Manovra, retromarcia sulle “finte” prime case alla vigilia del voto in Aula

La proposta di stretta contro i furbetti dell'Imu dovrebbe essere ritirata. E Gualtieri parla di asili (quasi) gratis. Mentre la Robin tax sale al 3,5%. Le novità sulla legge di bilancio pronta alla prova del Senato.

Dopo l’accordo delle “tasse rimangiate”plastic tax, sugar tax, auto aziendali – si va verso un’altra retromarcia, quella sulla stretta che è stata proposta dai relatori in tema di “finte” prime case. La manovra è pronta ad affrontare la prova del voto al Senato, ma ancora manca l’intesa complessiva sulle modifiche da apportare.

RIVISTA L’ADDIZIONALE IRES SUI CONCESSIONARI

Anche perché continuando a tagliare certe microtasse, servono le coperture: oltre al prelievo sulla “fortuna“, che potrebbe salire al 20%, dovrebbe essere rivista anche una nuova imposta appena presentata, l’addizionale Ires sui concessionari. Dopo la decisione di restringere la platea ai soli concessionari dei trasporti (autostrade, porti e aeroporti), la Robin tax dovrebbe infatti salire al 3,5%, allineando l’addizionale a quella che già si applica al sistema bancario.

«TAGLIO DELLE TASSE SUL LAVORO»

L’Imu è insomma un dettaglio, in una legge di bilancio che comunque ha compiuto il “miracolo” di bloccare gli aumenti Iva, saldando «il conto del Papeete», come ha detto il ministro Roberto Gualtieri in tivù. Il titolare dell’Economia ha difeso la manovra che porta con sé un «significativo taglio delle tasse sul lavoro», grazie ai 3 miliardi a bilancio per la riduzione del cuneo fiscale, e asili nido «sostanzialmente gratuiti per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani».

IL VOUCHER NIDI IN TRE FASCE

In che senso? Il voucher nidi è stato modulato su tre fasce: è rimasto a 1.000 euro per chi ha l’indicatore sopra i 40 mila euro, è salito a 2 mila euro per le famiglie con Isee tra i 25 mila e 40 mila euro, ed è arrivato a 3 mila euro per le famiglie meno abbienti, sotto i 25 mila euro.

TRA MOGLIE E MARITO NON METTERE L’IMU

Sull’Imu, invece, il ministro ha frenato. La stretta contro i “furbetti” della prima casa, cioè in genere moglie e marito che fissano la residenza in due abitazioni diverse per evitare di pagare l’imposta sulla casa delle vacanze, è stata inserita nel pacchetto di emendamenti alla manovra depositati dai due relatori (Dario Stefano per il Partito democratico e Rossella Accoto per il Movimento 5 stelle). Ma «non è un emendamento del governo», ha precisato Gualtieri, preannunciando un probabile parere negativo.

MA QUALCUNO LAVORA IN CITTÀ DIVERSE DALLA RESIDENZA

Possibile, quindi, che già lunedì 9 dicembre l’esecutivo chieda ai relatori di ritirare l’emendamento oppure di riscriverlo tenendo conto della necessità di tutelare i nuclei familiari che hanno bisogno di due prime case perché uno dei due coniugi lavora in un’altra città rispetto a dove risiede la famiglia.

VERSO TRE GIORNI DI VOTO NO STOP: LE NOVITÀ

La commissione si prepara a una tre-giorni di voto quasi senza sosta, per arrivare a chiudere anche in Aula al Senato entro la settimana. E dovrebbe approvare anche alcune proposte parlamentari, puntando su quelle sponsorizzate da più gruppi: dall’aumento dei fondi contro la violenza di genere alla proroga del credito d’imposta per le partecipazione delle Pmi alle fiere internazionali, passando per gli sconti per la continuità territoriale della Sicilia (chiesto anche da Pd e M5s), fino all’aumento delle borse di studio per l’Università (promosso in particolare da Italia viva).

BIOLOGICO, BONUS VERDE: COSA CAMBIA

Resta in attesa anche la riconferma del Bonus verde, annunciato dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova e anche tra le richieste di Liberi e uguali. Tra le proposte del Pd potrebbe trovare spazio il sostegno al biologico, ai vivai e anche ad alcune eccellenze musicali.

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Lega sotto il 30%, lontani i tempi del 35% di luglio

In calo Salvini. Ma le intenzioni di voto si spostano verso la Meloni: Fratelli d'Italia dall'8,6% di ottobre all'11,3%. Il M5s scivola al 18,1%. Pd al 18,7%. Italia viva al 3,5%. Forza Italia recupera al 6,5%. I sondaggi Demos.

Praticamente un travaso di voti. Da Matteo Salvini a Giorgia Meloni. Sempre più a destra. Secondo il sondaggio Demos per la Repubblica domenica 8 dicembre 2019 la Lega è scesa sotto il 30%, esattamente al 29,5%, in leggero calo rispetto al 30,2% di ottobre, ma ormai lontana dal 35,3 di luglio. In contemporanea però ha fatto boom Fratelli d’Italia, passando dall’8,6% di ottobre all’11,3%, molto avanti rispetto al 6,5% di settembre.

CONTINUA LA CRISI DEI CINQUE STELLE

Il Movimento 5 stelle si è confermato in crisi, scivolando al 18,1%, mentre due mesi prima era al 20,6%. Piccola flessione per il Partito democratico, al 18,7%: in ottobre era al 19,1%. E un leggerissimo progresso di Forza Italia: il partito di Silvio Berlusconi è salito al 6,5% rispetto al 6,1% di ottobre.

IN CALO RENZI, SALGONO LEU E +EUROPA

In calo Italia viva di Matteo Renzi, che è passata dal 3,9% di ottobre all’attuale 3,5%. Infine avanzata per Liberi e uguali, balzati dal 2,4% di ottobre all’attuale 3,2% e piccolo progresso anche per +Europa, dal 2,1% di ottobre al 2,4% di oggi.

La rilevazione è stata condotta nei giorni 2-6 dicembre 2019 da Demetra con metodo mixed mode (CatiCamiCawi). Il campione intervistato (N=1276, rifiuti/sostituzioni/inviti 8070) è rappresentativo per i caratteri socio-demografici e la distribuzione territoriale della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni (margine d’errore 2,7%).

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L’incidente a Milano causato dal filobus Atm ha fatto un morto

È deceduta la donna di 49 anni coinvolta nello scontro e apparsa subito gravissima. Altre 11 persone ferite. È stato il mezzo dell'azienda dei trasporti milanesi a passare col rosso centrando il camion per la raccolta rifiuti dell'Amsa. La ricostruzione.

L’incidente stradale a Milano tra un filobus dell’Atm e un camion per la raccolta rifiuti dell’Amsa ha assunto i contorni della tragedia: c’è una vittima, la donna di 49 anni che era rimasta coinvolta ed era apparsa subito gravissima, in coma. Il giorno dopo lo scontro è morta.

L’AZIENDA «VICINA AL DOLORE DEI FAMILIARI»

L’episodio ha fatto registrare il ferimento di altre 11 persone. L’azienda dei trasporti milanesi «nell’apprendere che la passeggera gravemente coinvolta nell’incidente stradale è deceduta», ha espresso «la sua profonda vicinanza ai familiari in questo momento di grande dolore».

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Le condizioni del filobus dopo l’incidente a Milano. (Ansa)

APERTA UN’INDAGINE INTERNA: IN ARRIVO PROVVEDIMENTI

Ma di chi è la colpa? Sarebbe stato proprio il filobus dell’Atm a non rispettare il semaforo rosso e a causare l’impatto. Atm ha spiegato che «dalla ricostruzione della dinamica è emerso che il filobus non ha rispettato la precedenza semaforica». L’azienda poi ha assicurato di aver già «aperto un’indagine interna» e si è detta «pronta a prendere tutti gli opportuni provvedimenti». Atm ha ribadito infine di essersi «impegnata da subito a fornire tutto il supporto necessario alla famiglia colpita da questo grave lutto».

E SI INDAGA SULLE BRUSCHE FRENATE DELLA METRO

Nella serata precedente una brusca frenata di un convoglio della Linea 1 alla stazione della centralissima San Babila aveva provocato una ventina di contusi, dei quali otto portati in ospedale, in condizioni lievi. La procura di Milano che da tempo, anche su segnalazione di Atm, sta svolgendo indagini su una serie di frenate, ha sequestrato il treno: a quanto si è saputo, il sequestro del convoglio era necessario per acquisire un modem, utile per le indagini. In altri casi l’attenzione dei magistrati si era concentrata sul sistema esterno di sicurezza.

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Perché il nuovo summit sull’Ucraina si risolverà in un nulla di fatto

A tre anni di distanza, riprendono le trattative per il Donbass. Questa volta a Parigi si incontreranno Macron, Merkel, Putin e Zelensky. Lo stallo però è destinato a continuare. Un compromesso tra Kiev e Mosca pare impossibile, soprattutto senza un accordo tra Russia e Usa. L'analisi.

