L’Aquila, due scosse di terremoto di magnitudo 3.7 e 3.4

La terra ha tremato intorno alle 23. Epicentro nel comune di Barete, a 17 km dal capoluogo abruzzese. All momento non si registrano danni.

La terra trema ancora nel centro Italia e in Abruzzo. Sabato sera, poco prima delle 23, un terremoto di magnitudo 3.7 è stato registrato in provincia dell’Aquila, seguito pochi minuti dopo da una seconda scossa di magnitudo 3.4. L’istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia ha individuato l’epicentro nel comune di Barete, centro a 17 km a nord-ovest del capoluogo abruzzese e a circa 14 km di profondità. Al momento non si registrano danni.

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L’Aquila, due scosse di terremoto di magnitudo 3.7 e 3.4

La terra ha tremato intorno alle 23. Epicentro nel comune di Barete, a 17 km dal capoluogo abruzzese. All momento non si registrano danni.

La terra trema ancora nel centro Italia e in Abruzzo. Sabato sera, poco prima delle 23, un terremoto di magnitudo 3.7 è stato registrato in provincia dell’Aquila, seguito pochi minuti dopo da una seconda scossa di magnitudo 3.4. L’istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia ha individuato l’epicentro nel comune di Barete, centro a 17 km a nord-ovest del capoluogo abruzzese e a circa 14 km di profondità. Al momento non si registrano danni.

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Tosca, un kolossal dal retrogusto kitsch

Il maestro Chailly si conferma pucciniano di alto livello. I cantanti non deludono e il regista Livermore regala meraviglie sul palcoscenico. Scivolando talvolta ai confini del kitsch e dell'eccesso. In tivù buone scelte narrative, e qualche occasione (ancora) persa.

Nel luglio del 1992 RaiUno mandò in onda un progetto mai prima tentato: un live film diretto da Giuseppe Patroni Griffi intitolato Tosca nei luoghi e nelle ore di Tosca. In pratica, un film-opera (Placido Domingo, Ruggero Raimondi e Catherine Malfitano diretti da Zubin Mehta) che si svolgeva in presa diretta a Sant’Andrea della Valle, a Palazzo Farnese e sulla sommità di Castel Sant’Angelo (in complessa sincronia con l’orchestra posizionata in studio), rispettando la tempistica di Puccini: primo atto a mezzogiorno, secondo in serata, terzo all’alba del giorno dopo. 

LEGGI ANCHE:Tosca, una porta sull’oscurità umana

IL RACCONTO DAI LUOGHI REALI DELLA TOSCA

Evidentemente qualcuno in Rai nelle settimane scorse si è ricordato di quel suggestivo esperimento e ne ha tratto lo spunto per il modo in cui è stata raccontata la trama di Tosca nel corso della diretta dalla Scala. Le incursioni dell’attore Francesco Montanari sui luoghi reali del melodramma hanno costituito un buon esempio di tivù: si è offerta una chiave di lettura efficace, sulle suggestioni delle immagini e della parole, per quanto di lì a poco si sarebbe visto sul palcoscenico della Scala.

Una scena di Tosca (Ansa).

ALCUNE OCCASIONI PERSE

Naturalmente la soluzione è stata permessa dal particolare congegno drammatico e “topografico” e monumentale del libretto ed è sostanzialmente irripetibile in qualsiasi altra opera, o quasi. Ma è giusto sottolineare che almeno quest’occasione è stata colta. Molte altre come da tradizione sono state perse, nei lunghi intervalli da riempire di parole e volti. Così capita quando la televisione si avvicina a quell’oggetto considerato misterioso che si chiama melodramma: per semplificare a tutti i costi si finisce per fare un pessimo servizio alla musica e una mediocre tivù.

Bruno Vespa e signora alla Prima della Scala (Ansa).

Si tratta della possibilità di parlare di opera in maniera divulgativa e chiara, di evitare l’aneddotica stantia e di dubbia precisione, di portare davanti alle telecamere gli addetti ai lavori, visto che dei giudizi invariabilmente esaltanti di “appassionati” come l’onnipresente Bruno Vespa si poteva fare tranquillamente a meno e che una vecchia gloria come Raina Kabaivanska andava ben altrimenti valorizzata. Per non parlare dello psichiatra Vittorino Andreoli, che si è lanciato in citazioni “a orecchio” dell’epistolario pucciniano. Tant’è, la critica musicale in Italia è ormai rinchiusa in una riserva e gli eventi mediatici e culturali come l’inaugurazione della Scala la vedono ancor più ai margini, sconfitta dall’elogio acritico e dall’entusiasmo che profuma di marketing. 

LA TRANSIZIONE DELLA SCALA SENZA UN SOVRINTENDENTE

Nella sfilata dei personaggi, molto evidente l’assenza di Alexander Pereira, il sovrintendente giubilato la scorsa estate dal sindaco Beppe Sala fra molte polemiche e ancora formalmente in carica per una settimana, visto che si insedierà al Maggio Fiorentino il prossimo 15 dicembre.  Questo spettacolo è anche farina del suo sacco, ma naturalmente si è preferito sorvolare. Così come, per una sorta di par condicio, non si è ritenuto di dare il minimo spazio al suo successore, Dominique Meyer, che da metà dicembre sarà interpellabile per i “casi di emergenza” ma entrerà in carica solo il primo marzo dell’anno prossimo.

Attilio Fontana, Chiara Bazoli, Beppe Sala e e Alexander Pereira (Ansa).

La Scala si trova in una situazione di transizione non semplice, e magari si poteva illustrarla brevemente al grande pubblico di RaiUno. Semplicemente a titolo di cronaca: per far capire che l’inaugurazione di stagione di uno dei maggiori teatri lirici del mondo senza un sovrintendente alla guida non è esattamente la norma. 

LA COMPAGNIA DI CANTO HA MANTENUTO LE PROMESSE

Quanto al merito di quel che si è visto e sentito, la compagnia di canto era di indiscutibile livello e ha mantenuto tutte le promesse. Anna Netrebko è stata una Tosca imperiosa e capace di passare dal dramma all’elegia con la duttilità della fuoriclasse; Francesco Meli ha dato a Cavaradossi una sofferta intensità che si è mantenuta impeccabilmente al di qua delle esagerazioni veristiche; Luca Salsi ha fatto valere la sontuosa qualità di una voce magnificamente timbrata, eguale e scorrevole, capace di tutte le accentuazioni e le sottolineature che il monumentale ruolo del malvagio Scarpia esige.

Il soprano Anna Netrebko (Ansa).

Sul piano scenico e attoriale, però, l’alterigia sprezzante, l’arroganza del potere e la perversione del sadismo fatto musica e canto si sono colte solo a intermittenza. D’altra parte, se per gran parte del cruciale secondo atto il regista mette il cattivissimo in maniche di camicia e bretelle, non è facile.

CHAILLY, PUCCINIANO DI LIVELLO

Dal podio, Chailly ha per così dire “siglato” l’inaugurazione riesumando meno di un minuto di musica nel finale ultimo, che lo stesso autore aveva in seguito tagliato. Una scelta interessante, che giunge alla fine di un’interpretazione densa e profonda, con la quale il direttore ha confermato la sua fama di “pucciniano” di altissimo livello, misurando la sostanza sinfonica della partitura senza inutile enfasi ma con viva forza emotiva, rispettando e anzi sottolineando la multiforme natura del canto in quest’opera. 

UN KOLOSSAL CON QUALCHE SCIVOLONE AI CONFINI DEL KITSCH

Quanto allo spettacolo firmato dal brillante e talentuoso Davide Livermore, dato atto alla regia televisiva di una “neutralità” altre volte molto meno chiara, che ha permesso di apprezzare in naturalezza le soluzioni sceniche, si è visto un vero e proprio kolossal, autentico trionfo delle meraviglie tecniche del palcoscenico della Scala. Piattaforme rotanti, piani di azione sfalsati che si alzano e si abbassano, un continuo apparire e scomparire di elementi scenici, che così determinano il mutare delle ambientazioni: Livermore l’aveva promesso è ha mantenuto la parola, la sua Tosca è una vera e propria motion picture, che strizza l’occhio al coevo cinema degli albori non solo nella natura delle immagini in movimento ma anche nella recitazione un po’ sopra le righe, accentuata.

Il cast della Tosca (Ansa).

Poi, in qualche occasione il gioco prende la mano al regista: animare un dipinto facendo esprimere commozione ai personaggi che vi sono rappresentati, mentre Tosca sta cantando Vissi d’arte, è una soluzione buona per Harry Potter. Mentre al grand-guignol appartiene la scena dell’uccisione di Scarpia: non una ma tre pugnalate più strangolamento, schizzi di sangue sulla veste della protagonista. Invece, è un piccolo colpo di genio la trasformazione della tradizionale lugubre scena in cui Tosca apparecchia il catafalco di Scarpia in una sorta di sdoppiamento psichico: la protagonista si vede accanto al cadavere dell’uomo che ha tentato di violentarla fisicamente e lo ha fatto psicologicamente. L’ultimo colpo di scena è nel finale tragico: Tosca vola sì da Castel Sant’Angelo, ma la sua è una specie di assunzione in cielo, tra fasci di luce. Una scelta ai confini del kitsch

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Tosca, un kolossal dal retrogusto kitsch

Il maestro Chailly si conferma pucciniano di alto livello. I cantanti non deludono e il regista Livermore regala meraviglie sul palcoscenico. Scivolando talvolta ai confini del kitsch e dell'eccesso. In tivù buone scelte narrative, e qualche occasione (ancora) persa.

Nel luglio del 1992 RaiUno mandò in onda un progetto mai prima tentato: un live film diretto da Giuseppe Patroni Griffi intitolato Tosca nei luoghi e nelle ore di Tosca. In pratica, un film-opera (Placido Domingo, Ruggero Raimondi e Catherine Malfitano diretti da Zubin Mehta) che si svolgeva in presa diretta a Sant’Andrea della Valle, a Palazzo Farnese e sulla sommità di Castel Sant’Angelo (in complessa sincronia con l’orchestra posizionata in studio), rispettando la tempistica di Puccini: primo atto a mezzogiorno, secondo in serata, terzo all’alba del giorno dopo. 

LEGGI ANCHE:Tosca, una porta sull’oscurità umana

IL RACCONTO DAI LUOGHI REALI DELLA TOSCA

Evidentemente qualcuno in Rai nelle settimane scorse si è ricordato di quel suggestivo esperimento e ne ha tratto lo spunto per il modo in cui è stata raccontata la trama di Tosca nel corso della diretta dalla Scala. Le incursioni dell’attore Francesco Montanari sui luoghi reali del melodramma hanno costituito un buon esempio di tivù: si è offerta una chiave di lettura efficace, sulle suggestioni delle immagini e della parole, per quanto di lì a poco si sarebbe visto sul palcoscenico della Scala.

Una scena di Tosca (Ansa).

ALCUNE OCCASIONI PERSE

Naturalmente la soluzione è stata permessa dal particolare congegno drammatico e “topografico” e monumentale del libretto ed è sostanzialmente irripetibile in qualsiasi altra opera, o quasi. Ma è giusto sottolineare che almeno quest’occasione è stata colta. Molte altre come da tradizione sono state perse, nei lunghi intervalli da riempire di parole e volti. Così capita quando la televisione si avvicina a quell’oggetto considerato misterioso che si chiama melodramma: per semplificare a tutti i costi si finisce per fare un pessimo servizio alla musica e una mediocre tivù.

Bruno Vespa e signora alla Prima della Scala (Ansa).

Si tratta della possibilità di parlare di opera in maniera divulgativa e chiara, di evitare l’aneddotica stantia e di dubbia precisione, di portare davanti alle telecamere gli addetti ai lavori, visto che dei giudizi invariabilmente esaltanti di “appassionati” come l’onnipresente Bruno Vespa si poteva fare tranquillamente a meno e che una vecchia gloria come Raina Kabaivanska andava ben altrimenti valorizzata. Per non parlare dello psichiatra Vittorino Andreoli, che si è lanciato in citazioni “a orecchio” dell’epistolario pucciniano. Tant’è, la critica musicale in Italia è ormai rinchiusa in una riserva e gli eventi mediatici e culturali come l’inaugurazione della Scala la vedono ancor più ai margini, sconfitta dall’elogio acritico e dall’entusiasmo che profuma di marketing. 

LA TRANSIZIONE DELLA SCALA SENZA UN SOVRINTENDENTE

Nella sfilata dei personaggi, molto evidente l’assenza di Alexander Pereira, il sovrintendente giubilato la scorsa estate dal sindaco Beppe Sala fra molte polemiche e ancora formalmente in carica per una settimana, visto che si insedierà al Maggio Fiorentino il prossimo 15 dicembre.  Questo spettacolo è anche farina del suo sacco, ma naturalmente si è preferito sorvolare. Così come, per una sorta di par condicio, non si è ritenuto di dare il minimo spazio al suo successore, Dominique Meyer, che da metà dicembre sarà interpellabile per i “casi di emergenza” ma entrerà in carica solo il primo marzo dell’anno prossimo.

Attilio Fontana, Chiara Bazoli, Beppe Sala e e Alexander Pereira (Ansa).

La Scala si trova in una situazione di transizione non semplice, e magari si poteva illustrarla brevemente al grande pubblico di RaiUno. Semplicemente a titolo di cronaca: per far capire che l’inaugurazione di stagione di uno dei maggiori teatri lirici del mondo senza un sovrintendente alla guida non è esattamente la norma. 

LA COMPAGNIA DI CANTO HA MANTENUTO LE PROMESSE

Quanto al merito di quel che si è visto e sentito, la compagnia di canto era di indiscutibile livello e ha mantenuto tutte le promesse. Anna Netrebko è stata una Tosca imperiosa e capace di passare dal dramma all’elegia con la duttilità della fuoriclasse; Francesco Meli ha dato a Cavaradossi una sofferta intensità che si è mantenuta impeccabilmente al di qua delle esagerazioni veristiche; Luca Salsi ha fatto valere la sontuosa qualità di una voce magnificamente timbrata, eguale e scorrevole, capace di tutte le accentuazioni e le sottolineature che il monumentale ruolo del malvagio Scarpia esige.

