, le lotte delle lavoratrici si aprivano ad altri campi come i servizi in città, le case, la vivibilità. Si annunciano tutta una serie di tematiche che poi percorreranno gli Anni 70 all’insegna dello slogan «riprendiamoci la vita».

Ipotesi?
Era evidente che quella forzatura violenta era dovuta da una parte a dinamiche che riguardavano il Mediterraneo. Con regimi autoritari di destra al potere in Grecia, in Spagna e in Portogallo, l’Italia era rimasta l’unico Paese democratico dell’area. Allo stesso tempo le lotte avevano suscitato una spinta di reazione autoritaria. Quella di Piazza Fontana fu la prima, ma poi di bombe nella storia italiana ce ne sono state per anni e anni, e ancora aspettiamo l’individuazione dei responsabili.

Cos’è rimasto?
Possono cambiare governi di ogni tipo, si può fare la Terza Repubblica, possono arrivare quelli che dicono «cambiamo tutto, facciamo una nuova classe politica», ma ancora oggi appurare cosa è successo, chi ha messo le bombe, chi ha pagato, chi ha ordito, nomi e cognomi, resta un grido inascoltato dei parenti delle vittime e della società civile.

Se ne parla nel fumetto?
Non ho voluto fare il giornalista detective o cose del genere, per non infognarmi in qualche deriva complottista. Ho voluto però dare alcune indicazioni soprattutto fondate sulla base del famoso libro che uscì a caldo: La strage di Stato. Fu opera di un team di giornalisti rimasti poi anonimi: per autoprotezione, perché non era facile esprimersi nell’Italia di quel periodo.

Cosa diceva?
Si basava molto su documenti già pubblicati prima dell’estate su giornali inglesi, tra cui l’Observer. Sostenevano che era in atto una grossa provocazione in Italia, sulla base di documenti provenienti evidentemente dai Servizi britannici, che non gradivamo una eccessiva preponderanza degli Stati Uniti nel Mediterraneo.

Altre opere da ricordare su Piazza Fontana?
Il Corriere della Sera ha ora pubblicato un libro: La strage di Piazza Fontana. Ma penso che sarebbe stato corretto fare autocritica ricordando il comportamento tenuto dal giornale a quell’epoca, con Valpreda coperto di fango e descritto come una sorta di Charles Manson italiano. Invece da quella storia vennero varie opere di intellettuali non conformi, che la affrontarono con più coraggio dei giornali.

Tipo?
In teatro su Pinelli Dario Fo fece Morte accidentale di un anarchico. Non parlavano direttamente di Pinelli e Valpreda ma erano evidentemente ispirati a quello che si era visto film come Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo o Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio.

Altro?
Anche Pier Paolo Pasolini dedicò al 12 dicembre un documentario, che però hanno visto in pochi. Lo stesso Pasolini, consigliato da avvocati che temevano conseguenze in tribunale, lo firmò come anonimo. Comunque vi si faceva una lettura del silenzio dei milanesi in chiave quasi di omertà che era completamente sbagliato: era un silenzio di indignazione, non di connivenza mafiosa.

LA STRAGE NELLA CULTURA ITALIANA

Ma sulla strage di Piazza Fontana l’arte e la cultura negli anni è tornata diverse volte.

LIBRI

Wikipedia cita in bibliografia 40 libri, 17 sentenze e sette trasmissioni televisive. Tra i libri usciti o riusciti in occasione di questo 50esimo anniversario ci sono innanzitutto La strage. Il romanzo di piazza Fontana di Vito Bruschini (Newton Compton), che è l’unico di genere narrativo. Di genere saggistico sono invece Piazza Fontana: 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta di Giorgio Boatti (Einaudi), La strage di piazza Fontana di Saverio Ferrari (Red Star Press), Cronache autoptiche. La strage di Piazza Fontana attraverso i verbali necroscopici dell’Istituto di Medicina Legale di Milano di Umberto Genovese, Michelangelo Casali e Sara Del Sordo (Maggioli), La strage degli innocenti di Maurizio Dianese e Gianfranco Bettin (Feltrinelli), La maledizione di Piazza Fontana. L’indagine interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati di Guido Salvini e Andrea Sceresini (Chiarelettere), Piazza Fontana. Per chi non c’era. Cosa c’è da sapere su una pagina decisiva della nostra storia di Mario Consani (Nutrimenti), Piazza Fontana di Carlo Lucarelli (Einaudi), Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli (Ponte alle Grazie), La bomba: Cinquant’anni di Piazza Fontana di Enrico Deaglio (Feltrinelli).