L’ultimo incontro nel cosiddetto “formato normanno” risale all’ottobre del 2016. A Berlino si riunirono con Angela Merkel e l’allora presidente francese François Hollande, Petro Poroshenko e Vladimir Putin, i quattro che si erano visti per la prima volta in Normandia nel 2014 alle celebrazioni per il 60esimo anniversario dello sbarco degli Alleati e che avevano poi sottoscritto gli Accordi di Minsk nel 2015 impostando la road map del processo di pacificazione nel Donbass.

Da allora un sostanziale stallo, con la diplomazia internazionale incastrata sulla crisi ucraina, il conflitto nel Sud-Est della repubblica ex sovietica di fatto congelato, il numero delle vittime salito a oltre 13 mila e quello dei profughi, interni e verso la Russia, nell’ordine dei milioni.

Una tragedia sparita dai radar dei media occidentali che solo saltuariamente torna sotto i riflettori, evidenziando ogni volta la situazione critica in un Paese nel cuore dell’Europa dove si combatte una vera proxy war, una guerra per procura, tra Russia e Stati Uniti con l’Unione europea a fare in sostanza da spettatrice.

IL PRIMO FACCIA A FACCIA TRA ZELENSKY-PUTIN

Il summit di lunedì 9 dicembre a Parigi, padrone di casa Emmanuel Macron, è dunque il tentativo di fare un passo in avanti per smuovere i macigni che hanno ostruito la via verso la pace. Operazione quasi impossibile, ma il solo fatto che gli attori principali si vedano direttamente deve essere valutato positivamente, anche se alla fine la montagna partorirà il solito ridicolo topolino. Oltre a Macron, l’altra novità del quartetto è rappresentata da Volodymyr Zelensky. Eletto quest’anno – ha sostituito Poroshenko, trionfatore della rivoluzione di Euromaidan finito però disgrazia dopo il mandato fallimentare alla Bankova – Zelensky sta tentando di trovare la via del compromesso con la Russia. Spalleggiato da Francia e Germania della sempre presente cancelliera Merkel, si incontrerà per la prima volta faccia a faccia con Vladimir Putin che oggi come allora ha ancora in mano i destini del Donbass: i separatisti filorussi possono infatti sopravvivere solo con l’aiuto di Mosca, cui basta il minimo sforzo per tenere in scacco l’Ucraina sul fronte sudorientale.

UN COMPROMESSO TRA MOSCA E KIEV È ANCORA MOLTO DIFFICILE

Zelensky, Putin, Merkel e Macron ripartono quindi dagli accordi di Minsk, vecchi ormai quasi cinque anni (sottoscritti nel febbraio del 2015, sulla base del primo patto bielorusso del 2014), e riproposti adesso nella cosiddetta formula Steinmeier, una versione semplificata sulla quale ci sarebbe un’intesa preliminare. Il condizionale è d’obbligo, visto che se i punti chiave sono più o meno chiari (status speciale alle regioni di Donetsk e Lugansk ed elezioni libere e monitorate), la tempistica è invece ancora nella nebbia.

Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky.

In sostanza, ed è qui il duello tra Russia e Ucraina, Kiev vorrebbe ottenere il controllo del confine prima delle elezioni, mentre Mosca il contrario. Dato che vie di mezzo non ce ne sono, è assai improbabile che si arrivi presto a un compromesso accettabile da tutti, soprattutto da Zelensky che a casa propria è incalzato dai falchi nazionalisti (vasta fazione dentro e fuori il parlamento, quest’ultima numericamente minoritaria, ma più pericolosa) che invece di una soluzione diplomatica preferirebbero una suicida resa dei conti militare.

LA RUMOROSA ASSENZA DEGLI USA AL TAVOLO DIPLOMATICO

Nulla di nuovo perciò all’orizzonte, se non la volontà, diplomatica, di riaprire il dialogo dopo il silenzio di tre anni. La partita, inoltre, si gioca su più fronti: il quartetto normanno è uno specchietto per le allodole, dato che esclude in partenza uno dei player maggiori e decisivi, cioè gli Stati Uniti. Così come Barack Obama aveva delegato la mediazione ad Angela Merkel, Donald Trump si guarda bene dall’entrare direttamente in gioco, nonostante da Kiev Poroshenko prima e Zelensky poi abbiano cercato di tirarlo per la giacca per allargare il tavolo delle trattative. È evidente però che senza un accordo tra Russia e Stati Uniti non ci potrà essere alcuna vera e duratura soluzione del conflitto, al di là di qualche accorgimento cosmetico e temporaneo.

IL MACIGNO DELLE SANZIONI

Il lavoro sporco è riservato insomma tra Parigi e Berlino che si devono accollare oltretutto gli svantaggi della strategia delle sanzioni, volute in primo luogo da Washington, ultima però a subirne riflessi e contromisure. Nonostante i malumori fino a ora si è andati avanti su questa linea, anche se ora appaiono i primi tentativi reali di smarcamento guidati da Macron. Angela Merkel, che nonostante le pressioni a stelle e strisce mai ha mollato il progetto Nordstream, il gasdotto russo-tedesco sotto il Baltico che aggira l’Ucraina, ha sempre giocato su due fronti.

Attivisti dell’estrema destra ucraina manifestano davanti all’ufficio del presidente prima del summit del 9 dicembre.

L’UCRAINA È LACERATA SENZA SOVRANITÀ DAL 1991

L’Ucraina è insomma il teatro di braccio di ferro tra Cremlino e Casa Bianca che va oltre il nome dei rispettivi inquilini e dove l’Europa di Germania e Francia ha dimostrato la propria debolezza. A Kiev – dove dopo il cambio di regime del 2014 che ha lasciato immutato l’establishment politico-economico, l’onda verde di Zelensky sembra più incline adesso al compromesso con il sistema oligarchico che non alla sua distruzione – l’aiuto degli Stati Uniti e dell’Europa è necessario per non sprofondare nel baratro, ma non certo sufficiente per avere quella piena sovranità che gli ucraini attendono dal 1991, cioè dall’indipendenza dall’Urss. Il Paese è lacerato, la Crimea annessa dalla Russia e il Donbass de facto un protettorato di Mosca: impossibile ricomporre i cocci se Mosca e Washington non si metteranno d’accordo in qualche modo, anche sopra la testa di Kiev.

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Il caso Assad in Rai travolge Salini e Maggioni

L'intervista non ancora trasmessa fatta dalla giornalista al presidente siriano e il successivo ultimatum di Damasco sulla messa in onda imbarazzano Viale Mazzini. Per l'ad non c'era alcuna data concordata. La sua posizione traballa dopo la figuraccia. L'Usigrai: «In gioco la credibilità dell'azienda». Irritato il presidente Foa.

Il caso Bashar al Assad è scoppiato in casa Rai, suscitando imbarazzi, tensioni e irritazione ai vertici. La vicenda ha aperto una tale crisi all’interno dell’azienda che in Viale Mazzini si aspettano persino che voli qualche testa, anche molto in alto. Ma cosa è accaduto?

CONTEMPORANEITÀ PREVISTA DAGLI ACCORDI?

Monica Maggioni, amministratrice delegata di Rai Com, ha realizzato un’intervista al presidente siriano. Il colloquio però non è ancora stato trasmesso dalla Rai. Nella tarda serata di sabato 7 dicembre è arrivato via Facebook l’ultimatum del governo di Damasco: se Viale Mazzini non dovesse mandare in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista, che avrebbe dovuto essere «trasmessa il 2 dicembre su Rainews 24», allora i siriani sarebbero pronti a programmarla sui media del Paese, senza la contemporaneità prevista dagli accordi.

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Monica Maggioni. (Ansa)

MESSA IN ONDA RINVIATA: PERCHÉ?

Secondo la versione di Damasco, RaiNews 24 ha chiesto di posticipare la messa in onda «senza ulteriori spiegazioni». Poi sono seguiti, sempre stando all’ufficio stampa della presidenza Assad, altri due rinvii. Per i siriani insomma «questo è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale».

Statement from Political and Media Office of the Syrian Presidency:On 26 November 2019, President al-Assad granted an…

Posted by Syriana Analysis on Saturday, December 7, 2019

L’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, si è ritrovato al centro della delicata questione senza sapere come comportarsi: prendere provvedimenti o concordare con la Maggioni una linea che tutelasse la Rai dalla figuraccia? La sua è una delle posizioni che traballano, e alla fine in una nota ha provato a rimediare così: «L’intervista non è stata effettuata su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda».

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L’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini.

