I fondatori di Google Page e Brin lasciano il controllo di Alphabet a Sundar Pichai

I creatori del motore di ricerca più usato al mondo hanno deciso di fare un passo indietro cedendo tutto all'attuale Ceo. I due manterranno il posto nel cda ma non avranno più voce in capitolo sulle strategie del gruppo.

Svolta storica per “Big G.” Larry Page e Sergey Brin, storici fondatori di Google, hanno deciso di lasciare la guida di Alphabet, Page era il Ceo mentre Brin ricopriva la carica di presidente. I due creatori del motore di ricerca più famoso del mondo hanno deciso di fare un passo indietro dopo la ristrutturazione societaria di quattro anni fa, cedendo il potere all’attuale amministratore delegato di Google Sundar Pichai. Secondo quanto scrive The Verge i due rimarranno comunque nella società e conserveranno i loro posti nel consiglio di amministrazione, ma non avranno più voce in capitolo nella gestione del gruppo.

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Revocato l’obbligo di dimora al sindaco di Bibbiano

Andrea Carletti, secondo i giudici della Cassazione, non poteva nemmeno essere arrestato. Caduta l'ultima misura di custodia cautelare. Ora l'esponente del Pd potrà affrontare il processo a piede libero.

La Cassazione ha revocato l’obbligo di dimora nei confronti di Andrea Carletti, il sindaco di Bibbiano appartenente al Partito democratico indagato nell’inchiesta Angeli e Demoni, con al centro il presunto sistema di affidi illeciti scoppiato in provincia di Reggio-Emilia. A giugno Carletti era stato arrestato, a distanza di sei mesi è tornato completamente libero, con la caduta dell’ultima misura di custodia cautelare cui era stato sottoposto. La motivazioni dei giudici non sono state ancora pubblicate, ma la Cassazione avrebbe deciso per la revoca sentenziando che non sussistevano le condizioni per l’arresto

Carletti, difeso dagli avvocati Giovanni Tarquini e Vittorio Manes, aveva fatto ricorso contro la decisione del Tribunale del Riesame del 20 settembre, che aveva revocato gli arresti domiciliari ma aveva applicato al sindaco l’obbligo di dimora nella sua casa di Albinea, sempre in provincia di Reggio-Emilia. Il primo cittadino, sospeso dal suo ruolo su decisione del prefetto e autosospesosi anche dal Pd, è accusato di abuso d’ufficio e falso in relazione alle pratiche riguardanti alcuni locali destinati alla gestione dei minori coinvolti nello scandalo.

Ora potrà affrontare a piede libero il processo, assieme agli altri 28 indagati. Per la metà di dicembre è prevista la chiusura delle indagini preliminari. «Esprimiamo soddisfazione, ma con cautela al tempo stesso in vista del processo», si sono limitati a dire i legali di Carletti.

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Perché Kamala Harris ha lasciato le primarie dem

La senatrice della California ha lasciato la corsa verso le presidenziali. Negli ultimi mesi sondaggi in calo. Tra le motivazioni per l'addio la mancanza di fondi.

La campagna elettorale americana perde una stella che ha brillato per troppo poco tempo: la senatrice dem californiana Kamala Harris, 55 anni, definita da molti “l’Obama donna”, ha annunciato a sorpresa il suo ritiro. Per mancanza di fondi, come lei stessa ha spiegato, anche se questa non sembra l’unica ragione.

«Ho fatto il punto ed esaminato la situazione da tutti gli angoli e negli ultimi giorni sono arrivata ad una delle decisioni più difficili della mia vita: la mia campagna semplicemente non conta sulle risorse finanziarie necessarie di cui abbiamo bisogno per continuare», ha scritto in una mail. Poi l’annuncio su Twitter, con il monito che «continuerò a combattere ogni giorno per gli obiettivi di questa campagna: giustizia per la gente. Tutta la gente».

E pensare che nelle prime 24 ore dopo l’annuncio della sua candidatura, lo scorso 21 gennaio, aveva raccolto 1,5 milioni di dollari, superando per numero di contributi online il record di Bernie Sanders nella precedenza campagna. Segno dell’entusiasmo che aveva acceso nella base dem, scalando lentamente i sondaggi, col sogno di diventare la prima donna, peraltro di colore, a infrangere quel soffitto che Hillary Clinton aveva solo sfiorato.

INUTILE LA PARTENZA A RAZZO NEL PRIMO DIBATTITO DEM

La senatrice, una delle più acerrime nemiche di Donald Trump, soprattutto sul fronte dell’immigrazione, aveva fatto il grande balzo a fine giugno, dopo il primo dibattito dem in cui aveva attaccato Joe Biden per essersi vantato di aver collaborato in passato con alcuni senatori segregazionisti. La candidata era salita sul podio dei sondaggi, terza dopo Biden e Sanders. Sembrava il suo momento, ma non è durato. La senatrice ha perso terreno in estate finendo prima nel gruppo intermedio e poi tra i fanalini di coda, lasciando suo malgrado il testimone ad un’altra donna: la senatrice Elizabeth Warren, da alcuni mesi tra i frontrunner.

I LIMITI DELLA CANDIDATURA

Eppure Harris sembrava avere tutte le carte in regola per arrivare sino in fondo alla corsa. Figlia di immigrati (indo-americana la madre, giamaicano il padre), è stata il primo attorney generale donna in California e la sua età ne faceva il ponte ideale tra la generazione dei candidati più anziani e di quelli più giovani. Ma la sua energia e la sua piattaforma progressista (senza i radicalismi della Warren) non si è tradotta in una candidatura solida, scontrandosi anche con le carenze organizzative e strategiche di una campagna presieduta dalla sorella.

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Nuovi concorsi per la scuola per 50 mila nuove assunzioni

In arrivo un bando ordinario e uno straordinario e poi una mobilità volontaria per chi è nelle graduatorie di merito. E una seleizione per i prof di religione.

Un concorso ordinario e uno straordinario per l’assunzione di quasi 50 mila docenti, un nuovo concorso per gli insegnanti di religione cattolica dopo 15 anni dall’ultimo, riapertura delle graduatorie di terza fascia, esclusione della rilevazione delle impronte per certificare la presenza dei presidi e del personale ausiliario. Queste e altre novità sono contenute nell’approvazione del decreto legge in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca avvenuta alla Camera. Il testo passa all’esame del Senato.

I CONCORSI

Nello specifico, viene ampliata la platea di coloro che potranno partecipare al concorso straordinario per l’assunzione di 24.000 insegnanti: possono candidarsi adesso sia i docenti che abbiano maturato servizio nei percorsi di Istruzione e formazione professionale (IeFP), sia coloro che abbiano effettuato una delle tre annualità richieste dall’anno scolastico 2008/2009, sia chi sta svolgendo nell’anno in corso la terza annualità di servizio. Inoltre, viene inserito il coding tra le metodologie didattiche da acquisire nell’ambito dei crediti formativi o durante il periodo di formazione e prova legato al concorso. Vengono poi riaperte le graduatorie di terza fascia con proroga fino all’anno scolastico 2022/2023. Oltre al concorso straordinario, verrà poi bandito un concorso ordinario.

LE GRADUATORIE

Arriva una mobilità volontaria per quei docenti presenti nelle Graduatorie di Merito degli ultimi concorsi, che potranno così spostarsi (in coda a chi è già in quella regione) in regioni dove c’è possibilità di essere assunti in tempi più brevi. Le graduatorie di istituto si trasformano in graduatorie provinciali; i soggetti inseriti in queste graduatorie dovranno comunque indicare un massimo di 20 scuole.

I DIRIGENTI SCOLASTICI

Viene abolita la norma che prevedeva l’obbligo di rilevare la presenza dei dirigenti e del personale Ata con impronte biometriche. Saranno inoltre assunti 146 ispettori; la procedura di internalizzazione dei servizi di pulizia è stata articolata meglio: per i cosiddetti ex Lsu, si stabilisce una proroga tecnica di due mesi per consentirne la stabilizzazione.

I PROF DI RELIGIONE

Dopo quindici anni dal precedente, arriva un concorso per insegnanti di religione cattolica; la quota riservata al personale in servizio da più di tre anni è del 50%.

NUOVI PROF PER QUOTA 100

Si prevede di recuperare oltre 9.000 cattedre dai pensionamenti avvenuti con quota 100, dando più insegnanti stabili al sistema. Sono cattedre che andranno a chi ne aveva diritto: docenti che si trovano nelle graduatorie a esaurimento, vincitori e idonei di concorso.

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Di Maio fa il pompiere sul Mes

Il leader del M5s dopo il gelo con il premier: «Ho sentito Conte e siamo in piena sintonia». Ma l'asse con Di Battista preoccupa il Pd. Occhi puntati sul ministro Gualtieri, che all'Eurogruppo tratterà modifiche alla riforma del fondo salva-Stati.

Negoziare all’Eurogruppo e con i leader europei, ottenere almeno un rinvio della firma del Meccanismo europeo di stabilità.

Per raffreddare gli animi in Senato ed evitare che l’11 dicembre una spaccatura della maggioranza apra una crisi politica. Il rischio c’è, affermano dal Pd, anche perché il gruppo M5s è spaccato e imprevedibile. In più, preoccupa l’asse di Luigi Di Maio con Alessandro Di Battista contro la riforma del fondo salva-Stati: «Il M5s è l’ago della bilancia, decidiamo noi».

Il ministro degli Esteri invia un segnale distensivo: «Conte l’ho sentito due ore fa e siamo in piena sintonia, sia sul Mes sia sul tema della prescrizione», ha detto a Di Martedì su La7. Ma i dem non si fidano e le fibrillazioni preoccupano anche Italia viva.

LEGGI ANCHE: Cos’è il Mes e perché Salvini e Meloni attaccano il governo

Nelle prossime ore gli occhi saranno tutti puntati sul ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che all’Eurogruppo tratterà con gli alleati europei sul Mes. In discussione non c’è l’impianto del Meccanismo, ma regolamenti secondari ancora oggetto di negoziato. In più, in una “logica di pacchetto”, si avvierà la trattativa sull’Unione bancaria, che è ancora a una prima stesura: il ministro, come più volte affermato, dirà che l’Italia si oppone al meccanismo – sostenuto dalla Germania ma per noi svantaggioso – che punta a ponderare i titoli di Stato detenuti dalle banche sulla base del rating dei singoli Paesi.

LA FIRMA DEL MES NON PRIMA DI FEBBRAIO

Anche Conte, nei suoi colloqui a margine del vertice Nato di Londra, discuterà del “pacchetto” europeo con gli altri leader, a partire da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Ma è il fattore tempo quello su cui il governo spera di far leva, nell’immediato. La firma del Mes, anche per ragioni tecniche, non dovrebbe arrivare prima di febbraio. Da quel momento i singoli Paesi dovranno ratificare il trattato. La speranza è che i dubbi emersi anche in Francia e fattori come la crisi di governo a Malta possano spingere la lancetta un po’ più in là.