Il soprano Anna Netrebko (Ansa).

Sul piano scenico e attoriale, però, l’alterigia sprezzante, l’arroganza del potere e la perversione del sadismo fatto musica e canto si sono colte solo a intermittenza. D’altra parte, se per gran parte del cruciale secondo atto il regista mette il cattivissimo in maniche di camicia e bretelle, non è facile.

CHAILLY, PUCCINIANO DI LIVELLO

Dal podio, Chailly ha per così dire “siglato” l’inaugurazione riesumando meno di un minuto di musica nel finale ultimo, che lo stesso autore aveva in seguito tagliato. Una scelta interessante, che giunge alla fine di un’interpretazione densa e profonda, con la quale il direttore ha confermato la sua fama di “pucciniano” di altissimo livello, misurando la sostanza sinfonica della partitura senza inutile enfasi ma con viva forza emotiva, rispettando e anzi sottolineando la multiforme natura del canto in quest’opera. 

UN KOLOSSAL CON QUALCHE SCIVOLONE AI CONFINI DEL KITSCH

Quanto allo spettacolo firmato dal brillante e talentuoso Davide Livermore, dato atto alla regia televisiva di una “neutralità” altre volte molto meno chiara, che ha permesso di apprezzare in naturalezza le soluzioni sceniche, si è visto un vero e proprio kolossal, autentico trionfo delle meraviglie tecniche del palcoscenico della Scala. Piattaforme rotanti, piani di azione sfalsati che si alzano e si abbassano, un continuo apparire e scomparire di elementi scenici, che così determinano il mutare delle ambientazioni: Livermore l’aveva promesso è ha mantenuto la parola, la sua Tosca è una vera e propria motion picture, che strizza l’occhio al coevo cinema degli albori non solo nella natura delle immagini in movimento ma anche nella recitazione un po’ sopra le righe, accentuata.

Il cast della Tosca (Ansa).

Poi, in qualche occasione il gioco prende la mano al regista: animare un dipinto facendo esprimere commozione ai personaggi che vi sono rappresentati, mentre Tosca sta cantando Vissi d’arte, è una soluzione buona per Harry Potter. Mentre al grand-guignol appartiene la scena dell’uccisione di Scarpia: non una ma tre pugnalate più strangolamento, schizzi di sangue sulla veste della protagonista. Invece, è un piccolo colpo di genio la trasformazione della tradizionale lugubre scena in cui Tosca apparecchia il catafalco di Scarpia in una sorta di sdoppiamento psichico: la protagonista si vede accanto al cadavere dell’uomo che ha tentato di violentarla fisicamente e lo ha fatto psicologicamente. L’ultimo colpo di scena è nel finale tragico: Tosca vola sì da Castel Sant’Angelo, ma la sua è una specie di assunzione in cielo, tra fasci di luce. Una scelta ai confini del kitsch

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Ultimatum di Damasco alla Rai per la messa in onda di un’intervista ad Assad

Viale Mazzini ne avrebbe rinviato più volte la trasmissione senza spiegazione. L'ufficio stampa della presidenza siriana dà fino al 9 dicembre. Poi la diffonderà sui media locali.

Meno di 48 ore. Se la Rai non manderà in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, che doveva essere trasmessa il 2 dicembre scorso, Damasco programmerà sui media del Paese il colloquio senza la contemporaneità prevista dagli accordi. Lo rende noto l’Agi.

L’ACCORDO CON DAMASCO

«Il 26 novembre 2019, il presidente al-Assad ha rilasciato un’intervista alla Ceo di RaiCom, Monica Maggioni», ha scritto l’ufficio stampa della presidenza siriana in una nota pubblicata su Facebook in cui spiega i termini dell’accordo. «Si è convenuto che l’intervista sarebbe andata in onda il 2 dicembre su Rai News 24 e sui media nazionali siriani». Così però non è andata. Il 2 dicembre RaiNews24 ha chiesto di posticipare la messa in onda senza, stando alla versione di Damasco, ulteriori spiegazioni. A questo sono seguiti, sempre secondo l’ufficio stampa della presidenza siriana, altri due rinvii. «Questo», conclude la nota, «è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale». Così è scattato l’ultimatum: o l’intervista va in onda oppure la presidenza siriana la trasmetterà alle 21 di lunedì.

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Meno di 48 ore. Se la Rai non manderà in onda entro lunedì 9 dicembre l’intervista realizzata da Monica Maggioni al presidente siriano Bashar al Assad, che doveva essere trasmessa il 2 dicembre scorso, Damasco programmerà sui media del Paese il colloquio senza la contemporaneità prevista dagli accordi. Lo rende noto l’Agi.

L’ACCORDO CON DAMASCO

«Il 26 novembre 2019, il presidente al-Assad ha rilasciato un’intervista alla Ceo di RaiCom, Monica Maggioni», ha scritto l’ufficio stampa della presidenza siriana in una nota pubblicata su Facebook in cui spiega i termini dell’accordo. «Si è convenuto che l’intervista sarebbe andata in onda il 2 dicembre su Rai News 24 e sui media nazionali siriani». Così però non è andata. Il 2 dicembre RaiNews24 ha chiesto di posticipare la messa in onda senza, stando alla versione di Damasco, ulteriori spiegazioni. A questo sono seguiti, sempre secondo l’ufficio stampa della presidenza siriana, altri due rinvii. «Questo», conclude la nota, «è un ulteriore esempio dei tentativi occidentali di nascondere la verità sulla situazione in Siria e sulle sue conseguenze sull’Europa e nell’arena internazionale». Così è scattato l’ultimatum: o l’intervista va in onda oppure la presidenza siriana la trasmetterà alle 21 di lunedì.

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Il Mes spacca il M5s, Di Maio a un bivio

Il capo politico vuole evitare di appiattirsi sul Pd presentando una risoluzione solitaria sul Salva Stati. Dall'altro sa che non può tirare troppo la corda. Lo scenario.

Archiviato il braccio di ferro sulla manovra su cui la maggioranza pare essere arrivata a un accordo, Luigi Di Maio deve vedersela con il dossier Mes. Permanenza al governo, tenuta di una leadership sempre più in discussione e sopravvivenza dello stesso Movimento 5 stelle.

Lunedì mattina comincia il conto alla rovescia. I pentastellati hanno 48 ore per cercare di assottigliare il fronte contrario a una risoluzione di maggioranza con il Pd sul fondo Salva Stati. Portare in Aula una risoluzione in solitaria per il M5s equivarrebbe infatti accendere la miccia della crisi di governo.

DI MAIO ABBASSA I TONI

I dissidenti, in Senato e alla Camera, ci sono e ci saranno. E Di Maio lo sa. Tutto dipende dal loro numero. Difficile convincere parlamentari come Paragone, Grassi, Giarrusso, Maniero o Raduzzi, i duri e puri contro il Mes. Giuseppe Conte dal canto suo ostenta sicurezza e tranquillità. Mentre il capo politico M5s, dopo aver teso la mano ad Alessandro Di Battista, abbassando i toni. Né Beppe Grillo, né la maggior parte degli eletti vuole la crisi. Lo confermano le parole di Roberta Lombardi che sabato a SkyTg24 ha difeso il governo chiedendo di fatto a Di Maio «meno tweet e più mediazione». Il capo politico M5s è di fronte a un bivio. Da un lato vuole difendere l’identità del Movimento senza appiattirsi sul Pd, dall’altro sa che è necessario non tirare troppo la corda con gli alleati visto che in caso di una vittoria in Emilia-Romagna Nicola Zingaretti potrebbe rompere facendo di fatto cadere l’esecutivo.

MESSAGGI DI PACE NEL M5S

Un primo risultato Di Maio lo ha raggiunto. In una nota congiunta del vice capogruppo M5s alla Camera Francesco Silvestri e dei 14 capicommissioni viene negata con forza la stesura di un documento politico contro di lui. Resta però «la necessità di un confronto periodico perché ognuno deve essere un pezzo di un ingranaggio collegiale», è la linea dei capicommissione. Una linea che un parlamentare sintetizza così: «Non vogliamo più sapere cosa farà il M5s dai giornali».

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Il Mes spacca il M5s, Di Maio a un bivio

Il capo politico vuole evitare di appiattirsi sul Pd presentando una risoluzione solitaria sul Salva Stati. Dall'altro sa che non può tirare troppo la corda. Lo scenario.

Archiviato il braccio di ferro sulla manovra su cui la maggioranza pare essere arrivata a un accordo, Luigi Di Maio deve vedersela con il dossier Mes. Permanenza al governo, tenuta di una leadership sempre più in discussione e sopravvivenza dello stesso Movimento 5 stelle.

Lunedì mattina comincia il conto alla rovescia. I pentastellati hanno 48 ore per cercare di assottigliare il fronte contrario a una risoluzione di maggioranza con il Pd sul fondo Salva Stati. Portare in Aula una risoluzione in solitaria per il M5s equivarrebbe infatti accendere la miccia della crisi di governo.

DI MAIO ABBASSA I TONI

I dissidenti, in Senato e alla Camera, ci sono e ci saranno. E Di Maio lo sa. Tutto dipende dal loro numero. Difficile convincere parlamentari come Paragone, Grassi, Giarrusso, Maniero o Raduzzi, i duri e puri contro il Mes. Giuseppe Conte dal canto suo ostenta sicurezza e tranquillità. Mentre il capo politico M5s, dopo aver teso la mano ad Alessandro Di Battista, abbassando i toni. Né Beppe Grillo, né la maggior parte degli eletti vuole la crisi. Lo confermano le parole di Roberta Lombardi che sabato a SkyTg24 ha difeso il governo chiedendo di fatto a Di Maio «meno tweet e più mediazione». Il capo politico M5s è di fronte a un bivio. Da un lato vuole difendere l’identità del Movimento senza appiattirsi sul Pd, dall’altro sa che è necessario non tirare troppo la corda con gli alleati visto che in caso di una vittoria in Emilia-Romagna Nicola Zingaretti potrebbe rompere facendo di fatto cadere l’esecutivo.

MESSAGGI DI PACE NEL M5S

Un primo risultato Di Maio lo ha raggiunto. In una nota congiunta del vice capogruppo M5s alla Camera Francesco Silvestri e dei 14 capicommissioni viene negata con forza la stesura di un documento politico contro di lui. Resta però «la necessità di un confronto periodico perché ognuno deve essere un pezzo di un ingranaggio collegiale», è la linea dei capicommissione. Una linea che un parlamentare sintetizza così: «Non vogliamo più sapere cosa farà il M5s dai giornali».

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Sardine protagoniste: dalla Scala a Bologna e Napoli

Patti Smith dalla Scala strizza l'occhio al movimento: «Hanno il potere». Francesca Pascale tifa per loro e imbarazza Forza Italia. Bonaccini le ringrazia. E a Napoli nasce la loro versione nera. Il banco saprà gestire il successo?

La Prima della Scala e delle Sardine. Già perché il movimento di piazza nato a Bologna in chiave anti-sovranista ha vissuto sabato 7 dicembre il suo giorno di gloria. Incassando endorsement di peso – da Patti Smith a Francesca Pascale – e il riconoscimento da parte del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

IL TIFO DI FRANCESCA PASCALE

Sicuramente l’apertura di Francesca Pascale ha spiazzato tutti. Forza Italia compresa. La compagna di Silvio Berlusconi ha detto in una intervista all’Huffington Post di tifare per le Sardine. «Ritrovo elementi e quella libertà che furono propri della rivoluzione liberale di Berlusconi. Mi auguro non facciano come i grillini».

Francesca Pascale e Silvio Berlusconi.

Ma Pascale si è spinta oltre visto che «sta valutando il piacere di ri-scendere in piazza il 14 dicembre» a Roma. Le Sardine dal canto loro, per bocca di Mattia Santori, le hanno dato il benvenuto. Le parole di Pascale sono state accolte con meno entusiasmo da Forza Italia, anche perché, è stato fatto notare, sostenere chi in Emilia-Romagna si batte in piazza contro la candidata del centrodestra Lucia Borgonzoni, in una fase di aperta campagna elettorale, assume un pesante rilievo politico.

L’EFFETTO SARDINE AIUTA BONACCINI

E proprio da Bologna le Sardine sono state ringraziate dal presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini che ha inaugurato la sua campagna elettorale proprio da Piazza Maggiore. Diecimila i partecipanti.

Stefano Bonaccini in piazza a Bologna (Foto Massimo Paolone/LaPresse).

«So che c’è Mattia qui, lo saluto e lo ringrazio», ha detto dal palco Bonaccini. «Ci avete mostrato quanta gente non aspettava altro che riempire piazze con un discorso opposto a quello di questa destra». Dunque, è la promessa, «il nostro compito è quello di provare a dare una risposta a quella domanda e ci proveremo».

IL DEBUTTO DELLE SARDINE NERE

Da Bologna si passa a Napoli, dove oltre 200 Sardine nere del Movimento Migranti e Rifugiati hanno fatto il loro esordio manifestando in corteo per chiedere l’accelerazione dei tempi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale e il rapido rilascio dei permessi di soggiorno. Puntando il dito sì contro Salvini, ma anche contro l’attuale titolare del Viminale Luciana Lamorgese.

sardine-nere-napoli
Il corteo delle Sardine nere di Napoli.

«Cambiano i governi e ministri dell’Interno, ma non cambiano le politiche contro i migranti, i rifugiati e le fasce più deboli della popolazione», hanno spiegato il Movimento Migranti e Rifugiati Napoli e l’Ex-Opg Je so’ Pazzo.

IL MURALES SALVINI SARDINA E L’ENDORSEMENT DI PATTI SMITH

E il giro del banco si chiude di nuovo a Milano dove un pesce con la testa di Salvini è apparso sui muri dei Navigli: Salvini Sardina opera dello street artist TvBoy.

Patty Smith (La presse).

Mentre dal foyer della Scala apprezzamento per le Sardine è arrivato da Patti Smith. People have the power, e non poteva essere altrimenti. «Le persone», ha detto, «hanno il potere specialmente in Italia. Le Sardine hanno il potere».

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Serie A: Udinese-Napoli finisce 1 a 1

I gol di Lasagna e Zielinsky. Mentre Atalanta Verona termina 3 a 2 con un gol di Djimsit al 93esimo.