MUSICA

La Ballata del Pinelli, composta al funerale, è l’ultima traccia di un famoso doppio del Canzoniere Internazionale del 1973 dedicato a un’antologia della canzone anarchica in Italia. L’anno prima Enzo Jannacci aveva raccontato la storia di una ragazza morta a piazza Fontana in Una tristezza che si chiamasse Maddalena. E nel 1975 una canzone dedicata a Piazza Fontana è incisa dal gruppo Yu Kung, pioniere del Folk Rock in Italia. Altre canzoni invece si limitano a citazioni. “Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre”. Francesco De Gregori in Viva l’Italia. “Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera, eccetera, eccetera”: Giorgio Gaber in Qualcuno era comunista. “Agosto. Che caldo, che fumo, che odore di brace / Non ci vuole molto a capire che è stata una strage,/ Non ci vuole molto a capire che niente, niente è cambiato/da quel quarto piano in questura, da quella finestra./ Un treno è saltato”: Claudio Lolli in Agosto. “Con il cuore in quella piazza / tiene a mente Piazza Fontana: I Litfiba in Il Vento. “E non fu solo un sogno e non ci credemmo poco / mettere il mondo a ferro e fuoco, / mentre un’altra stagione già suonava la campana / il primo rintocco fu a piazza Fontana”: Vittorio Sanzotta in Novecento.

TEATRO

A parte la Morte accidentale di un anarchico realizzata da Dario Fo nel 1970 e dedicata alla morte di Giuseppe Pinelli, al 2009 risale Piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta di Daniele Biacchessi, “spettacolo di teatro civile” realizzato per il quarantennale.

CINEMA

Risale al 1972 La pista nera, documentario di Giuseppe Ferrara. Nel 2012 da Il segreto di piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli, Marco Tullio Giordana ha tratto Romanzo di una strage, che è l’unico vero film sulla vicenda. 12/12 – Piazza Fontana, realizzato da Matteo Bennati e Maurizio Scarcella nel 2019, è infatti pure un documentario.

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Respinto il sequestro del profilo Twitter del prof che ha elogiato Hitler

Secondo il gip di Siena, il post del docente Emanuele Castrucci non integrerebbe il reato di propaganda o istigazione all'odio razziale.

Il gip di Siena, Roberta Malavasi, ha respinto l’ordinanza di sequestro del profilo Twitter di Emanuele Castrucci, docente universitario di Filosofia del diritto e autore di alcuni post elogiativi della figura di Adolf Hitler.

Il tweet pro Hitler del professor Emanuele Castrucci.

Il gip, secondo il quotidiano La Nazione, avrebbe motivato la sua decisione affermando che «non ci sarebbero gli estremi del reato di propaganda e istigazione all’odio razziale, ma solo una rilettura storica e apologetica della figura di Hitler».

La procura di Siena farà ricorso al Tribunale del Riesame. I pm si appellano alla legge Fiano e all’articolo 604 bis del codice penale, che punisce «propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa».

L’ateneo toscano, da parte sua, per limitare i contatti del prof con gli studenti lo ha sospeso dalle sessioni d’esame. Gli studenti che si erano iscritti sosterranno la prova con un sostituto.

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“Patata bollente”: Feltri a processo per il titolo sulla Raggi

Il direttore editoriale di Libero rinviato a giudizio insieme al responsabile Senaldi con l'accusa di diffamazione aggravata.