LA DIFFICILE RICERCA DI UN’INTESA IN PARLAMENTO

Negoziazioni nell’ambito del “pacchetto” Ue e rinvii saranno la leva sulla quale si cercherà di plasmare un’intesa di maggioranza sulla risoluzione che dovrà essere votata l’11 dicembre in Parlamento, alla vigilia della partecipazione di Conte al Consiglio europeo. «Sono legittime diverse sensibilità», dichiara il premier cercando di placare gli animi e assicurando che «l’ultima parola spetta al Parlamento» e che «lavoriamo per rendere questo progetto utile agli interessi dell’Italia».

BASTA UNA MANCIATA DI VOTI PER METTERE IN CRISI IL GOVERNO

Da Bruxelles, però, Matteo Salvini incalza e rilancia Mario Draghi come candidato al Colle: «Il trattato non è emendabile, bisogna bloccarlo. Conte ha lo sguardo di chi ha paura e scappa». Lega e Fratelli d’Italia non faranno sconti in Aula. Ed è in Aula che può scoppiare l’incidente. Perché, spiegano fonti dem dal Senato, è impossibile prevedere i comportamenti dei senatori M5s (Paragone e Giarrusso già si sono smarcati). I “contiani” lavorano a un’intesa, ma basta una manciata di voti a far andare in minoranza il governo. Di qui il pressing su Di Maio perché lavori per compattare le truppe su una posizione unica e chiara in asse con il governo. Il M5s sta lavorando a una risoluzione di maggioranza, a partire dalle proprie posizioni. Ma i dem non sono disposti a cedere. Per chiudere, servirà probabilmente un nuovo vertice di maggioranza. Ma, come emerge da un incontro di Italia viva con Conte, i punti di divergenza sono tanti e il clima sempre più agitato.

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Il rapporto della Camera su Trump: «Abuso di potere: merita l’impeachment»

Il report della commissione intelligence accusa il presidente e parla di prove «schiaccianti»..

Donald Trump ha abusato del suo potere di presidente e per questo merita la procedura di impeachment. L’atteso rapporto della commissione di intelligence della Camera Usa sulla procedura di impeachment, la quarta portata avanti in 243 anni di storia americana, ha messo nero su bianco che il presidente degli Stati Uniti è colpevole di abuso di potere per aver fatto pressioni per l’intervento nella campagna elettorale americana di un Paese straniero e per di più ha cercato anche di ostacolare le indagini su di lui. «Sollecitando l’interferenza di un governo straniero per trarre vantaggio nella sua rielezione», si legge infatti nel report. E le prove della sua cattiva condotta sono «schiaccianti». Inoltre, è scritto, «Donald Trump ha ostruito l’indagine di impeachment».

DUE MESI DI INTERROGATORI E INDAGINI SULL’UCRAINAGATE

La conclusione del rapporto dei parlamentari statunitensi arriva nel pieno del vertice Nato a Londra, dove il presidente duella aspramente con Emmanuel Macron e gli alleati senza dimenticare il fronte interno: «È una bufala, penso che ciò che i Democratici hanno messo in scena sia molto antipatriottico», denuncia, attaccando come «pazzo e malato» il presidente della commissione Adam Schiff, che finora ha condotto le udienze. Il rapporto è il frutto di oltre due mesi di indagini e interrogatori sull’Ucrainagate, cioè le pressioni del presidente su Kiev perché indagasse sul suo rivale nella corsa alla Casa Bianca Joe Biden e suo figlio Hunter, che sedeva nel board della società energetica ucraina Burisma a 50 mila dollari al mese quando il padre gestiva la politica Usa in quel Paese. Pressioni alimentate con il blocco degli aiuti militari americani.

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Il vice di Abu Bakr al-Baghdadi è stato arrestato in Iraq

Le forze irachene hanno detto di aver fermato il numero due dell'Isis Abu Khaldoun nei pressi di Kirkuk.

La polizia irachena ha arrestato a Kirkuk Abu Khaldoun, considerato il numero due del capo dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi. La ‘Security media cell’ irachena ha diffuso un comunicato e una foto dell’arrestato, pubblicate da Al-Arabiya. «Aveva un documento falso con il nome Shalaan Obeid. Il criminale lavorava come vice di al-Baghdadi ed era il ‘pricipe’ della provincia di Salah al-Din» afferma la nota. Al-Baghdadi, capo dell’Isis dal 2014, è stato ucciso in un raid delle forze speciali Usa in Siria lo scorso ottobre.

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Tragedia di Rigopiano, raffica di archiviazioni

Escono definitivamente dall'inchiesta gli ex presidenti della Regione Abruzzo Luciano D'Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi.

Il gip del tribunale di Pescara, Nicola Colantonio, ha disposto l’archiviazione di 22 indagati nell’inchiesta madre sul disastro dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), avvenuto il 18 gennaio 2017, quando una valanga travolse il resort provocando la morte di 29 persone. Escono definitivamente dall’inchiesta tra gli altri gli ex presidenti della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi, l’ex sottosegretario alla Giustizia Federica Chiavaroli e la funzionaria della Protezione Civile Tiziana Caputi.

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Dalle banche all’Ilva, l’autunno caldo delle vertenze

Non solo gli 8 mila esuberi annunciati da Unicredit. Sindacati sul piede di guerra per i possibili tagli in Alitalia e le crisi che riguardano Auchan, Whirlpool e La Perla.

Gli 8 mila esuberi annunciati da Unicredit nell’arco del piano 2020-2023 in Europa occidentale, di cui circa 5.500-6 mila dipendenti in Italia, sono solo gli ultimi di una serie di tagli, nel settore bancario e non solo, che il mercato del lavoro è chiamato a fronteggiare in realtà più o meno grandi e dislocate da Nord a Sud del Paese.

DALL’EX ILVA AD ALITALIA, SI RISCHIANO ALTRE MIGLIAIA DI ESUBERI

A questi si aggiunge, restando alle vertenze riesplose negli ultimi mesi, il rischio di altre migliaia di esuberi, a partire dall’ex Ilva fino ad Alitalia, sulle quali pendono come una spada di Damocle cifre altrettanto consistenti: casi in cui si è parlato di una possibile richiesta, finora mai ufficializzata, di 5 mila tagli. Segno di una situazione occupazionale in sofferenza, nonostante i passi verso la ripresa certificati dai dati più recenti, che allarma i lavoratori ed i sindacati e travolge rami e settori più disparati: non solo banche, grandi industrie e multinazionali.

NEL MIRINO DEI TAGLI ANCHE SUPERMERCATI ED ELETTRODOMESTICI

Nell’occhio del ciclone ci sono tagli che vanno dai supermercati al comparto degli elettrodomestici alla moda. E per far fronte ai quali è necessario mettere in campo, e rafforzare – è l’imperativo ricorrente dei sindacati -, gli ammortizzatori sociali. Insieme a una politica industriale. «Il tema del lavoro e della crescita è in caduta libera nel nostro Paese. Abbiamo 160 crisi aziendali aperte, ma non ne abbiamo una che sia stata risolta da due anni a questa parte», ammonisce la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan. È «la cartina di tornasole di un Paese fermo, bloccato, della mancanza di una strategia di politica industriale. Tutte le volte che ci sono ristrutturazioni si annunciano esuberi in tutti i settori. Ma la politica intanto parla e discute d’altro», attacca la leader della Cisl.

IN 400 RISCHIANO IL POSTO NELLO STABILIMENTO WHIRLPOOL

Vertenze che spesso non presentano differenze, se non nei numeri. Il piano industriale illustrato poco più di un mese fa da Conad per il salvataggio di Auchan prevede oltre 3 mila esuberi a cui vengono offerte «soluzioni occupazionali diverse», come i ricollocamenti presso la rete Conad o reti di terzi. Tra le ultime vertenze aperte quella dello stabilimento Whirlpool di Napoli, dove attualmente si producono lavatrici, e il futuro per i suoi oltre 400 dipendenti. O, solo per ricordare un altro caso recente, La Perla, lo storico marchio bolognese della lingerie, che nelle scorse settimane ha annunciato 126 esuberi.

TRE MANIFESTAZIONI INDETTE DAI SINDACATI

Una situazione allarmante, per i sindacati. Cgil, Cisl e Uil, proprio contro i licenziamenti, a sostegno dell’occupazione e delle vertenze aperte, per l’estensione degli ammortizzatori sociali e in generale per l’industria e il Mezzogiorno, saranno in piazza il 10 dicembre per la prima delle tre manifestazioni-assemblee nazionali che si svolgeranno a Roma, nell’ambito della settimana di mobilitazione indetta per sostenere la piattaforma unitaria, per la manovra in corso di approvazione sia in vista del prossimo Def. Le altre due iniziative in programma il 12 e il 17 dicembre, per chiedere il rinnovo dei contratti pubblici e privati e una riforma fiscale per una redistribuzione a vantaggio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, per i quali i sindacati reclamano anche una «effettiva» rivalutazione degli assegni.

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La manovra slitta: in Aula al Senato lunedì 9 dicembre

Il giorno successivo ci si aspetta che il governo ponga la questione di fiducia sul testo.

Slitta l’approdo della manovra nell’Aula del Senato, inizialmente previsto per il pomeriggio del 3 dicembre. La legge di bilancio, secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei capigruppo, arriverà a Palazzo Madama per l’inizio della discussione lunedì 9 a mezzogiorno. Il giorno successivo ci si aspetta che il governo ponga la questione di fiducia.

Il ritardo potrebbe dipendere non solo dalle tensioni nella maggioranza sulla riforma del Mes, ma anche dalla necessità di trasferire in manovra il provvedimento urgente che riguarda Alitalia, necessario per sbloccare il prestito-ponte all’ex compagnia di bandiera.

La norma, infatti, non confluirà nel decreto fiscale, per evitare un ulteriore allungamento dei tempi della sua conversione in legge.

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Visco (Bankitalia) a Berlino: «Sui bond serve offrire alle banche un’alternativa»

Visco contro il tetto ai titoli di Stato in pancia alle banche dice al quotidiano tedesco Handelsblatt:. «Quello di cui c'è bisogno è un titolo sicuro, emesso da un'organizzazione unica, che acquisisca automaticamente le entrate fiscali dagli Stati dell'euro»,

Il governatore Ignazio Visco in un’intervista all’Handelsblatt, quotidiano economico conservatore tedesco, di fatto la voce di quella classe dirigente che si è quasi sempre opposta alla linea di Mario Draghi all’interno della Bce e a quella italiana, in Europa, ha toccato tutti i temi caldi: il governo dell’Eurotower e anche la proposta tedesca di ponderare i titoli di Stato, definita dall’ex ministro Pier Carlo Padoan, il vero problema, altro che Mes.