Dopo il 3 a 2 dell’Atalanta sul Verona, grazie alla rete al 93esimo di Djimsiti, che permette alla Dea di restare in zona Champions, Udinese-Napoli finisce 1 a 1 al Friuli Dacia Arena. Gli uomini di Luca Gotti si portano in vantaggio al 32′ con un diagonale di Lasagna servito da un assist in profondità di Fofana. Il Napoli evita la sconfitta solo nella ripresa con il gol di Zielinski: sinistro dal limite che coglie di sorpresa Musso, immobile tra i pali.

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Europei in vasca corta: Federica Pellegrini argento nei 200 stile libero

L'italiana arriva seconda nei 200 stile libero a Glasgow. Vittoria alla britannica Anderson e bronzo per Heemskerk.

Medaglia d’argento per Federica Pellegrini nei 200 stile libero agli Europei di nuoto in vasca corta di Glasgow con il tempo di (1’52″88). La vittoria è andata alla britannica Freya Anderson con il tempo di 1’52″77, che ha beffato tutti. Medaglia di bronzo per Heemskerk (1’53″35). Vince la britannica Anderson grazie ad un’eccezionale ultima vasca e chiusura in 1’52″77, beffando la Pellegrini. Panziera chiude in ottava posizione (1’55″49).

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La Prima della Scala tra vip e politici

Quindici minuti di applausi per Tosca, sebbene l'allestimento non abbia convinto tutti. Ovazione per il presidente Sergio Mattarella. Tra i presenti Boschi con Scalfarotto, Bazoli versione D'Artagnan, Patti Smith.

La Tosca di Davide Livermore con la direzione del maestro Riccardo Chailly alla fine ha convinto incassando almeno 15 minuti di applausi. Al termine dell’omaggio alla compagnia di canto, alcuni spettatori si sono voltati verso il palco d’onore gridando «Presidente grazie», ed è così partito un nuovo applauso rivolto al Capo dello Stato, Sergio Mattarella dopo l’ovazione che lo aveva accolto al suo arrivo con la figlia Laura.

A dargli il benvenuto, fra gli altri, il governatore Attilio Fontana, il sindaco Giuseppe Sala, il sovrintendente a fine mandato Alexander Pereira e la senatrice a vita Liliana Segre. Poco prima del Capo dello Stato erano arrivati la presidente del Senato Maria Alberti Casellati e il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e il titolare dello Sport Vincenzo Spadafora.

La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese con Pereira (Ansa).

UN PUBBLICO ETEROGENEO

Non è mai invece una novità la passerella di politici e vip. Per Italia viva presente Maria Elena Boschi in doppiopetto di velluto nero accompagnata da Ivan Scalfarotto. Il banchiere Giovanni Bazoli invece ha sfoggiato un inedito pezzetto stile D’Artagnan. Mentre l’imprenditore vicino a Casaleggio, Arturo Artom, si dice abbia fatto da padrone di casa. Alla Scala anche Emma Margaglia, Gabriele Galateri di Genola con la moglie Evelina Christillin, presidente del Museo Egizio di Torino e consigliera Uefa, Corrado Passera e Piercarlo Padoan.

Patty Smith (La presse).

Occhi puntati su Patti Smith. «Tosca è una donna straordinaria, tutta cuore, il suo personaggio mi affascina molto», ha detto. E stupore per la presenza di due star nostrane come Marracash ed Elodie che si sono spartiti i flash con la coppia Claudio Santamaria e Francesca Barra in Armani. Immancabili Carla Fracci e l’étoile Svetlana Zhakarova. A rappresentare il mondo della moda Dolce e Gabbana, soci sostenitori del teatro, dove venerdì hanno presentato la loro alta moda. Nel parterre anche Marco Bizzarri di Gucci in smoking rosso.

CRITICHE PER L’ALLESTIMENTO

Passando all’opera, l’allestimento non sembra aver convinto tutto il pubblico. Se il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora nel foyer alla fine del primo atto lo ha definito «pazzesco», per Carla Fracci è risultato «eccessivo»: «Meravigliosa l’orchestra e i cantanti, ma non troppo i costumi», è stato il suo giudizio. «Tutti quei su e giù mi sono sembrati eccessivi», ha concordato Fedele Confalonieri che ha aggiunto scherzando: «Ma forse è la mia età che mi fa girare la testa». Ha apprezzato molto le macchine sceniche, invece, Milly Carlucci: «È un’opera grandiosa ed emozionante, le macchine danno la sensazione di una grande messinscena».

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Stadio della Roma, l’immobiliarista ceco Vitek compra i debiti di Eurnova

Dopo 72 ore di ininterrotta trattativa, sabato è arrivata la firma con Unicredit. Ora, senza Luca Parnasi, il progetto ha la strada spianata.

Nel pomeriggio di sabato 7 dicembre, dopo 72 ore di ininterrotta trattativa, l’imprenditore ceco Radovan Vitek ha acquistato da Unicredit i crediti ipotecari che pesavano su Eurnova. Sarà dunque lui ora a decidere sullo stadio della Roma. E senza Luca Parnasi sarà più facile per la Giunta Raggi dare il via libera al progetto. Come ricordato dal Sole24Ore, che aveva anticipato la trattativa, Eurnova aveva debiti con la banca di Jean Pierre Mustier per 50-60 milioni di euro. Mentre gli altri debiti del gruppo Parnasi sono in capo a Parsitalia e Capital Dev. La realizzazione dello stadio della Roma dunque ora ha la strada spianata. Insieme con il business park da 140 mila metri quadri, il progetto ha un valore di 1,3 miliardi. Un tesoro su cui Vitek vuole mettere le mani per poi rivenderlo.

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Bonaccini apre la campagna elettorale per le Regionali in Emilia-Romagna

Almeno 10 mila in piazza Maggiore a Bologna. Il governatore uscente e candidato del centrosinistra dal palco saluta Romano Prodi.

Dopo le Sardine, in Piazza Maggiore a Bologna arriva il centrosinistra. Sabato si è infatti aperta ufficialmente la campagna elettorale di Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna sfidato dalla leghista Lucia Borgonzoni alle Regionali del 2020.

Almeno 10 mila le persone presenti. «È una piazza bellissima», ha detto Bonaccini salendo sul palco: «Mi hanno detto che è venuto anche Romano Prodi, gli mando un grande abbraccio».

Stefano Bonaccini in piazza a Bologna (Foto Massimo Paolone/LaPresse).

I SINDACI CON IL PRESIDENTE DI REGIONE

In piazza, coperta dalle bandiere del Pd, anche il sindaco Virginio Merola, quello di Modena Gian Carlo Muzzarelli e il primo cittadino di Parma Federico Pizzarotti, presidente di Italia in Comune. «Ora a Bologna, gli emiliano-romagnoli si sono ripresi la piazza», ha scritto su Facebook Pizzarotti. «Non contro qualcuno ma per l’Emilia Romagna. Per la nostra terra, con entusiasmo come non avveniva da anni. Sto con Stefano Bonaccini, sto con l’Emilia Romagna libera e forte, con questa piazza incredibile. Sto con chi parla di coraggio e non di paura».

Ora a #Bologna, gli emiliano-romagnoli si sono ripresi la piazza. Non contro qualcuno ma per l'Emilia Romagna. Per la…

Posted by Federico Pizzarotti on Saturday, December 7, 2019

IL SOSTEGNO DI ITALIA VIVA

Al fianco di Bonaccini anche Italia viva. «Non abbiamo mai avuto un solo dubbio sul fatto che Stefano fosse il migliore candidato possibile per questa regione», ha detto il deputato renziano Marco Di Maio. «Bonaccini ha dimostrato in questi cinque anni di essere all’altezza del compito di guidare l’Emilia-Romagna, una delle più avanzate d’Europa e del mondo, capace di migliorare in questi anni tutti gli indicatori economici».

Bandiere del Pd in Piazza Maggiore (Foto Massimo Paolone/LaPresse).

«Non solo condividiamo il programma e le azioni svolte da Bonaccini in questi anni», ha aggiunto, «ma ci legano a lui anche battaglie comuni che in questi giorni stiamo conducendo come quella per la cancellazione della plastic-tax, tema particolarmente avvertito in Emilia-Romagna dove vi è la più alta concentrazione di imprese legate a questo comparto».

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Fabrizio Corona è stato di nuovo scarcerato

L'ex paparazzo è affetto da un disturbo psichiatrico borderline con tendenze narcisistiche ed episodi depressivi. Deve essere curato in una clinica.

Di nuovo fuori dal carcere, per la terza volta nel giro di pochi anni. Fabrizio Corona è nuovamente libero perché i fatti per cui è stato condannato, compresi i tentativi d’estorsione in cambio di foto scandalose, «non destano un allarme sociale» particolarmente significativo e non c’è una «pericolosità» da parte sua tale da richiedere che stia comunque dentro. Corona, inoltre, soffre di una «patologia psichiatrica» che va curata e che si è aggravata dietro le sbarre e per questi motivi dalla sera del 6 dicembre l’ex ‘re dei paparazzi’ è passato da San Vittore a un istituto di cura vicino a Monza.

PENA DIFFERITA

Lo ha deciso il giudice della Sorveglianza di Milano Simone Luerti che ha concesso, infatti, all’ex agente fotografico, anche sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale di aprile, il «differimento pena» nella cosiddetta «forma umanitaria» e così la sconterà, per ora (il fine pena è previsto nel marzo 2024), in detenzione domiciliare nel luogo di cura, da dove non potrà uscire. Le relazioni psichiatriche dell’equipe di San Vittore hanno segnalato, infatti, un patologico progredire di disturbi di una personalità borderline, associati a tendenze narcisistiche e a episodi depressivi (che si sono manifestati anche in passato e di cui si era parlato), con l’indicazione che Corona non reggerebbe più il carcere e inizierebbe già a essere resistente alle terapie farmacologiche.

NON PUÒ ESSERE CURATO IN CARCERE

Per il magistrato, in sostanza, come si legge nel provvedimento, ci sono tutte le «condizioni soggettive e oggettive» per consentire all’ex ‘fotografo dei vip’ di curarsi fuori dal carcere e ai domiciliari in un istituto, anche perché la patologia di cui soffre «non può essere curata adeguatamente» in una casa di reclusione. Il differimento pena con detenzione domiciliare è stato concesso, comunque, al momento «in via provvisoria» e poi spetterà a un collegio di magistrati ed esperti della sorveglianza confermare o meno la decisione. Nell’udienza ancora da fissare, la procura generale milanese, che più volte ha ottenuto la revoca dell’affidamento terapeutico per ripetute violazioni (tra cui apparizioni in tivù) che era stato concesso all’ex agente fotografico per tossicodipendenza, potrebbe opporsi alla prosecuzione dei domiciliari, applicati sulla base della sentenza della Consulta che permette il differimento pena anche per malattie mentali e non solo fisiche.

UN PROGRAMMA DI CURE IMPORTANTE E SERIO

D’ora in poi, come è stato spiegato dall’avvocato Ivano Chiesa che assiste l’ex ‘fotografo dei vip’ assieme al legale Antonella Calcaterra, Corona dovrà sottoporsi «a un programma di cure importante e serio». Chiesa, infine, ha voluto aggiungere: «Ringraziamo il magistrato di Sorveglianza per la sensibilità dimostrata, sono contento per Fabrizio, è la terza volta che esce dal carcere e mi auguro sia quella definitiva perché non è il posto per lui, malgrado tutti gli errori che ha commesso non è un criminale e ora deve curarsi».

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M5s, Lombardi: «Da Di Maio vorrei meno tweet e più mediazione»

La capogruppo pentastellata alla Regione Lazio a SkyTg24 critica l'atteggiamento del capo politico troppo «muscolare».

Luigi Di Maio, sempre più isolato all’interno del M5s, lo ha negato con insistenza: l’idea che il M5s voglia fare cadere il governo «è una sciocchezza», ha ribadito il 6 dicembre a Radio Capital. «Lo abbiamo fatto nascere noi, altrimenti non lo facevamo partire». Eppure le acque pentastellate restano increspate.

LOMBARDI DIFENDE IL GOVERNO CON IL PD

Sabato a lanciare la frecciata quotidiana all’indirizzo del ministro degli Esteri e capo politico del M5s è stata Roberta Lombardi. «Io so che Di Maio sta cercando di porre all’attenzione del governo dei punti di vista tipici del M5s ma preferirei ci fosse molto meno la ricerca del tweet e molto più la voglia di conciliare punti di vista diversi che però hanno pari dignità e devono trovare una forma di mediazione», ha detto la capogruppo pentastellata alla Regione Lazio ospite de L’intervista di Maria Latella su Skytg24. Insomma l’atteggiamento di Di Maio «è quello del capo politico di una forza che sta cercando di mantenere la propria identità all’interno del governo ma», ha messo in chiaro, «lo fa in una modalità molto muscolare che non condivido, preferirei che fosse più mediata».

LOMBARDI: «DIAMO UN’OPPORTUNITÀ A QUESTO PAESE»

Alla domanda su cosa pensi Di Maio di questo governo, Lombardi ha risposto in pieno stile pentastellato delle origini. «Io vengo da una scuola del M5s dove quello che interessa non è l’opinione del singolo. Sono stata uno degli sponsor di questo governo perché ho detto che c’è la possibilità di fare delle cose bene insieme. Diamo un’opportunità a questo Paese, adesso questo governo deve continuare a essere utile». Del resto, ha ricordato la capogruppo 5 stelle alla Pisana, anche il garante Beppe Grillo ha sempre detto che «ci sono dei temi» su cui Pd e M5s possono trovare un punto di accordo. Come M5s, ha aggiunto, «abbiamo fatto un investimento su questo governo perché volevamo fare delle cose utili per il Paese. Quindi sicuramente questo modo continuo di porre dei distinguo, anche semplificando il messaggio politico alla ricerca sempre del titolo o dell’agenzia che ti ponga più in evidenza, è stancante», ha messo in chiaro Lombardi.