«Molti ricorderanno un “raffinatissimo” titolo che mi dedicò oltre due anni fa il quotidiano Libero, “La patata bollente“, ed un articolo di Feltri condito dai più beceri insulti volgari, sessisti rivolti alla mia persona: nessun diritto di cronaca esercitato né di critica politica… semplicemente parole vomitevoli», ha scritto su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi, annunciando che il Gup di Catania «accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri per diffamazione aggravata».

«Avevo annunciato che avrei querelato il giornale e i suoi responsabili per diffamazione. L’ho fatto», ha spiegato la sindaca Raggi sul Facebook, «e oggi voglio darvi un aggiornamento: mi sono costituita parte civile ed il Gup di Catania ieri, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il rinvio a giudizio per il direttore Vittorio Feltri e per il direttore responsabile Pietro Senaldi. Andranno a processo per rispondere di diffamazione aggravata».

«VITTORIA PER TUTTE LE DONNE»

«È un primo importante risultato. Non tanto per me, ma per tutte le donne e tutti gli uomini che non si rassegnano a un clima maschilista, a una retorica fatta di insulti o di squallida ironia», continua la sindaca di Roma, «e il mio pensiero va a tutti coloro, donne e uomini, che hanno subito violenze favorite proprio da quel clima. Gli pseudointellettuali, i politici e alcuni giornalisti che fanno da megafono ai peggiori luoghi comuni, nella speranza di vendere qualche copia o conquistare qualche voto in più, arrivano persino a infangare la memoria di figure istituzionali come Nilde Iotti o a insultare le donne emiliane e romagnole. Patata bollente e tubero incandescente mi scrivevano..io non dimentico… vediamo come finisce in Tribunale questa vicenda».

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I giudici danno ragione a CasaPound: «Facebook riattivi il profilo»

Il tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso dell'organizzazione: «Se il soggetto non è sui social è escluso dal dibattito politico». Zuckerberg dovrà anche risarcire 15 mila euro.

Il tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso di CasaPound e ha ordinato a Facebook la riattivazione immediata del profilo chiuso lo scorso 9 settembre. A darne notizia è lo stesso movimento in una nota in cui spiega che la società di Zuckerberg dovrà anche risarcire CasaPound per 15 mila euro.

«SE IL SOGGETTO NON È SU FB È ESCLUSO DAL DIBATTITO POLITICO»

Nella sentenza con cui il tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso, il giudice spiega che «il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento».

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Radiografia delle fratture e dei riposizionamenti nel M5s

Tre senatori pronti a passare alla Lega. Il Movimento è sempre più in balìa di correnti trasversali che si coagulano in gruppi e gruppetti a seconda del tema. Dal Mes fino all'Ilva. Chi sta con chi (fino alla prossima giravolta).

Quando in estate iniziò a concretizzarsi l’ipotesi di un governo giallorosso, in molti teorizzarono che sarebbe durato almeno fino all’implosione del Partito democratico. Il Pd, sebbene svuotato della sua componente renziana e calendiana, sta invece dando prova di una inattesa solidità. Non si può dire lo stesso del Movimento 5 stelle che, sballottato dai tanti inciampi elettorali (la perdita di 6 milioni di voti dalle politiche del 2018 alle europee del 2019 e la sconfitta a ogni tornata regionale cui si è presentato), sembra sempre più diviso in correnti.

Le scissioni sono tante e tali che si potrebbe persino dire che «l’uno vale uno» delle origini sia diventato «ciascun per sé»

Difficile presentare una mappa di ciò che sta avvenendo all’interno dei 5 stelle, galassia giorno dopo giorno più nebulosa. Le scissioni sono tante e tali che si potrebbe persino dire che «l’uno vale uno» delle origini sia diventato «ciascun per sé». Del resto, anche le correnti sono, per usare due termini cari ai grillini, “post ideologiche e trasversali” e si coagulano in gruppi e gruppetti a seconda del tema e, soprattutto, del mal di pancia. E se Luigi Di Maio derubrica tutto alle solite «sparate contro il Movimento» dei «giornaloni», è innegabile che sia proprio la sua leadership uno dei motivi principali delle innumerevoli divisioni. Ma, come vedremo, ricondurre tutto a un confronto serrato tra chi spinge perché l’alleanza con il Pd arrivi fino a fine legislatura e chi invece spera che Di Maio strappi sarebbe riduttivo.