IMPASSE CON ALCUNE TESTATE RAI

A quanto è trapelato, Salini sarebbe stato informato che la Maggioni, già inviata di punta del Tg1, ex direttore di Rainew24 ed ex presidente Rai, aveva la possibilità di effettuare l’intervista ad Assad e che sarebbe andata a realizzarla in qualità di ad di Rai Com. Il colloquio sarebbe stato poi proposto ad alcune testate della Rai, che tuttavia non lo avrebbero trasmesso rivendicando la professionalità dei propri giornalisti. E quindi l’impasse ha provocato la reazione del governo siriano. Che ora ha fissato la messa in onda per la serata di lunedì.

L’esecutivo Usigrai, il sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, ha commentato così: «Chiarito che né Rainews24 né alcuna altra testata della Rai ha commissionato l’intervista al presidente della Siria Assad, né quindi ha preso impegni a trasmetterla, chi ha assunto accordi con la presidenza della Siria per conto della Rai? E perché? Fermo restando che non si può cedere ad alcun ultimatum da parte di nessuno, men che meno da parte del capo dello Stato di un Paese straniero, siamo di fronte a una vicenda imbarazzante».

Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia


L’Usigrai

Per l’Usigrai «la Rai deve fare chiarezza con urgenza e individuare le responsabilità. Senza alcun tentennamento. Questa volta è in gioco l’autorevolezza della Rai, la credibilità internazionale sua e dell’Italia».

Il presidente della Rai Marcello Foa.

IL PRESIDENTE FOA VUOLE SPIEGAZIONI

Il presidente della Rai, Marcello Foa, non ha preso bene l’accaduto, manifestando forte irritazione per non essere stato informato dell’intenzione di intervistare Assad e tanto meno dei successivi sviluppi e delle decisioni via via assunte in azienda sulla gestione dell’intervista. Secondo quanto è trapelato, è ferma la volontà del presidente di ottenere spiegazioni e fare quindi chiarezza sull’intera vicenda.

Il presidente siriano Bashar al Assad.

LA LEGA: «È UNO SCOOP, VENGA TRASMESSO»

Anche la politica si è intromessa. Alessandro Morelli, deputato e responsabile Editoria della Lega, ha parlato di «pressapochismo in Rai rispetto a rapporti internazionali delicatissimi. Lo scoop sarebbe stato stoppato e non si capisce il motivo: se questa intervista è stata fatta, è una testimonianza e deve andare in onda». E ancora: «La Rai faccia una volta tanto servizio pubblico e non politica. La dirigenza dimostra ancora di essere incapace di gestire un’azienda tanto importante per gli interessi nazionali. Dilettanti allo sbaraglio che rischiano di far saltare difficili equilibri, il cui responsabile, l’ad Salini, deve perdere più tempo a evitare polemiche che potrebbero riguardarlo piuttosto che lavorare per lo sviluppo dell’azienda».

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Così Ciro è diventato l’Immortale

Marco D'Amore racconta il passato del protagonista di Gomorra. Un progetto cross-mediale che vuole essere un ponte cinematografico tra la quarta e la quinta stagione della serie.

Ciro di Marzio, il personaggio amato dai fan della serie Gomorra, ritorna sugli schermi, questa volta cinematografici, con L’immortale diretto e interpretato da Marco D’Amore.

La trama comincia con un colpo esploso a bordo di una barca: Genny Savastano spara a Ciro il cui corpo sprofonda nelle acque buie del Golfo di Napoli. In quel momento riaffiorano i ricordi: un bambino piange tra le macerie di un palazzo distrutto nel terremoto dell’Irpinia. È il 1980 e quel neonato, rimasto solo al mondo, è destinato a diventare l’Immortale.

UN EPISODIO INDIPENDENTE DI GOMORRA

D’Amore si mette alla prova nella triplice veste di attore, sceneggiatore (in collaborazione con Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Giulia Forgione e Francesco Ghiaccio) e regista, confezionando un prodotto cross-mediale dedicato ai fan di Gomorra con l’obiettivo, ha spiegato lo stesso D’Amore, «di portare in sala tutti quelli che per varie ragioni non hanno mai visto la serie». A fare da scenario una Napoli bellissima e tragica, mentre i flashback propongono una versione di Ciro dickensoniana.

Con l’Immortale Marco D’Amore debutta alla regia cinematografica dopo aver diretto due episodi della quarta stagione di Gomorra.

L’Immortale è un film di ottimo livello e atipico nel panorama italiano, ma ha il limite di essere pienamente comprensibile solo dal pubblico televisivo che scoprirà anche personaggi nuovi tra cui Bruno (Salvatore D’Onofrio e Giovanni Vastrella), Vera (Marianna Robustelli) e Stella (Martina Attanasio), una ragazza che aveva affascinato Ciro e che è ora compagna del suo amico di infanzia.

Regia: Marco D’Amore; genere: drammatico (Italia, 2019); attori: Marco D’Amore, Giuseppe Aiello, Salvatore D’Onofrio, Gianni Vastarella, Marianna Robustelli, Martina Attanasio, Nello Mascia

L’IMMORTALE IN PILLOLE

TI PIACERÀ SE: Non hai mai perso un episodio di Gomorra e non hai ancora digerito la morte di Ciro Di Marzio alla fine della terza stagione.

DEVI EVITARLO SE: Non ami la saga e non sai nulla dell’Immortale. O non ami particolarmente i thriller.

CON CHI VEDERLO: con i fan della serie e chi è curioso di conoscere Ciro prima dell’Immortale.

PERCHÉ VEDERLO: per apprezzare Marco D’Amore anche dietro la macchina da presa.

LA SCENA MEMORABILE: quella che non si può dire. Mica vorrete degli spoiler?

LA FRASE CULT: «Io sono morto già».

L’Immortale è un progetto cross-mediale tra serie tivù e cinema.

1. UN PROGETTO TRA SALOTTO E SALA

L’Immortale è un esperimento cross-mediale tra tivù e grande schermo. Una sorta di cerniera tra la quarta e la quinta stagione di Gomorra.

2. L’UMANITÀ DELL’IMMORTALE

Il personaggio di Ciro è particolarmente amato da Marco D’Amore che lo considera un «antieroe romantico». «Lo ritengo uno di quegli uomini per metà polvere e per l’altra metà dei», ha detto il regista. «Crea conflitto nello spettatore: la faccia feroce dell’uomo che lotta per imporsi, e accanto la fragilità di un essere umano alla ricerca di qualcosa di vero a cui aggrapparsi».

3. LA DIFFICOLTÀ DI FARSI IN TRE

Il triplice impegno non è stato sempre facile da gestire, in particolare sul set: D’Amore ha ammesso di essersi inizialmente «maledetto» per aver deciso di dover lavorare dietro e davanti la macchina da presa. Poi con il procedere delle riprese tutto ha trovato un suo equilibrio. L’Immortale segna il debutto alla regia cinematografica per D’Amore che aveva già diretto il quinto e il sesto episodio della quarta stagione di Gomorra.

Marco D’Amore è Ciro Di Marzio ne L’Immortale.

4. LA RICERCA PER RICOSTRUIRE LA NAPOLI ANNI 80

Per ricostruire la Napoli degli Anni 80 e Secondigliano gli sceneggiatori hanno compiuto un accurato lavoro di ricerca su documenti d’archivio e immagini di repertorio.

5. IL PRIMO FILM ITALIANO IN LARGE FORMAT

L’Immortale è il primo film italiano realizzato in large format, ovvero un formato intermedio tra i 35 e i 65 mm. Guido Michelotti, direttore della fotografia ha spiegato: «Fino a qualche anno fa le fiction televisive si giravano in 16 mm e il cinema in 35mm, questo rendeva l’immagine dei film più spettacolare. Oggigiorno le serie televisive si girano con le stesse camere che si usano per i film, per questo motivo il cinema si sta muovendo verso formati sempre più ampi, per differenziare l’immagine da quella che lo spettatore è abituato a vedere in tivù».


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Il ministro Gualtieri contro il terrorismo di Salvini sul Mes

Il titolare del Mef ha attaccato il leader del carroccio e Borghi per la polemica sul Meccanismo europeo di stabilità.

«Quella sul Mes è una discussione che ci sarebbe stata comunque, a prescindere da questo dibattito sopra le righe, ma è avvenuta in un contesto in cui la Lega, Salvini e Borghi con cinismo hanno iniziato a fare una campagna terroristica per spaventare le persone». È stato l’affondo del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ospite a Mezz’ora in più. «Certo», ha continuato, «se non ci si riesce a esprimersi con competenza e serietà sulla Nutella è evidente che la credibilità su ciò che si dice sul Mes sia piuttosto scarsa».

«Il rinvio», ha aggiunto il capo del Tesoro, «è un fatto, ci sono anche dei miglioramenti che vanno valutati, c’è un orizzonte più largo sul pacchetto. Auspico che ci sia una risoluzione positiva che guardi in avanti e che raccolga il sostegno delle forze responsabili, anche non della maggioranza. Certo, chi vuole l’incidente, chi spaventa le persone in modo molto cinico dicendo che ci tolgono i soldi dai conto correnti, dubito possa convergere».