«NESSUNA DEROGA SUL SECONDO MANDATO»

Sulla regola del secondo mandato la «rompiscatole» (come lei stessa si definisce) Lombardi ha puntato i piedi. Anche se si tratta di Virginia Raggi. «Nessuna deroga per nessuno. Si può fare politica anche fuori dalle istituzioni, anzi un ricambio generazionale è sano e salutare», ha detto l’ex parlamentare M5s.

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Viaggio nel surreale corso da match analyst di Mario Savo

Costi alti, premesse non mantenute e uno stage controverso nel mondo del calcio. Anche se sul web compaiono solo giudizi entusiasti. Recensione di una (dis)avventura.

“La tua carriera nel calcio inizia con noi”. È lo slogan che campeggia sul sito della Élite football center di Mario Savo, una «Scuola di alta formazione» per i «professionisti» del pallone «di domani». Seducente claim, come dicono quelli bravi del marketing, materia – non a caso – in cui si è specializzato Savo, laureato in Economia e Management, responsabile dei corsi e nome noto nel mondo della Match analysis in Italia, cioè lo studio minuzioso e oggettivo di tutto ciò che accade in campo durante una partita, tra numeri, schemi, software e chi più ne ha – di statistiche – più ne metta. Eppure dietro a quella patina di professionalità c’è qualcosa che non torna.

IL NOME DI GUARDIOLA CHE SPICCA NEL CURRICULUM

Lo si scopre per esempio partecipando al corso per diventare match analyst. Come ho fatto io a maggio 2019, sborsando 1.000 euro. Per una settimana di lezioni a Milano, otto ore al giorno, da lunedì a venerdì, più il maxi-esame finale il sabato. Con certificazione ufficiale conseguita in caso di promozione (che ho ottenuto). Nel curriculum di Mario Savo, tra qualche esperienza in Serie B e nel calcio a 5, spicca un nome: Pep Guardiola. Il giovane di Latina nel 2016 ha infatti partecipato in Inghilterra, arrivando fino in fondo, al consorso per “nerd” dei big data voluto dal tecnico catalano del Manchester City, che cercava nuovi modelli statistici-matematici di analisi della performance della sua squadra.

CHE NUMERI: «OTTO EX STUDENTI SU 10 LAVORANO NEL CALCIO»

Insomma, elementi di competenza e serietà, sulla carta. E in più la scuola si vanta di avere numeri da garanzia, o quasi, di successo: la segreteria didattica ricorda che «8 ex studenti su 10 oggi lavorano nel mondo del calcio come analisti all’interno di staff tecnici e reparti scouting, esperti tattici e opinionisti per magazine, giornali e riviste di settore, analisti per famose aziende di Match analysis».

NUMERO CHIUSO DI 30 PARTECIPANTI: E INVECE SONO 50

Ma già il primo giorno della (dis)avventura è arrivata una sorpresa: invece dei 30 partecipanti annunciati eravamo una cinquantina. Stipati dentro una sala piccola e affollata. Il sito però parlava chiaro: numero chiuso fissato a 30, «così da garantire la massima qualità didattica del percorso». Alla fine le persone ammesse erano dunque quasi raddoppiate: e con loro di conseguenza anche l’incasso per la scuola.

«MASSIMO 30 POSTI!». Ma in aula eravamo in 50.

COMPUTER E CHIAVETTA USB SI PORTANO DA CASA

Il materiale fornito? Un plico di fogli a quadretti e una penna. Il resto si portava da casa: computer e chiavetta Usb. Il corso ti garantiva giusto la possibilità di scaricare la versione demo (gratuita per 30 giorni) del software “LongoMatch” utilizzabile per passare al setaccio le partite. Ma nessun supporto, come specificato via mail: «Ti preghiamo, per qualsiasi problematica dovessi incontrare» nella procedura di registrazione, «di non contattare la scuola, in quanto la nostra segreteria didattica non avrebbe i mezzi tecnici né le competenze per aiutarti».

LIVELLO 1: 250 EURO PER ASCOLTARE QUATTRO ORE DI PRESENTAZIONI

La scoperta di essere in 50 non sarà stata digerita soprattutto dall’unico partecipante che aveva deciso di iscriversi solo al Livello 1 del corso, quello “Beginner”, della durata di un giorno (il lunedì) e costato 250 euro (più trasporto andata e ritorno dalla Toscana, visto che la persona in questione non era di Milano): oltre metà del tempo è stata dedicata alla presentazione dei candidati, a quella del corso e alla “mission” di Savo che da anni lotta per far riconoscenere professionalmente la figura del match analyst anche per chi non possiede un patentino di allenatore conseguito a Coverciano.

I LABORATORI PRATICI, FINALMENTE

Una volta esaurite nei primi giorni l’introduzione e le lezioni frontali d’aula su come si è evoluto nella storia il pensiero tattico calcistico (nessuna possibilità di avere le slide proiettate, solo grandi paginate di appunti in stile universitario), finalmente la parte pratica più interessante per prendere dimestichezza con la materia: i laboratori sull’utilizzo del software LongoMatch.

MA COL SOFTWARE SI FA DA AUTODIDATTI

Qui la seconda sorpresa: dopo le delucidazioni tecniche e informatiche su come registrarsi al sito, caricare una partita e utilizzare i comandi base, nessuna spiegazione o suggerimento sulla metodologia per compilare un report. Cosa guardare? Su quali aspetti è meglio concentrarsi? Come allenare l’occhio? Sono mancati i consigli e gli esempi (Savo non ci ha mostrato nessuna sua analisi personale, nonostante le richieste dell’aula) al di là dell’insegnamento teorico degli strumenti. Col risultato che i partecipanti hanno dovuto cavarsela da autodidatti il giorno prima dell’esame, sperimentando, confrontandosi e chiedendo a chi già aveva esperienze pregresse.

La classe del corso.

E IN CATTEDRA SALE ANCHE L’ESPERTO DI SCOMMESSE

Invece che dedicarsi alla materia specifica, durante una giornata a un certo punto il docente ha lasciato spazio e cattedra a uno studente appassionato di scommesse sportive, invitato a illustrare il suo presunto metodo infallibile per riuscire a guadagnare puntando soldi sulle partite. Solo le proteste dell’aula hanno riportato la lezione sui binari della match analysis. Ma la digressione non è stata casuale: Mario Savo ha infatti poi ingaggiato il ragazzo per un altro corso della scuola, quello in “Football sport betting” sulle «metodologie professionali e gli algoritmi per le scommesse sportive e il Betting exchange». Insomma stava sfruttando il momento in prospettiva di crescita del business della scuola. E quindi anche del suo.

DAL CAMPO ALL’IMPRENDITORIA: “L’IMPERO” DI SAVO

Sì perché c’è un punto chiave in tutta la storia. Savo infatti oltre a essere docente è anche titolare dell’intera scuola di formazione, che organizza diversi corsi e non solo quello di match analysis: giornalismo sportivo, psicologia e mental coaching, riabilitazione degli atleti infortunati, radiocronaca e telecronaca, performance & data analysis e appunto scommesse. In alcuni di questi, in cui comunque si avvale sempre della collaborazione di professionisti del settore, è anche insegnante. Quindi, in sostanza, riveste il ruolo di controllore e controllato. Di fatto, come lui stesso ha spiegato a lezione, ha smesso di essere operativo “sul campo” per dedicarsi interamente a questa redditizia attività imprenditoriale. La sede legale della scuola è a Latina, città d’origine di Savo, e il conto corrente dove versare le quote d’iscrizione ai corsi rimanda a una banca di Latina. Non ci sono altre persone della direzione con cui potersi confrontare sull’operato del docente Savo o su eventuali problemi emersi durante le lezioni, né un front office a livello di linee telefoniche.

TEST DI VALUTAZIONE: E L’ANONIMATO DOV’È?

Un metodo per manifestare il proprio parere in realtà ci sarebbe anche stato fornito: quello dei test di valutazione del corso. Peccato che i questionari ci siano stati consegnati chiedendo di identificarli con nome e cognome il giorno prima dell’esame. È evidente che la mancanza di anonimato potrebbe dunque aver compromesso l’attendibilità dei dati raccolti e la sincerità delle risposte. Savo ha assicurato che non li avrebbe letti lui personalmente, lasciando l’incombenza al responsabile dell’ufficio marketing/comunicazione. Ruolo ricoperto dalla sua fidanzata, conosciuta proprio sui banchi di uno dei corsi che ha tenuto in passato.

SUL SITO SOLAMENTE RECENSIONI A CINQUE STELLE

I voti dati alle lezioni e agli insegnanti sarebbero dovuti comparire sul sito della Élite football center. Ma, a distanza di mesi e dopo aver sollecitato a Savo la loro pubblicazione, ancora non ce n’è traccia. Sulla pagina compaiono solo 58 recensioni, tutte da cinque stelle: «Un corso serio e affascinante allo stesso tempo», «Beh!!! Che dire!!! L’essenza del calcio!!!», «Lo rifarei milioni di volte», «Oltre ogni mia aspettativa», sono solo alcuni esempi di commenti. Non esistono in Rete altri riscontri e Google rimanda solo agli articoli pubblicitari scritti su Calciomercato.com, che è partner commerciale della scuola.

recensioni corso match analyst mario savo
Tutti entusiasti: 58 ottime valutazioni su 58.

L’80% CE LA FA: MA SU COSA SI BASA LA STATISTICA?

Inoltre quel dato sciorinato sull’80% di candidati che lavorano nel mondo del calcio non sembra avere alcuna chiara valenza statistica. Come è stato ottenuto, visto che per esempio nessuno ha chiesto ai 50 del mio corso, dopo sei mesi, se qualcuno avesse trovato un’opportunità lavorativa? A quando è aggiornato? E soprattutto si riferisce agli studenti che hanno ottenuto un impiego nel mondo del calcio esclusivamente grazie al corso o comprende quelli che già erano inseriti nell’ambiente, comprese le categorie dilettanti e giovanili dove raramente si è pagati?

QUEI COMPLIMENTI (POI CANCELLATI) PER L’INCARICO AL MONZA

Un esempio in questo senso è emblematico. Passati tre mesi dalla fine delle lezioni, ad agosto, il profilo Facebook della Élite football center ha pubblicato la foto di un partecipante del nostro corso, complimentandosi per l’incarico ottenuto al Monza calcio grazie (anche) alla formazione fatta a Milano e risultata dunque decisiva per fare “carriera”. Problema: il ragazzo in questione collaborava già con il Monza prima di iniziare il corso, come raccontato davanti a tutti nelle già citate presentazioni-fiume. E quando la cosa è stata fatta notare con un commento ironico via social («Hai gravi problemi di memoria, era già al Monza, non ci è andato grazie a te»), prima il gestore della pagina si è affrettato a cancellare il commento, poi è sparito proprio l’intero post “celebrativo”.

RIPETIZIONE DELL’ESAME: GRATIS, ANZI A PAGAMENTO

Anche le modalità in cui si è svolto l’esame finale – a cui Savo non ha partecipato per impegni personali – hanno fatto registrare un giallo. Quello della ripetizione in caso di bocciatura. Uno studente, cercando informazioni, si è sentito rispondere dalla segreteria via mail: «Qualora volessi ripetere le prove devi pagare 250 euro venendo in aula solamente il giorno della prova». Ma il regolamento al momento dell’iscrizione diceva altro. E cioè che era possibile rifare l’esame «gratuitamente durante le edizioni successive del corso» per un totale di «massimo due tentativi ulteriori».

La sezione del regolamento sulla ripetizione dell’esame.

Una volta chiesto un chiarimento, la scuola ha risposto che si trattava di un «refuso» perché «purtroppo il sito è in ristrutturazione da qualche mese» ed era una «dicitura delle prime edizioni del corso quando le condizioni contrattuali e il numero di iscritti erano tali da permetterci di far ripetere l’esame gratuitamente». Poi cos’è cambiato? «Sono aumentate le spese in capo all’azienda data l’elevata domanda che registra il corso in oggetto e la necessità logistica di attrezzare aule più grandi, in posizioni cittadine meglio raggiungibili, docenti sempre più preparati e standard qualitativi superiori». Dopo l’eventualità di adire le vie legali “minacciata” dallo studente, la versione di Savo è cambiata ancora: nuovo esame gratis, ma solo entro il 2019.

GLI STAGE: LA GUIDA TELEMATICA DI UN TUTOR CHE NON C’È

Infine, l’ultimo aspetto controverso: gli stage facoltativi a fine corso, definiti «efficaci» e «volti al job placement dei profili». Si tratta(va) di report da stilare entro dicembre 2019 su squadre di calcio a scelta e pubblicati poi sul sito della “Associazione italiana analisti di performance calcio”, di cui Mario Savo è presidente. Un modo per farsi conoscere e guadagnarci in visibilità. Le analisi avrebbero dovuto prevedere «la guida telematica di un tutor». Ma, anche qui, ha funzionato tutto da autodidatti.

LE CORREZIONI: SOLO ORTOGRAFICHE

Niente consigli, feedback, correzioni. Solo risposte stringate e generiche via mail come «Ok!» oppure «Ottima analisi! Ricevuta». E quando gli è stato domandato il perché di questa mancanza, Savo ha risposto di essere «stufo di mettere apostrofi» e che «se devo dire “correggete l’italiano” mi sembra di trattarvi come bambini!». Ma i corsisti volevano una revisione dei contenuti, non ortografica. Savo a fine novembre si è anche lamentato del fatto che lo stage (facoltativo) fosse stato eseguito solo da quattro-cinque persone: «Siete stati poco corretti». Il 9 ottobre ci aveva suggerito nella chat di gruppo di non analizzare squadre straniere, ma di partire da quelle di Serie A in modo da farsi leggere da più persone e addetti ai lavori possibile. Per esempio lavorando sul Milan di Marco Giampaolo. Ma l’allenatore rossonero era stato esonerato giusto il giorno prima.

EPPURE PRIMA «NON SI È MAI LAMENTATO NESSUNO»

La maggior parte delle criticità e delle incongruenze elencate qui sono state sollevate di fronte a Savo, di persona durante le lezioni oppure via messaggio nelle settimane seguenti. La risposta più ricorrente è stata: «Quelli prima di voi non si sono mai lamentati».

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Una valanga ha colpito le Alpi Orobiche

La slavina si è staccata dal monte Valletto, nei pressi del passo Salmurano, tra le province di Sondrio e Bergamo. Ricerche in corso.