IL RISCHIO DI DEFLAZIONE GIUSTIFICA LE SCELTE BCE

Sulle politiche espansive della Bce e in particolare sulla loro recente estensione, con le decisioni prese a settembre dalla Bce, ha detto: «C’è un dissenso sul fatto se queste mosse fossero necessarie. Io penso che lo fossero. E così anche il consiglio della Bce. Il ciclo economico non è favorevole. Il rischio di una deflazione, e dunque di prezzi in calo, sussiste». Ma ha anche aggiunto che «i tassi negativi, nel lungo periodo, possono provocare danni collaterali».

IL GOVERNATORE CHIEDE UN TITOLO SICURO SULL’EUROZONA

Poi ha discusso anche dei titoli di Stato. «In Italia le banche hanno funzionato da fattore stabilizzante durante le tensioni sui mercati finanziari. Io temo che questo vada perso se si dotano i bond di un fattore di ponderazione del rischio, senza che le banche abbiano un’alternativa», ha spiegato il governatore della Banca d’Italia. Anche la proposta di mettere un tetto all‘acquisto dei titoli di uno stato, aggiunge,«limiterebbe la funzione di stabilizzatore del sistema finanziario». Si potrebbe valutare se ci fosse un’alternativa. In Italia le banche hanno funzionato da fattore stabilizzante durante le tensioni sui mercati finanziari. Io temo che questo vada perso se si dotano i bond di un fattore di ponderazione del rischio, senza che le banche abbiano un’alternativa». «Quello di cui c’è bisogno è un titolo sicuro, emesso da un’organizzazione unica, che acquisisca automaticamente le entrate fiscali dagli Stati dell’euro», aggiunge Visco. «Questo potrebbe essere la base della costruzione di una capacità fiscale comune nell’eurozona», conclude.

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I nuovi ricatti di Erdogan si abbattono sul vertice Nato di Londra

Il presidente turco è arrivato al meeting dell'Allenaza minacciando di bloccare i piani dell'organizzazione nel Nord Europa se non ci sarà una condanna dei curdi siriani. Scintille anche con Macron sulla lotta al terrorismo.

Per la Nato il 70esimo compleanno è forse uno dei più difficili. Tutti gli Stati membri sono riuniti a Londra per fare il punto sul futuro dell’Alleanza. Ma tra gli invitati non mancano tensioni e frecciate, in particolare tra Donald Trump e Emmanuel Macron. Non solo. Tra di loro c’è anche una vera e propria mina vagante: Recep Tayyip Erdogan. «Agitatevi quanto volete. Prima o poi rispetterete il diritto della Turchia a combattere contro il terrorismo. Non c’è altra strada». Ha ribadito il presidente della Turchia arrivando a boicottare i piani della Nato in Polonia e Paesi baltici in mancanza di un sostegno contro le milizie curde in Siria.

Nelle ultime settimane, il suo esercito, il secondo dell’Alleanza dopo quello Usa, è stato condannato come “invasore” in Siria da molti dei maggiori azionisti dell’Alleanza stessa. Ma il presidente turco non è tipo da stare sulla difensiva. Dopo aver mandato a dire a Emmanuel Macron di controllare la sua «morte cerebrale», prima di quella della Nato, si è presentato al vertice di Londra come l’incognita numero uno: un partner scomodo ma necessario, provocatorio eppure sempre ambito.

IL RICATTO DI ERDOGAN VERSO I PAESI DEL NORD

Non più avamposto della Guerra Fredda, Ankara non ha comunque perso il suo ruolo strategico, ed è pronta a farlo pesare. Anzi: il suo slittamento a est – vedi il tavolo con Russia e Iran sulla Siria, prova di un irredimibile pragmatismo sotto il manto dell’impegno messianico – la rende ancora più importante, proprio perché non più scontata. Spiattellando davanti alle telecamere le trattative degli sherpa, il Sultano ha tolto ancora una volta i veli diplomatici e annunciato la sua minaccia: se la Nato non riconoscerà come “terroriste” le milizie curdo-siriane Ypg, la Turchia bloccherà i piani per la difesa di Polonia e Paesi baltici di fronte alla Russia.

Il presidente Erdogan davanti al numero 10 di Downing Street a margine del summit Nato a Londra.

SCINTILLE CON MACRON SULLA QUESTIONE TERRORISMO

Che il tema sia caldo è confermato anche dalle parole del presidente francese che ha attaccato a testa bassa sulla questione terrorismo accusando Ankara di cooperare «a volte con alleati dell’Isis». «Il nemico comune sono i gruppi terroristici», ha notato il capo dell’Eliseo, citato dai media britannici, «ma mi duole dire che non diamo tutti la stessa definizione di terrorismo attorno al tavolo. La Turchia combatte spalla a spalla con noi contro l’Isis, ma a volte lavora con alleati dell’Isis».

GLI ALTRI FRONTI CALTI DI ANKARA

Nel suo stile, la trattativa è partita così. Un possibile veto da usare magari come oggetto di scambio su altri dossier cruciali. Tra questi il sostegno finanziario per riportare un milione di rifugiati in Siria – un’operazione colossale da quasi 30 miliardi di dollari – e lo scontro nel Mediterraneo orientale. Isolata dall’intesa di Cipro-Grecia-Egitto per lo sfruttamento delle risorse energetiche offshore, la Turchia ha disseminato le sue fregate in una guerra di posizione che nessuno vuole trasformare in conflitto aperto.

L’ACCORDO CON SERRAJ CHE PREOCCUPA GRECIA E CIPRO

Alla vigilia del summit, è uscito però un altro coniglio dal cilindro: un patto firmato in gran segreto al palazzo di Dolmabahce a Istanbul – quello degli ultimi Sultani – con il premier di Tripoli Fayez al-Sarraj (e tramite i buoni uffici dei Fratelli Musulmani che lo sostengono) per ridefinire i confini marittimi tra i due Paesi, in cambio di protezione. Risultato: la piattaforma continentale turca estesa di un terzo, con una riga tracciata su una mappa. Un’intesa che ha subito allarmato Atene e Nicosia. Il premier greco Kyriakos Mitsotakis ha chiesto l’appoggio Nato. Ma ancora una volta da Erdogan è arrivato un netto rifiuto: «l’accordo non si ridiscute».

E ANKARA MANIENE I CONTATTI CON MOSCA

Poi infine c’è la Russia. Erdogan ha giurato: «I nostri buoni rapporti non sono alternativi, ma complementari». Con l’arrivo dei missili S-400 di Mosca, però, c’è chi teme per i sistemi Nato. E persino gli ordigni tattici nucleari di marca Usa, custoditi da decenni in Turchia, a qualcuno non sembrano più così al sicuro.

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Europarlamento contro Consiglio: «La proposta sul bilancio fa fallire l’Europa»

Gli eurodeputati contro la bozza della presidenza finlandese che programma solo 1,07% del reddito per le politiche Ue. Il ministro per gli Affari europei Amendola: l'Italia è «assolutamente contraria».

Emmanuel Macron ne aveva fatto la sua scommessa. Con il ministro dell’Economia dell’Eurozona bocciato dalla Germania, con un vero fondo salva Stati sotto controllo del governo, almeno l’obiettivo di un vero bilancio europeo doveva essere centrato. E invece, quello che è maturato sotto la presidenza socialista finlandese è un compromesso che, complice la Brexit, definire al ribasso è poco. Il parlamento europeo non a caso lo ha bocciato sonoramente.

«CON QUESTE RISORSE PROGRAMMA IMPOSSIBILE»

La posizione della squadra di eurodeputati che dovrà negoziare il dossier con il Consiglio e la Commissione Ue è chiara: «La proposta della presidenza di turno finlandese per il bilancio Ue 2021-2027, inviata il 2 dicembre alle rappresentanze dei Paesi membri, «condanna l’Unione europea al fallimento» perché sarà «impossibile mettere in pratica» il programma della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen.

TROPPO POCO PER INVESTIMENTI, CLIMA, SICUREZZA E GIOVANI

Helsinki ha messo sul tavolo un bilancio per il prossimo settennato di programmazione pari all’1,07% del reddito nazionale lordo europeo. La Commissione ha proposto l’1,11%, mentre l’Eurocamera vorrebbe l’1,3%. Oggi, il bilancio 2014-2020 vale l’1,16% del Rnl Ue a 27 (Regno unito escluso). «La proposta della presidenza finlandese è molto al di sotto delle aspettative del Parlamento per quanto riguarda il rispetto degli impegni dell’Ue sugli investimenti, i giovani, il clima e la sicurezza», ha dichiarato in una nota il presidente della commissione bilanci del Pe, Johan Van Overtveldt. Il Pe critica anche il fatto che il documento faccia una «menzione molto limitata della riforma del sistema delle risorse proprie» del nuovo bilancio.

ITALIA «ASSOLUTAMENTE CONTRARIA»

Il ministro per gli affari europei Vincenzo Amendola in un incontro con le imprese appartenenti al Gii, Gruppo di iniziativa italiana, ha detto che l’Italia è «assolutamente contraria» alla proposta di bilancio per il periodo 2021-2027 presentata dalla presidenza di turno finlandese dell’Ue. Amendola ha criticato in particolare i tagli prospettati per la politica di coesione osservando che quest’ultima, insieme alla politica agricola (che invece registrerebbe un aumento delle risorse), vengono comunque trattate come “vecchi arnesi”, senza comprendere che possono essere il motore del New Green Deal. «Rifiutiamo questa logica e chiediamo di lavorare molto di più sulle nuove risorse», ha osservato il ministro che era accompagnato dal rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue, ambasciatore Maurizio Massari. «Non credo che la proposta della Finlandia raggiungerà alcun risultato».

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Putin firma la legge contro i giornalisti “agenti stranieri”

Le autorità potranno bollare reporter indipendenti e blogger con una definizione molto simile a quella di "spia".

Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato ieri sera una controversa legge che permette alle autorità russe di bollare come «agenti stranieri» anche gli individui, compresi i blogger e i giornalisti. La legge prevede che un individuo o un ente giuridico russo che diffondano notizie prodotte da testate inserite nella lista nera degli agenti stranieri o partecipino alla loro creazione possano essere riconosciuti a loro volta come «agenti stranieri». La legge entra in vigore immediatamente.

LA RISPOSTA AGLI USA

Il provvedimento era stato approvato in via definitiva dalla Duma il 21 novembre e dal Senato il 25. Per Amnesty International e Reporter senza frontiere si tratta di «un ulteriore passo verso la limitazione dei media liberi e indipendenti» in Russia. Il marchio di «agente straniero», che tanto ricorda quello di «spia», è usato dal Cremlino per contrassegnare le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero e sono impegnate in non meglio precisate «attività politiche». Dal novembre del 2017, dopo che la tv finanziata dal Cremlino Russia Today era stata a sua volta definita «agente straniero» negli Usa, questa definizione in Russia è applicabile anche ai media. Le organizzazioni identificate come «agente straniero» devono presentarsi come tali nei materiali che producono.

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Anche Romano Prodi dà il suo sostegno alle Sardine

L'ex presidente del Consiglio spende parole di elogio per il neonato movimento: «Chiedono toni civili, la gente è stufa delle tensioni».