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Sei insoliti mercatini di Natale da non perdere

Dalle bancarelle tra monti e resti romani al giardino di un convento fino a un lago ghiacciato. Le proposte di Lettera43 per respirare l'aria di festa.

Certo, i mercatini di Natale hanno già un loro perché, grazie all’atmosfera dell’avvento, amplificata da luci, colori, canti e profumo di dolci. Ma sono ancora più allettanti se contano uno scenario insolito, che può andare da un anfiteatro antico al giardino di un convento a un’antica via del sale, passando per un angolo dedicato ai gattari, un allestimento per i più piccoli e la sponda di un laghetto alpino. E se volete pregustare le feste o cercare i regali dell’ultimo minuto, ecco una selezione delle mete più suggestive. 

AOSTA, AVVENTO SULLO SFONDO DEL TEATRO ROMANO 

È una quinta scenica d’eccezione, quella dei resti archeologici di Aosta, che incorniciano bancarelle e casette in legno, in cui trovare prodotti tipici della tradizione montana, come oggetti in legno intagliato, capi d’abbigliamento e accessori sia in feltro che in lana cotta.

Mercatino ad Aosta (foto Enrico Romanzi).

Per il Marché Vert Noël, all’ombra del teatro romano si snoda un borgo alpino su scala ridotta, che propone anche enogastronomia, vini d’alta quota, dolciumi, o ancora candele di ispirazione nordica e idee regalo per tutte le tasche. E non lontano, in piazza Chanoux, è allestito un albero di Natale tecnologico, con una scala a chiocciola interna che regala un punto di vista inedito sulla città. Fino al 6 gennaio 2020 (www.lovevda.it).

IL PARADISO DEI GATTI A CARAVAGGIO

Il sogno natalizio dei gattari? Il Centro Verde di Caravaggio (Bg), che propone in un solo indirizzo diversi tipi di artigianato. Dopo l’ingresso in cui troneggia un camion d’epoca, ricolmo di regali, si spalanca un mondo fiabesco, fatto di luci, cieli stellati, folletti, presepi, decorazioni, alberi, che trasformano il vivaio bergamasco in un villaggio, con tanto di artigiani al lavoro, stanze a tema, ambientazioni eleganti, suggerimenti per decorare la casa.

Il Christmas Garden di Caravaggio.

Ma c’è un angolo riservato a chi ama i gatti, la Cat House Christmas, con cuscini, ciotole, tiragraffi di design pensati per gli amici pelosi, ma anche con sculture, stampe e decorazioni che si ispirano al micio. Fino al 6 gennaio 2020 (www.centroverde.com).

A TRENTO, UNA PIAZZA PER I BAMBINI

Con un occhio di riguardo per i più piccoli, a Trento gli organizzatori dell’avvento hanno riservato tutta piazza Santa Maria Maggiore proprio ai piccini, allestendo la casa di Babbo Natale, con la slitta magica e i folletti che intrattengono gli ospiti.

Piazza Fiera a Trento (archivio APT Trento L. Franceschi).

A pochi passi si trova il laboratorio creativo, rigorosamente al caldo, per far accostare i bambini al mondo della manualità, attraverso lavoretti che richiamano la natura o ruotano attorno ai valori del volontariato. In centro città ci sono anche una fattoria degli animali con diversi pony e un trenino di Natale che attraversa ogni giorno le vie storiche del capoluogo. Nelle altre piazze sono invece collocati i banchi con prodotti del territorio ed eccellenze della tavola che vanno dai canederli ai Brezel farciti, passando per lo strudel e il brulè di mela. Fino al 6 gennaio 2020 (www.mercatinodinatale.tn.it).

LA MAGIA DEL LAGO DI CAREZZA

Se l’avvento è sinonimo di cime imbiancate, cristalli, melodie natalizie e aroma di biscotti appena sfornati, il mercatino giusto è quello che si dipana lungo le sponde del lago di Carezza, fra lucerne magiche, figure scolpite nel ghiaccio, presepi a grandezza naturale.

Attorno allo specchio d’acqua, che la leggenda vuole abbia catturato l’arcobaleno, sono disposte le casette in legno, riscaldate per una pausa ristoratrice dalle stufe della tradizione altoatesina. E per chi vuole gustare in notturna l’atmosfera che anticipa il Natale fra le vette del Latemar e del Catinaccio, sono in programma escursioni serali alla luce delle lanterne, accompagnate da vin brulè o succo di mela e da una tazza di Magie natalizie di Carezza. Fino al 22 dicembre (www.valdega.com).

A LANA, NEL GIARDINO DEI CAPPUCCINI

C’è un fazzoletto di Alto Adige in cui castagni, larici e faggi convivono con meli, orchidee e ciliegi, grazie a un ambiente singolarmente mite, protetto dalla barriera naturale del Gruppo di Tessa. Proprio in questa zona si adagia Lana (Bz), dove il mercatino Polvere di stelle è allestito in un contesto unico, il giardino del convento fondato dai Cappuccini nel XVII secolo. Fra i pezzi forti delle bancarelle figurano gioielli, legno intagliato, pantofole, oli essenziali, cuscini ripieni di erbe e cirmolo, lavori all’uncinetto. E ancora composizioni floreali, pantaloni alla zuava, distillati, liquori, frutta essiccata. Fra gli alberi addobbati e gli stand con artigianato e gastronomia, sono in calendario canti, cori gospel, attività creative, spettacoli di luci, con proiezioni sulla facciata dell’edificio annesso al giardino dei Cappuccini. Fino al 31 dicembre (www.visitlana.com).

Il mercatino in Austria (studioeidos).

I CRISTALLI SWAROVSKI FRA LE VETTE AUSTRIACHE 

Nel cuore delle Alpi tirolesi, Hall in Tirol, è un borgo medievale, all’ombra dell’antica via del sale che durante l’Avvento si trasforma in un calendario a cielo aperto: sugli edifici attorno alla piazzetta centrale, la Oberer Stadtplatz, vengono proiettati i giorni che mancano al Natale, in un trionfo di luci e colori. Se fra le bancarelle gli adulti trovano le chicche del “fatto a mano” e prodotti venduti dagli agricoltori del luogo, i piccoli possono coccolare caprette, pecore e pony o seguire le fiabe di un cantastorie (fino al 24 dicembre).

Il museo delle luci Svarowski.

E a pochi minuti di macchina i Mondi di Cristallo Swarovski, splendido museo tematico, propongono il Festival delle luci, con installazioni luminose, sonore, interattive (fino al 6 gennaio 2020). (www.hall-wattens.at).

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Risarcimento Inps chiesto a due orfane per femminicidio: ora interviene Mattarella

Il Capo dello Stato ha chiamato la ministra del Lavoro Catalfo per parlare della richiesta di risarcimento fatta a due giovani di 12 e 14 anni.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiamato la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo per parlare della richiesta di risarcimento avanzata dall’Inps nei confronti di due ragazzine, divenute orfane per l’assassinio della madre a opera del padre poi suicidatosi, colpite più di ogni altro dalle conseguenze del delitto.

La vicenda risale al 28 luglio 2013, a Marina di Massa (MC). Un uomo uccise l’ex moglie, ferì gravemente l’uomo che credeva essere il suo nuovo compagno e poi si suicidò. Il gesto rese orfane due bambine le quali ora, in quanto eredi, sono state chiamate dall’Inps a pagare 124.000 euro, spesa sostenuta dall’Istituto come indennità di malattia e per l’assegno di invalidità erogato all’uomo sopravvissuto.

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Sanità, governo pronto ad autorizzare lo scorrimento delle graduatorie

Il ministro Speranza ha annunciato un emendamento alla manovra per facilitare l'immissione di medici e infermieri nel Ssn. Decisivo lo sblocco di due miliardi.

«Abbiamo depositato l’emendamento alla manovra che autorizza lo scorrimento delle graduatorie per gli idonei del comparto sanità», l’annuncio è arrivato via Facebook dal ministro della Salute, Roberto Speranza. «Ora è più facile immettere medici, infermieri, professionisti nel Servizio Sanitario Nazionale perché: i sono finalmente più risorse (2 miliardi in più di fondo); Abbiamo cambiato le regole del tetto di spesa sul personale (non più 5% ma fino al 15% sulla quota aggiuntiva di fondo): più rapidamente si combatte la carenza di personale».

SPERANZA: «ALLARGARE MAGLIE DELLA LEGGE MADIA SUI PRECARI»

Speranza, in un’intervista al Messaggero, aveva spiegato che l’idea dell’esecutivo era di fare in modo che per le assunzioni si possa attingere alle graduatorie esistenti, «così i tempi saranno molto più rapidi. E allarghiamo le maglie della legge Madia per la stabilizzazione dei precari. Sui medici, dobbiamo aumentare le borse per le specializzazioni. Faremo un cospicuo investimento in questa direzione».

