Nei primi tre mesi del 2020 tariffe della luce in calo del 5,4%, gas a +0,8

L'annuncio dell'autorità per l'energia: su base annua «il risparmio per la famiglia tipo è di circa 125 euro».

Dal primo gennaio e per il primo trimestre 2020, l’Autorità per l’Energia annuncia un calo delle tariffe della luce del 5,4% e un aumento dello 0,8% di quelle del gas. Provvedimenti dovuti al ‘forte calo del fabbisogno per gli oneri generali, al contenimento delle tariffe regolate di rete e alle basse quotazioni delle materie prime nei mercati all’ingrosso. «Nei 12 mesi da aprile 2019 a marzo 2020, il risparmio complessivo per la famiglia tipo per elettricità e gas è di circa 125 euro».

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Paragone fa l’elenco degli M5s che non versano i rimborsi

Il senatore punta il dito contro Ruocco, Catalfo, Dadone, D'Uva. E molti altri. «Il capo politico ha fatto finta di non sapere».

Non ci sta, Gianluigi Paragone, a farsi giudicare per una eventuale espulsione dal Movimento Cinque stelle. E in un video pubblicato su Facebook se la prende con tutti, con la ministra Fabiana Dadone chiamata a valutare il suo comportamento nei confronti del partito in qualità di probiviro e con tutti quelli che stanno nel Movimento senza versare i rimborsi. E li nomina uno per uno.

«DADONE IN CONFLITTO DI INTERESSE»

«A proposito di probiviri, la onorevole e ministro Fabiana Dadone che è ‘probiviro’ dovrà giudicarmi, ma è in conflitto di interesse, oltre ad essere incompatibile, perché non si può essere proboviro e ministro.. Ma soprattutto: la sue restituzioni sono ferme a 5 mensilità.. gliene mancano un bel pò!», ha attaccato Paragone, annunciando: «Allora, figlia mia, dovrai giudicare anche su te stessa perché io, se non ti metti in regola, sarò costretto a farti un esposto per chiedere l’espulsione dal gruppo perché io, invece, ho pagato e rendicontato tutto».

« IL CAPO POLITICO HA FATTO FINTA DI NON SAPERE»

Il senatore poi ha allargato il campo delle accuse: «Io rischio di essere espulso dal gruppo perché ho detto No e visto che ai probiviri piace il rispetto delle regole è giusto che anche io chieda il loro intervento: tra quelli che non sono in regola con i pagamenti ci sono ministri, presidenti di commissione… Mi sono rotto le scatole della gente che predica bene e razzola male!». E giù a fare l’appello nome per nome: Tutti lo sapevano. C’è gente che dall’inizio dell’anno non ha rendicontato nulla: Acunzo, Aprile, Cappellani, Del Grosso, Dieni, Fioramonti, che lo hanno anche fatto ministro, e poi Frate, Galizia, Grande, Lapia, Romano, Vacca, Vallascas, Giarrusso: lo sapevano tutti perché su Rendiconto c’è tutto e loro non hanno rendicontato nulla e allora il capo politico dov’è? Ha fatto finta di non sapere…».

«SEGNALERÒ TUTTI QUELLI SOTTO I SEI MESI»

Poi, continua il senatore, «tra chi ha pagato poco ho il piacere di segnalare la Nesci, che si voleva candidare in Calabria e soprattutto Carla Ruocco, presidente della Commissione Finanze e che vuole andare a fare la presidente della Commissione di inchiesta sulle banche: è ferma solo a tre mensilità. Poi c’è il ministro del lavoro Nunzia Catalfo, che è ferma a due mesi; è importante che proprio loro si mettano in regola”. Paragone cita poi anche quelli che hanno rendicontato “proprio tutto” e, tra i vari, cita anche Lucia Azzolina e Francesco D’Uva.. E conclude: «sarà mia premura segnalare ai probiviri tutti quelli che sono sotto i sei mesi».

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Dal primo gennaio stop alla prescrizione: le cose da sapere

Il Pd propone una sospensione dei tempi di due anni per l'appello e di un anno dopo la Cassazione. Cosa cambia.

Mitigare ad un livello «fisiologico» lo stop alla prescrizione, che il governo ha invece abolito da inizio 2020: è l’obiettivo della proposta di legge presentata in parlamento dal Pd. Ecco un quadro della situazione.

CHE COSA È LA PRESCRIZIONE

La prescrizione prevede che un reato sia estinto, dunque che il relativo processo penale che lo riguarda abbia fine, «decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria». Dunque, trascorso un certo periodo, il reato non può più essere perseguito, e chi è sospettato di averlo commesso non è più processato. Ciò in base alla convinzione che, passato un determinato numero di anni, non sia più nell’interesse della comunità perseguire alcuni reati oppure non ci siano più le condizioni per farlo. Fanno eccezione i reati di particolare gravità, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.

LA NORMA DELLO ‘SPAZZACORROTTI’

In base a quanto previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti, dal primo gennaio 2020, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado. Ciò accadrà sia in caso di condanna che di assoluzione.

LA PROPOSTA DEL PD

I dem propongono una sospensione dei tempi della prescrizione di due anni per l’appello e di un anno dopo la Cassazione, ai quali si possono aggiungere altri sei mesi se c’è il rinnovo dell’istruzione dibattimentale, per un totale di 3 anni e sei mesi. Il Pd lega la sua proposta al fatto che è in appello che oggi si prescrive il numero dei reati, mentre è trascurabile il loro numero in Cassazione.

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Facebook spiega ai giudici che CasaPound è «odio organizzato»

Il social network ha presentato un reclamo contro l'ordinanza del tribunale di Roma che aveva chiesto di riattivare l'account del movimento neofascista: «Abbiamo una policy sulle organizzazioni pericolose».