Ancora una valanga sulle Alpi dopo quella del 30 novembre sul Monte Bianco. Tre sci alpinisti sono stati coinvolti da una slavina precipitata nei pressi del passo Salmurano il 7 dicembre, al confine tra la province di Sondrio e Bergamo. La valanga ha un fronte di circa 100 metri e si è staccata dal monte Valletto. Ne dà notizia il 118. Sono in corso le ricerche.

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Francesca Pascale sorride alle Sardine

In una intervista all'Huffington Post la fidanzata di Berlusconi dice di simpatizzare per il movimento di piazza. L'unico rischio? «Finire come il M5s».

Mentre Silvio Berlusconi con gli alleati di centrodestra Matteo Salvini e Giorgia Meloni cerca la quadra sui candidati alle prossime Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, Francesca Pascale guarda da tutt’altra parte. E sorride alle Sardine. Perché, ha detto la fidanzata del Cav in una intervista all’Huffington Post, nel movimento ritrova «quella libertà» che fu propria «della rivoluzione liberale» di Berlusconi. Per questo motivo non ha escluso di partecipare alla manifestazione ittica del 14 dicembre a Roma.

«LE SARDINE PESCANO ANCHE TRA CHI NON HA MAI VOTATO A SINISTRA»

Le Sardine, continua Pascale, sono un «fenomeno spontaneo, dilagante, animato da giovani, quindi va guardato con rispetto, interesse e soprattutto non va sottovalutato. Un errore che a suo tempo è stato commesso con i 5 stelle ed il risultato è quello che è oggi sotto gli occhi di tutti». La loro rivolta pacifica contro un «linguaggio pericoloso» e «in grado di innescare odio» fa sì, spiega la first lady di Arcore, che le Sardine «peschino anche tra coloro che non hanno mai votato e che mai voteranno a sinistra, incarnano l’esigenza di un cambiamento».

LEGGI ANCHE: Il debutto a Napoli delle Sardine nere

Il rischio è che questo movimento di piazza e spontaneo subisca la stessa metamorfosi toccata al Movimento 5 stelle, «prima anti-sistema, oggi in giacca e cravatta attaccati alla poltrona». Il consiglio? «Restate indipendenti, restate liberi, siate l’anima rivoluzionaria che alberga in tutti i partiti e che pertanto non ha bisogno di etichette».

SANTORI: «DIAMO IL BENVENUTO A CHIUNQUE SI DISCOSTI DAL SOVRANISMO»

E la risposta delle Sardine non si è fatta attendere. «La Pascale tra noi?», ha detto all’Adnkronos uno dei leader del movimento Mattia Santori. «Diamo il benvenuto a chiunque si discosti dal sovranismo. Non abbiamo bandiere proprio perché accettiamo chiunque voglia prendere posizione contro la retorica sovranista divisiva professata da una parte della destra». Poi ha sottolineato: «Rimane il fatto che in Emilia-Romagna e non solo Forza Italia è alleata proprio con i principali artefici di questa retorica. Ma se viene con una sardina bella colorata, chiuderemo un occhio».

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Il debutto in corteo a Napoli delle Sardine nere

Circa 200 membri del Movimento migranti e rifugiati di Napoli scendono in piazza per chiedere il riconoscimento del permesso di soggiorno.

Hanno deciso di farsi chiamare ‘sardine nere’ gli oltre 200 membri del Movimento migranti e rifugiati di Napoli che hanno fatto il loro esordio sabato 7 dicembre manifestando in corteo per chiedere l’accelerazione dei tempi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, il rapido rilascio dei permessi di soggiorno. Il corteo si è diretto verso piazza Municipio ed è stato raggiunto dal Senatore Gregorio De Falco.

ABBIAMO OTTENUTO UNA PRIMA VITTORIA! Aggiornamenti del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli dall'incontro con la questura!Il corteo si è diretto a piazza Municipio e ci ha raggiunto il Senatore De Falco!

Posted by Ex OPG Occupato – Je so' pazzo on Saturday, December 7, 2019

CONTRO SALVINI E LAMORGESE

Mostrando manifesti contro l’ex ministro Salvini e contro l’attuale titolare del Viminale, Lamorgese, i migranti sono partiti in corteo da Piazza Garibaldi diretti verso la Questura. All’altezza di Via Mezzocannone c’è stata una deviazione verso la zona turistica dei Decumani. «Cambiano i governi e ministri dell’Interno, ma non cambiano le politiche contro i migranti, i rifugiati e le fasce più deboli della popolazione», hanno affermato il Movimento Migranti e Rifugiati Napoli e l’Ex-Opg Je so’ Pazzo. «Le nostre vite non possono più aspettare, scendiamo in piazza per richiedere l’immediata abrogazione dei decreti sicurezza e contro le procedure dell’Ufficio immigrazione della questura di Napoli, che attraverso la macchina della burocrazia continua a tenere in un limbo giuridico la vita di centinaia di persone e non garantisce ai richiedenti protezione internazionale di accedere all’istituto della protezione internazionale come sancito dalla Costituzione e dalle leggi attualmente in vigore».

L’IMPORTANZA DEL PERMESSO DI SOGGIORNO

Avere il permesso di soggiorno, hanno affermato gli organizzatori, «significa poter accedere al sistema sanitario, all’istruzione, al riconoscimento dei figli; avere il permesso di soggiorno significa poter contrattare un giusto salario sul posto di lavoro e una possibilità in più per ribellarsi allo sfruttamento, significa potersi spostare liberamente sul territorio, significa avere l’opportunità di condurre una vita dignitosa e non essere condannati a vivere come fantasmi nei ghetti delle nostre città». Nel lanciare l’iniziativa su Facebook, l’Ex Opg di Napoli ha spiegato: «Chi sono le Sardine nere? Sono tutte quelle sardine che non sono potute scendere nelle piazze italiane di queste ultime settimane, perché considerate diverse dalle altre Sardine».

🐟LE SARDINE NERE ARRIVANO A NAPOLI!✊🏽Sabato 7 Dicembre dalle ore 10:00 da Piazza Garibaldi partirà il corteo delle…

Posted by Ex OPG Occupato – Je so' pazzo on Friday, December 6, 2019

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La disabilità sui social network: pericolo o opportunità?

Ridurre la visibilità degli utenti con disabilità, come in passato ha fatto TikTok, non li protegge dal rischio di bullismo ma aumenta la discriminazione nei loro confronti.

Ridurre la visibilità dei post di utenti con disabilità sui social network è una strategia contro il cyberbullismo o una forma di discriminazione?

Mi sto ponendo la domanda da quando ho scoperto che TikTok, social network molto diffuso tra i giovanissimi, avrebbe ridotto la visibilità dei video e dei post pubblicati da persone con disabilità (ma anche, per esempio, da persone in sovrappeso, queer, ecc) per difenderle da possibili azioni di cyberbulismo.

A dir la verità la notizia potrebbe essere già un po’ vecchia: TikTok ha spiegato che questa prassi, usata in passato allo scopo di contrastare tale preoccupante fenomeno, ora è stata abbandonata. Credo però che la riflessione sul modo in cui viene mostrata la diversità e in cui se ne parla sia un tema più che mai attuale e che valga la pena soffermarcisi.

TIKTOK UN SOCIAL VIDEO PER GIOVANISSIMI

L’universo della Rete e dei social è sconfinato e in continua espansione. Non è così improbabile che qualche altro social si trovi a gestire, realmente o anticipandole, le conseguenze del bullismo online e, a mio parere, non tutte le strategie di contrasto hanno la medesima efficacia.

Questo social cinese è nato come una piattaforma di video musicali amatoriali ma successivamente ha esteso il suo bacino a tutti i tipi di video brevi

Per capire meglio il funzionamento di TikTok ho chiesto informazioni a Sebastiano, mio nipote tredicenne nonché il “Virgilio” nel mio viaggio alla scoperta del misterioso mondo dei preadolescenti. Questo social cinese è nato come una piattaforma di video musicali amatoriali ma successivamente ha esteso il suo bacino a tutti i tipi di video brevi. Ovviamente, una volta creati, i video si possono pubblicare, condividere, commentare.

Ma volendo si può anche scegliere di “costruire” il proprio video, abbinandolo a quello creato da un altro utente e già caricato in rete. Immagino quindi che sia possibile “bullizzare” qualcuno commentando le sue produzioni o utilizzandole all’interno dei propri video per dileggiarle. La piattaforma consente poi di partecipare a diverse “sfide” come ad esempio la shoes challenge che consiste nel provare il maggior numero di scarpe e vestiti in 15 secondi oppure gare di “mossette” o piccole coreografie.

NASCONDERE LA DIVERSITÀ NON TUTELA DA PAURA E PREGIUDIZIO

Tik Tok, quindi, come del resto anche altri social, è uno strumento che espone i corpi e li mette in mostra in Rete ed è chiaro che a essere più in pericolo di strumentalizzazione e dileggio siano soprattutto i preadolescenti e gli adolescenti con caratteristiche ritenute fuori dalla norma. Non penso però che ridurre la visibilità dei video pubblicati da queste persone sia una strategia utile a debellare il cyberbullismo. «Lontani dagli occhi, lontani dalla violenza online» non può essere considerata una soluzione valida. Significa nascondere l’esistenza di ragazze e ragazzi che nella vita reale ci sono eccome!

Le differenze vanno conosciute e non occultate, va insegnato a conviverci e a considerarle una ricchezza

Fingere che la diversità non faccia parte della vita e dell’essere umano è innaturale. Peggio ancora, contribuisce ad alimentare l’ignoranza collettiva e, conseguentemente, anche la paura e il pregiudizio. In questo modo non si protegge proprio nessuno ma al contrario si mettono i bastoni tra le ruote a individui ancora in crescita. E non mi riferisco solamente alle possibili vittime del cyberbullismo che, sebbene parzialmente occultate in Rete, si trovano comunque a dover interagire con i loro coetanei “normaloidi” nel mondo reale ma anche coi bulli stessi.

Cos’è infatti il bullismo se non una reazione alla paura che suscita l’altrui diversità, forse perché richiama in qualche modo la nostra, che non vogliamo vedere e accettare? Le differenze vanno conosciute e non occultate, va insegnato a conviverci e a considerarle una ricchezza per tutti non a schivarle e contrastarle. L’ignoranza, intesa come non conoscenza di una certa realtà, non fa che aumentare la paura, i pregiudizi, le teorie personali false e disfunzionali rispetto alla stessa.

SERVE EDUCAZIONE AL DIALOGO E CONTROLLO DEGLI ADULTI

Comunque sia, ritengo che anche la demonizzazione tout court dei social network sia sbagliata perché la loro pericolosità o, al contrario, utilità dipende dall’uso che ne viene fatto. Certamente sono dei canali di veicolazione di messaggi utilizzatissimi, la cui potenza non va sottovalutata ma può essere usata per finalità costruttive. Sono convinta che TikTok possa essere un valido strumento per diffondere una cultura della disabilità più costruttiva e generativa di quanto ancora oggi il senso comune ci propone, all’interno e all’esterno dei social network.

I social network sono uno strumento di per sé neutro, siamo noi adulti che abbiamo la responsabilità di promuovere il confronto con i nostri preadolescenti e adolescenti

Si potrebbe, per esempio, usare lo stratagemma delle “sfide” e provare a lanciarne alcune che stimolino la riflessione sulla vita delle persone con disabilità, ad esempio: «Mostra in un minuto 10 ostacoli in cui una persona disabile si imbatte quotidianamente e come fa ad affrontarli», oppure «Persone con disabilità e diritto al lavoro in tre minuti», ed escamoages simili. Rimane il fatto che l’uso di questo social, come degli altri, da parte dei ragazzi, soprattutto se minorenni, dovrebbe essere filtrato dagli adulti di riferimento. Dei contenuti che circolano e dei messaggi in essi veicolati se ne dovrebbe poter parlare in casa e a scuola perché non è detto che tutti possiedano già gli strumenti per poterne valutare la qualità e l’eventuale pericolosità.

I social network sono uno strumento di per sé neutro, siamo noi adulti che abbiamo la responsabilità di promuovere il confronto con i nostri preadolescenti e adolescenti sia rispetto ai contenuti presenti online che riguardo alle modalità con cui vengono trasmessi. L’educazione al dialogo e al rispetto delle reciproche diversità non si genera dall’esclusione di qualcuno dalla comunità dei “parlanti”, reali o virtuali, bensì è possibile promuovendo lo scambio e la conoscenza reciproci.

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Le dichiarazioni politiche dopo l’accordo sulla manovra

Per Renzi è un successo di Italia Viva. Di Maio rivendica l'intervento sui vigili del fuoco. Zingaretti la usa in chiave anti Salvini. E il leader leghista replica: «Governo delle tasse, Conte tolga il disturbo».

La maggioranza festeggia. Magari litiga un pochino sui meriti specifici, ma comunque festeggia. L’opposizione attacca. Il giorno dopo la fumata bianca sulla manovra è quello dei bilanci e delle dichiarazioni da toni decisamente diversi.

ZINGARETTI: «RIMETTIAMO I SOLDI NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI»

«Con questa manovra abbiamo iniziato a rimettere i soldi nelle tasche degli italiani e investire sul futuro del nostro Paese», ha detto il leader del Partito democratico Nicola Zingaretti. «Ha vinto l’Italia. Niente Salvini Tax, cioè il tanto temuto aumento dell’Iva per 23 miliardi, che sarebbe costato 500 euro in più di tasse ad ogni famiglia. Stipendi più alti per i lavoratori, con 3 miliardi di sgravi fiscali sulle tasse sul lavoro. E poi 59 miliardi di investimenti pluriennali per l’economia verde, giusta, competitiva e per le infrastrutture». Per Zingaretti, dal governo è arrivato «un sostegno alle imprese, al cuore pulsante del Paese. Una finanziaria per i più deboli e per fare ripartire l’Italia. Ora tutti insieme prepariamo una nuova agenda di governo per lo sviluppo, il lavoro e la giustizia sociale».

