Carige perde 779 milioni di euro nel 2019, al via l’aumento di capitale

In due anni bruciato oltre un miliardo di euro. Al via l'offerta per la ricapitalizzazione ma se il flottante non raggiunge il 10%, niente ritorno in Borsa.

Perdite per oltre un miliardo per Carige negli ultimi due anni. Consob ha approvato il prospetto informativo dell’aumento di capitale Carige da 700 milioni di euro, garantito dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, anche con lo Schema volontario, e nel quale entrerà nell’istituto la trentina Cassa centrale banca. L’offerta agli azionisti avrà inizio il 4 dicembre alle 9 e terminerà alle ore 14 del 13 dicembre, con data di regolamento prevista il 20 dicembre. Ma la nuova iniezione di liquidità servirà appena ad appianare le perdite dell’ultimo anno.

IN DUE ANNI BRUCIATO OLTRE UN MILIARDO

Il risultato netto di Carige nel 2019 sarà ancora significativamente negativo, avverte l’istituto in una nota. Nel piano strategico è previsto in perdita nel per 779 milioni, dopo perdite per 272,8 milioni nel 2018 e per 428,5 milioni nel primo semestre. «Sebbene le componenti sottostanti alla previsione di tale risultato economico abbiano subito significative variazioni, tale previsione rimane sostanzialmente valida e, alla data del prospetto» per l‘aumento di capitale, afferma, «si attesta su una perdita pari ad euro 783 milioni».

RISCHIO ILLIQUIDITÀ, SE FLOTTANTE SOTTO IL 10% NIENTE BORSA

Nell’ambito dell’aumento di capitale di Carige le azioni della banca, sospese dalle contrattazioni alla Borsa di Milano dal 2 gennaio, «non saranno riammesse alle negoziazioni laddove il flottante dovesse risultare inferiore al 10%, soglia definita da Borsa Italiana spa necessaria ai fini della riammissione alle negoziazioni» E’ l’avvertenza che segnala l’istituto in una nota assieme quindi al «rischio di illiquidità delle azioni di Banca Carige».

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Carige perde 779 milioni di euro nel 2019, al via l’aumento di capitale

In due anni bruciato oltre un miliardo di euro. Al via l'offerta per la ricapitalizzazione ma se il flottante non raggiunge il 10%, niente ritorno in Borsa.

Perdite per oltre un miliardo per Carige negli ultimi due anni. Consob ha approvato il prospetto informativo dell’aumento di capitale Carige da 700 milioni di euro, garantito dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, anche con lo Schema volontario, e nel quale entrerà nell’istituto la trentina Cassa centrale banca. L’offerta agli azionisti avrà inizio il 4 dicembre alle 9 e terminerà alle ore 14 del 13 dicembre, con data di regolamento prevista il 20 dicembre. Ma la nuova iniezione di liquidità servirà appena ad appianare le perdite dell’ultimo anno.

IN DUE ANNI BRUCIATO OLTRE UN MILIARDO

Il risultato netto di Carige nel 2019 sarà ancora significativamente negativo, avverte l’istituto in una nota. Nel piano strategico è previsto in perdita nel per 779 milioni, dopo perdite per 272,8 milioni nel 2018 e per 428,5 milioni nel primo semestre. «Sebbene le componenti sottostanti alla previsione di tale risultato economico abbiano subito significative variazioni, tale previsione rimane sostanzialmente valida e, alla data del prospetto» per l‘aumento di capitale, afferma, «si attesta su una perdita pari ad euro 783 milioni».

RISCHIO ILLIQUIDITÀ, SE FLOTTANTE SOTTO IL 10% NIENTE BORSA

Nell’ambito dell’aumento di capitale di Carige le azioni della banca, sospese dalle contrattazioni alla Borsa di Milano dal 2 gennaio, «non saranno riammesse alle negoziazioni laddove il flottante dovesse risultare inferiore al 10%, soglia definita da Borsa Italiana spa necessaria ai fini della riammissione alle negoziazioni» E’ l’avvertenza che segnala l’istituto in una nota assieme quindi al «rischio di illiquidità delle azioni di Banca Carige».

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Emergenza climatica: Italia sesta nel mondo per numero di vittime dal 1999

I dati del Climate Risk Index hanno fotografato l'impatto degli eventi meteorologici estremi. Nel nostro Paese quasi 20 mila morti in due decenni.

Negli ultimi due decenni, dal 1999 al 2018, l’Italia è al sesto posto nel mondo per numero di vittime causate dagli eventi meteorologici estremi, e diciottesima per numero di perdite economiche pro capite. I dati emergono dal Climate Risk Index di Germanwatch. Nel complesso, nel ventennio l’Italia risulta il ventiseiesimo Paese più colpito dagli eventi estremi. Guardando al 2018, invece, si piazza al 21/o posto.

QUASI 20 MILA MORTI IN VENT’ANNI

Germanwatch ha spiegato che negli ultimi due decenni, dal 1999 al 2018, l’Italia ha registrato 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi, che nello steso arco di tempo hanno causato perdite economiche quantificate in 32,92 miliardi di dollari. Nel solo 2018 gli eventi estremi hanno causato in Italia 51 decessi e 4,18 miliardi di dollari di perdite.