Facebook ha presentato un reclamo contro l‘ordinanza del Tribunale di Roma che il 12 dicembre scorso aveva ordinato al social di riattivare gli account di CasaPound. «Ci sono prove concrete che CasaPound sia stata impegnata in odio organizzato e che abbia ripetutamente violato le nostre regole. Per questo motivo abbiamo presentato reclamo», fa sapere un portavoce di Facebook.

«ABBIAMO UNA POLICY SULLE ORGANIZZAZIONI PERICOLOSE»

«Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in ‘odio organizzato’ di utilizzare i nostri servizi», ha dichiarato il portavoce di Facebook.

«LE REGOLE VALGONO AL DI LÁ DELLA IDEOLOGIA»

«Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Il reclamo di Facebook è contro l’ordinanza con cui il 12 dicembre il tribunale civile di Roma ha ordinato al social network la riattivazione immediata della pagina Facebook di CasaPound, oltre che del profilo personale e della pagina pubblica dell’amministratore Davide Di Stefano. Tali account erano stati disattivati da Facebook il 9 settembre.

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Tensione alle stelle tra l’editore Mainetti e il Foglio

Il proprietario del quotidiano prende le distanze dalla battaglia tra redazione e il Dipartimento per l'Editoria, con il quale è in buoni rapporti. Una vendetta per la divergenza di opinioni con la direzione sui governi Conte.

L’editore del Foglio Valter Mainetti prende le distanze dalla battaglia sui contributi pubblici tra la testata e il governo che rischia di portare alla chiusura del giornale fondato da Giuliano Ferrara. Un articolo molto informato di Primaonline racconta come l’immobiliarista editore, in scontro aperto con la redazione, consideri gli accertamenti della Guardia di Finanza come un problema non lo riguarda, perché sono relativi a 6 milioni di contributi versati al giornale nel 2009 e 2010, anni in cui lui non ne era ancora diventato proprietario.

MAINETTI IN BUONI RAPPORTI CON IL DIPARTIMENTO PER L’EDITORIA

Una presa di distanze dovuta anche, secondo le indiscrezioni, al fatto che la direzione del Foglio non l’abbia avvisato prima di sferrare alla vigilia di Natale il suo attacco al governo, e in particolare al Dipartimento per l’Editoria con il quale Mainetti sarebbe in buoni rapporti.

LA VENDETTA PER UN VECCHIO CONTRO-EDITORIALE DELLA DIREZIONE

Un «cavatevela da soli» che suona anche come una vendetta servita fredda per un contro editoriale pubblicato dal Foglio e titolato “La voce del padrone” in cui la redazione si dissociava da un intervento di Mainetti sul quotidiano diretti da Claudio Cerasa a favore del Conte I. Una ferita apertasi nel giornale tra proprietario e direzione nel giugno 2018 che da allora non si è mai rimarginata.

MAINETTI PROPRIETARIO DAL 2016

La società di Mainetti, spiega Primaonline, «ha acquisito il completo controllo della società proprietaria del Foglio solo nel 2016, mentre all’epoca delle contestazioni della Guardia di Finanza le quote appartenevano ancora a Veronica Lario (38%), all’imprenditore Sergio Zancheddu (25%), a Denis Verdini (15%), a Giuliano Ferrara (10 %) e allo stampatore Luca Colasanto (10%)». 

TOTALE AUTONOMIA DEL GIORNALE RISPETTO ALLA PROPRIETÀ

Da quando l’immobiliarista è diventato proprietario, continua il giornale online, «il rapporto con ‘Il Foglio Quotidiano società cooperativa’ (…) editore e destinataria dei contributi statali, è regolato da un dettagliato contratto di affitto per la pubblicazione della testata (…) che prevede a fronte di un ‘canone’ anche la totale autonomia, tanto nella gestione economica che nella linea politica».

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Come i Paesi europei gestiscono la fine delle concessioni per le autostrade

Francia, Spagna e Portogallo dimostrano che gli indennizzi sono molto diversi in caso di ritiro o di inadempienza. E il governo italiano dovrebbe fare la differenza.

Nei giorni in cui il governo valuta la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia e la modifica delle condizioni di indennizzo previste dal contratto e la società risponde promettendo battaglia legale, viene da chiedersi come si comportino negli altri Paesi europei.

IL CONFRONTO CON FRANCIA, SPAGNA E PORTOGALLO

Tra le nazioni dell’Ue Francia, Spagna e Portogallo hanno un sistema di concessioni simile a quello italiano ed un simile sistema di calcolo degli indennizzi. Ecco, allora, cosa succede oltre confine secondo uno studio della società di analisi Brattle che ha preso in considerazione 21 concessionarie nei tre paesi.

IN CASO DI RECESSO, REVOCA O RISOLUZIONE

In Francia, è previsto un indennizzo pari a valore attualizzato dei flussi di cassa previsti al netto delle imposte per la durata della concessione; in Spagna invece un indennizzo pari al valore attualizzato dei flussi di cassa netti futuri e la perdita di valore di attrezzature che non devono essere riconsegnate al concedente, al netto dell‘ammortamento; in Portogallo negli ultimi cinque anni della concessione, indennizzo pari ad un pagamento annuale pari alla media dei ricavi operativi netti nei sette anni prima della revoca, in aggiunta al valore delle opere eseguite in seguito alla revoca, ridotto di 1/7 per ogni anno trascorso dal completamento.