UN PACCHETTO PER SFRUTTARE STUDI MEDICI E FARMACIE

L’esponente di Leu ha poi spiegato che il governo sta lavorando a nuovi pacchetti per usare la rete di di 50mila studi medici di famiglia e 19mila farmacie: «In Italia abbiamo due punti di forza: 50mila studi di medici di famiglia e 19mila farmacie, presenti anche nel paese di collina dove non c’è l’ospedale. Nella legge di bilancio abbiamo previsto 235 milioni di euro per l’acquisto della strumentazione diagnostica negli studi medici» e «allo stesso modo proseguiamo con la sperimentazione delle farmacie di servizio, in modo che non siano solo distributori di farmaci ma offrano anche altre possibilità, come già in parte avviene, come alcuni test di prima istanza o la prenotazione di visite specialistiche».

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La Prima della Scala ci insegna l’uso metalinguistico di Instagram

In platea, Durante l'esecuzione della Tosca, fiorivano gli spettatori col cellulare in mano. Una rappresentazione di come i social abbiano vinto sulla nostra percezione del reale.

Assistito al Terzo Atto della Tosca dall’ingresso della platea con il cappotto sul braccio, fra i cani sciolti, quelli che si erano attardati a fumare in piazza e le poverette che non avrebbero potuto fare altrimenti perché indossavano un vestito da fatina con le lucine di Natale incorporate accese e che dunque non avrebbero potuto sedersi in platea (ci siamo informate, si chiama Dvora, a Milano fa l’estetista-con-punturine, ogni anno si presenta con qualche obbrobrio addosso scatenando l’eccitazione dei fotografi e confermando così l’idea che la Prima della Scala sia un posto di sciroccate a cui nulla interessa della musica), ci siamo accorte che nessuno spegneva il cellulare.

Gli applausi per l’arrivo del presidente Sergio Mattarella.

LA CORSA AI SOCIAL DURANTE LA PRIMA

Tutti, invece, controllavano non solo i messaggi, ma anche i social. I social. Ma che cosa c’era di così impellente da controllare su Instagram, Twitter e Facebook mentre ci si trovava all’evento culturale-mondano più atteso dell’anno e sarebbe stato lecito goderselo senza pensieri? Visto che siamo curiose per natura e per mestiere, e in più eravamo seccatissime perché invece a noi quel terzo atto piace molto, volevamo godercelo anche da quella posizione precaria e aspettavamo con trepidazione “e lucevan le stelle” (purtroppo svanì anche il sogno nostro di ascoltarla cantata come si deve, Francesco Meli è un Mario Cavaradossi troppo tiepido), dopo aver segnalato ai vicini che le lucette dell’estetista, ora arrivata proprio lì accanto a noi a ridacchiare, fornivano un’illuminazione più che sufficiente per disturbare lo spettacolo, abbiamo buttato un occhio sulle schermate dei vicini più prossimi.

COME INSTAGRAM VINCE SULLA PERCEZIONE DEL REALE

Controllavano chi fosse stato ritratto, fotografato, segnalato alla Scala, cioè il luogo dove si trovavano in quel preciso momento. Ci siamo messe a sorridere anche noi, soddisfatte. Non dovevamo irritarci, ma rallegrarci, perché finalmente, dopo anni di teorie, stavamo assistendo alla perfetta mise en abyme delle potenzialità non social ma sociologiche di Instagram, alla sua vittoria sulla nostra percezione del reale. Instagram come volontà e rappresentazione, l’abisso della differipetizione, come certe fotografie di Man Ray in cui l’immagine si ripete ossessivamente, sempre più in piccolo, all’interno della prima. Lo scopo di quell’affannosa ricerca collettiva era il controllo ansioso di chi si trovasse lì con noi dei ricchi-e-famosi, se si fosse perso qualche volto e qualche immagine importante fra i tanti presenti (ci spiace per il ministro Provenzano che ha innescato l’inutile polemica contro Milano-asso-piglia-tutto-d’Italia: il 7 dicembre non mancava nessuno dei potenti di oggi e anche di ieri, vedi il povero Angelino Alfano al cui passaggio non scattano più i flash), e se ci si potesse vantare di qualcosa con gli amici, suscitare qualche commento desioso e invidioso, trarne vantaggio, schermirsi.

LA SFILATA DEI POTENTI TRA GAFFE ED ELEGANZA

Quanto a lungo hanno parlato il candidato alla presidenza di Confindustria Carlo Bonomi e Diana Bracco? Quanto era divertente vedere i cronisti incerti fra Alexander Pereira, sovrintendente uscente, e Dominique Meyer, entrante e già sostanzialmente insediato? Quanto erano davvero gentili gli scambi di cortesie fra Lella Curiel e il costumista di Tosca, Gianluca Falaschi («signora, lei ci ha insegnato l’eleganza», «ma no, bravo davvero lei, complimenti»)? E poi. Il viceministro agli Esteri Ivan Scalfarotto era davvero l’unico accompagnatore di Maria Elena Boschi, star della serata in abito-smoking di velluto nero, sottile, elegante e understated come una milanese (quanta strada ha percorso, da quel provincialissimo tailleur bluette del primo giuramento nel governo Renzi)? E com’era possibile che sessant’anni di comunismo non avessero insegnato ai ricchi ospiti cinesi dei Dolce&Gabbana che è semplicemente atroce vedere una donna farsi reggere lo strascico da una cameriera come la Liù di Turandot (e non vogliamo nemmeno commentare la cafoneria di un abito da ballo a teatro).

Ivan Scalfarotto e Maria Elena Boschi alla Prima (Foto LaPresse)

IL FILTRO DI INSTAGRAM CHE ESALTA L’INDIVIDUALISMO DI MASSA

Insomma, a tutto questo Instagram e i social servivano alla Prima, a dimostrazione che il nuovo saggio di Paolo Landi, Instagram al tramonto, a cui accennavamo la scorsa settimana, è davvero il libro del momento: la rappresentazione del nuovo mondo dell’individualismo di massa, il mondo in cui ci crediamo unici spettatori di uno spettacolo condiviso, il mondo a cui riconosciamo importanza solo attraverso il piccolo schermo del nostro smartphone. Un piccolo schermo che ci valorizza e al tempo stesso ci difende: nulla di male può davvero accaderci attraverso la distanza dell’obiettivo, a nulla possiamo credere davvero e fino in fondo, nulla ci tocca. Ed ecco, dunque, ripresa la Prima della Scala, ma anche e purtroppo tante atrocità. Il mondo reale e filtrato al tempo stesso, in cui ci pare di vivere il doppio, e che invece ci allontana sempre di più dalla realtà.

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Storia dei cocaleros, dalla lotta all’elezione di Morales

Il movimento dei coltivatori di coca boliviani dopo decenni di repressione e battaglie è riuscito nel 2006 a portare al potere il leader del Mas. Ma ora, dopo i disordini post elettorali, si è diviso. Lo scenario.

Le sommosse popolari che ormai da settimane interessano la Bolivia e che hanno determinato l’uscita di scena di Evo Morales segnano senz’altro la chiusura di un ciclo politico che ha avuto tra i suoi principali protagonisti i cocaleros, i coltivatori delle foglie di coca. Dopo la Colombia e il Perù, la Bolivia, con i suoi oltre 50 mila cocaleros, è il terzo produttore di coca a livello globale. Stando alle stime delle Nazioni Unite, la coca venduta sul mercato legale genera un giro d’affari tra i 375 e 461 milioni di dollari, con incidenza di circa l’1% sul Pil del Paese, pari a circa il 10% di quello del settore agricolo.

L’AUMENTO DELLA DOMANDA DI COCA E LA MIGRAZIONE INTERNA

La storia del movimento dei cocaleros, che nel corso degli anni si è ritagliato un ruolo rilevante nella vita politica Paese, è legato al notevole incremento negli Anni 70 della domanda di coca il cui effetto immediato è stato l’aumento di produzione che in soli dieci anni è passata da circa 4 a ben 39 tonnellate annue. La nuova opportunità di lavoro ha incoraggiato una forte migrazione interna di intere famiglie campesine che andavano in cerca di fortuna nella provincia del Chaparè (situata a nord del dipartimento di Cochabamba) e dello Yungas (nel dipartimento de La Paz), due grandi aree in cui si produce, rispettivamente, il 34% e il 65% dell’intero raccolto nazionale, equivalente a 55 mila tonnellate annue. L’area del Chaparè, che già ospitava gli operai delle miniere, è stata un vero e proprio laboratorio politico sociale. Partendo di qui il movimento cocaleros nel corso degli anni è riuscito a imporsi prima come forza di opposizione, poi a crescere fino al punto di eleggere presidente uno dei suoi leader, Evo Morales.