DI MAIO: «UNA VITTORIA PER I VIGILI DEL FUOCO»

Luigi Di Maio ha invece posto l’accento su un punto in particolare, i 165 milioni di euro stanziati per l’equiparazione stipendiale dei vigili del fuoco alle altre forze di polizia «È una vittoria di tutto il governo, una vittoria di un governo unito che ha portato a casa un risultato importantissimo», ha detto il ministro degli Esteri, «per un corpo che tutti quanti in Italia amiamo e a cui siamo tutti molto grati». Il leader del Movimento 5 stelle ha aggiunto: «Nel comparto difesa, sicurezza e soccorso ci sono ancora delle disparità però è evidente che i vigili del fuoco meritavano questo aumento, perché è veramente importante in questo momento storico non perdersi in chiacchiere. Sono tutti bravi a dire ‘sono i migliori’, ma è nei fatti, non con le parole, che si dimostra la vicinanza a questo grande corpo».

PER RENZI È UN SUCCESSO DI ITALIA VIVA

Matteo Renzi ha voluto ribadire i meriti del suo partito: «In queste settimane Italia Viva ha lottato con forza per evitare l’aumento delle tasse, a cominciare dall’Iva. Dalle auto aziendali fino al rinvio della Sugar e Plastic Tax il risultato è stato raggiunto», ha detto l’ex presidente del Consiglio. «Da gennaio ci sarà da fare uno sforzo in più: rilanciare la crescita. Ecco perché abbiamo lanciato il Piano #ItaliaShock. Questa è la vera svolta per il 2020. Abbiamo vinto la battaglia delle tasse. Ora tutti insieme concentriamoci sulla crescita. E l’unico modo per raggiungerla è sbloccare i cantieri. Finirà come sulle tasse: prima ci criticano, poi ci ignorano, poi ci daranno ragione».

SALVINI: «CONTE TOLGA IL DISTURBO»

Matteo Salvini auspica invece che il premier Giuseppe Conte «tolga il disturbo perché è il governo sbagliato nel posto sbagliato». Il leader della Lega ha replicato alle affermazioni del premier secondo cui sarebbe stata scongiurata la recessione: «Guardate l’economia italiana, è la penultima in Europa», ha detto. «Questo è il governo delle tasse, se le rinvii di tre mesi sempre tasse sono». E a chi gli chiedeva se la Lega fosse intenzionata a fare ricorso alla Consulta contro la manovra ha risposto: «Per il momento mi sto occupando di Mes, vogliamo bloccarlo con ogni energia necessaria. Prima vogliamo fare di tutto per bloccare questo trattato, che arriva mercoledì in Aula, perché è un rischio per il Paese e poi sulla manovra abbiamo qualche giorno in più per ragionarci».

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Chiede il tassametro e si prende un pugno in faccia

L'uomo voleva andare da Fiumicino a Roma ma il tassista ha rifiutato la richiesta, respingendolo per poi colpirlo in volto. Denunciato per lesioni per futili motivi.

Voleva l’uso del tassametro per andare da Fiumicino a Roma e per tutta risposta si è beccato un pugno in faccia dal tassista. È la disavventura capitata a un passeggero italiano, appena sbarcato nella Capitale da Madrid che voleva semplicemente recarsi in città e si è ritrovato con la frattura del setto nasale. Il tassista, regolare, è stato denunciato per lesioni per futili motivi dopo essere stato individuato nel giro di poco tempo dagli investigatori dalla polizia giudiziaria della polizia di frontiera aerea di Fiumicino, grazie anche al servizio di videosorveglianza implementato dalla società di gestione, Aeroporti di Roma. Oltre ad avere subito avviato le indagini, gli agenti si sono avvalsi anche delle immagini riprese dalle telecamere posizionate nell’area esterna Arrivi del terminal 3. La scena è avvenuta di fronte ad altri tassisti e addetti volontari del ‘Taxi Service’ che si occupano di assistere i passeggeri che richiedono il servizio di taxi e dalle altre persone.

UNA LITE DEGENERATA

Dalle immagini si intravede il viaggiatore, un 60enne residente a Roma, appena uscito all’esterno del terminal 3, mentre è in attesa di salire a bordo del taxi. L’uomo si rivolge al tassista, che appare fin da subito visibilmente scocciato, al punto tale da rifiutare il carico dei bagagli a bordo del taxi e respingere più volte uno dei bagagli. A quel punto, mentre è in corso la discussione fra i due, un assistente del servizio taxi con indosso un fratino giallo fa salire a bordo della stessa vettura un altro cliente, mentre il tassista sale a bordo dell’auto. Il primo viaggiatore, probabilmente infastidito, bussa più volte sul vetro posteriore del taxi per chiedere spiegazioni all’autista. Il tassista, infuriato scende dall’auto va a passo spedito incontro al viaggiatore e lo colpisce con un pugno. L’aggredito a quel punto cade all’indietro, mentre il tassista risale e parte a tutta birra con l’altro cliente a bordo. L’uomo colpito, invece, con fatica riesce a rialzarsi. La terribile scena avviene di fronte a diverse persone che guardano, ma senza intervenire. Pochi minuti dopo l’uomo aggredito viene assistito e medicato nel vicino pronto soccorso aeroportuale di Adr e quindi trasferito all’ospedale Cto di Roma, dove gli è stata diagnosticata la frattura del setto nasale, giudicata guaribile in 30 giorni.

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Chiede il tassametro e si prende un pugno in faccia

L'uomo voleva andare da Fiumicino a Roma ma il tassista ha rifiutato la richiesta, respingendolo per poi colpirlo in volto. Denunciato per lesioni per futili motivi.

Voleva l’uso del tassametro per andare da Fiumicino a Roma e per tutta risposta si è beccato un pugno in faccia dal tassista. È la disavventura capitata a un passeggero italiano, appena sbarcato nella Capitale da Madrid che voleva semplicemente recarsi in città e si è ritrovato con la frattura del setto nasale. Il tassista, regolare, è stato denunciato per lesioni per futili motivi dopo essere stato individuato nel giro di poco tempo dagli investigatori dalla polizia giudiziaria della polizia di frontiera aerea di Fiumicino, grazie anche al servizio di videosorveglianza implementato dalla società di gestione, Aeroporti di Roma. Oltre ad avere subito avviato le indagini, gli agenti si sono avvalsi anche delle immagini riprese dalle telecamere posizionate nell’area esterna Arrivi del terminal 3. La scena è avvenuta di fronte ad altri tassisti e addetti volontari del ‘Taxi Service’ che si occupano di assistere i passeggeri che richiedono il servizio di taxi e dalle altre persone.

UNA LITE DEGENERATA

Dalle immagini si intravede il viaggiatore, un 60enne residente a Roma, appena uscito all’esterno del terminal 3, mentre è in attesa di salire a bordo del taxi. L’uomo si rivolge al tassista, che appare fin da subito visibilmente scocciato, al punto tale da rifiutare il carico dei bagagli a bordo del taxi e respingere più volte uno dei bagagli. A quel punto, mentre è in corso la discussione fra i due, un assistente del servizio taxi con indosso un fratino giallo fa salire a bordo della stessa vettura un altro cliente, mentre il tassista sale a bordo dell’auto. Il primo viaggiatore, probabilmente infastidito, bussa più volte sul vetro posteriore del taxi per chiedere spiegazioni all’autista. Il tassista, infuriato scende dall’auto va a passo spedito incontro al viaggiatore e lo colpisce con un pugno. L’aggredito a quel punto cade all’indietro, mentre il tassista risale e parte a tutta birra con l’altro cliente a bordo. L’uomo colpito, invece, con fatica riesce a rialzarsi. La terribile scena avviene di fronte a diverse persone che guardano, ma senza intervenire. Pochi minuti dopo l’uomo aggredito viene assistito e medicato nel vicino pronto soccorso aeroportuale di Adr e quindi trasferito all’ospedale Cto di Roma, dove gli è stata diagnosticata la frattura del setto nasale, giudicata guaribile in 30 giorni.

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Natale, dieci idee regalo per buongustai

Dal salmone allo champagne, fino al baccalà in barattolo e mostarde per i bolliti. Qualche consiglio per fare felici gourmand e intenditori.

Il Natale è alle porte e l’ansia per i regali si fa pesante. Tra scadenze di lavoro, cene, aperitivi, pranzi per salutare amici e colleghi (come se le Feste segnassero la fine del mondo), le ore per gli acquisti diventano risicati. Le idee mancano? E se si optasse per un regalo da gourmand o gourmet? Perché no, in fondo cibo e buon bere mettono tutti d’accordo, tanto vale approfittare. Per aiutarvi abbiamo fatto un elenco di 10 prodotti con cui farete un figurone. C’è anche il prezzo, giusto per regolarsi in base alle proprie tasche.

Stappare una bottiglia di Champagne fa sempre festa.

1. CHAMPAGNE RE DELLA FESTA

Le bollicine sulla tavola delle feste non possono proprio mancare. E champagne ne è il re. La freschezza e la vivacità delle pregiate bolle serviranno a sgrassare i pasti luculliani delle feste.
Champagne Brut Grande Cuvée Krug 75 cl – 170 euro.
Champagne Extra Brut ‘Blanc d’Argile’ Vouette et Sorbee 75 cl – 98,50 euro.

Un vasetto di baccalà mantecato sotto l’albero? Perché no.

2. BACCALÀ IN VASETTO

Il baccalà mantecato è un classico della cucina regionale veneta e, grazie al suo gusto, ha conquistato tutte le tavole dello Stivale, ma non solo. Su crostoni di pane o di polenta, è un must natalizio. Se volete regalarlo, c’è chi lo produce artigianalmente e lo mette in comodi vasetti.
Baccalà mantecato Marinèr La Pesca (classico, condito, agrumi, curry, albicocche) da 100 g – 5,50 euro.
Baccalà mantecato Marcolin (classico, olive verdi, peperoncino, tartufo) 90 g – da 4,10 euro a 4,90 euro (tartufo).

Il salmone non può mancare sulle tavole delle feste.

3. NON È NATALE SENZA SALMONE

Oltre a decorare il banchetto, la baffa riempirà la bocca di morbidezza e gusto. Con la sua leggera affumicatura, il salmone si presta a un uso immediato: come antipasto, da spizzicare da solo tagliato a dadini o come tartare, ma anche adagiato su crostini di pane spalmati di burro.
Baffa di salmone Upstream da 1 kg – 137 euro; 2,2 kg – 300 euro.
Baffa Coda Nera Riserva da 1 kg – da 130 a 140 euro.

La tradizione norcina italiana regala prodotti d’eccellenza.

4. UN SALAME SOTTO L’ALBERO

Pur essendo un prodotto popolare e di uso quotidiano, il salame nella tavola delle feste ci sta eccome. Pane e salame riportano la felicità e non esiste banchetto che non contempli la loro presenza. La tradizione norcina italiana è molto varia, noi vi proponiamo due esempi artigianali: salame di Varzi Cucito, che ha lo stesso impasto del Varzi base (lombo, coscia, coppa, grasso di gola e di pancetta, sale marino, pepe in grani, infuso di aglio fresco e Bonarda), ma è stagionato più a lungo; e il salame ligure di puro suino, lavorato con aglio di Vessalico, sale, pepe nero in grani, viene insaccato in budello naturale.
Salame di Varzi Cucito Thogan Porri 1,4 kg – 27,90 euro.
Salame di puro suino Macelleria Salumeria Giacobbe 1 kg – 24 euro.

Giardiniere e mostarde di frutta sono idee regalo gustose.

5. GIARDINIERA E MOSTARDA, LA FESTA DEI BOLLITI

Natale significa anche grandi bolliti. Giardiniera e mostarda sono i prodotti ideali per accompagnare ogni tipo di carne. Sia nel caso della giardiniera (verdure fresche selezionate, tagliate a mano e fatte maturare in aceto, acqua, zucchero), sia nel caso della mostarda (frutta tagliata a pezzi e immersa in uno sciroppo di zucchero e aroma di senape), consigliamo di puntare sempre su prodotti artigianali, senza additivi aggiunti.
Mostarda Caffè La Crepa 360 g – 9,50 euro.
Mostarda Emilio Stroppa 300 g – 9,50 euro.
Giardiniera Emilio Stroppa 370 g – 8,50 euro.
Giardiniera Caffè La Crepa 440 g – 9,50 euro.

Il panettone e il pandoro sono sempre graditi. A patto che siano artigianali.

6. MAI SENZA PANETTONE E PANDORO (ARTIGIANALI)

Un grande classico delle feste è il panettone, il lievitato per eccellenza del Natale. Regalarlo non è mai banale. Il consiglio è di evitare la produzione industriale e di comprare l’artigianale di pasticceri, pizzaioli, panettieri e cuochi. Meno blasonato del panettone, forse solo perché più difficile da realizzare (ci riferiamo alla lievitazione), è il fratello senza uvetta e canditi, il pandoro. Quello artigianale è più raro, ma qualche pasticcere ha iniziato a produrlo. Che diventi il nuovo re delle feste?
Panettone classico Olivieri 1882, 900 g – 32 euro.
Panettone classico Colombo e Marzoli 1 kg – 28 euro.
Pandoro classico Olivieri 1882, 750 g – 29 euro.
Pandoro classico Panzera Milano 750 g – 24 euro.

Il Foie gras sarà apprezzato da ogni gourmand.

7. FOIE GRAS, SOLO PER INTENDITORI

Anche se non è propriamente etico, il fegato grasso d’oca è sempre un dono apprezzato per chi si professa gourmand. Il consiglio è di mangiarlo in purezza, magari sul pane (meglio pan brioche), o accompagnato a composte di frutti rossi.
Foie gras etico senza gavage Labourdette 125 g – 136,40 euro.
Foie gras de canard entier Lafitte 450 g – 57,50 euro.

8. LIQUORI MADE IN ITALY

Dopo un sontuoso banchetto non vuoi pulirti la bocca con un liquore, magari italiano? Ve ne proponiamo due: la Ratafià abruzzese, fatta con vino Montepulciano e amarene, e il vermut tradizionale torinese nella versione extra dry.
Ratafià Scuppoz 1 l – 27 euro.
La Canellese Vermut di Torino Extra dry 75 cl – 24 euro.

Rum e liquori sono un regalo per intenditori.