IN CASO DI REVOCA PER INADEMPIMENTO

In Francia valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del Mol e investimenti previsti attualizzati. In caso di mancata assegnazione, subentra lo Stato senza alcun indennizzo; in Spagna valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base dei flussi di cassa operativi attualizzati. In caso di mancata assegnazione, nuova asta con base dimezzata; in Portogallo valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del valore degli asset stabilito da un comitato composto da tre esperti. In caso di mancata assegnazione subentra lo Stato senza alcun indennizzo.



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La Turchia a un passo dal mandare l’esercito in Libia

Il parlamento di Ankara voterà una mozione a inizio gennaio per autorizzare l'invio delle truppe a sostegno di Tripoli.

Le Forze armate turche sono pronte a un possibile impegno in Libia a sostegno del governo di Tripoli contro le forze del generale Khalifa Haftar, come richiesto dal presidente Recep Tayyip Erdogan. L’esercito è «pronto a svolgere qualsiasi compito in patria e all’estero», ha dichiarato la sua portavoce Nadide Sebnem Aktop, durante la conferenza stampa di fine anno. Il parlamento di Ankara voterà una mozione che autorizza l’invio delle truppe dopo la riapertura al termine della pausa di fine anno, il prossimo 7 gennaio.

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Secondo l’Abi le banche hanno ridotto i crediti deteriorati del 60% in 4 anni

L'associazione presieduta da Patuelli stima che il totale dei Non performing loans (Npl) alla fine dell'anno sarà sotto gli 80 miliardi, contro gli 84 di giugno e i 197 miliardi di fine 2015.

L‘associazione bancaria italiana ha stimato una riduzione dei crediti deteriorati in pancia alle banche italiane pari al 60% in quattro anni. Secondo la stima dell‘Abi, emersa durante la conference call sul rapporto stilato con Cerved sulla riduzione del tasso di deterioramento del
credito delle imprese, il totale dei Non performing loans (Npl) alla fine dell’anno sarà sotto gli 80 miliardi, contro gli 84 di giugno e i 197 miliardi
di fine 2015. Il processo, è stato spiegato, «è stato favorito dalle operazioni di cessione e dal calo dei flussi di nuovi crediti deteriorati».

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Di Maio insiste: «Nel 2020 stop ad Autostrade, concessioni affidate a Anas»

Il leader del M5s nega che il costo dell'operazione possa essere di 23 miliardi: «Un'enorme sciocchezza»

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è tornato a dare battaglia sul nodo delle concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia. «Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l’affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali. Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo.
Non solo a loro, ma a tutto il Paese», ha scritto su Facebook il leader
del M5S Di Maio. Il ministro ha anche definito una «enorme sciocchezza» il fatto che la revoca costi 23 miliardi allo Stato.

Il messaggio postato da Luigi Di Maio il 27 dicembre ANSA / Facebook

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Google Pay a disposizione dei clienti Intesa Sanpaolo

Si completa l'offerta delle soluzioni di pagamento in mobilità. La piattaforma è fruibile su tutte le carte di credito, le carte prepagate e le carte di debito con circuito internazionale emesse dal Gruppo.

Google Pay diventa disponibile per tutti i clienti Intesa Sanpaolo possessori di dispositivi Android. Con la novità fruibile dal 27 dicembre si completa dunque l’ampia proposta delle soluzioni che consentono i pagamenti in mobilità in modo semplice, veloce, sicuro e a costo zero. L’esperienza di attivazione di Google Pay è immediata e in completa sicurezza, grazie all’app Intesa Sanpaolo Mobile.

Già diffuso a livello internazionale, Google Pay è compatibile per i pagamenti su tutti i Pos contactless ed è utilizzabile anche su numerose app e siti web per gli acquisti online. È disponibile su tutte le carte di credito, le carte prepagate e le carte di debito con circuito internazionale emesse dal Gruppo Intesa Sanpaolo. Completata quindi l’offerta delle soluzioni di pagamento digitale con tecnologia NFC (Near Field Communication) che la banca mette a disposizione dei propri clienti.

Grazie alla nuova partnership con Google, Intesa Sanpaolo annovera nel proprio “catalogo” di offerta tutte le principali e innovative soluzioni di pagamento tramite smartphone e/o wearable disponibili sul mercato, offrendo ai propri clienti la possibilità di gestirle direttamente da XME Pay, il portafoglio digitale nell’app Intesa Sanpaolo Mobile. «L’accordo con Google Pay rende familiare il pagamento via smartphone a un pubblico sempre più vasto» – spiega Andrea Lecce, responsabile Direzione Sales and Marketing Privati e Aziende Retail – «Con il lancio di Google Pay, diamo l’opportunità ai tantissimi nostri clienti possessori di un device Android di disporre di un ulteriore strumento di pagamento all’avanguardia, per fare acquisti nei negozi e on line, con un’esperienza di attivazione e di uso veloce, semplice e sicura».

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Fioramonti e la risposta polemica alle critiche M5s

L'ex ministro al contrattacco dopo le dimissioni: «Stupiscono critiche dai vertici, sistema dei rimborsi poco trasparente».

«Mi stupisce che tante voci della leadership del M5s mi stiano attaccando. E per che cosa? Per aver fatto solo ciò che ho sempre detto». È quanto afferma in un lungo post su Facebook l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, rispondendo alle critiche arrivate dai cinque stelle dopo la sua decisione di lasciare il governo.

«CRITICATO PER AVER FATTO CIÒ CHE AVEVO ANNUNCIATO»

«Credo che sia la prima volta nella storia del nostro Paese che un ministro venga criticato perché ha fatto ciò che aveva annunciato. Non da giorni, ma da mesi. Io sono così: se una cosa la dico poi la faccio e per questo ho lottato senza sosta, anche da ministro, per porre la questione nel governo», ha detto Fioramonti, ricordando che le prime interviste in cui annunciò che si sarebbe dimesso se non avesse trovato almeno un miliardo per la ricerca risalgono a giugno prima sul Fatto Quotidiano e poi su La Verità, quando era ancora viceministro del governo Conte uno.