Dopo l’ennesimo successo di piazza per le Sardine arriva anche un “endorsement” di peso, quello dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. «La gente è perplessa sulle tensioni che si hanno: d’altra parte non avevo mai visto in vita mia una grande manifestazione che inneggia alla civiltà dei toni», ha detto Prodi parlando dei pienoni fatti registrare dalle Sardine. «Questo quindi vuol dire che la durezza del dibattito, indipendentemente dai contenuto del dibattito, comincia a stancare», ha aggiunto l’ex premier a margine di un convegno a Firenze su Carlo Azeglio Ciampi.

SANTORI: «UNA FAKE NEWS I MIEI LEGAMI CON PRODI»

Intanto, l’ideatore del movimento, Mattia Santori, ha respinto le illazioni sulla sua presunta vicinanza proprio a Prodi. «I miei legami con Prodi? Una fake news montata ad arte», ha detto Santori a PoliticaPresse, il forum di LaPresse. «Un giornale è andato a spulciare il mio profilo Facebook in cui dicevo che, per lavoro, lo avevo intervistato. Sotto quell’articolo è arrivata una serie di insulti semplicemente perché si parlava di Prodi».

QUELLE SARDINE CHE APRIRONO LA STRADA ALL’EX PREMIER

Ironia della sorte, ad aprire la strada di Palazzo Chigi all’ex presidente del Consiglio furono proprio delle sardine. Il cosiddetto “patto delle sardine” fu infatti l’accordo col quale il 22 dicembre 1994 Umberto Bossi, Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione si accordarono per far cadere il primo governo Berlusconi. Come ricordato dallo stesso Bossi, i tre “cospiratori” si erano trovati nella casa del leader leghista alla periferia di Roma: «A un certo punto chiesi: avete fame?» La risposta fu un sì piuttosto timido: avevano capito che in quella casa non c’era da aspettarsi una gran cena. Oltretutto non si vedeva l’ombra di una colf, o di un cuoco. Andai in cucina, aprii il frigorifero e ci trovai una confezione di pancarrè, alcune scatole di sardine e tre o quattro lattine di birra e Coca Cola. Piazzai tutto sul tavolo, aprii lo scatolame e cominciai a mettere insieme qualcosa di simile a dei tramezzini». I tre politici firmarono così il “patto delle sardine”, sancendo la fine dell’esperienza a palazzo Chigi del Cav e l’arrivo del tecnico Lamberto Dini, a sua volta precursore del governo Prodi.

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Rc Auto, Alitalia e Pos, le novità sul dl fisco

Nuovi ritocchi al dl Fisco dopo il vertice di governo. Provvedimento verso il ritorno in commissione Finanze per integrarlo con quello su Alitalia. Malumori delle assicurazioni sull'rc auto famigliare.

Il dl Fisco è ancora un cantiere aperto. Il 3 dicembre è iniziata in Aula a Montecitorio la discussione generale sul provvedimento collegato alla manovra. Con ogni probabilità all’assemblea dovrebbe arrivare la richiesta di un ritorno in commissione Finanze del provvedimento, per sistemare il ‘caso’ delle fondazioni e per correggere alcune coperture, in particolare per alcune voci come il bonus per gli airbag da moto, le norme per i lavoratori rimpatriati e il tetto agli interessi per debiti col fisco e rate.

VERSO UN EMENDAMENTO PER ALITALIA

Uno dei motivi per riportare il dl in commissione è quello di integrarlo con il provvedimento su Alitalia. L’idea è quella di inserire per intero il provvedimento urgente per la ex compagnia di bandiera varato il 2 dicembre dal Cdm e già in Gazzetta Ufficiale.

POLEMICHE TRA ASSICURAZIONI E MAGGIORANZA SULL’RC FAMILIARE

Uno dei temi più caldi è quello della Rc auto. In particolare il M5s ha spinto per introdurre un coefficiente familiare, come spiegato dagli stessi deputati grillini: «Grazie a un emendamento a prima firma Andrea Caso, si potrà beneficiare della fascia assicurativa più bassa fra tutti i veicoli di proprietà del nucleo familiare. Nel caso si possieda un motorino in 14esima fascia e un’auto in prima, a partire dal prossimo rinnovo dell’assicurazione anche per il motorino si passerà in prima fascia, con un risparmio sul premio. Per le famiglie italiane è una boccata d’ossigeno». Un provvedimento che non è piaciuto all’Ania, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici: «I proclami entusiastici con cui è stata accolta l’approvazione dell’emendamento sono una vittoria di Pirro». Per le compagnie, la disposizione, «se definitivamente approvata, condurrebbe a conseguenze davvero distorsive per la sostenibilità del sistema assicurativo, a danno di tutti gli utenti», depotenziando l’equità sociale e la sicurezza stradale.

DI MAIO ESULTA PER LE NOVITÁ SUL POS

Intanto Luigi Di Maio è tornato sulla questione delle multe per i commercianti che non usano il Pos. «Sono contento che sia stata trovata l’intesa per eliminare la multa ai commercianti che non hanno il Pos», ha spiegato in una nota il capo politico M5s, «l’ennesima promessa mantenuta. Come ho più volte detto la priorità deve essere quella di abbassare il costo delle commissioni in modo da agevolare tutti, a partire dai piccoli commercianti. Perché lo Stato non deve mettere paletti a chi fatica dalla mattina alla sera, piuttosto deve trovare delle soluzioni».

VIA LIBERA AL BONUS TARI PER I REDDITI PIÙ BASSI

Alitalia e Pos non sono le uniche novità per il dl nelle ultime ore. Il 2 dicembre la commissione Finanze della Camera ha dato il via libera al “bonus Tari” per i redditi più bassi. L’emendamento approvato prevede infatti che «agli utenti domestici in condizioni economiche disagiate» sia consentito «l’accesso al servizio a condizioni tariffarie agevolate». I beneficiari sono individuati in analogia ai criteri utilizzati per i bonus sociali relativi all’energia elettrica, al gas e al servizio idrico integrato. La stessa proposta prevede che dal 2021 i bonus sociali per la fornitura di energia elettrica, gas e acqua siano riconosciuti automaticamente. Per quanto riguarda la Tari, in arrivo anche lo slittamento al 30 aprile dell’approvazione da parte dei comuni delle tariffe e dei regolamenti relativi alla tassa sui rifiuti.

IN ARRIVO 45 MILIONI PER RIFINANZIARE LA CIGS

Infine entrano nel decreto anche 45 milioni per il 2019 per rifinanziare la Cigs per cessazione dell’attività produttiva.

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Omicidio Sacchi, Del Grosso: «Non volevo uccidere»

Ma davanti alle domande del pm il ragazzo accusato di essere l'autore materiale del delitto ha preferito non rispondere.

Valerio Del Grosso, accusato dell’omicidio di Luca Sacchi, ha reso dichiarazioni spontanee davanti al gip di Roma nel corso del nuovo interrogatorio di garanzia: «Non volevo uccidere nessuno, era la prima volta che prendevo un’arma in mano», ha detto Del Grosso. Ma davanti alle domande del pubblico ministero, difeso dall’avvocato Alessandro Marcucci, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Stessa scelta per il coimputato nel delitto, Paolo Pirino.

LEGGI ANCHE: Omicidio Luca Sacchi, nello zaino di Anastasia c’erano 70 mila euro

Anche Giovanni Princi, l’amico di Luca arrestato pochi giorni fa con l’accusa di spaccio, ha parlato attraverso il suo avvocato, Massimo Pineschi: «Giovanni è addolorato per la morte del suo amico, a cui era molto legato. Per lui è stata una vicenda dolorosissima. So che anche i suoi genitori sono sconvolti per quanto accaduto. Il mio assistito è scosso, è alla sua prima esperienza detentiva, potete immaginare come sta. Valuteremo il ricorso al Tribunale del Riesame dopo avere letto tutti gli atti». Anche Princi ha preferito tuttavia non rispondere alle domande del pm.

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A Venezia il test del Mose è andato bene

Secondo il Consorzio Venezia Nuova la barriera ha mostrato un comportamento «di evidente stabilità».

Le vibrazioni, questa volta, non ci sono state, risposte positive dal test di sollevamento delle paratoie del Mose eseguito la scorsa notte alla bocca di porto di Malamocco, a tre settimane dalla grande acqua alta di 187 cm del 12 novembre. Anche in condizioni di moto ondoso – spiega il Consorzio Venezia Nuova – la barriera ha mostrato un comportamento «di evidente stabilità». Quanto al problema delle vibrazioni riscontrate nella prova del 24 ottobre, il test ha dimostrato che «gli interventi eseguiti e la modifica alle procedure hanno risolto la problematica».

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Sace Simest: l’agenda digitale spingerà le Pmi italiane all’estero

Un’ offerta sempre più digitale, partnership con primarie fintech e la nuova figura dell’export coach. Ecco come il portale online dell’azienda controllata da Cdp prende per mano le imprese che vogliono esportare di più.

L’export digitale si presenta come un’opportunità da non perdere, con delle potenzialità enormi ancora inespresse e poco sfruttate. Per l’Italia, le esportazioni che transitano sul canale online hanno un peso marginale, pari al 7% del totale, e sono ancora molto concentrate nei settori tradizionali del Made in Italy (food & fashion in primis), anche se non mancano esperienze innovative in comparti tradizionalmente complessi quali la meccanica strumentale e la componentistica. Di pari passo, anzi la digitalizzazione sta rivoluzionando il mondo dei servizi sia assicurativi sia finanziari, con impatti già evidenti per la sfera private, soprattutto per le PMI.

Proprio per questo il Polo Sace Simest, la società di Cassa depositi e prestiti specializzata nel supporto all’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha sviluppato un’agenda ditale rivolta alle PMI, asse portante del tessuto imprenditoriale italiano e target prioritario.

Un nuovo portale web dalla user experience evoluta, partnership con primarie fintech per offrire servizi online all’avanguardia e un export coach per aiutare le Pmi a incrementare l’export. Questi sono gli step principali della strategia Sace Simest.

OBIETTIVO DIGITALIZZAZIONE DEI PRODOTTI PIÙ RICHIESTI

Dieci anni fa Sace lanciava ExportPlus, la prima piattaforma digitale con l’obiettivo di velocizzare il processo di sottoscrizione delle polizze per l’assicurazione dei crediti esteri. Nel 2016, però, nasce una vera e propria agenda digitale: in sostanza, un ripensamento radicale del modo di sostenere le imprese italiane nel loro approccio ai mercati esteri. L’obiettivo della digital agenda è far accedere al mondo Sace Simest – sfruttando il potenziale della digitalizzazione – quante più Pmi possibili. Esiste un bacino di circa 87mila imprese che esportano poco o nulla e che potrebbero farlo di più e meglio. Da qui, SACE SIMEST si è data tre obiettivi da raggiungere: 1) piena digitalizzazione dei 6 prodotti più richiesti dalle Pmi (finanziamenti agevolati, valutazione controparti, assicurazione del credito, factoring, cauzioni e recupero crediti), 2) lancio di un programma di education to export reso fruibile all’interno di 3) un nuovo ecosistema digitale costruito attorno alle esigenze delle Pmi: sacesimest.it. In particolare, il nuovo portale punta a distinguersi attraverso una user experience personalizzata, attraverso un cms che si adatta alle esigenze di chi lo utilizza. Il portale vende prodotti di difficile standardizzazione e lo fa affiancando all’offerta di prodotti anche quella di contenuti formativi e di studi di alto livello. Rispetto ad altre agenzie e organizzazioni internazionali, inoltre, offre tutti i suoi contenuti direttamente online in modo gratuito.