I PAESI PIÙ COLPITI DAL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Il rapporto di Germanwatch, diffuso a Madrid in occasione della Cop25, ha posto l’accento sul fatto che le condizioni meteorologiche estreme, legate ai cambiamenti climatici, stanno colpendo non solo i Paesi più poveri come Myanmar e Haiti, ma anche alcuni dei Paesi più ricchi del mondo. Nel 2018 il Paese più colpito dagli eventi estremi è infatti il Giappone, che l’anno scorso ha dovuto fare i conti con piogge eccezionali, ondate di calore e tifoni. Seguono Filippine, Germania, Madagascar, India, Sri Lanka, Kenya, Ruanda, Canada e Fiji. In termini assoluti, è l’India a essere prima sia per numero di vittime (2.081, davanti alle 1.282 giapponesi e alle 1.246 tedesche), sia per perdite economiche: (37,8 miliardi), cui seguono i 35,8 miliardi del Giappone. L’Italia, nella classifica annuale, è invece ottava per perdite economiche pro-capite, e ventottesima per morti. Tornando agli ultimi due decenni (1999-2018), la classifica generale degli Stati più colpiti dagli eventi estremi non vede alcun Paese ricco tra i primi dieci, che sono Portorico, Myanmar, Haiti, Filippine, Pakistan, Vietnam, Bangladesh, Thailandia, Nepal e Dominica.

PER L’AGENZIA UE SULL’AMBIENTE A RISCHIO GLI OBIETTIVI PER IL 2020

Le cattive notizie però non si fermano. Secondo il sesto rapporto sullo Stato dell’ambiente pubblicato dall’Agenzia europea competente l’Ue fallirà gran parte degli obiettivi sul mantenimento della biodiversità al 2020, e senza una svolta su ambiente e clima rischia di non poter raggiungere quasi tutti i target al 2030. Le reazioni delle organizzazioni ambientaliste guardano tutte alla Comunicazione sul “Green deal“, l’agenda verde della Commissione von der Leyen attesa per l’11 dicembre.

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Bechis apparecchia il tavolo sovranista. Ed è subito Pera

Il direttore del Tempo ha organizzato un convegno sull'Europa con (e per) Salvini. Tra gli ospiti anche l'ex presidente del Senato. Vedi mai che alle prossime elezioni spunti un seggio a Palazzo Madama?

Dopo Bruno Vespa, che ha scritto il suo solito libro di fine autunno sull’impossibilità che ritorni il fascismo con il neanche troppo velato effetto di assolvere politicamente Matteo Salvini – che infatti ha sostituito Silvio Berlusconi, tradizionalmente sempre presente, nella pomposa presentazione del medesimo volume – ora tocca a Franco Bechis darsi da fare per dare una mano al capo della Lega

UNA CONFERENZA SALVINIANA

Il direttore del Tempo ha infatti organizzato nel pomeriggio del 4 dicembre un evento a Roma dal titolo eloquente «Il ratto di Europa. Obiettivi dei padri, delusione dei figli», di cui Salvini sarà ospite d’onore. Ma l’operazione è salviniana non solo per il contenuto, decisamente critico verso l’Unione europea, ma anche per l’ingaggio di qualche personalità di spicco che, nel vuoto pneumatico di uomini spendibili che ruotano intorno all’ex ministro degli Interni, potrebbero far molto comodo a Salvini. 

GERVASONI, IL PROF SOVRANISTA

Il primo è il professor Marco Gervasoni, noto alle cronache per essere stato allontanato dall’insegnamento alla Luiss – e infatti viene presentato come docente all’Università del Molise – per un tweet in cui sosteneva la necessità di affondare la nave della ong Sea Watch. Dato più in sintonia con Giorgia Meloni che con Salvini, il docente sovranista – che non a caso non scrive più sul Messaggero, di cui è stato a lungo editorialista – si sarebbe molto avvicinato a quest’ultimo per il quale svolgerebbe un ruolo di maître à penser.

RIAPPARE CARLO MALINCONICO

Il secondo è anche lui un epurato: il giurista Carlo Malinconico. Già sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Monti con delega all’editoria, tema di cui era esperto per aver fatto il presidente della Fieg, dovette dare le dimissioni (gennaio 2012) per un polverone mediatico sollevato dalla notizia che era stato omaggiato di alcuni soggiorni all’hotel Il Pellicano di Porto Ercole pagati dall’imprenditore Francesco De Vito Piscicelli in cambio di presunti favori. Da quel momento Malinconico è uscito dalla scena pubblica e fa l’avvocato avendo aperto uno studio proprio. Ma ora viene dato di nuovo in pista proprio grazie a Salvini. 

PERA SI AVVICINA A SALVINI?