«SISTEMA DEI RIMBORSI FARRAGINOSO E POCO TRASPARENTE»

«Non possono mancare le solite polemiche sui rimborsi», ha aggiunto Fioramonti. «In tanti, nel Movimento, abbiamo contestato un sistema farraginoso e poco trasparente di rendicontazione». E ancora: «Dopo aver restituito puntualmente per un anno, come altri colleghi, ho continuato a versare nel conto del Bilancio dello Stato e le mie ultime restituzioni saranno donate sul conto del Tecnopolo Mediterraneo per lo Sviluppo Sostenibile, un centro di ricerca pubblico che, da viceministro prima e da ministro poi, ho promosso a Taranto, una città deturpata da un modello di sviluppo sbagliato. Ed invito anche altri parlamentari M5s a fare lo stesso, non appena il conto sarà attivo».

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I testimonial delle banche sanno cosa pubblicizzano?

Tanti personaggi di cultura, spettacolo e sport sono chiamati a fare spot per brand o prodotti finanziari. Senza pensare agli effetti della cattiva reputazione di alcuni istituti di credito coinvolti in scandali e default. Questione di etica, troppo spesso trascurata.

Mi sono sempre chiesto, guardando gli spot pubblicitari di banche e società finanziarie, quanto e cosa sapessero di quell’azienda o di quel prodotto i personaggi del mondo della cultura, informazione, spettacolo e sport chiamati a fare i testimonial. Probabilmente nulla. Come la maggior degli italiani, tra l’altro, che in termini di informazione e cultura finanziaria sono tra i meno preparati rispetto ai cittadini dell’Unione europea e in generale di altri Paesi avanzati.

SPESSO AVVIENE UNA SIMBIOSI TRA BRAND E PERSONAGGIO

Una cosa è certa: il testimonial viene scelto per rappresentare un brand. Il marchio, a cui si associa il personaggio-persona fisica che lo pubblicizza, deve rispecchiarsi nel testimonial e viceversa. Si assiste, molto spesso, a una simbiosi tra brand e persona. Talmente forte che i contratti che di solito regolano questo tipo di pubblicità possono prevedere clausole e obblighi comportamentali che devono essere rispettati dal testimonial anche nella vita privata. Perché il personaggio famoso ha delle responsabilità ben precise che riguardano anche la vita privata, nei confronti dei suoi fan e del brand che pubblicizza.

NEI CONTRATTI CI SONO PURE CLAUSOLE MORALI

All’interno dei contratti ci sono molto spesso anche le cosiddette clausole morali. In altri termini la celebrity ha l’obbligo, per esempio, di mantenere nella vita privata comportamenti eticamente corretti oppure di non rilasciare dichiarazioni che in un certo qual modo possano incidere negativamente sulla reputazione dell’azienda.

I TESTIMONIAL SI TUTELANO DALLA BAD REPUTATION DI UNA BANCA?

Ma, in termini di responsabilità, è garantita la reciprocità? Cioè i vip si sono mai preoccupati di tutelarsi dai rischi derivanti dalla bad reputation del brand bancario o del prodotto finanziario? Sono convinto che il simpaticissimo Nino Frassica non sia assolutamente consapevole del fatto che, pubblicizzando una carta di credito revolving (carta Easy di Compass) stia spingendo i cittadini ignari verso un certo tipo di prodotto (tasso medio circa 16%; soglia usura del 24%) e in una spirale di pagamenti imposti prima di poter sancire la chiusura del debito.

PROPAGANDA CHE ARRIVA ANCHE DALL’INFORMAZIONE

Non solo, ma nei miei 22 anni di permanenza in quel sistema mi sono spesso imbattuto in famosi e gloriosi personaggi del mondo dell’informazione che partecipavano, retribuiti profumatamente, a convention aziendali dove si magnificavano i comportamenti virtuosi del management (di banche poi coinvolte in scandali e default). Ho ascoltato peana che la propaganda della Romania di Ceausescu al confronto sembrava ridicola.

NON BASTA L’ONESTÀ, SERVE ANCHE L’ETICA

Quello che stona, però, è che poi molti personaggi spesso vanno in televisione a fare i moralizzatori del sistema-Paese nel rispetto di una etica dei comportamenti che riguarda però… sempre gli altri. Etica, che parolone. E soprattutto che abuso improprio nel nostro Paese. Spesso confusa con il concetto di onestà. Senza voler scomodare filosofi e sacre scritture, forse è il caso di ricordare semplicisticamente che una persona onesta è «quella che non ruba» mentre una persona orientata a vivere secondo principi etici è «quella che non solo non ruba, ma che se vede un altro rubare lo denuncia». Intendendo come denuncia anche la capacità di dire no a un’agenzia pubblicitaria.

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Gli sviluppi dell’incidente di Roma tra dubbi su domiciliari ed effetto degli stupefacenti

Genovese agli arresti con l'accusa di omicidio stradale plurimo. Ma per il Gip le sostanze trovate nel sangue potrebbero essere state assunte in un'epoca precedente. Chiesa gremita per i funerali a Roma di Gaia e Camilla.