PARTNERSHIP CON LE MIGLIORI FINTECH

Il Polo SACE SIMEST lo scorso settembre ha iniziato una collaborazione con Ebury, una delle principali fintech in Europa nella gestione di incassi e pagamenti internazionali e nella copertura del rischio di cambio. L’accordo permette agli esportatori italiani di avere una protezione di tutti i rischi collegati all’operatività internazionale. Un’offerta che consentirà di accedere a soluzioni sia per la copertura del rischio di credito, grazie ai prodotti offerti da Sace Simest, sia dal rischio di cambio in oltre 130 valute, attraverso i servizi offerti da Ebury.

LA NUOVA FIGURA DELL’EXPORT COACH

Per affiancare le aziende che si affacciano sui mercati internazionali, Sace Simest ha previsto la nuova figura dell’export coach. È un professionista di età media di trent’anni, con spiccate attitudini digitali e commerciali, nonché mobilità su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione al Mezzogiorno dove la maggior parte di loro fa base. Gli export coach lavoreranno molto sul campo incontrando gli imprenditori direttamente in azienda per ascoltare le loro esigenze e indirizzarli nella scelta dei prodotti e dei servizi assicurativo finanziari più adatti a sostenere i loro piani di penetrazione commerciale di nuovi mercati e i processi di internazionalizzazione volti a catturare nuove commesse.

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Prof filo-Hitler: il Pm di Siena dispone il sequestro del profilo Twitter

Il procuratore del capoluogo toscano ha dato mandato alla polizia postale di bloccare in via preventiva l'account del docente. Aperto un fascicolo per propaganda e istigazione a delinquere per motivi razziali.

Il procuratore di Siena Salvatore Vitello ha disposto il sequestro preventivo del profilo Twitter del professor Emanuele Castrucci e l’oscuramento dei tweet a sostegno di Hitler. Per l’esecuzione di entrambi i provvedimenti, di cui parla la Nazione e il Corriere della Sera, è stata data delega alla polizia postale. La procura ha aperto un fascicolo di indagine ipotizzando il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa, aggravata da negazionismo.

LA DIFESA DEL RETTORE FRATI: «MAI SEGNALATI I PRECEDENTI»

La vicenda, innescata il 1 dicembre con la segnalazione di alcuni tweet apertamente nazisti, ha avuto ripercussioni in tutta l’Università di Siena, dove insegna Castrucci. In particolare qualche voce polemica si è alzata contro il rettore Francesco Frati che in un primo momento aveva scaricato ogni responsabilità sul docente salvo poi inasprire i toni con un comunicato molto duro che ne chiedeva il licenziamento. Il 3 dicembre il rettore ha difeso ancora la sua posizione: «A me nessuno studente aveva segnalato questi casi», ha spiegato ai giornalisti che gli chiedevano se avesse in passato ricevuto già segnalazioni su Emanuele Castrucci. «Anche io leggendo indietro i tweet del professore», ha proseguito Frati, «sono rimasto abbastanza sconvolto, si tratta di una escalation. Alla luce di quello che abbiamo letto sicuramente qualche mese fa avremmo potuto capire che c’era qualcosa di strano, ma si trattava di tweet molto meno virulenti di quello clamoroso pubblicato due giorni fa».

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La battaglia politica e sindacale contro i tagli di Unicredit

Il Pd sugli 8 mila esuberi: «Inaccettabile, faremo di tutto per ridurli». La Cisl parla di «schiaffo» e annuncia una lotta «durissima» contro la «linea irresponsabile» dell'ad Mustier. Le reazioni.

In Borsa il piano lacrime e sangue di Unicredit è stato accolto con indifferenza, e il titolo ha chiuso perdendo addirittura mezzo punto. Da tempo il mercato chiede all’ad Jean Pierre Mustier una strategia che non sia fatta solo di tagli del personale e di vendita degli asset della banca.Niente, ennesima occasione perduta. Politicamente invece le acque si sono molto agitate. Il Partito democratico se l’è presa direttamente con l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier che aveva promesso di agire in modo socialmente responsabile: «Ma quale responsabilità sociale? Il piano che Unicredit ha annunciato è una mannaia orientata alla maggiore creazione di valore per gli azionisti, senza alcun riguardo al capitale umano dei lavoratori», ha scritto in una nota Pietro Bussolati della segreteria nazionale Pd.

IL PD SI SCHIERA «AL FIANCO DEI LAVORATORI»

Secondo i dem «non è accettabile che il nostro Paese sia destinato a sostenere la parte più consistente degli esuberi: gli 8 mila tagli del personale Unicredit si concentreranno soprattutto in Italia, Germania e Austria. Numeri da capogiro che Mustier ha snocciolato giustificando l’obiettivo da perseguire: 16 miliardi di valore per i soci. Siamo al fianco dei sindacati e dei lavoratori e faremo tutto il possibile affinché gli esuberi previsti per l’Italia siano ridotti il più possibile».

LA MINISTRA CATALFO: «CAPIAMO COSA STA ACCADENDO»

Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro, a differenza dei mercati è stata sorpresa dalla notizia: «Vediamo di capire cosa sta avvenendo e di intervenire nel caso in cui ci dovessero essere esuberi, ma speriamo che non ce ne siano». Il problema è che il piano li prevede, nero su bianco, per il triennio 2020-2023. La ministra ha detto che preferirebbe «evitare di intervenire in emergenza, ma prevenire le crisi. Questo attraverso un osservatorio sul mercato del lavoro che inizi a studiare i settori in Italia sui quali si investe e quelli che sono in sofferenza e quindi anticipare le crisi».

sindacati tagli unicredit mustier pd
Il palazzo di Unicredit a Milano. (Ansa)

I SINDACATI: «MUSTIER PENSA SOLO AI COSTI E NON AI RICAVI»

Anche i sindacati sono pronti a mobilitarsi. Il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani ha parlato di «schiaffo ai lavoratori che con i loro sacrifici hanno consentito alla banca di superare i momenti difficili che si sono succeduti negli ultimi anni». Si delinea dunque «un colpo durissimo al lavoro a esclusivo vantaggio del capitale». Per Colombani è la dimostrazione che «l’unica logica che muove il gruppo è quella del taglio dei costi. Lo avevamo già capito quando sono state cedute Pekao, Pioneer e Fineco: per Mustier fare ricavi è secondario. Unicredit non pensi che i sindacati accettino una nuova ondata di esuberi: faremo una battaglia durissima».

Non si possono scaricare ancora una volta sui lavoratori i costi di una ristrutturazione aziendale


Annamaria Furlan della Cisl

Anche la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, ha attaccato la «linea irresponsabile» della banca: «Non si possono scaricare ancora una volta sui lavoratori i costi di una ristrutturazione aziendale come prevede il nuovo piano industriale di Unicredit, una fredda operazione contabile che il sindacato non può accettare».

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La battaglia politica e sindacale contro i tagli di Unicredit

Il Pd sugli 8 mila esuberi: «Inaccettabile, faremo di tutto per ridurli». La Cisl parla di «schiaffo» e annuncia una lotta «durissima» contro la «linea irresponsabile» dell'ad Mustier. Le reazioni.

In Borsa il piano lacrime e sangue di Unicredit è stato accolto con indifferenza, e il titolo ha chiuso perdendo addirittura mezzo punto. Da tempo il mercato chiede all’ad Jean Pierre Mustier una strategia che non sia fatta solo di tagli del personale e di vendita degli asset della banca.Niente, ennesima occasione perduta. Politicamente invece le acque si sono molto agitate. Il Partito democratico se l’è presa direttamente con l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier che aveva promesso di agire in modo socialmente responsabile: «Ma quale responsabilità sociale? Il piano che Unicredit ha annunciato è una mannaia orientata alla maggiore creazione di valore per gli azionisti, senza alcun riguardo al capitale umano dei lavoratori», ha scritto in una nota Pietro Bussolati della segreteria nazionale Pd.

IL PD SI SCHIERA «AL FIANCO DEI LAVORATORI»

Secondo i dem «non è accettabile che il nostro Paese sia destinato a sostenere la parte più consistente degli esuberi: gli 8 mila tagli del personale Unicredit si concentreranno soprattutto in Italia, Germania e Austria. Numeri da capogiro che Mustier ha snocciolato giustificando l’obiettivo da perseguire: 16 miliardi di valore per i soci. Siamo al fianco dei sindacati e dei lavoratori e faremo tutto il possibile affinché gli esuberi previsti per l’Italia siano ridotti il più possibile».

LA MINISTRA CATALFO: «CAPIAMO COSA STA ACCADENDO»

Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro, a differenza dei mercati è stata sorpresa dalla notizia: «Vediamo di capire cosa sta avvenendo e di intervenire nel caso in cui ci dovessero essere esuberi, ma speriamo che non ce ne siano». Il problema è che il piano li prevede, nero su bianco, per il triennio 2020-2023. La ministra ha detto che preferirebbe «evitare di intervenire in emergenza, ma prevenire le crisi. Questo attraverso un osservatorio sul mercato del lavoro che inizi a studiare i settori in Italia sui quali si investe e quelli che sono in sofferenza e quindi anticipare le crisi».

sindacati tagli unicredit mustier pd
Il palazzo di Unicredit a Milano. (Ansa)

I SINDACATI: «MUSTIER PENSA SOLO AI COSTI E NON AI RICAVI»

Anche i sindacati sono pronti a mobilitarsi. Il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani ha parlato di «schiaffo ai lavoratori che con i loro sacrifici hanno consentito alla banca di superare i momenti difficili che si sono succeduti negli ultimi anni». Si delinea dunque «un colpo durissimo al lavoro a esclusivo vantaggio del capitale». Per Colombani è la dimostrazione che «l’unica logica che muove il gruppo è quella del taglio dei costi. Lo avevamo già capito quando sono state cedute Pekao, Pioneer e Fineco: per Mustier fare ricavi è secondario. Unicredit non pensi che i sindacati accettino una nuova ondata di esuberi: faremo una battaglia durissima».

Non si possono scaricare ancora una volta sui lavoratori i costi di una ristrutturazione aziendale


Annamaria Furlan della Cisl

Anche la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, ha attaccato la «linea irresponsabile» della banca: «Non si possono scaricare ancora una volta sui lavoratori i costi di una ristrutturazione aziendale come prevede il nuovo piano industriale di Unicredit, una fredda operazione contabile che il sindacato non può accettare».