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LA REPRESSIONE DEGLI ANNI 80

Gli Anni 80 hanno costituito il vero banco di prova per il movimento: l’organizzazione ha dovuto fare i conti con la dura repressione dei governi di centrodestra che godevano del supporto degli Stati Uniti. La risposta dei cocaleros non si fece attendere. Attraverso una serie di azioni di protesta, riuscirono ad attirare l’attenzione mediatica sulle loro rivendicazioni al punto da imporre il tema della coca nel dibattito nazionale. Sempre nello stesso decennio fu varata la legge 1008 che delimitava tre distinte zone di produzione: la prima, destinata alla produzione a uso medicinale e rituale; la seconda (nella zona del Chaparè) definita di transizione, utile ad assicurarsi un’eccedenza rispetto alla prima, ma che in realtà era destinata a soddisfare le esigenze del mercato degli stupefacenti in grande espansione; e la terza, zona illecita all’interno della quale la produzione era proibita. 

Bolivia Morales proteste Añez
Gli indios di Bolivia dalla parte di Morales. GETTY.

LE RIVENDICAZIONI DEL SINDACATO

Il sindacato ha sempre rivendicato la libertà di coltivazione ricordando la sacralità della coca, non solo un mezzo di sostentamento per migliaia di campesino ma anche un simbolo di dignità nazionale e di memoria collettiva. Non solo. Le organizzazioni hanno rinfacciato allo Stato di agire in modo repressivo sotto la pressione di Washington senza alcuna volontà di cercare una soluzione alternativa che tenesse conto del loro patrimonio culturale e indentitario nonché delle ricadute sociali ed economiche. Le lotte di quegli anni, caratterizzate anche da massacri come quello di Villa Tunari del giugno 1988, (12 morti e oltre 100 feriti) diedero ai cocaleros ulteriore forza permettendo loro di strutturare al meglio l’organizzazione che ormai, tanto per i campesino quanto per gli altri lavoratori, rappresentava l’unica alternativa allo Stato nei territori. Un primato che ha permesso ai suoi rappresentanti di porre la questione della coca al centro del dibattito politico, di stringere alleanze con altri sindacati e di supportare efficacemente la sinistra in crisi a causa delle lotte intestine, consentendo così al movimento di guadagnarsi i primi margini di manovra anche in ambito politico.

IL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI

Gli Anni 90 hanno rappresentato la svolta. Il sindacato ampliò il raggio di azione delle proprie battaglie accreditandosi presso le istituzioni. Del 1997 è El Dialogo Nacional, la prima esperienza di costruzione partecipativa di un’agenda vertente su quattro principi imprescindibili: opportunità, equità, giustizia e dignità. Culmine di questo processo è stata l’adozione della Ley del Dialogo Nacional che, istituzionalizzando la partecipazione politica, ha creato le premesse del controllo sociale sullo Stato.

bolivia morales dimissioni
Evo Morales.

LA GUERRA DELL’ACQUA E DEL GAS

Il Paese cominciava a cambiare e i cocaleros diventavano protagonisti di questa “rivoluzione”. Prima con la mobilitazione nel 2000 contro la privatizzazione dell’acqua nella regione di Cochabamba. Disposta dal governo Bzner, la lotta si concluse con la cancellazione della contestata legge. Tre anni dopo, si opposero alla decisione del governo Sánchez de Lozada di esportare gas boliviano attraverso il porto cileno del Mejillones, scartando la via alternativa peruviana. Una decisione bollata come una concessione al governo di Santiago senza contropartita. La protesta costrinse alla fuga il presidente, sostituito dal suo vice Carlos Diego Mesa che cercò di placare gli animi con un apparente programma di nazionalizzazione. In realtà era il primo passo verso l’ascesa al potere di Evo Morales. La guerra dell’acqua e la guerra del gas hanno segnato la fine del potere neoliberista e l’inizio di una nuova pagina della storia boliviana con l’elezione del 2006 di Evo Morales, indio di etnia aymara, a capo del Mas il Movimento al Socialismo, un partito indio che chiedeva la fine delle privatizzazioni, la legalizzazione della coca e una più equa distribuzione della ricchezza nel paese

L’ASCESA DI MORALES

Morales ha impresso una svolta al Paese, dentro e fuori dai confini nazionali. Tuttavia, nel corso degli anni non sono mancate tensioni nella sua base. Nel 2011 è stato contestato per il progetto dell’autostrada che avrebbe dovuto attraversare il parco e l’area indigena del Tipnis, enorme riserva di acqua e ricca di giacimenti petroliferi, per collegare Villa Tunari, nella provincia di Chaparè, a San Ignacio de Moxos. Un’opera che si inseriva in un più ambizioso e strategico progetto sovranazionale di sviluppo, destinato a connettere il Pacifico all’Atlantico. Nell’ottobre 2012 Morales ha sottoscritto il contratto per la costruzione del primo tratto della strada, presupponendo che 45 delle 69 comunità locali consultate avessero dato il loro benestare; un dato, questo, contestato dagli indigeni dello Yungas. L’opera ha diviso le anime del movimento con una parte degli indigeni guidati da Felipe Quispe che si sono convertiti in duri oppositori del governo, andando incontro anche a una dura repressione. A rimanere fedeli ancora a Morales sono i cocaleros del Chaparè ormai diventato l’epicentro del conflitto dove i contadini marciano e muoiono per protestare contro il nuovo governo.

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È morto Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz

Residente a Roma Terracina si è spento all'età di 91 anni. Venne deportato in Polonia nella primavera del '44.

È morto a Roma a 91 anni Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz.

Quando aveva solo 15 anni Terracina fu prima portato a Regina Coeli con la famiglia, nel giorno della Pasqua ebraica del 1944, poi nel campo di Fossoli, vicino a Modena, e infine in quello di Auschwitz.

Solo lo scorso dicembre il Consiglio comunale di Campobasso aveva stabilito all’unanimità di conferire la cittadinanza onoraria a Terracina e ad altri sopravvissuti della Shoah, tra cui anche la senatrice Liliana Segre.

IL RICORDO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA

Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha espresso il cordoglio di tutta la comunità con una nota: «La Comunità Ebraica di Roma piange la scomparsa di un baluardo della Memoria. Piero Terracina ha rappresentato il coraggio di voler ricordare, superando il dolore della sua famiglia sterminata e di quanto visto e subito nell’inferno di Auschwitz, affinché tutti conoscessero l’orrore dei campi di sterminio nazisti. Oggi piangiamo un grande uomo e il nostro dolore dovrà trasformarsi in forza di volontà per non permettere ai negazionisti di far risorgere l’odio antisemita».

RAGGI: «ROMA TRASMETTERÀ LA MEMORIA»

La sindaca di Roma Virginia Raggi ha dato il suo addio a Terracina via Twitter: «Profondo dolore per la scomparsa di Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. @Roma si stringe ai suoi familiari e conferma l’impegno di trasmettere ai giovani la memoria dell’orrore nazifascista. Non dimenticheremo mai».

CONTE: «È UN PATRIMONIO PER I GIOVANI»

Cordoglio social anche per il premier Giuseppe Conte: «Primo Levi ammoniva di non togliere il segnalibro della memoria dalla pagina dell’Olocausto. Addio a #PieroTerracina, la sua testimonianza su Auschwitz è memoria collettiva: un patrimonio che ora tocca a noi alimentare perché possa trasmettersi anche alle future generazioni».

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Record in tv per la Tosca: oltre 2,85 milioni di spettatori

Boom di spettatori per la Prima della Scala. Battuto il record di Madama Butterfly di tre anni fa. Share oltre il 15%.

Tosca è la Prima della Scala in assoluto più vista in tv: il 7 dicembre la diretta su Rai1, curata da Rai cultura, è stata infatti vista da una media di 2 milioni 850 mila spettatori con uno share del 15%. Circa ottocentomila in più dell’Attila di Verdi dello scorso anno e anche della Madama Butterfly (finora record) di tre anni fa che fu vista da 2 milioni 644 mila persone. Anche la presentazione dell’opera prima dell’inizio ha fatto un risultato di tutto rispetto con 1 milione 947 mila spettatori e uno share del 14,2%, ben più del programma precedente.

L’ORGOGLIO DI RAI CULTURA

Il risultato di Tosca, ha spiegato la Rai in una nota, è stato «il record assoluto di ascolti per un’opera lirica in tv da quando esiste l’Auditel». L’azienda di Viale Mazzini ha parlato di «un motivo di grande orgoglio» tanto che il direttore di Rai Cultura Silvia Calandrelli, ha parlato di orgoglio «per tutti coloro i quali hanno contribuito, nello spirito del vero servizio pubblico, a portare nelle case degli italiani il capolavoro di Puccini». «Nel corso della stagione Rai Cultura riprenderà e trasmetterà altre tre opere e un balletto della Scala, così come saremo accanto a molte altre realtà musicali per continuare a diffondere la bellezza della grande musica», ha aggiunto Calandrelli.