9. CHIUSURA ALCOLICA

Natale è soprattutto la festa della famiglia allargata e dei parenti. Ecco perché i regali alcolici non solo possono aiutare a superare le ore passate a tavola, ma fanno fare bella figura a patto che il destinatario sappia di cosa si stia parlando e ne riconosca il valore.
Distillato Mela Decio di Belfiore Capovilla 0, 50 l – 84 euro.
Rhum Vieux Agricole Horse d’Age Cuvée Homère Clément 0,70 l – 135 euro.

10. BIG GREEN EGG, IL BARBECUE OVUNQUE VUOI

Se avete poi molti soldi da spendere, un regalo coi fiocchi è il Big Green Egg, il barbecue a forma di uovo di ceramica per cucinare la carne ovunque: giardino, terrazza, balcone, campeggio. Sostenibile, permette di ottimizzare e rendere omogenea la cottura.
Big Green Egg Mini (diametro griglia 25 cm, area di cottura 507 cm²) – 850 euro.
Big Green Egg L (diametro 46 cm, area di cottura 1688 cm²) – 1.750 euro.

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Natale, dieci idee regalo per buongustai

Dal salmone allo champagne, fino al baccalà in barattolo e mostarde per i bolliti. Qualche consiglio per fare felici gourmand e intenditori.

Il Natale è alle porte e l’ansia per i regali si fa pesante. Tra scadenze di lavoro, cene, aperitivi, pranzi per salutare amici e colleghi (come se le Feste segnassero la fine del mondo), le ore per gli acquisti diventano risicati. Le idee mancano? E se si optasse per un regalo da gourmand o gourmet? Perché no, in fondo cibo e buon bere mettono tutti d’accordo, tanto vale approfittare. Per aiutarvi abbiamo fatto un elenco di 10 prodotti con cui farete un figurone. C’è anche il prezzo, giusto per regolarsi in base alle proprie tasche.

Stappare una bottiglia di Champagne fa sempre festa.

1. CHAMPAGNE RE DELLA FESTA

Le bollicine sulla tavola delle feste non possono proprio mancare. E champagne ne è il re. La freschezza e la vivacità delle pregiate bolle serviranno a sgrassare i pasti luculliani delle feste.
Champagne Brut Grande Cuvée Krug 75 cl – 170 euro.
Champagne Extra Brut ‘Blanc d’Argile’ Vouette et Sorbee 75 cl – 98,50 euro.

Un vasetto di baccalà mantecato sotto l’albero? Perché no.

2. BACCALÀ IN VASETTO

Il baccalà mantecato è un classico della cucina regionale veneta e, grazie al suo gusto, ha conquistato tutte le tavole dello Stivale, ma non solo. Su crostoni di pane o di polenta, è un must natalizio. Se volete regalarlo, c’è chi lo produce artigianalmente e lo mette in comodi vasetti.
Baccalà mantecato Marinèr La Pesca (classico, condito, agrumi, curry, albicocche) da 100 g – 5,50 euro.
Baccalà mantecato Marcolin (classico, olive verdi, peperoncino, tartufo) 90 g – da 4,10 euro a 4,90 euro (tartufo).

Il salmone non può mancare sulle tavole delle feste.

3. NON È NATALE SENZA SALMONE

Oltre a decorare il banchetto, la baffa riempirà la bocca di morbidezza e gusto. Con la sua leggera affumicatura, il salmone si presta a un uso immediato: come antipasto, da spizzicare da solo tagliato a dadini o come tartare, ma anche adagiato su crostini di pane spalmati di burro.
Baffa di salmone Upstream da 1 kg – 137 euro; 2,2 kg – 300 euro.
Baffa Coda Nera Riserva da 1 kg – da 130 a 140 euro.

La tradizione norcina italiana regala prodotti d’eccellenza.

4. UN SALAME SOTTO L’ALBERO

Pur essendo un prodotto popolare e di uso quotidiano, il salame nella tavola delle feste ci sta eccome. Pane e salame riportano la felicità e non esiste banchetto che non contempli la loro presenza. La tradizione norcina italiana è molto varia, noi vi proponiamo due esempi artigianali: salame di Varzi Cucito, che ha lo stesso impasto del Varzi base (lombo, coscia, coppa, grasso di gola e di pancetta, sale marino, pepe in grani, infuso di aglio fresco e Bonarda), ma è stagionato più a lungo; e il salame ligure di puro suino, lavorato con aglio di Vessalico, sale, pepe nero in grani, viene insaccato in budello naturale.
Salame di Varzi Cucito Thogan Porri 1,4 kg – 27,90 euro.
Salame di puro suino Macelleria Salumeria Giacobbe 1 kg – 24 euro.

Giardiniere e mostarde di frutta sono idee regalo gustose.

5. GIARDINIERA E MOSTARDA, LA FESTA DEI BOLLITI

Natale significa anche grandi bolliti. Giardiniera e mostarda sono i prodotti ideali per accompagnare ogni tipo di carne. Sia nel caso della giardiniera (verdure fresche selezionate, tagliate a mano e fatte maturare in aceto, acqua, zucchero), sia nel caso della mostarda (frutta tagliata a pezzi e immersa in uno sciroppo di zucchero e aroma di senape), consigliamo di puntare sempre su prodotti artigianali, senza additivi aggiunti.
Mostarda Caffè La Crepa 360 g – 9,50 euro.
Mostarda Emilio Stroppa 300 g – 9,50 euro.
Giardiniera Emilio Stroppa 370 g – 8,50 euro.
Giardiniera Caffè La Crepa 440 g – 9,50 euro.

Il panettone e il pandoro sono sempre graditi. A patto che siano artigianali.

6. MAI SENZA PANETTONE E PANDORO (ARTIGIANALI)

Un grande classico delle feste è il panettone, il lievitato per eccellenza del Natale. Regalarlo non è mai banale. Il consiglio è di evitare la produzione industriale e di comprare l’artigianale di pasticceri, pizzaioli, panettieri e cuochi. Meno blasonato del panettone, forse solo perché più difficile da realizzare (ci riferiamo alla lievitazione), è il fratello senza uvetta e canditi, il pandoro. Quello artigianale è più raro, ma qualche pasticcere ha iniziato a produrlo. Che diventi il nuovo re delle feste?
Panettone classico Olivieri 1882, 900 g – 32 euro.
Panettone classico Colombo e Marzoli 1 kg – 28 euro.
Pandoro classico Olivieri 1882, 750 g – 29 euro.
Pandoro classico Panzera Milano 750 g – 24 euro.

Il Foie gras sarà apprezzato da ogni gourmand.

7. FOIE GRAS, SOLO PER INTENDITORI

Anche se non è propriamente etico, il fegato grasso d’oca è sempre un dono apprezzato per chi si professa gourmand. Il consiglio è di mangiarlo in purezza, magari sul pane (meglio pan brioche), o accompagnato a composte di frutti rossi.
Foie gras etico senza gavage Labourdette 125 g – 136,40 euro.
Foie gras de canard entier Lafitte 450 g – 57,50 euro.

8. LIQUORI MADE IN ITALY

Dopo un sontuoso banchetto non vuoi pulirti la bocca con un liquore, magari italiano? Ve ne proponiamo due: la Ratafià abruzzese, fatta con vino Montepulciano e amarene, e il vermut tradizionale torinese nella versione extra dry.
Ratafià Scuppoz 1 l – 27 euro.
La Canellese Vermut di Torino Extra dry 75 cl – 24 euro.

Rum e liquori sono un regalo per intenditori.

9. CHIUSURA ALCOLICA

Natale è soprattutto la festa della famiglia allargata e dei parenti. Ecco perché i regali alcolici non solo possono aiutare a superare le ore passate a tavola, ma fanno fare bella figura a patto che il destinatario sappia di cosa si stia parlando e ne riconosca il valore.
Distillato Mela Decio di Belfiore Capovilla 0, 50 l – 84 euro.
Rhum Vieux Agricole Horse d’Age Cuvée Homère Clément 0,70 l – 135 euro.

10. BIG GREEN EGG, IL BARBECUE OVUNQUE VUOI

Se avete poi molti soldi da spendere, un regalo coi fiocchi è il Big Green Egg, il barbecue a forma di uovo di ceramica per cucinare la carne ovunque: giardino, terrazza, balcone, campeggio. Sostenibile, permette di ottimizzare e rendere omogenea la cottura.
Big Green Egg Mini (diametro griglia 25 cm, area di cottura 507 cm²) – 850 euro.
Big Green Egg L (diametro 46 cm, area di cottura 1688 cm²) – 1.750 euro.

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Incidente tra bus e camion dell’Amsa a Milano

Un mezzo della linea 90 contro un camion dell'Amsa. Impatto fortissimo, numerosi feriti. La più grave è stata sbalzata fuori dal filobus.

Uno scontro tra un bus e un camion avvenuto la mattina del 7 dicembre in via Egisto Bezzi, a Milano, ha coinvolto 18 persone, di cui 12 in ospedale e altre sei curate sul posto, con la più grave finita in coma. Si tratta di una donna di 49 anni, passeggera sul filobus della linea 90, che è stata sbalzata dal mezzo dopo l’impatto ed è ricoverata in ospedale. Il conducente del bus, un uomo di 47 anni, secondo il 118 ha riportato un trauma cranico commotivo ma non è in condizioni gravi. Altre nove persone hanno subito contusioni e un’altra la sospetta frattura del femore.

SULLA 90 C’ERANO 15 PERSONE

Sul mezzo dell’Atm si trovavano 15 persone e l’autista di uno dei mezzi, per quanto cosciente, è rimasto incastrato nell’abitacolo. Il mezzo dell’Amsa, l’azienda municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti a Milano, è rimasto completamente distrutto. Il 118 che ha diffuso la notizia, ha dichiarato una maxiemergenza e ha inviato alcuni mezzi. Secondo quanto riferito dal 118, all’arrivo dei soccorritori una persona era in arresto cardiaco ed è stata rianimata sul posto e trasportata all’ospedale Sacco dove è in gravi condizioni. Altri quattro sono stati portati in ospedale e 12 sono in valutazione. Sul posto anche vigili del fuoco e agenti della Polizia locale.

BUS SBALZATO DALLA CORSIA PREFERENZIALE

L’impatto con il mezzo dell’Amsa sarebbe stato così forte che il filobus dell’Atm sarebbe stato sbalzato dalla corsia preferenziale su quella normale. È ancora da chiarire la dinamica dell’incidente che ha sconvolto il capoluogo lombardo nel giorno della festa del patrono Sant’Ambrogio.

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Cosa sappiamo della sparatoria nella base di Pensacola

Mohammed Saeed Alshamrani, sottotenente dell'aviazione saudita, era ospite della Naval Air Station in Florida per un programma di addestramento. Ha ucciso tre persone prima di essere neutralizzato.

Ha puntato la sua pistola e aperto il fuoco all’interno della Naval Air Station di Pensacola, in Florida, nella quale era ospitato per degli addestramenti speciali. A compiere l’attentato è stato uno studente di aviazione saudita, membro dell’esercito del Paese arabo, che è stato ucciso durante la sparatoria. L’uomo ha colpito a morte tre persone e ne ha ferite altre sette, tra cui i due agenti (non in pericolo di vita) che lo hanno neutralizzato. Ecco cosa sappiamo del fatto.

UN MEMBRO DELL’ESERCITO SAUDITA

L’autore della sparatoria, identiticato dai media Usa come sottotenente Mohammed Saeed Alshamrani, era un ufficiale dell’aviazione saudita che frequentava la scuola di volo alla base, uno delle centinaia di soldati stranieri che ricevono qui l’addestramento. Lo ha riportato la Cnn citando diverse fonti militari. Le autorità stanno indagando per accertare se si tratti di un fatto di terrorismo, ha riferito l’Ap. Sempre secondo la stessa agenzia era sotto terapia psicologica ed era scontento dei suoi comandanti.

HA USATO UNA PISTOLA

L’uomo, che ha usato una pistola, era in addestramento alla base da due anni e avrebbe dovuto concluderlo nell’agosto 2020. Il suo programma prevedeva l’inglese, le basi dell’aviazione e la fase iniziale del pilotaggio. L’addestramento era pagato da Riad.

AVEVA PUBBLICATO UN MANIFESTO ANTI-USA

Poco prima di aprire il fuoco, l’ufficiale aveva pubblicato su Twitter un breve manifesto in cui definiva gli Stati Uniti «la nazione del male». Lo ha riferito il Site, sito di monitoraggio del jihadismo online. «Sono contro il male e l’America nel suo insieme si è trasformata in una nazione malvagia», ha scritto il killer.

ARRESTATI SEI SAUDITI

Sei sauditi sono stati arrestati per essere interrogati. Lo riferisce il New York Times. In base a quanto scrive il quotidiano, tre dei sei fermati avrebbe filmato la sparatoria, ha riferito una persona informata sulle fasi iniziali dell’inchiesta.

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Workers Buyout, quando il riscatto è frenato dalla burocrazia

Dalla Italcables a Birrificio Messina fino ad Ar.Pa Lieviti. Sono una settantina le aziende in crisi salvate dai dipendenti. Ma i ritardi nell'erogazione della Naspi in un'unica soluzione a chi ne fa richiesta resta un problema.

I lavoratori salvano l’azienda. Diventandone titolari attraverso la creazione di una cooperativa. E così mandano avanti l’attività, trasformandosi di fatto in imprenditori, spesso di successo.

Non è una storia da film, ma le realtà realizzata in decine di casi in Italia. Dalla cartiera Pirinola di Cuneo alla Estesa di Catania, fino alla Ar.pa Lieviti di Bologna.

Talvolta sono nomi noti, come la Ideal Standard di Pordenone o la Birra Messina, in altri casi si tratta di piccole e medie imprese come la Ceramica Noi di Città di Castello, in Umbria, o la 3Elle di Imola. Certo, il risultato non è mai scontato ed è frutto di sacrificio e impegno.

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Solitamente i lavoratori ricorrono a questa soluzione quando l’azienda ha difficoltà a stare sul mercato a causa dei conti in rosso, oppure quando dopo l’uscita di scena del capo, manca un successore o un erede. Così i lavoratori non si danno per vinti e assicurano la continuità produttiva o il risanamento. C’è un dato che colpisce: quasi l’80% di queste realtà registra buoni risultati; solo il 20% non riesce a rilanciarsi. 