Omicidio stradale plurimo. Questa l’accusa con cui è stato arrestato il 20enne che era alla guida dell’auto che, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre ha travolto e ucciso le due 16enni Gaia e Camilla a Corso Francia, a Roma. Pietro Genovese, figlio del regista Paolo, è ora ai domiciliari, misura giudicata sin troppo lieve dai familiari delle vittime, L’ordinanza gli è stata notificata al termine dei primi accertamenti condotti dalla polizia locale di Roma Capitale e in base alla relazione trasmessa alla procura. La posizione del ragazzo si era aggravata già immediatamente dopo l’incidente mortale costato la vita alle due giovani. Le analisi alle quali era stato sottoposto, infatti, avevano rivelato un tasso alcolemico tre volte superiore al consentito e tracce di sostanze stupefacenti.

GLI STUPEFACENTI FORSE ASSUNTI IN UN’ALTRO PERIODO

Eppure, proprio queste tracce non sono sufficienti a dimostrare che Genovese la fosse alla guida sotto effetto di quelle sostanze. È questo il ragionamento fatto dal Gip di Roma per escludere nei confronti del 20enne l’aggravante dell’alterazione psicofisica dovuta all’uso di stupefacenti. Per il giudice «le sostanze riscontrate, sebbene presenti, ben potevano essere state assunte dal Genovese in epoca precedente».

CHIESA GREMITA PER I FUNERALI DI GAIA E CAMILLA

Intanto, in una chiesa gremita di Collina Fleming gremita si sono tenuti i funerali di Gaia e Camilla. Tantissimi i ragazzi presenti, con decine le corone di fiori per le due amiche. Sul luogo dell’incidente è stato affisso uno striscione “Ciao angeli”. «Da giorni ci chiediamo il perché. Ci interroghiamo sull’insensatezza di quanto accaduto. Brancoliamo nel buio», ha detto il sacerdote nel corso delle esequie. « Ecco quello di oggi è il grande abbraccio che diamo ai genitori di Gaia e Camilla, in questa ora così buia». E ancora parole forti nell’omelia di don Matteo: «Il senso della vita, lo aveva chiesto giorni fa Camilla alla sua famiglia. Ecco, magari quando sei sbronzo o sei fatto ti metti a guidare? Questa è la vita? In fondo ci sentiamo onnipotenti e poi non riusciamo a seguire le regole base della convivenza. Ci riscopriamo tutti un po’ palloni gonfiati. Il senso della vita non è bere e fumarsela».

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Incredibile che la sinistra tema gente come Borgonzoni, Santelli e Fitto

La candidata leghista in Emilia-Romagna non verrà votata nemmeno da suo padre, quella calabrese è assediata pure dai compagni di Forza Italia, l'ex enfant prodige pugliese sa di minestra riscaldata. Il problema è che dall'altra parte Bonaccini, Callipo ed Emiliano non sono così validi, anzi. Ditelo che volete morire.

I candidati della destra per la presidenza di Emilia-Romagna, Puglia e Calabria sono debolissimi. Lucia Borgonzoni è da anni inconsapevolmente in politica nelle fila di una Lega che, crescendo in voti, le ha dato una popolarità che di suo non sarebbe stata capace di guadagnare. Jole Santelli è stata una vivacissima parlamentare calabrese di Forza Italia, ma mai è riuscita a entrare nella top ten delle gradite del Cavaliere. Raffaele Fitto è un ex enfant prodige pugliese, democristianissimo, poi molto berlusconiano e infine meloniano, autore cioè di una serie di strappi nel suo elettorato che non possono non aver lasciate ferite sul campo. Ma, soprattutto, già presidente della Regione Puglia, mai rimpianto.

UNA SINISTRA NORMALE LI BATTEREBBE TUTTI FACILMENTE

Chi per manifesta inadeguatezza – la Borgonzoni -, chi è assediata dai compagni di partito ostili – la Santelli – chi rappresenta il “rieccolo”, i tre mostrano una destra priva di idee e di personaggi nuovi. Una sinistra normale li batterebbe facilmente. Ma c’è una sinistra normale di fronte a Borgonzoni, Santelli e Fitto?

BONACCINI E QUELLA BATTAGLIA PERSONALE

L’attuale governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini combatte una battaglia che ha voluto far diventare personale togliendo simboli di partito. Dicono che abbia fatto bene, certo non ha sfondato il muro dell’Emilia-Romagna a differenza di tutti, dicesi tutti, i suoi predecessori. È tuttavia, per comune riconoscimento, un buon amministratore anche se resta incomprensibile perché mai stia accadendo, se i sondaggi non ingannano, che viva con grandi patemi d’animo la concorrenza di una candidata che neppure suo padre voterà.

CALLIPO BRAVO IMPRENDITORE, MA DI DESTRA

Pippo Callipo, il candidato di sinistra per la Regione Calabria, non è di sinistra. La sinistra è ormai fuori moda, ce ne occupiamo in pochi appassionati, tuttavia resta tenace, come un segreto di Fatima, per quale ragione la gente di sinistra di una regione disperata debba infine votare per un imprenditore, bravo per carità, che è di destra.

Jole Santelli, candidata del centrodestra in Calabria. (Ansa)

CANDIDARE EMILIANO È DIRE ALLA PUGLIA CHE È CONDANNATA

Fitto è una minestra riscaldata ma, purtroppo, lo è anche Michele Emiliano se sarà lui a vincere le Primarie pugliesi. È singolare come la sinistra non si accorga mai quando è arrivato il momento di cambiare, di mostrare un altro volto. Votare due reperti come Fitto o Emiliano è dire alla Puglia, afflitta dalla Xylella, dal caso Ilva, dallo scandalo bancario della Popolare di Bari, che è condannata.

Silvio Berlusconi con Raffaele Fitto.