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Terremoti e disastri: l’Italia è a rischio ma non ci si assicura

Nonostante il nostro Paese sia a forte rischio sismico e idrogeologico e paghi decine di miliardi di euro per i danni dovuti a catastrofi naturali, le polizze sono ancora poche. Il punto di Ivass, Ania e Swiss Re.

Non appena l’acqua alta ha lasciato Venezia è stato il turno della Liguria, con una frana che ha travolto il viadotto dell’autostrada Torino-Savona, replica fortunatamente senza vittime del disastro del Ponte Morandi. E poi fiumi d’acqua per le strade di Matera, gli allagamenti in Emilia e in molte altre parti d’Italia, mentre lunedì 2 dicembre è stato il turno del Ticino che ha rotto un argine a Pavia. E questo è solo l’appello degli ultimi episodi, perché ad allargare l’inquadratura il conto è impressionante. 

NEGLI ULTIMI 50 ANNI SPESI 150 MILIARDI

Le alluvioni avvenute in Italia dal 1950, infatti, hanno causato 1.200 tra morti e dispersi, per non parlare delle decine di miliardi di danni. Secondo Swiss Re, prima compagnia di riassicurazione al mondo, tra il 1990 e il 2018 piogge e inondazioni hanno provocato perdite economiche pari a 32,1 miliardi, di cui 30,9 non assicurati e 1,2 miliardi, invece, con copertura pari al 4%. Se consideriamo che le imprese solitamente sono coperte, nel residenziale la quota di copertura è ancora più bassa, circa il 2%. Con il problema che i rimborsi devono arrivare, quando arrivano, dallo Stato, ex-post e in modo non previsto e non strutturato.

LEGGI ANCHE: Perché occorre una mappatura geologica contro il dissesto

Tanto che, secondo l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass), considerando i terremoti, tra il 1968 e il 2012 l’Italia ha speso 122 miliardi di euro. Ma si arriva a 150 miliardi negli ultimi 50 anni. Secondo Daniela D’Andrea, Ceo di Swiss Re Italia, «c’è un evidente peso sulle tasche dei contribuenti, pari a quasi 3 miliardi di euro l’anno. Senza contare che le procedure talvolta sono più farraginose e che, in ogni caso, la polizza assicurativa premia comportamenti virtuosi di messa in sicurezza e prevenzione del rischio».

SOLO 1 MLN DI ABITAZIONI SONO ASSICURATE CONTO LE CATASTROFI

Secondo l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania), oggi sono assicurate contro i rischi catastrofali circa 1 milione di unità abitative, in crescita rispetto alle 766 mila nel 2018 e 610 mila nel 2016 anche grazie alle misure fiscali introdotte dal governo per incoraggiare l’acquisto di polizze ad hoc. Ma comunque un livello ancora troppo basso. Soprattutto perché secondo una simulazione dell’Ivass l’estensione a tutte le abitazioni italiane di questa protezione assicurativa consentirebbe di risarcire i danni pagando premi socialmente accettabili. Anche in un Paese «a elevatissima esposizione al rischio sismico, primo in Europa e ottavo nel mondo per danni in proporzione al Pil, e a forte esposizione a rischio alluvionale». 

21,6 MILIONI DI CASE IN ZONE A RISCHIO SISMICO

L’Italia però è forse l’unico Paese industrializzato privo di un meccanismo regolamentato per la gestione delle calamità naturali a differenza di Francia, Stati Uniti e Giappone i cui sistemi sono caratterizzati dalla partecipazione congiunta del settore assicurativo privato, e a vario titolo, dello Stato, e l’impiego di meccanismi che facilitano la mutualizzazione dei rischi attraverso l’aumento della platea di assicurati. Da noi invece, scrive l’Ivass, «l’uso dello strumento assicurativo è molto scarso». Mentre «il rischio per il patrimonio abitativo italiano è enorme, con 21,6 milioni di abitazioni (su un totale di 34,7 milioni, pari al 62,2%) che sono in aree a rischio sismico». Un rischio amplificato dalla concentrazione della ricchezza delle famiglie proprio nel possesso di abitazioni, visto che più del 70% è proprietaria. 

CON UN COSTO MEDIO DI 130 EURO L’ANNO LA COPERTURA SAREBBE COMPLETA

L’evoluzione dei cambiamenti climatici in atto, con l’aumento delle precipitazioni invernali e della siccità estiva, accresce la frequenza delle alluvioni improvvise e dei danni meteo-idraulici. Senza contare terremoti e altri tipi di disastri. Per l’Ivass con un costo medio annuo di 130 euro si potrebbero coprire in modo completo tutte le abitazioni della Penisola, anche quelle meno resistenti. Con la semplice introduzione di una franchigia del 6%, poi, il costo potrebbe diminuire del 40%. Mentre per le aree a basso rischio non si dovrebbe andare oltre i 20 euro. Per adesso, aspettiamo solo che torni il sole. 

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Terremoti e disastri: l’Italia è a rischio ma non ci si assicura

Nonostante il nostro Paese sia a forte rischio sismico e idrogeologico e paghi decine di miliardi di euro per i danni dovuti a catastrofi naturali, le polizze sono ancora poche. Il punto di Ivass, Ania e Swiss Re.

Non appena l’acqua alta ha lasciato Venezia è stato il turno della Liguria, con una frana che ha travolto il viadotto dell’autostrada Torino-Savona, replica fortunatamente senza vittime del disastro del Ponte Morandi. E poi fiumi d’acqua per le strade di Matera, gli allagamenti in Emilia e in molte altre parti d’Italia, mentre lunedì 2 dicembre è stato il turno del Ticino che ha rotto un argine a Pavia. E questo è solo l’appello degli ultimi episodi, perché ad allargare l’inquadratura il conto è impressionante. 

NEGLI ULTIMI 50 ANNI SPESI 150 MILIARDI

Le alluvioni avvenute in Italia dal 1950, infatti, hanno causato 1.200 tra morti e dispersi, per non parlare delle decine di miliardi di danni. Secondo Swiss Re, prima compagnia di riassicurazione al mondo, tra il 1990 e il 2018 piogge e inondazioni hanno provocato perdite economiche pari a 32,1 miliardi, di cui 30,9 non assicurati e 1,2 miliardi, invece, con copertura pari al 4%. Se consideriamo che le imprese solitamente sono coperte, nel residenziale la quota di copertura è ancora più bassa, circa il 2%. Con il problema che i rimborsi devono arrivare, quando arrivano, dallo Stato, ex-post e in modo non previsto e non strutturato.

LEGGI ANCHE: Perché occorre una mappatura geologica contro il dissesto

Tanto che, secondo l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass), considerando i terremoti, tra il 1968 e il 2012 l’Italia ha speso 122 miliardi di euro. Ma si arriva a 150 miliardi negli ultimi 50 anni. Secondo Daniela D’Andrea, Ceo di Swiss Re Italia, «c’è un evidente peso sulle tasche dei contribuenti, pari a quasi 3 miliardi di euro l’anno. Senza contare che le procedure talvolta sono più farraginose e che, in ogni caso, la polizza assicurativa premia comportamenti virtuosi di messa in sicurezza e prevenzione del rischio».

SOLO 1 MLN DI ABITAZIONI SONO ASSICURATE CONTO LE CATASTROFI

Secondo l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania), oggi sono assicurate contro i rischi catastrofali circa 1 milione di unità abitative, in crescita rispetto alle 766 mila nel 2018 e 610 mila nel 2016 anche grazie alle misure fiscali introdotte dal governo per incoraggiare l’acquisto di polizze ad hoc. Ma comunque un livello ancora troppo basso. Soprattutto perché secondo una simulazione dell’Ivass l’estensione a tutte le abitazioni italiane di questa protezione assicurativa consentirebbe di risarcire i danni pagando premi socialmente accettabili. Anche in un Paese «a elevatissima esposizione al rischio sismico, primo in Europa e ottavo nel mondo per danni in proporzione al Pil, e a forte esposizione a rischio alluvionale». 

21,6 MILIONI DI CASE IN ZONE A RISCHIO SISMICO

L’Italia però è forse l’unico Paese industrializzato privo di un meccanismo regolamentato per la gestione delle calamità naturali a differenza di Francia, Stati Uniti e Giappone i cui sistemi sono caratterizzati dalla partecipazione congiunta del settore assicurativo privato, e a vario titolo, dello Stato, e l’impiego di meccanismi che facilitano la mutualizzazione dei rischi attraverso l’aumento della platea di assicurati. Da noi invece, scrive l’Ivass, «l’uso dello strumento assicurativo è molto scarso». Mentre «il rischio per il patrimonio abitativo italiano è enorme, con 21,6 milioni di abitazioni (su un totale di 34,7 milioni, pari al 62,2%) che sono in aree a rischio sismico». Un rischio amplificato dalla concentrazione della ricchezza delle famiglie proprio nel possesso di abitazioni, visto che più del 70% è proprietaria. 

CON UN COSTO MEDIO DI 130 EURO L’ANNO LA COPERTURA SAREBBE COMPLETA

L’evoluzione dei cambiamenti climatici in atto, con l’aumento delle precipitazioni invernali e della siccità estiva, accresce la frequenza delle alluvioni improvvise e dei danni meteo-idraulici. Senza contare terremoti e altri tipi di disastri. Per l’Ivass con un costo medio annuo di 130 euro si potrebbero coprire in modo completo tutte le abitazioni della Penisola, anche quelle meno resistenti. Con la semplice introduzione di una franchigia del 6%, poi, il costo potrebbe diminuire del 40%. Mentre per le aree a basso rischio non si dovrebbe andare oltre i 20 euro. Per adesso, aspettiamo solo che torni il sole. 

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Il caso De Siervo sui cori razzisti negli stadi della Serie A

Diffuso un audio "rubato" in cui l'ad della Lega afferma di aver chiesto ai registi di «spegnere i microfoni verso le curve». Così «non li sentirete in tivù». L'interessato si difende con una querela e parla di «rischio emulazione».

I cori razzisti negli stadi della Serie A fanno il giro del mondo e danneggiano l‘immagine dei club, veicolata anche attraverso i diritti televisivi?

Allora meglio non farli sentire, come fosse polvere da mettere sotto il tappeto.

Fa discutere l’audio “rubato” di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, diffuso dal quotidiano la Repubblica e rilanciato su Twitter anche da altre testate.

LEGGI ANCHE: Il manifesto delle squadre di Serie A contro il razzismo

LA CONVERSAZIONE CON SCARONI

L’audio, registrato all’insaputa del protagonista il 23 settembre 2019 durante il consiglio di Lega, raccoglie un dialogo tra lo stesso De Siervo e Paolo Scaroni, presidente del Milan. Scaroni si dice preoccupato: «Sul New York Times hanno fatto un articolo grande così sui buu razzisti». E De Siervo risponde: «Ti faccio una confessione, non la mettiamo a verbale. Ho chiesto ai nostri registi di spegnere i microfoni verso le curve, io l’ho chiesto. Quindi non li sentirete in tivù, perché io l’ho chiesto».