IN CINQUE ANNI SALVATI PIÙ DI 1.200 POSTI DI LAVORO

Tutto bene, quindi? Non proprio. I casi sono ancora troppo pochi rispetto alla potenzialità. In Italia sono state mappate almeno 70 workers buyout (Wbo), con più di 1.200 posti di lavoro salvati negli ultimi cinque anni dai diretti interessati. Si potrebbero avere ben altre cifre, visto che purtroppo ci sono migliaia di imprese che falliscono ogni anno. I motivi del percorso a rilento delle Wbo sono sostanzialmente la frammentazione legislativa e alcune volte la lentezza burocratica sulla liquidazione della Naspi in un’unica soluzione – come prevede una norma del Jobs Act – per chi vuole costituire una cooperativa

DA ZANARDI A MANCOOP, LE STORIE DI RISCATTO

E dire che sono numerosi i case history di successo. C’è la veneta Zanardi editoriale, per esempio. Nel 2014 il titolare dell’impresa si è tolto la vita, lasciando la società in grave difficoltà per debiti. La sfida è stata vinta grazie a 24 dipendenti che hanno investito nel progetto la loro mobilità e la cassa integrazione per una somma totale di 400 mila euro. Con il sostegno di altri finanziatori hanno tenuto in piedi l’impresa. Nel primo anno il fatturato è stato di 360 mila euro. Storie del genere non accadono solo al Nord, nonostante esistano delle disparità territoriali. La Mancoop di Latina è nata quattro anni fa quando 52 dipendenti hanno deciso di salvare la fabbrica di imballaggi passata, prima di andare in rosso, da una multinazionale a un fondo lussemburghese e quindi a un’altra multinazionale.

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IN EMILIA-ROMAGNA E TOSCANA VINCE LA CULTURA COOPERATIVA

In Umbria, altra regione flagellata dalla crisi economica, ci sono la Ternipan (ex Novelli) e la Sartoria Eugubina di Gubbio. L’ex Ceramisia di Città di Castello (Perugia) ha addirittura adottato lo slogan «tutti per uno, un sogno per tutti», cambiando il nome in Ceramica Noi. E il “sogno” è aver conservato il posto di lavoro grazie ai 180 mila euro messi insieme dai fondi per Tfr e Naspi. Da un punto di vista territoriale, Toscana ed Emilia-Romagna vantano maggiori casi di successo, potendo contare su una cultura cooperativa molto radicata. Nel primo caso le Wbo sono 10, nel secondo 19. Proprio a Bologna, di recente, c’è stata la rinascita della Ar.pa lieviti. Il proprietario Paolo Fantizzini, 78 anni, aveva deciso di vendere. Prima di rivolgere lo sguardo ad acquirenti esterni, ha avviato un percorso con i suoi lavoratori. Alla fine è rimasto come consigliere vista l’esperienza nel settore, mentre il comando è passato ai lavoratori-imprenditori. E le premesse sono ottime: per il 2019 sono stimati ricavi di 4 milioni di euro con un incremento del 10% del fatturato.

Lo staff del Birrificio Messina.

SICILIA, ISOLA FELICE DEL MEZZOGIORNO

Il divario con il Mezzogiorno è palese: la mappa delle Wbo è praticamente vuota tra Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia e Calabria. Due piccole oasi sono l’Italcables e la Nuova Ossigeno, entrambe a Napoli. Italcables, azienda siderurgica con sede a Caivano, ha superato la fase difficile grazie al coraggio dei lavoratori: ognuno ha messo a disposizione 25 mila euro, rischiando in proprio. I risultati stanno arrivando, anche se dalla cooperativa sono prudenti circa il futuro per evitare di fare il passo più lungo della gamba. La Sicilia può essere considerata un’Isola felice in questo contesto difficile: tra i sei case history c’è quello di Birra Messina, fondata nel 1923. Il marchio, finito sotto il controllo del colosso Heineken, era stato poi ceduto agli eredi della famiglia Faranda fondatrice del birrificio. Nel 2011, però, l’azienda decise di licenziare, fino a che nel 2014 un gruppo di lavoratori aprì una cooperativa. Oggi Birra Messina è distribuita anche all’estero e sono state immesse sul mercato delle varianti del prodotto.

COME NASCE IL WORKER BUYOUT

Oggi i lavoratori che intendono rilevare un’azienda in affanno devono costituire una coop (in materia stella polare è la Legge Marcora del 1985, poi modificata) e sottoscrivere le partecipazioni come soci. A loro sostegno possono esserci anche investitori istituzionali, come Cfi o Coopfond. Dal 2015 c’è un’altra possibilità: il lavoratore che ha i requisiti per la Naspi può richiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, della cifra che gli spetta. Questa procedura è legata alla presentazione di un progetto analizzato ed eventualmente validato. In quel caso la liquidazione viene versata per intero. 

LO SCOGLIO DEI TEMPI LENTI

Ma qui c’è l’inghippo: i tempi lenti. «È necessario accelerare le procedure amministrative dell’Inps affinché sia garantita in tempi celeri l’erogazione della Naspi in un’unica soluzione ai lavoratori che ne fanno richiesta e servono nuove misure di agevolazione che prevedano la detassazione del Tfr utilizzato dai lavoratori per costituire la nuova impresa», spiega a Lettera43.it la deputata del Movimento 5 stelle, Tiziana Ciprini che ha depositato una proposta di legge sul tema, sollecitando il governo con un’interrogazione alla ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, e al titolare del Mise, Stefano Patuanelli. «Lo strumento del worker buyout», aggiunge, «è potenzialmente molto forte in quanto attua una democrazia economica. Ma si tratta di una realtà ancora troppo poco conosciuta».

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L’Ok Boomer in realtà cancella i 40enni

Con questa espressione già diventata meme i giovanissimi chiedono un cambiamento radicale. Una ribellione che però può sfociare in un'inedita alleanza tra energia e competenze. Ma che non contempla né millennial né generazione X.

«Non ti fidare di chi ha più di 30 anni». Così metteva in guardia il movimento del ’68, per bocca di Jack Weinberg, attivista radicale del Free Speech Movement di Berkeley. Ma potremmo pure evocare «L’immaginazione al potere» e «Una risata vi seppellirà», ma solo per ricordare che le utopie giovanili devono sempre fare i conti con la forza del sistema. Che da sempre è in mano agli adulti. L’immagine di Greta Thunberg che parla all’Onu e incrocia Donald Trump è diventato un meme. Giusto per riferirsi a quello che tiene banco da una paio di settimane e che ha in «Ok Boomer» l’espressione con cui un adolescente, in un video diventato virale sul social cinese TikTok, risponde a chi definisce folle l’idealismo giovanile.

LA RICHIESTA DI UN CAMBIAMENTO SOSTANZIALE

Ma aggiunto che Ok Boomer si è subito trasformato in merchandising, giusto per ribadire che il business non fa sconti nemmeno agli ideali, ricorderemo che il conflitto generazionale non è una novità. È da 50 anni che va in onda, in un alternarsi di scoppi e di pacificazioni, anche se ora sembra riproporsi in una versione più arrabbiata. Per quanto ancora gentile, servita con la punta di ironia con cui la giovanissima deputata neozelandese Chlöe Swarbrick ha detto «Ok Boomer» al collega più anziano che ha interrotto il suo discorso sui cambiamenti climatici. Il Peace and Love di sessantottesca memoria, al pari dello spirito new age e Grunge di fine secolo o della composta rassegnazione con cui giovani e giovanissimi hanno risposto negli ultimi anni a chi li ha definiti “generazione sdraiata” o Choosy, sta lasciando il posto a una combattiva richiesta di cambiamenti sostanziali

GENERAZIONE Z CONTRO BOOMER

I baby boomer sono i principali accusati. Visti dalla generazione Z, come quelli che hanno «munto la mucca sino a ridurla quasi a secco», per usare la metafora di Time. Nonni e padri che lasciano a figli e nipoti un Pianeta surriscaldato, un’economia a rotoli, un sistema finanziario rapace, uno stato sociale sempre più in difficoltà a garantire il presente e ancor più il futuro.

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Tuttavia questo conflitto, per ritornare sulle considerazioni della volta scorsa sull’auspicabile alleanza fra Sardine e Draghi, cioè fra energia e entusiasmo mixato a competenza e autorevolezza, ha una particolarità. Non solo di suggerire una versione positiva e propositiva di «Ok Boomer», cioè un’alleanza fra generazioni estreme per un cambiamento reale, ma anche di evidenziare come le generazioni di mezzo (30-50 e in particolare i 40enni) siano assenti. Apparentemente, almeno, non interessate a trasformazioni forti, dunque sostanziali e sistemiche. 

I 40ENNI SONO NATIVI CONSUMISTI

Devo però fare due premesse. Quando parlo di boomer disponibili a sostenere progetti di radicali cambiamenti, mi riferisco a 60enni e oltre dallo spirito evergreen e con competenze riconosciute. Cioè credibili e autorevoli come mentori e registi di un processo lasciato interamente nelle mani delle giovani generazioni. E questi boomer sapiens sono una minoranza nella loro classe d’età. Soprattutto in Italia. Quando viceversa mi riferisco ai 30/50enni ho in mente una classe d’età che, certo con eccezioni, non ha le sensibilità e abilità della gen Z e nemmeno l’esperienza e le carriere professionali dei boomer. Soprattutto i 40enni non sono nativi digitali bensì nativi consumisti.

I 30 e 50enni, con eccezioni, non hanno le abilità della gen Z e nemmeno l’esperienza dei boomer. E i 40enni non sono nativi digitali bensì nativi consumisti

Sono cioè cresciuti in una società dei consumi matura, anzi opulenta. Hanno avuto molto in termini di gratificazioni economiche, ma hanno coltivato attese eccessive. Nel contempo che sono cresciuti in un contesto sociale spoliticizzato: sempre meno caratterizzato dalla presenza dei partiti e sempre più illuminato dalla tivù e dalla pubblicità. Generazione X, compresa fra il 1961 e il 1980, e millenial (1981- 1995) sono, sia pure in modo diverso, vittime della fase post-moderna, segnata dalla fine delle Grandi Narrazioni, ovvero delle ideologie e delle appartenenze forti. Generazioni di passaggio, in transito: dalla tivù a internet, dal sogno americano (ricchi, felici e realizzati) all’incubo della “generazione mille euro”. Mi spezzo ma non mi impiego è il titolo del romanzo di Antonio Bajani che ha raccontato le vite giovanili in stile Ikea.

UNA GENERAZIONE SOSPESA

In Italia questa “generazione sospesa” ha prodotto e non poteva che produrre poco o niente sul piano dell’innovazione. Scivolando spesso nell’antipolitica: attratta dalle piazze del Vaffa Day, dalla promessa  di rottamazioni mai avvenute, da annunciate successioni ancora da venire, leadership di giornata e nuovi partiti sfidanti la vanagloria. Scorrono le immagini bipartisan dei 30-40 enni dell’ultimo decennio.

Sorprende che la gen Z sia molto più vicina e simile alle generazioni che hanno costruito l’attuale benessere e non a quelle che lo hanno solo sfruttato

Angelino Alfano, Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Roberto Speranza, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giovanni Toti, Carlo Calenda. È con questi che la politica è diventata meme, selfie, streaming, twitteria da barbieri. Sovente una pagliacciata, ma che in Italia spesso annuncia guai seri. Si ride amaro infatti di fronte a chi annuncia che «la povertà è stata abolita» per decreto, che la magistratura sta dando la caccia «non al mostro ma al senatore di Scandicci», che l’Emilia-Romagna deve essere «liberata dal comunismo».

IL RISCATTO DEI GIOVANISSIMI

Ma se è vero che a tutto c’è un limite, al punto più basso e disperante della politica italiana accade quel che nessuno s’aspettava e men che mai aveva osato sperare. Che giovani e giovanissimi perlopiù, la generazione Z, scendesse e scenda ogni volta più numerosa, in piazza, riprendendo il filo di una comunicazione intergenerazionale interrotta da tempo. Da quando diventar grandi, ovvero la socializzazione politica, era garantita dalla trasmissione di valori e pratiche fra classi d’età contigue: erano i fratelli maggiori e i loro amici a introdurre i più giovani alla vita politica e partitica. Ed erano i più vecchi i garanti di un progressivo passare di consegne, che riguardava anche l’accesso ai ruoli dirigenti.

C’è chi paragona la gen Z alla Silent generation, nata fra il il 1928 e il 1945. Entrambe tendono a valorizzare i legami familiari, a essere avverse al rischio e ottimiste. Forse perché cresciute in periodi di declino economico

Era una dialettica, anche di potere e non solo fra generazioni, che alimentava una società nella quale il sistema delle attese e delle ricompense era in equilibrio. Il progressivo allargamento del ceto medio, sino a comprendere i due terzi della società, con le relative opportunità di lavoro e reddito garantite più o meno a tutti in modo abbastanza uniforme, ne è stata la felice espressione.

UNA QUESTIONE DI FIDUCIA

Ora non si tratta di vagheggiare quel tempo e quella società. Però sorprende ed è beneaugurante che la gen Z sia molto più vicina e simile alle generazioni che hanno costruito l’attuale benessere che non a quelle che lo hanno solo sfruttato. Ci sono numerose ricerche che evidenziano i molti punti valoriali che i 20enni d’oggi hanno in comune con i loro nonni, con la carica ideale che è stata dei figli del boom. Addirittura c’è chi si spinge ancor più indietro paragonando la gen Z alla Silent generation, nata fra il il 1928 e il 1945. Entrambi i gruppi tendono infatti a valorizzare i legami familiari, a essere avversi al rischio, parsimoniosi e ottimisti, forse perché cresciuti in periodi di pesante declino economico. Ecco allora che si può concludere rovesciando il presupposto iniziale sotteso all’Ok Boomer: chi ha 20 anni può fidarsi di chi ne ha più di 60. A patto ovviamente che siano stati ben spesi. E confermino quel che ha scritto Ernest Hemingway: «I vecchi non sono più saggi, sono solo più attenti».

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