NON FACCIAMO RIAVVICINARE SALVINI A PALAZZO CHIGI

Accadrà così che un appuntamento elettorale che avrebbe potuto portare solo delusioni a Matteo Salvini (che a giudicare da certe foto ha ripreso a gonfiarsi di birra), si potrebbe risolvere in un suo successo e quindi nel suo riavvicinamento a Palazzo Chigi per fare i soliti danni. È tutto qui il dramma della sinistra: nascono e muoiono i cinque stelle, Salvini si inventa la Lega nazionalista, Giorgia Meloni va al 10%, oggi addirittura nascono le benedette sardine, ma a sinistra si mettono in campo sempre i soliti o gente che non c’entra niente con la sinistra. E allora ditelo che volete morire!

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Cosa cambia dopo la sentenza della Cassazione sulla coltivazione della cannabis

Non sarà più reato l'attività finalizzata all'uso personale e alla produzione in quantità minima. La pronuncia che ribalta i precedenti pareri della Consulta.

Non sarà più reato coltivare in casa la cannabis, il tutto beninteso se in quantità minima e solo per uso personale: è quanto hanno deciso le Sezioni unite penali della Cassazione con una pronuncia che è destinata a non passare inosservata. Secondo gli ‘ermellini’, che hanno preso la decisione il 19 dicembre scorso, «non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica». Se, raccomandano, «lo scarso numero di piante e il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale».

I PRECEDENTI PARERI DELLA CONSULTA

Su questo tema in passato la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte, stabilendo in linea di principio che la coltivazione della cannabis costituisce sempre un reato, al di là della quantità, dall’uso personale che se ne può fare e dalla presenza dei cosiddetti principi attivi. Su quest’ultimo aspetto la Consulta ha sottolineato infatti il pericolo, sotto il profilo della salute, a cui possono andare incontro gli utilizzatori, nonché la creazione «potenziale di più occasioni di spaccio di droga». E finora proprio a questo principio si era uniformata la Cassazione.

NORMA PENALE NON CONFIGURABILE PER L’USO ESCLUSIVO

Ma con la nuova decisione i giudici della Cassazione hanno stabilito che «il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza», ma devono però «ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».

IL RICORSO CONTRO UNA CONDANNA

La pronuncia ha preso le mosse dal caso di una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di marijuana, una alta un metro e con 18 rami e l’altra alta 1,15 metri e con 20 rami.

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Le quotazioni di Borsa e spread del 27 dicembre 2019

Piazza Affari negativa nella prima seduta dell'ultima settimana del 2019. Spread a quota 167. I mercati in diretta.

La Borsa di Milano ha aperto in calo la seduta del 27 dicembre. L’indice Ftse Mib ha ceduto lo 0,13% a 23.867 punti in avvio, per poi scendere ulteriormente a -0,4%. In rialzo le principali Borse europee, con gli investitori che attendono i verbali del Fomc della Fed e il bollettino economico della Bce. I mercati si avviano a concludere l’anno con performance positive, in attesa di vedere cosa accadrà per la Brexit e sul confronto tra Usa e Cina sul commercio internazionale. In rialzo Francoforte (+0,28%) e Parigi (+0,17%) mentre sono piatte Londra (-0,02%) e Madrid (+0,02%).

LO SPREAD APRE A QUOTA 167

Apertura a 167 punti base per lo spread tra Btp e Bund. Il rendimento del titolo decennale italiano è all’1,42%.

LA DIRETTA DEI MERCATI

9.35 – MILANO PROSEGUE IN ROSSO

La Borsa di Milano (-0,4%) prosegue in calo, in controtendenza con gli altri listini del Vecchio Continente. A Piazza Affari corre Saipem (+3%), con l’acquisizione di contratti per 1,7 miliardi di dollari. In ordine sparso le banche con lo spread che ha avviato la seduta a 167 punti base e il rendimento del decennale italiano all’1,42%. In fondo al listino principale, Diasorin (-3,2%). Male anche Fca (-1,3%), A2a e Unipol. Tra le banche sono in calo Unicredit (-0,9%), Intesa (-0,5%) e Fineco (-0,6%). In terreno positivo Ubi (+0,1%) e Mps (+0,1%), due degli istituti di credito protagonisti dell’accordo con Amco e Prelios per il primo fondo di crediti immobiliari Utp. Seduta in positivo anche per Mediaset (+0,2%) e Eni (+0,4%), quest’ultima dopo che il prezzo del petrolio sfiora i massimi da tre mesi.

9.27 – APERTURA IN RIALZO PER LE BORSE EUROPEE

Le Borse europee aprono in rialzo con gli investitori che attendono i verbali del Fomc della Fed e il bollettino economico della Bce. I mercati si avviano a concludere l’anno con performance positive, in attesa di vedere cosa accadrà per la Brexit e sul confronto tra Usa e Cina sul commercio internazionale. In rialzo Francoforte (+0,28%) e Parigi (+0,17%) mentre sono piatte Londra (-0,02%) e Madrid (+0,02%).

9.08 – PIAZZA AFFARI APRE IN CALO

La Borsa di Milano apre in calo. L’indice Ftse Mib cede lo 0,13% a 23.867 punti.

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Le quotazioni di Borsa e spread del 27 dicembre 2019

Piazza Affari negativa nella prima seduta dell'ultima settimana del 2019. Spread a quota 167. I mercati in diretta.

La Borsa di Milano ha aperto in calo la seduta del 27 dicembre. L’indice Ftse Mib ha ceduto lo 0,13% a 23.867 punti in avvio, per poi scendere ulteriormente a -0,4%. In rialzo le principali Borse europee, con gli investitori che attendono i verbali del Fomc della Fed e il bollettino economico della Bce. I mercati si avviano a concludere l’anno con performance positive, in attesa di vedere cosa accadrà per la Brexit e sul confronto tra Usa e Cina sul commercio internazionale. In rialzo Francoforte (+0,28%) e Parigi (+0,17%) mentre sono piatte Londra (-0,02%) e Madrid (+0,02%).