DA FRACCARO A SILVESTRI: I FEDELI A DI MAIO

Anche nel M5s è possibile rinvenire, come nei grandi partiti, un cerchio magico. File che, però, si assottigliano giorno dopo: per un Riccardo Fraccaro (già scivolato nel gruppo dei governisti) che ripete che «la leadership non è in discussione» c’è chi, come Michele Gianrusso, attacca: «Non è vero che solo 10 parlamentari sono contro Di Maio. Semmai in 10 sono rimasti con lui. E se ricomincia a fare coppia con Di Battista, ne resteranno cinque». Si posizionano tra gli ultimi fedelissimi Pietro Dettori (braccio destro di Davide Casaleggio e ciò fa pensare che lo stesso Casaleggio appoggi Di Maio, contrariamente a Beppe Grillo che supporta invece i governisti), la viceministra Laura Castelli, il sottosegretario Manlio Di Stefano e Francesco Silvestri (in bilico tra dimaiani e nuova guardia) che Di Maio voleva capogruppo alla Camera come successore di Francesco D’Uva, così da porre fine al rebus che sta rendendo plateali i disaccordi interni. Ma i deputati si sono rifiutati. Ora Silvestri potrebbe diventare tesoriere.

Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

GIARRUSSO E TIZZINO: GLI OPPOSTI TRA I CRITICI DI DI MAIO

Ben più variegata la fronda di chi si posiziona contro Di Maio. Solo tra i rappresentanti siciliani si va dal già citato Giarrusso, da sempre considerato vicino alla Lega, a Giorgio Trizzino, che negli ultimi giorni oltre ad avere chiesto che il Movimento sia guidato da un organo collegiale, ha più volte fatto sentire la propria voce chiedendo compattezza nell’alleanza con i dem («Il vero nemico nostro e del Paese», ha detto il deputato, «è la destra sovranista»). Insomma, il leader pentastellato prende schiaffi sia da chi contesta la sua linea filo-governativa sia da chi lo accusa di mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo.

DI PIAZZA, RICCARDI E QUELLI CHE VOGLIONO UN’ASSEMBLEA AL POSTO DEL LEADER

Trizzino non è il solo a chiedere che al vertice di M5s venga istituito un organo corale. Tra questi anche Steni Di Piazza e Riccardo Ricciardi (fichiano) che va oltre e chiede l’«assemblea deliberante». Di Maio dovrebbe insomma sottostare alle decisioni prese dalla maggioranza di deputati e senatori. Ricciardi sarà candidato a vice dell’ex sottosegretario al Mise Davide Crippa nella corsa al posto dei questori alla Camera.

PARAGONE GUIDA LA PATTUGLIA DEGLI ANTI-MES

Sul fronte del Meccanismo europeo di stabilità combattono Elio Lannutti, Gian Luigi Paragone e Raphael Raduzzi. Dalla battaglia sembra invece essersi ritirato Stefano Patuanelli, che lo scorso 19 giugno in Aula oltre a chiedere la riforma del Mes tuonava: «È giusto andare con la schiena dritta a rappresentare le esigenze del nostro Paese, con la forza di un governo che ha una grande maggioranza e ha capito che, soltanto attraverso il cambiamento, si salva non solo l’Italia, ma anche l’Europa». Il tema ha spaccato il M5s, tanto che alcuni senatori – Francesco Urraro, Ugo Grassi e Stefano Lucidi – hanno minacciato di fare le valigie per passare alla Lega.

Alessandro Di Battista.