LEGGI ANCHE: Il razzismo di Cellino con Balotelli e i precedenti nel calcio

PRODOTTI DA VALORIZZARE

De Siervo ha riconosciuto che l’audio è autentico, ma ha detto anche di aver querelato chi lo ha diffuso: «Nessuna censura, è stato tagliato un pezzo all’interno di un contesto più grande. Si parlava di produzione televisiva e di come valorizzare al meglio il nostro prodotto. A controllare la regolarità dello svolgimento della gara e documentare a fini legali e sportivi ciò che capita dentro lo stadio ci pensano già gli organi preposti: la polizia, gli ispettori di Lega e Federazione e, non ultimi, gli arbitri. Abbiamo dato istruzioni precise ai registi e sospeso chi, a Cagliari, aveva indugiato troppo sulla curva durante un controllo Var e chi, a Milano, aveva ripreso l’omaggio della curva interista a Diabolik. Io ho solo suggerito di gestire in maniera più precisa il direzionamento dei microfoni. Capita spesso, infatti, che da casa si sentano dettagli che allo stadio nemmeno si percepiscono».

E VALORI DA COMUNICARE

Le polemiche, però, non si placano. Un conto è direzionare «in maniera più precisa» i microfoni (più precisa in che senso?), un altro è spegnerli affinché certi «dettagli» non arrivino nelle case dei telespettatori. Si tratta inoltre dello stesso De Siervo che il 6 ottobre 2019, pochi giorni dopo quel consiglio di Lega, partecipando all’Ey Digital Summit di Capri dichiarava: «Non comunichiamo solo un evento sportivo, ma un insieme di valori. Negli stadi ci sono i razzisti e noi – che su questo abbiamo tolleranza zero – li andremo a prendere uno per uno. Lo faremo attraverso la tecnologia, grazie al riconoscimento visivo prenderemo il singolo responsabile di un atto e faremo in modo che non entri più in uno stadio».

DE SIERVO: «VOLEVAMO EVITARE IL RISCHIO EMULAZIONE»

L’amministratore delegato della Lega Serie A, nel pomeriggio del 3 dicembre, con un’apposita conferenza stampa ha cercato da una parte di parare il colpo: «Volevamo evitare di trasformare in eroi determinati ragazzi. Se hanno certi atteggiamenti, sono considerati degli eroi. C’è il rischio emulazione, come accaduto con il lancio delle pietre dai cavalcavia. Dobbiamo evitare di trasformare in eroi dei criminali». Un’argomentazione che però appare poco convincente. Se il punto fosse stato questo, perché nell’audio De Siervo chiede di non mettere a verbale la conversazione con Scaroni?

UNA MANOVRA PER DESTABILIZZARE IL GOVERNO DEL CALCIO?

Dall’altra parte il manager ha lasciato intedere come dietro la diffusione del file ci sarebbe una manovra per alterare gli equilibri di potere nell’organo che gestisce i più importanti tornei calcistici italiani: «Se nei prossimi mesi ci saranno attività esterne che cercheranno di destabilizzare la Lega, chiamerò i giornalisti in modo che le cose non crescano nel silenzio e diventino ingestibili. So chi mi vuole male. Ma dovete fare il vostro mestiere e capirlo da soli. Noi non ci facciamo intimidire. Continuiamo nel nostro percorso, sono stato eletto da 15 club che mi danno fiducia e qualora la maggioranza mi chiedesse di fare un passo indietro lo farei. Ma certo nessuno può farsi intimidire per delle lettere anonime o degli audio rubati con il cellulare nel tentativo goffo di buttare fango su di me, sulla Lega e sulla nostra azione. L’obiettivo è pensare di riuscire a decapitare la Lega in prossimità del bando sui diritti tivù. Qualcuno all’interno di quella stanza ha fatto il passo più lungo della gamba».

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Il caso De Siervo sui cori razzisti negli stadi della Serie A

Diffuso un audio "rubato" in cui l'ad della Lega afferma di aver chiesto ai registi di «spegnere i microfoni verso le curve». Così «non li sentirete in tivù». L'interessato si difende con una querela e parla di «rischio emulazione».

I cori razzisti negli stadi della Serie A fanno il giro del mondo e danneggiano l‘immagine dei club, veicolata anche attraverso i diritti televisivi?

Allora meglio non farli sentire, come fosse polvere da mettere sotto il tappeto.

Fa discutere l’audio “rubato” di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, diffuso dal quotidiano la Repubblica e rilanciato su Twitter anche da altre testate.

LEGGI ANCHE: Il manifesto delle squadre di Serie A contro il razzismo

LA CONVERSAZIONE CON SCARONI

L’audio, registrato all’insaputa del protagonista il 23 settembre 2019 durante il consiglio di Lega, raccoglie un dialogo tra lo stesso De Siervo e Paolo Scaroni, presidente del Milan. Scaroni si dice preoccupato: «Sul New York Times hanno fatto un articolo grande così sui buu razzisti». E De Siervo risponde: «Ti faccio una confessione, non la mettiamo a verbale. Ho chiesto ai nostri registi di spegnere i microfoni verso le curve, io l’ho chiesto. Quindi non li sentirete in tivù, perché io l’ho chiesto».

LEGGI ANCHE: Il razzismo di Cellino con Balotelli e i precedenti nel calcio

PRODOTTI DA VALORIZZARE

De Siervo ha riconosciuto che l’audio è autentico, ma ha detto anche di aver querelato chi lo ha diffuso: «Nessuna censura, è stato tagliato un pezzo all’interno di un contesto più grande. Si parlava di produzione televisiva e di come valorizzare al meglio il nostro prodotto. A controllare la regolarità dello svolgimento della gara e documentare a fini legali e sportivi ciò che capita dentro lo stadio ci pensano già gli organi preposti: la polizia, gli ispettori di Lega e Federazione e, non ultimi, gli arbitri. Abbiamo dato istruzioni precise ai registi e sospeso chi, a Cagliari, aveva indugiato troppo sulla curva durante un controllo Var e chi, a Milano, aveva ripreso l’omaggio della curva interista a Diabolik. Io ho solo suggerito di gestire in maniera più precisa il direzionamento dei microfoni. Capita spesso, infatti, che da casa si sentano dettagli che allo stadio nemmeno si percepiscono».

E VALORI DA COMUNICARE

Le polemiche, però, non si placano. Un conto è direzionare «in maniera più precisa» i microfoni (più precisa in che senso?), un altro è spegnerli affinché certi «dettagli» non arrivino nelle case dei telespettatori. Si tratta inoltre dello stesso De Siervo che il 6 ottobre 2019, pochi giorni dopo quel consiglio di Lega, partecipando all’Ey Digital Summit di Capri dichiarava: «Non comunichiamo solo un evento sportivo, ma un insieme di valori. Negli stadi ci sono i razzisti e noi – che su questo abbiamo tolleranza zero – li andremo a prendere uno per uno. Lo faremo attraverso la tecnologia, grazie al riconoscimento visivo prenderemo il singolo responsabile di un atto e faremo in modo che non entri più in uno stadio».

DE SIERVO: «VOLEVAMO EVITARE IL RISCHIO EMULAZIONE»

L’amministratore delegato della Lega Serie A, nel pomeriggio del 3 dicembre, con un’apposita conferenza stampa ha cercato da una parte di parare il colpo: «Volevamo evitare di trasformare in eroi determinati ragazzi. Se hanno certi atteggiamenti, sono considerati degli eroi. C’è il rischio emulazione, come accaduto con il lancio delle pietre dai cavalcavia. Dobbiamo evitare di trasformare in eroi dei criminali». Un’argomentazione che però appare poco convincente. Se il punto fosse stato questo, perché nell’audio De Siervo chiede di non mettere a verbale la conversazione con Scaroni?

UNA MANOVRA PER DESTABILIZZARE IL GOVERNO DEL CALCIO?

Dall’altra parte il manager ha lasciato intedere come dietro la diffusione del file ci sarebbe una manovra per alterare gli equilibri di potere nell’organo che gestisce i più importanti tornei calcistici italiani: «Se nei prossimi mesi ci saranno attività esterne che cercheranno di destabilizzare la Lega, chiamerò i giornalisti in modo che le cose non crescano nel silenzio e diventino ingestibili. So chi mi vuole male. Ma dovete fare il vostro mestiere e capirlo da soli. Noi non ci facciamo intimidire. Continuiamo nel nostro percorso, sono stato eletto da 15 club che mi danno fiducia e qualora la maggioranza mi chiedesse di fare un passo indietro lo farei. Ma certo nessuno può farsi intimidire per delle lettere anonime o degli audio rubati con il cellulare nel tentativo goffo di buttare fango su di me, sulla Lega e sulla nostra azione. L’obiettivo è pensare di riuscire a decapitare la Lega in prossimità del bando sui diritti tivù. Qualcuno all’interno di quella stanza ha fatto il passo più lungo della gamba».

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Chi è Luis Alberto Lacalle Pou, nuovo presidente dell’Uruguay

Il 46enne ha vinto il ballottaggio del 24 novembre. Figlio e bisnipote d'arte, ha riportato il Paese nelle mani del Partito Nazionale. Il profilo.

Per la prima volta in 15 anni, un candidato che non appartiene al Frente Amplio è stato eletto presidente dell’Uruguay.

Luis Alberto Lacalle Pou che ha battuto al ballottaggio Daniel Martínez, è il leader del Partito Nazionale detto anche Bianco, in contrapposizione agli storici rivali Colorados.

FIGLIO E BISNIPOTE D’ARTE

Il neo-presidente 46enne, che si insedierà il primo marzo, appartiene a una famiglia storica per la politica del Paese. Suo padre, Luis Alberto Lacalle, è stato presidente dal 1990 al 1995. La madre Julia Pou è stata senatrice tra il 2000 e il 2005.

Luis Alberto Lacalle​, padre del neo presidente dell’Uruguay e a sua volta ex presidente del Paese (Getty Images).

Infine il bisnonno Luis Alberto de Herrera, storico caudillo dei Blancos, a parte avere un ruolo assimilabile a primo ministro tra 1925 e 1927 ed essere stato membro del Consiglio nazionale di governo collegiale dal 1952 alla sua morte nel 1959, fu soprattutto colui che alle elezioni del 1958 sconfisse i Colorados dopo 93 anni. Personaggio leggendario, in alcune foto giovanili appare vestito da guerrigliero con un cappello da gaucho.

LEGGI ANCHE: Il giornalista Chamorro denuncia la repressione di Ortega in Nicaragua

LA PASSIONE PER IL MARE E PER IL SURF

Proprio dal bisnonno Lacalle Pou ha ereditato una collezione di National Geographic. Di qui la sua passione per il mare. Il suo sogno, infatti, era diventare un nuovo Jacques-Yves Cousteau tanto che anche ora dice di essere un oceanografo mancato. In compenso, però, è diventato un abilissimo surfista. Ha girato mezzo mondo a cercare onde da cavalcare: Hawaii, California, Nicaragua, Panama, El Salvador, Costa Rica, Messico, Brasile, Sumatra. Ama ripetere che «il surf insegna l’armonia con ciò che ci circonda e a integrarsi con il Pianeta». Quando non ha il mare a disposizione, si arrangia con uno skateboard.