FOA: «GRANDE SUCCESSO PER IL NOSTRO PAESE»

Impettito anche il presidente della Rai, Marcello Foa: «Sono felice per lo straordinario risultato di ascolto: con quasi 3 milioni di spettatori è il record per una Prima della Scala. Mi congratulo con Rai Cultura, con Rai1 e con il centro di produzione Rai di Milano. La Prima della Scala viene vista in queste ore in tutto il mondo. Si tratta di un grande successo per il nostro Paese». «La Rai», ha concluso Foa, «è orgogliosa di contribuire a promuovere in Italia e nel mondo l’eccellenza della cultura, della creatività e della tecnologia italiane».

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L’Iran prepara una finanziaria contro le sanzioni Usa

Il presidente Rohani ha presentato al parlamento la prossima manovra. Un progetto di resistenza spinto anche grazie a un prestito della Russia.

Il presidente iraniano Hassan Rohani ha presentato in parlamento quella che ha definito la «finanziaria della resistenza» contro le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. «Il prossimo anno, come quello in corso, la nostra manovra sarà una manovra di resistenza e perseveranza contro le sanzioni», ha dichiarato Rohani ai parlamentari secondo quanto riportato dalla radio statale.

Il presidente iraniano ha spiegato che il prossimo anno il Paese «dipenderà meno dalle entrate del petrolio». La finanziaria, ha aggiunto, ha potuto anche beneficiare di un prestito della Russia da 5 miliardi di dollari. Alla fine sarà una manovra da 40 miliardi di dollari, il 20% in più del 2019. Il prossimo anno fiscale in Iran inizia il 20 marzo, insieme con l’inizio del nuovo anno persiano.

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Anche se vincerà Johnson non ci sarà Brexit prima del 2023

Al voto del 12 dicembre la vittoria dei Tory appare scontata. La promessa di BoJo è «uscita comunque con accordo o no a fine 2020». Ma non sarà così

Il voto britannico del prossimo 12 dicembre rappresenta comunque una svolta. Assai più importante di quando, con una lunga marcia di avvicinamento durata 12 anni e bloccata due volte dal veto francese, Londrà aderì alla Cee nel 1973.

Se giovedì 12 vince alle politiche il partito Tory, diventato ormai il Conservative Brexit Party (e le probabilità maggiori sono che vinca) è l’uscita (più lenta del previsto probabilmente, ma comunque un’uscita) da qualcosa di assai più integrato e anche politicamente significativo di quanto non fosse l’Europa comunitaria del 1973. Se, miracolosamente per i pro-Ue, i Tory non arrivano alla maggioranza restando tuttavia sicuramente il maggior partito, sarebbe comunque un fatto di grande importanza e la quasi certa fine della Brexit perché, privi di alleati, non riuscirebbero a formare il governo. E gli altri sono impegnati a tenere un nuovo referendum.

Alle 23 ora italiana di giovedì 12 dicembre gli exit poll daranno le prime indicazioni e due ore dopo ci saranno i primi risultati parziali di alcuni collegi ritenuti particolarmente significativi. Si tratta di una ventina di circoscrizioni, nella zona suburbana londinese e nel Sud Ovest dell’Inghilterra dove i conservatori potrebbero perdere alcuni seggi a favore del voto filo-Ue. Ugualmente molta attenzione ci sarà sui seggi tradizionalmente laburisti delle Midlands e dell’Inghilterra settentrionale dove il partito Tory potrebbe, anzi, dovrebbe in nome della Brexit strappare vari seggi tradizionalmente laburisti ma a maggioranza contrari “da sinistra” all’Unione europea. Vincere qui è per il premier Boris Johnson indispensabile per assicurarsi una sufficiente maggioranza nel rinnovato del parlamento di Westminster.

ESISTE IL FRONTE PRO BREXIT, NON ESISTE QUELLO ANTI BREXIT

La linea ufficiale laburista è stata di “equidistanza” fra pro Europa e anti Europa, puntando invece su altri nodi, tipo il servizio sanitario nazionale la casa e l’impoverimento diffuso; è una “equidistanza” comprensibile, per alcuni aspetti, visto che un quarto circa degli elettori laburisti non ama Bruxelles e nelle circoscrizioni indicate sfiora la maggioranza, ma certamente poco utile in una competizione dove il tema Brexit è stato dominante ed è stato difficile far finta che così non fosse.

Laburisti, liberaldemocratici e nazionalisti scozzesi non sono mai stato così disuniti come in questa campagna elettorale

La forza dei Tory e di Boris Johnson è che hanno monopolizzato con un partito unito e “normalizzato” tutto il fronte pro Brexit, fatto fuori praticamente l’inventore della formula Nigel Farage, che farà fatica secondo i sondaggi a prendere una manciata di deputati e forse nessuno, e lanciato un chiaro e pressoché unico messaggio, con un contorno di promesse fantasmagoriche di spesa pubblica. Il messaggio è «facciamo la Brexit, rispettiamo la democrazia», cioè il referendum del 2016.

Boris Johnson.

Il fronte opposto, laburisti e liberaldemocratici essenzialmente, più i nazionalisti scozzesi, non è mai stato così disunito come nella campagna elettorale; non offre nessuna garanzia di aver saputo concentrate bene collegio per collegio i voti sul candidato remain più vicino alla vittoria; e tantomeno offrire una visione e parole d’ordine comuni. Insomma, c’è un fronte pro Brexit ma non uno anti Brexit.

CORBYN HA POCHISSIME CHANCE DI DIVENTARE PRIMO MINISTRO

Jeremy Corbyn ha fatto campagna molto più su programmi e slogan economico-sociali. L’unica cosa chiara sul tema centrale, la Brexit, la dice quando assicura che, se vincerà, negozierà in pochi mesi un nuovo trattato, per vari aspetti sulla falsariga, si pensa, di quello che da tempo regola i rapporti fra Oslo e Bruxelles e per altri più stretto, e lo sottoporrà subito a un nuovo referendum con un quesito semplice: o il nuovo trattato di collaborazione dall’esterno con la Ue o il remain, cioè cancellare tutto e avanti come membro a pieno titolo dell’Unione. Ma l’unica cosa certa è che Corbyn non vincerà.

Corbyn rimane ancorato a idee più da Quarta internazionale (Trotzky) che da moderno Paese industriale dell’Occidente

Corbyn è il meno popolare dei leader che il Labour abbia mai avuto. Ritenuto una brava persona, assai più affidabile a livello personale di Boris Johnson «autore di una carriera fatta di bugie», come scrive il più autorevole commentatore politico del Financial Times, ma ancorato a idee più da Quarta internazionale (Trotzky) che da moderno Paese industriale dell’Occidente. Al suo fianco ha poi portato al vertice del partito esponenti della sinistra radicale come Seumas Milne, che ex colleghi giornalisti del Guardian definiscono un public school leftist, cioè un radical chic (la public school in Gran Bretagna è la scuola privata di rango), o come Andrew Murray, anch’egli di alti natali ma senza public school, fortemente anti occidentale e anti Israele e con molta nostalgia del ruolo ahimé finito di un’Unione sovietica guardiana della pace.

Jeremy Corbyn.

Corbyn ha in teoria qualche chance di diventare primo ministro di un governo di coalizione con liberaldemocratici e nazionalisti scozzesi cementato da poca amicizia e molta convenienza, che potrebbe rinegoziare la Brexit sottoporla a nuovo referendum e poi andare a nuove elezioni visto che solo su questo saranno d’accordo. Sarebbe una possibilità teorica se il responso di giovedì sarà un altro hung parliament, un parlamento impiccato, bloccato senza nessuno dei due partiti con almeno 326 seggi, e con una somma fra laburisti liberaldemocratici e scozzesi che arrivi almeno attorno a 330. Ma i sondaggi danno oggi a Johnson attorno a 350 deputati, per quanto sia molto aleatorio nel sistema uninominale secco britannico trasformare una intenzione di voto in seggi, e su queste cifre, se confermate, la partita è chiusa. Andrew Hawkins di ComRes, fra i più seguiti centri di sondaggio commerciale e politico, parla di 30 deputati in più rispetto al’insieme dell’opposizione.

TUTTI I SONDAGGI DANNO LA VITTORIA SICURA DEI TORY

I mercati finanziari scommettono già su una vittoria dei Tory, il mondo delle scommesse politiche, come noto in Gran Bretagna floridissimo e più che mai nel 2019, un po’ meno. La forbice è tra un 65% di scommesse a favore di Johnson e un 35% circa per Corbyn, ma attenzione, non conta solo il numero, contano molto le cifre impegnate, molto molto più alte sul lato Johnson. Quanto ai seggi a Westminster, gli scommettitori viaggiano su 338-344 per i conservatori mentre al massimo scommettono su 221+46+22 fra laburisti, liberaldemocratici e nazionalisti scozzesi, quindi 289 che, anche con l’aggiunta di una dozzina di indipendenti, non arriverebbero al minimo matematico di 326.