LO SPREAD APRE A QUOTA 167

Apertura a 167 punti base per lo spread tra Btp e Bund. Il rendimento del titolo decennale italiano è all’1,42%.

LA DIRETTA DEI MERCATI

9.35 – MILANO PROSEGUE IN ROSSO

La Borsa di Milano (-0,4%) prosegue in calo, in controtendenza con gli altri listini del Vecchio Continente. A Piazza Affari corre Saipem (+3%), con l’acquisizione di contratti per 1,7 miliardi di dollari. In ordine sparso le banche con lo spread che ha avviato la seduta a 167 punti base e il rendimento del decennale italiano all’1,42%. In fondo al listino principale, Diasorin (-3,2%). Male anche Fca (-1,3%), A2a e Unipol. Tra le banche sono in calo Unicredit (-0,9%), Intesa (-0,5%) e Fineco (-0,6%). In terreno positivo Ubi (+0,1%) e Mps (+0,1%), due degli istituti di credito protagonisti dell’accordo con Amco e Prelios per il primo fondo di crediti immobiliari Utp. Seduta in positivo anche per Mediaset (+0,2%) e Eni (+0,4%), quest’ultima dopo che il prezzo del petrolio sfiora i massimi da tre mesi.

9.27 – APERTURA IN RIALZO PER LE BORSE EUROPEE

Le Borse europee aprono in rialzo con gli investitori che attendono i verbali del Fomc della Fed e il bollettino economico della Bce. I mercati si avviano a concludere l’anno con performance positive, in attesa di vedere cosa accadrà per la Brexit e sul confronto tra Usa e Cina sul commercio internazionale. In rialzo Francoforte (+0,28%) e Parigi (+0,17%) mentre sono piatte Londra (-0,02%) e Madrid (+0,02%).

9.08 – PIAZZA AFFARI APRE IN CALO

La Borsa di Milano apre in calo. L’indice Ftse Mib cede lo 0,13% a 23.867 punti.

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Il sindaco di Cosenza Occhiuto si ritira dalla corsa alle Regionali in Calabria

L'annuncio è arrivato in un post su Facebook col quale il primo cittadino ha raccolto l'invito di Silvio Berlusconi. Via libera a Jole Santelli per il centrodestra,

Mario Occhiuto ritira la propria candidatura alla presidenza della Regione Calabria, accogliendo l’invito che gli era stato rivolto dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. «Sono abituato a costruire, non a distruggere», ha scritto il sindaco di Cosenza in un post su Facebook.

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Aereo si schianta in Kazakistan: almeno 14 morti

A bordo dal velivolo partito da Almaty e precipitato poco dopo il decollo c'erano 98 persone: 60 i feriti.

Tragedia in Kazakistan, dove un aereo con 98 persone a bordo è precipitato vicino alla città di Almaty. Un primo bilancio parla di di almeno 14 morti e 60 feriti. Secondo funzionari dell’aeroporto, il velivolo della Bek Air sarebbe precipitato poco dopo il decollo dallo scalo. Il personale dei servizi di emergenza si è immediatamente precipitato sul luogo dello schianto. L’aereo era in rotta da Almaty alla capitale del Paese Nursultan (ex Astana).

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La spesa militare non sta diminuendo neanche col governo Pd-M5s

I tagli erano un cavallo di battaglia dei due partiti. Ma ora il ministro della Difesa Guerini porta avanti i progetti degli F-35. Rischiando persino un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Così l'Italia è pronta a sborsare 3,5 miliardi nei prossimi anni. Sotto il pressing della Nato. Il quadro.

Cacciabombardieri di tutti i tipi. Con un’accelerazione sui programmi militari registrata nelle ultime settimane del 2019. E addirittura il rischio di creare un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Sulla spesa militare, insomma, il “governo della svolta” non ha affatto svoltato: è in continuità rispetto a quanto fatto (o non fatto) nelle ultime legislature.

DIREZIONE GIÀ PRESA CON LA MINISTRA TRENTA

Un deputato del Movimento 5 stelle con cui Lettera43.it ha interloquito sorride amaro: «Già con la ministra della Difesa Elisabetta Trenta si stava andando in quella direzione, ma ora col suo successore Lorenzo Guerini è meglio non parlarne proprio degli ideali di una volta…». Una spia del malumore celato in Transatlantico. Sì, perché tra i tanti temi scomodi sul tavolo c’è il capitolo della spesa militare. La cui riduzione un tempo era cavallo di battaglia del M5s e della sinistra, almeno quella più radicale.

ANCORA GLI F-35: VIA LIBERA DELLA CAMERA

L’ultimo tassello è arrivato con l’approvazione dell’esecutivo alla seconda fase del programma degli F-35, i caccia della Lockheed osteggiati da tutti a parole. Ma nei fatti mai bloccati dai vari governi che si sono susseguiti. Anche Matteo Renzi, quando soggiornava a Palazzo Chigi, era orientato a dimezzare il programma. Ma dietro le buone intenzioni non c’è stato nulla, né allora né adesso. Le avvisaglie c’erano state già a ottobre 2019, a sole poche settimane dall’insediamento di Guerini: il ministro della Difesa, in un’intervista, aveva scandito: «Avanti con gli F-35» perché c’è un «bisogno oggettivo e non rinviabile» e soprattutto «va garantita efficienza operativa dello strumento militare». Messaggio chiaro, seguito dalla prudente mozione proposta alla Camera dalla maggioranza. Che di fatto ha concesso il via libera, seppure con un giro di parole improntato alla cautela.