GRILLO E I GOVERNISTI CONTRO L’ASSE DI MAIO – DI BATTISTA

Tutto ciò accadeva ben prima che Patuanelli ereditasse da Di Maio la poltrona del Mise. Particolare che ha determinato un sostanziale riposizionamento. Oggi, infatti, è tra i governisti assieme a big quali il collega Alfonso Bonafede (Guardasigilli) e all’ultimo arrivato in questo club, il sottosegretario alla Presidenza Fraccaro. Si tratta della compagine sostenuta da Beppe Grillo, il fautore la scorsa estate – assieme a Matteo Renzi – di questo esecutivo. La corrente appoggia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e critica aspramente la ritrovata alleanza tra il ministro degli Esteri e Alessandro Di Battista.

DIBBA, BATTITORE LIBERO FILO-LEGHISTA

Già. E dove si colloca Di Battista? Rimasto fuori dal parlamento, non ha mai fatto mistero di avere simpatie filo-leghiste e di non avere affatto apprezzato la costruzione di un esecutivo con il Pd (del resto, in estate aveva annunciato di essere al lavoro su un libro sulla vicenda di Bibbiano, che l’inattesa alleanza con i dem ha poi fatto saltare). Nelle ultime settimane, il terrore di vedere crollare ulteriormente il proprio consenso tra gli elettori ha spinto Di Maio a riavvicinarsi a Di Battista, battitore libero. Scelta che ha ulteriormente ridotto le schiere dei “dimaiani” nelle Camere: gli onorevoli al secondo – e ultimo – mandato non possono certo guardare con favore i tentativi di accorciare la legislatura.

DA TONINELLI A LEZZI: I “TROMBATI” DEL CONTE 2

Accanto a chi sta concludendo il secondo giro trova posto un’altra categoria di delusi: i ministri del Conte 1 che non sono stati riconfermati nel Conte 2. A iniziare dall’ex titolare del dicastero delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. La sua insoddisfazione sarebbe tale che, secondo alcuni, lo avrebbe trasformato in una scheggia impazzita da corteggiare in caso di votazioni ad alto rischio. Seguono Giulia Grillo, Barbara Lezzi e il già citato Crippa (che ha preso il posto di D’Uva come capogruppo raccogliendo consensi proprio tra chi contesta Di Maio).

Barbara Lezzi.

L’EX MINISTRA A CAPO DEI DURI E PURI CONTRO L’ILVA

Ma Lezzi anima un’altra fronda, quella degli esponenti pugliesi che vogliono a tutti i costi mantenere le promesse fatte nelle piazze della regione in campagna elettorale, ovvero la chiusura dell’Ilva senza se e senza ma. Tra i duri e puri, contrari all’ipotesi di qualsiasi scudo a tutela della dirigenza franco-indiana, alla Camera spiccano Giovanni Vianello e Gianpaolo Cassese, mentre al Senato, dove i numeri si fanno insidiosi, i dissidenti sarebbero tra i 13 e i 15.

MANTERO, LA MURA E L’ALA DEI “FICHIANI”

Attorno a Roberto Fico si è raccolta ormai da tempo l’ala “sinistra” del Movimento. Si tratta di una delle correnti più anziane, risalenti a quando si doveva determinare a chi spettasse la leadership. Nell’ultimo periodo i “fichiani” hanno fatto un passo verso la coalizione governativa allontanandosi ulteriormente dalla visione di Di Maio e Di Battista. «Il Parlamento deve continuare a lavorare, ha altri tre anni di vita davanti a sé», ripete come un mantra il presidente della Camera, Fico. Nella sua fronda militano i senatori Matteo Mantero e Virginia La Mura e i deputati Doriana Sarli e Gilda Sportiello.

L’IDENTITÀ A 5 STELLE DI MORRA E COMPAGNIA

Tra i più critici nei confronti della leadership di Di Maio si posiziona senz’altro il senatore Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia e tra i primi ad avere deciso di “metterci la faccia”, sfidando apertamente il capo politico. È stato Morra ad avere detto che il Movimento si è «imborghesito». Per questo ha iniziato a indire una serie di riunioni ristrette con altri onorevoli dissidenti volte a riscoprire l’identità delle origini. Da qui il soprannome della sua corrente: Identità a 5 Stelle. Gravitano in quell’area Carla Ruocco, Piera Aiello e Ugo Grassi.

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