Le trattative per arrivare da quello che è ora solo un contratto di divorzio a un’intesa commerciale complicatissima richiederà anni, tutti i tre anni

Sembra quindi, secondo l’arte delle previsioni e anche in parte secondo l’aria che si respira, una partita chiusa, che sarà chiusa solo però nella notte del 12-13 dicembre. Una volta vinto, Johnson prenderà il suo tempo. La promessa di oggi, per scaldare i seguaci, è «uscita comunque con accordo o no a fine 2020», ma non sarà così. Le trattative per arrivare da quello che è ora solo un contratto di divorzio a un’intesa commerciale complicatissima richiederà anni, tutti i tre anni, fino al 2022, ipotizzati dal divorzio. E fino ad allora il Regno Unito sarà commercialmente parte della Ue. E poi si voterà nel 2024 e Johnson vuole restare a Downing Street almeno due mandati come Margaret Thatcher e Tony Blair e vorrà una Brexit che faccia meno danni possibili alla sua rielezione. L’uscita subito? Già prometteva di uscire il 31 ottobre vivo o morto e poi di non chiedere una proroga fino al 31 gennaio, vivo o morto, e ha fatto entrambe le cose, vivo o morto. La sua è appunto «una carriera fatta di bugie»

QUELLE FALSE CITAZIONI DI CHURCHILL FATTE DA JOHNSON

Nella campagna referendaria del 2016, dove Johnson era portabandiera del leave, fu molto utilizzata una citazione da Winston Churchill, estratta si diceva da un dibattito parlamentare dell’11 maggio 1953, con Churchill premier che parlava della Ced , la Comunità europea di difesa fra alcuni Paesi del continente che il parlamento francese avrebbe silurato nell’agosto 1954. Non ne faremo parte, diceva effettivamente Churchill, come da resoconti parlamentari, «perché siamo con l’Europa ma non dell’Europa». La citazione ampliava nel 2016, attribuendolo sempre a Churchill, questo concetto. E lo completava con un sonoro e churchilliano «se la Gran Bretagna deve scegliere fra l’Europa e i mari aperti, sceglierà sempre i mari aperti».

Winston Churchill.

Si trattava di un falso. Le elaborate distinzioni su che cos’è il Regno Unito e che cos’è l’Europa e quale sia il giusto rapporto erano sì di Churchill, ma in un articolo scritto nel 1930 per l’americano Saturday Evenening Post. E la frase sugli oceani fu detta non nel ’53 in parlamento ma in uno scatto di rabbia nel maggio 1944 a un Charles De Gaulle chiamato da Algeri a Londra per illustrargli il piano Overlord (Normandia) e che poneva troppe condizioni. È arcinoto che Churchill a più riprese e con forza, dal 1947 al 1961, spinse per la piena e convinta adesione di Londra al progetto europeo. Ma Johnson, che ha scritto un libro su Churchill per crescere all’ombra del mito (ottobre 2015) ha avuto bisogno della sua versione. Falsa.

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Cappato spiega CitBot, il robot che risponde su eutanasia e testamento biologico

Il software dissipa i dubbi più comuni sui temi bioetici. Una «intelligenza artificiale civica», dice il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, «per difendere i diritti e le libertà fondamentali».

Quando si parla di temi delicati come eutanasia, biotestamento, cure palliative la confusione è tanta.

Non sempre, infatti, la comunicazione istituzionale è efficace. Il rischio è che i diritti, seppur garantiti, rimangano così sulla carta.

Partendo da questa considerazione, l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato CitBot, un software di intelligenza artificiale facilissimo da consultare, pensato per rispondere ai dubbi che possono sorgere quando ci si interroga su temi particolarmente delicati, e regolati quasi sempre da norme e procedimenti burocratici fumosi.

CAPPATO: «AVERE ACCESSO A INFORMAZIONI CHIARE È UN DIRITTO»

«Da anni ascoltiamo e accogliamo le urgenze di libertà delle persone e lavoriamo per dare loro gli strumenti con i quali difendersi e far valere i propri diritti», spiega a Lettera43.it Marco Cappato, tesoriere dell’associazione. «Il primo di questi è l’accesso a informazioni chiare, minato con regolarità visto che nonostante legalmente previste, le campagne divulgative in questo ambito siano praticamente inesistenti».

Marco Cappato, volto dell’Associazione Coscioni.

Al di là di slogan e proclami, nella quotidianità quando una persona si trova in difficoltà necessita di risposte immediate e precise e si rivolge alle associazioni che però non sempre riescono a far fronte a tutte le richieste. «In concomitanza con l’entrata in vigore, il 31 gennaio 2018, della legge sulla Disposizione anticipata di trattamento o Biotestamento», continua Cappato, «il numero di mail giunto al nostro indirizzo si è impennato e siamo stati subissati di quesiti do ogni tipo. Di fronte a un’ondata simile ci siamo resi conto dell’impossibilità di riuscire a rispondere a tutti in modo soddisfacente e nei tempi brevissimi che molti casi richiedano, quindi abbiamo cercato un modo per ovviare al problema».

UN ROBOT PER RISPONDERE AI DUBBI PIÙ COMUNI

La scelta è alla fine caduta su questa tecnologia ancora poco sfruttata, se non per scopi commerciali, ma preziosa perché dall’utilizzo estremamente intuitivo.

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CitBot, che Marco Cappato definisce «l’intelligenza artificiale civica per difendere i diritti e le libertà fondamentali», sembra molto simile alle chat che siamo soliti trovare nei siti dei servizi clienti delle compagnie telefoniche e funziona esattamente allo stesso modo.

La schermata di dialogo di CitBot.

Realizzata tecnicamente da Revevol Italia, di proprietà del fratello di Marco Cappato, Luca, per interrogarla basta digitare la propria domanda nell’apposito spazio e attendere l’arrivo della risposta generata non da un interlocutore in carne e ossa ma da un robot, sufficiente per far fronte ai dubbi più comuni. «Dei casi più delicati e che richiedono un supporto specifico, ovviamente, continueranno a occuparsi gli operatori dell’associazione», precisa Marco Cappato.

UN’INTELLIGENZA CHE MIGLIORA CON L’USO

Secondo i quesiti giunti in fase di test, il tema più gettonato è quello del Testamento Biologico, del quale CitBot è pronto a dipanare ogni dubbio, rispondendo a oltre un migliaio di perplessità tra le quali «A chi devo rivolgermi?». «Che moduli devo scaricare per scriverlo e dove posso trovarli?». «Si paga?». Un consulente virtuale preparato che se pur un po’ acerbo crescerà con il passare del tempo anche grazie alla fruizione degli utenti, visto che come ogni software di questo tipo migliora e aumenta il proprio database attraverso le interazioni ricevute. 

UN AIUTO CONTRO L’ANALFABETISMO FUNZIONALE

Oltre a eutanasia e testamento biologico, la chat può essere interrogata anche su aborto e cure palliative e conta presto di ampliare il proprio ventaglio di temi. Al momento è possibile interrogare CitBot attraverso il sito o su Telegram, ma si sta già lavorando per estendere l’utilizzo ad altre associazioni attraverso Messenger, WhatsApp e dispositivi con riconoscimento vocale come Alexa.

Alcune domande tipo a cui CitBot può rispondere.

«Quest’ultimo passaggio è molto importante e credo possa rappresentare la vera opportunità di CitBot di divenire alla portata di tutti», continua Cappato. «Nel nostro Paese esiste un analfabetismo funzionale elevatissimo con il quale è necessario fare i conti. Molti italiani hanno difficoltà nell’analisi di un testo articolato quindi pensare di poter risolvere ogni dubbio dicendo loro “vai su internet, trovi tutto lì” è sbagliato perché chi ha gli strumenti per farlo è la minoranza della popolazione. Non tutti sono in grado di compiere una ricerca specifica e di destreggiarsi autonomamente tra leggi e normative, porre una domanda parlando a un device è decisamente più semplice e soprattutto utile».

L’AI HA POTENZIALITÀ ANCORA DA SFRUTTARE

Nonostanti le grandi potenzialità, anche nel campo dei diritti, l’Intelligenza artificiale è ancora poco sfruttata in Italia. «L’Europa per quanto riguarda temi sociali, partecipazione, qualità della vita e interazione tra le persone è a un livello superiore rispetto agli altri continenti, per questo credo dovrebbe sfruttare al meglio tale vantaggio competitivo per sviluppare quell’intelligenza artificiale civica tutt’ora inesistente», conclude Cappato. «Noi, seguendo il motto dell’associazione, Dal corpo del malato al cuore della politica, qualcosa facciamo ma spetterebbe agli Stati dell’Ue realizzare investimenti importanti affinché tutte le leggi e l’amministrazione pubblica a livello nazionale, regionale o europeo siano messe a servizio del cittadino nel miglior modo possibile».

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