LEGGI ANCHE: Jeanine Añez e Monica Eva Copa: le due donne alla guida della Bolivia

Proprio ai festeggiamenti per la vittoria del padre Luis Lacalle Pou conobbe sua moglie Lorena Ponce de León appartenente a una famiglia colorada, ma portata all’evento da una amica. Con lei ha avuto tre figli. Deputato dal 2000 al 2015, presidente della Camera dal 2011 al 2012, candidato alla presidenza nel 2014 e senatore dal 2015, Lacalle Pou è ora alla prova del governo.

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ E SGRAVI FISCALI

Dopo Lacalle padre e dopo due altri mandati di presidenti colorados, nel 2004 vinse per la prima volta il Frente Amplio, versione tra le più soft della Marea Rosa dei governi di sinistra dell’area. Tre i mandati: Tabaré Vázquez, poi il mediatico Pepe Mujica, poi di nuovo Vázquez. Ma dopo 15 anni anche il modello uruguayano ha iniziato ad appanarsi.

Il neo presidente dell’Uruguay Luis Lacalle (Getty images).

Non ci sono state le involuzioni autoritarie di altri governi di sinistra e l’Uruguay resta uno dei Paesi meglio governati della regione, ma la delinquenza è cresciuta: da 284 omicidi nel 2017 si è passati ai 414 nel 2018. Carta che Lacalle Pou ha giocato in campagna elettorale. Il suo programma prevedeva anche sgravi fiscali per i produttori agricoli, la riduzione del deficit e il mantenimento dello Stato sociale.

LA VITTORIA DI MISURA AL BALLOTTAGGIO

Al primo turno del 27 ottobre Luis Alberto Lacalle Pou aveva conquistato il 28,62% dei voti, contro il 39,02% di Martínez, il 12,34% del colorado Ernesto Talvi e l’11,04% di Guido Manini Ríos, ex-comandante dell’esercito destituito da Vázquez per aver preso le difese del regime militare e fondatore del partito Cabildo Abierto chiaramente ispirato a Jair Bolsonaro.

Il candidato del Frente Amplio, Daniel Martinez con la sua candidata vice Graciela Villar (Getty).

Il suo successo ha allarmato gli uruguayani al punto da consentire a Martínez un forte recupero al ballottaggio del 24 novembre. Un risultato che però non è stato sufficiente a garantirgli la vittoria. E ora, grazie a 30 mila voti, è la volta del presidente-surfista. Alla domanda su cosa avrebbe fatto con la tavola se eletto aveva risposto: «Sognare», visto che «il presidente deve lavorare anche nei fine settimana». Ma, ha assicurato, continuerà a insegnare surf alla figlia Violeta.


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Chi è Luis Alberto Lacalle Pou, nuovo presidente dell’Uruguay

Il 46enne ha vinto il ballottaggio del 24 novembre. Figlio e bisnipote d'arte, ha riportato il Paese nelle mani del Partito Nazionale. Il profilo.

Per la prima volta in 15 anni, un candidato che non appartiene al Frente Amplio è stato eletto presidente dell’Uruguay.

Luis Alberto Lacalle Pou che ha battuto al ballottaggio Daniel Martínez, è il leader del Partito Nazionale detto anche Bianco, in contrapposizione agli storici rivali Colorados.

FIGLIO E BISNIPOTE D’ARTE

Il neo-presidente 46enne, che si insedierà il primo marzo, appartiene a una famiglia storica per la politica del Paese. Suo padre, Luis Alberto Lacalle, è stato presidente dal 1990 al 1995. La madre Julia Pou è stata senatrice tra il 2000 e il 2005.

Luis Alberto Lacalle​, padre del neo presidente dell’Uruguay e a sua volta ex presidente del Paese (Getty Images).

Infine il bisnonno Luis Alberto de Herrera, storico caudillo dei Blancos, a parte avere un ruolo assimilabile a primo ministro tra 1925 e 1927 ed essere stato membro del Consiglio nazionale di governo collegiale dal 1952 alla sua morte nel 1959, fu soprattutto colui che alle elezioni del 1958 sconfisse i Colorados dopo 93 anni. Personaggio leggendario, in alcune foto giovanili appare vestito da guerrigliero con un cappello da gaucho.

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LA PASSIONE PER IL MARE E PER IL SURF

Proprio dal bisnonno Lacalle Pou ha ereditato una collezione di National Geographic. Di qui la sua passione per il mare. Il suo sogno, infatti, era diventare un nuovo Jacques-Yves Cousteau tanto che anche ora dice di essere un oceanografo mancato. In compenso, però, è diventato un abilissimo surfista. Ha girato mezzo mondo a cercare onde da cavalcare: Hawaii, California, Nicaragua, Panama, El Salvador, Costa Rica, Messico, Brasile, Sumatra. Ama ripetere che «il surf insegna l’armonia con ciò che ci circonda e a integrarsi con il Pianeta». Quando non ha il mare a disposizione, si arrangia con uno skateboard.

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Proprio ai festeggiamenti per la vittoria del padre Luis Lacalle Pou conobbe sua moglie Lorena Ponce de León appartenente a una famiglia colorada, ma portata all’evento da una amica. Con lei ha avuto tre figli. Deputato dal 2000 al 2015, presidente della Camera dal 2011 al 2012, candidato alla presidenza nel 2014 e senatore dal 2015, Lacalle Pou è ora alla prova del governo.

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ E SGRAVI FISCALI

Dopo Lacalle padre e dopo due altri mandati di presidenti colorados, nel 2004 vinse per la prima volta il Frente Amplio, versione tra le più soft della Marea Rosa dei governi di sinistra dell’area. Tre i mandati: Tabaré Vázquez, poi il mediatico Pepe Mujica, poi di nuovo Vázquez. Ma dopo 15 anni anche il modello uruguayano ha iniziato ad appanarsi.

Il neo presidente dell’Uruguay Luis Lacalle (Getty images).

Non ci sono state le involuzioni autoritarie di altri governi di sinistra e l’Uruguay resta uno dei Paesi meglio governati della regione, ma la delinquenza è cresciuta: da 284 omicidi nel 2017 si è passati ai 414 nel 2018. Carta che Lacalle Pou ha giocato in campagna elettorale. Il suo programma prevedeva anche sgravi fiscali per i produttori agricoli, la riduzione del deficit e il mantenimento dello Stato sociale.

LA VITTORIA DI MISURA AL BALLOTTAGGIO

Al primo turno del 27 ottobre Luis Alberto Lacalle Pou aveva conquistato il 28,62% dei voti, contro il 39,02% di Martínez, il 12,34% del colorado Ernesto Talvi e l’11,04% di Guido Manini Ríos, ex-comandante dell’esercito destituito da Vázquez per aver preso le difese del regime militare e fondatore del partito Cabildo Abierto chiaramente ispirato a Jair Bolsonaro.

Il candidato del Frente Amplio, Daniel Martinez con la sua candidata vice Graciela Villar (Getty).

Il suo successo ha allarmato gli uruguayani al punto da consentire a Martínez un forte recupero al ballottaggio del 24 novembre. Un risultato che però non è stato sufficiente a garantirgli la vittoria. E ora, grazie a 30 mila voti, è la volta del presidente-surfista. Alla domanda su cosa avrebbe fatto con la tavola se eletto aveva risposto: «Sognare», visto che «il presidente deve lavorare anche nei fine settimana». Ma, ha assicurato, continuerà a insegnare surf alla figlia Violeta.


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Sulla prescrizione il governo ha respinto l’offensiva del centrodestra

No dell'Aula della Camera alla richiesta d'urgenza per l'esame della proposta di legge del forzista Costa. Maggioranza compatta, Italia viva non partecipa alla votazione.

No dell’Aula della Camera alla richiesta d’urgenza per l’esame della proposta di legge Costa in materia di prescrizione presentata da Forza Italia e che vuole annullare la riforma Bonafede. I deputati di Italia viva non hanno partecipato alla votazione. La richiesta è stata bocciata con 245 no, 219 sì e due astenuti. Il governo ha votato compatto, col Movimento 5 stelle che ha applaudito all’operato del Partito democratico. «Il fatto che il Pd abbia votato contro l’urgenza della pdl Costa per rinviare l’entrata in vigore della riforma della prescrizione è un segnale che accogliamo con piacere. Adesso concentriamoci con unità di intenti sulla riforma che dimezza i tempi del processo penale».  I renziani, dopo aver minacciato di votare a favore, hanno scelto di non partecipare al voto: «Riconosciamo l’urgenza e la riconoscono avvocati in sciopero e magistrati fuori dal parlamento», hanno annunciato i deputati Iv in una nota. «Per non creare divisioni pretestuose nella maggioranza ed evitare strumentalizzazioni su un voto procedurale, ci limitiamo a non votare. Chiediamo al governo subito una soluzione, perché ogni discussione su prescrizione e riforma processo penale è ferma».

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Marcello Dell’Utri ha scontato la pena ed è tornato in libertà

L'ex senatore di Forza Italia ha ricevuto il provvedimento di scarcerazione nell'abitazione all'interno della quale stava scontando i domiciliari da luglio 2018. Il 12 dicembre i giudici di Milano decideranno sulla libertà vigilata.

Dopo cinque anni Marcello Dell’Utri è di nuovo un un uomo libero. Il 3 dicembre i carabinieri hanno consegnato il provvedimento di scarcerazione all’ex senatore, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell’Utri era atteso verso le 10.30 alla stazione dei carabinieri di Segrate (Milano) per ritirare il decreto di scarcerazione, ma poco dopo quell’ora due militari si sono recati per consegnargli il documento nell’abitazione, intestata alla moglie, a Milano 2, dove da luglio 2018 si trovava ai domiciliari per motivi di salute.

PER IL MOMENTO NESSUNA USCITA PUBBLICA

Dell’Utri, a quanto si è saputo informalmente da chi ha avuto modo di parlargli, sta bene e avrebbe intenzione di evitare uscite pubbliche per una decina di giorni. All’ingresso del palazzo dove l’ex senatore di Forza Italia ha ricevuto il provvedimento di scarcerazione, si radunata una piccola folla di giornalisti e fotografi.

I GIUDICI DECIDERANNO SULLA LIBERTÀ VIGILATA

Intanto, è stata fissata per il 12 dicembre dal magistrato di sorveglianza di Milano l’udienza per valutare se sia ad oggi socialmente pericoloso e quindi decidere se applicare o meno l’eventuale misura di sicurezza della libertà vigilata con le relative prescrizioni. Il fascicolo di Dell’Utri è di competenza del giudice Giulia Turri.

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