L’ESBORSO: 3,5 MILIARDI, 130 MILIONI PER AEREO

L’iter degli F-35 è diviso in tre fasi: la prima è stata una sorta di pre-serie e ha portato l’Italia ad acquistare 28 caccia (sui quali, come si sa, non possiamo tornare indietro); la seconda è la prima parte della produzione di serie; la terza è la ultima fase della full-rate production. Il sì alla seconda fase vuol dire acquistare il “blocco” di 27 aerei previsti per questo step: in totale saranno 55 gli F-35 acquistati. Insomma, nonostante i dubbi e le battaglie politiche, l’Italia spenderà nei prossimi anni oltre 3,5 miliardi di euro con un costo medio per aereo di 130 milioni.

ALTERNATIVA NAUFRAGATA: ED ERA MADE IN ITALY

Ma non è l’unico paradosso. Qualche strada alternativa, durante il Conte I gialloverde, era stata pure tentata dal M5s. Ma, a quanto pare, ogni ipotesi è naufragata. Nei mesi precedenti alla conferma della fase 2, secondo quanto risulta a Lettera43.it, sarebbe stato realizzato dai pentastellati un documento sottoposto al ministero della Difesa in cui si ragionava sull’opportunità di optare sui caccia M-346FA (Fighter Attack) al posto degli F-35. Le ragioni, a detta dei tecnici, sono molteplici: risultato più affidabili degli F-35, costano un quinto e sono già a disposizione perché non bisogna svilupparli. Con un altro “piccolo” particolare: essendo totalmente Made in Italy, ci sarebbero stati benefici esclusivi per le casse italiane.

CHE ATTIVISMO DI GUERINI: ALTRI 2,3 MILIARDI IMPEGNATI

Il progetto, però, non è andato avanti. Anzi, se ne sono aggiunti altri, ma orientati altrove. L’attivismo strategico di Guerini è stato visibile ancor prima dell’okay agli F-35. A pochi giorni dal suo insediamento al ministero, infatti, è arrivata l’adesione definitiva al programma per il Tempest britannico, il caccia di sesta generazione: il neo ministro ha apposto la firma sul progetto, dando seguito a quanto già tracciato dalla Trenta. Difficile stabilire, oggi, quale sarà l’impegno economico per l’Italia. Le stime più plausibili (ma che, ovviamente, non tengono conto dei costi indiretti) parlano di un impegno iniziale, quantificato dai britannici, in 2 miliardi di sterline, circa 2,3 miliardi di euro. Il processo è ancora lungo e mira a rendere i nuovi aerei militari operativi non prima del 2035.

guerini spesa militare italiana 2019
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini in visita alla base militare di Shamaa, nel Sud del Libano. (Ansa)

INCOGNITE SUI CACCIA: RISORSE ANCHE PER I “CONCORRENTI”

Restano numerosi interrogativi. Perché avviare un nuovo programma militare, nonostante per mesi abbia tenuto banco l’idea di bloccare gli F-35? È quello che si chiede, tra gli altri, il portavoce della Rete per il disarmo, Francesco Vignarca, che al di là dell’opportunità “militare”, ragiona anche su questioni prettamente economiche: «L’Italia si troverà tra qualche anno, inspiegabilmente e illogicamente, ad avere più di tre programmi militari in campo aeronautico: l’Eurofighter, l’F-35 e ora il Tempest». Con un particolare ulteriore e non secondario: «Il nostro Paese partecipa anche al programma dell’eurodrone (progetto sponsorizzato direttamente dall’Unione europea, ndr). Ma alcuni elementi di questo progetto confluiranno nel Fcas (Future Air Combat System), il caccia franco-tedesco, che è competitor diretto del Tempest. Insomma, pagheremo indirettamente anche il concorrente del nostro nuovo progetto», spiega ancora il portavoce della Rete disarmo. A conti fatti, dunque, c’è l’adesione a un programma militare, nonostante siano in piedi altri due “concorrenti” e mentre c’è la partecipazione, indiretta, allo sviluppo del competitor naturale dello stesso Tempest.

FATTORE NATO: PRESSING PER INVESTIRE IL 2% DEL PIL

Sulla spesa militare la linea è chiara: Guerini è pronto a soddisfare il “fattore Nato”. La spinta agli investimenti potrebbe rispondere anche agli impegni assunti nel 2014 in Galles, in particolare al 2% del Pil da spendere nella Difesa entro il 2024, come richiesto dall’Alleanza atlantica. Del resto «la quantità di risorse investite è oggetto di costante e sempre più attento monitoraggio» da parte della Nato, viene riferito. Finora, ha ricordato il titolare della Difesa, essere il secondo contributore alle missioni comuni «ci ha posto al riparo da più severe osservazioni». Ma con l’attenzione dell’amministrazione Trump la cosa potrebbe cambiare. La quota «dell’1,22% ci vede ancor lontani dagli obiettivi fissati», però proprio per questo, ha assicurato Guerini, «intraprenderemo tutti gli sforzi per un percorso teso a incrementare gradualmente gli investimenti con l’obiettivo di allineare il rapporto budget Difesa e Pil ad altri partner europei». Una strategia contestata dalla Rete disarmo: «Non c’è alcun documento scritto, alcuna direttiva che obbliga i Paesi a destinare alla difesa il 2% del Pil. Mi piacerebbe avere un governo che dica questo invece di cedere per accontentare i desiderata di Trump», commenta Vignarca.

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