Ma è il terzo nome quello che fa più scalpore: Marcello Pera. L’ex presidente del Senato, da tempo politicamente in sonno, ha interrotto ogni rapporto con Silvio Berlusconi e si è avvicinato ad alcuni ambienti ecclesiastici nonostante un tempo fosse un professore seguace di Karl Popper. Ora si dice che sia monsignor Rino Fisichella sia il direttore del Tempo abbiano fatto in modo che Pera e Salvini si parlino. Vedi mai che alle prossime elezioni rispunti un seggio senatoriale per l’ex presidente di palazzo Madama?

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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E ora serve un bel “vaffa” di Zingaretti a Di Maio

Farsi imbottigliare dalle stupidaggini del M5s, che continua a guardare verso destra, è un errore fatale. Meglio mandarli al diavolo domani, anzi ieri.

La cronaca politica propone due domande: ma che cosa vogliono Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista? Ovvero vogliono qualcosa? L’unica cosa chiara è che i due baciati in fronte da Beppe Grillo hanno il terrore di finire male.

Per loro finire male significa uscire dall’orbita reale, per l’uno, potenziale per l’altro, del governo. E oggi l’orbita del governo ruota attorno a Salvini-Meloni.

L’altra paura è che hanno la matematica certezza che se non fanno ammuina il loro movimento arriva alle elezioni “sminchiato”, quindi con pochi voti e probabilmente senza quelli che potrebbero eleggere l’uno e l’altro o l’uno o l’altro.

DI MAIO E DI BATTISTA CONTINUANO A GUARDARE A DESTRA

Era sembrato, nelle scorse settimane, che Beppe Grillo riuscisse a portare i pentastellati fuori dall’attrazione pericolosa della destra. Grillo aveva addirittura immaginato di progettare cose in comune con il Pd. Di Maio e Di Battista, e forse Casaleggio, hanno detto di “sì”, ma si sono mossi lungo la strada opposta. Nessuno di noi sa se Matteo Salvini e soprattutto la sua temibile competitrice Giorgia Meloni vorranno aggregare questi due giovani cadaveri della politica nel governo che faranno dopo le elezioni, tuttavia Di Maio e Di Battista, fedeli figli di cotanti padri di destra, cercano da quelle parti la soluzione che li porti ad una più che dignitosa sopravvivenza economica.

Quando cadrà il governo Conte sarà chiaro che la coppia destrorsa del M5s sarà davanti all’uscio di Salvini a chiedere un posto

Il dramma dei cinque stelle, nati sulla base di una cultura che definimmo populista, di decrescita felice, di guerra alla democrazia rappresentativa, è che oggi sono il nulla assoluto. Da quelle parti ci sono solo “no”, sulle cose che capiscono, e ancora “no” su quelle che non capiscono. E tutto ciò accade mentre gran parte del loro elettorato è scappato e altro andrà via quando cadrà il governo Conte e sarà chiaro che la coppia destrorsa del M5s sarà davanti all’uscio di Salvini a chiedere un posto, una sistemazione, una cosa per campare. Sta arrivando il momento in cui la voracità della destra riuscirà a cancellare l’episodio grillino.

LA SINISTRA DEVE MOLLARE IL M5S PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

Chi di noi analizzò il fenomeno dei cinque stelle non in base alla composizione sociale ma in relazione alla cultura che esprimevano e alla direzione di marcia che avevano preso, non sono sorpresi né dalla svolta a destra né dalla loro prossima fine. Questo non vorrà dire che il sistema politico si sistemerà. La pattuglia grillina nel prossimo parlamento, a meno che non vengano fatti fuori Di Maio e i suoi e che Di Battista vaghi a fare niente per il mondo, sarà il più massiccio episodio di ascarismo parlamentare. «Accattataville».

Manifestazione delle Sardine in Piazza Duomo a Milano.

Salvini dovrà far digerire ai suoi il ritorno dei traditori, per giunta statalisti. La Meloni non li ha mai sopportati. Resta la sinistra che tarda a comprendere che farsi imbottigliare dalle stupidaggini di Di Maio e Salvini su un fondo salva Stati che quei due conoscevano e che, lo vogliano o no, ci sarà, è un errore, meglio mandarli al diavolo domani, anzi ieri. Perché l’unica campagna elettorale che si può fare richiede di rubare alle sardine il tema della civiltà politica e alla destra “sovranista e antitaliana” la questione dell’onore della patria che la destra attuale vorrebbe nuovamente serva di una potenza straniera.

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Da Conte arriva un’apertura al rinvio del Mes

Il premier parla a margine del vertice Nato e spiega: «Non firmo cambiali in bianco, ma basta propaganda». Di Maio: «Nessuna crisi di governo».

Non esclude un rinvio, o un accorgimento per far coincidere l’entrata in vigore del Mes con altre riforme, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che parla a diversi quotidiani a Londra, a margine del summit Nato. Al Corriere della Sera il premier spiega che «ci stiamo muovendo in una logica di pacchetto», che significa che «il progetto comprende unione bancaria e monetaria: è giusto che l’Italia si esprima solo quando avrà una valutazione complessiva su dove si sta andando, io ancora non ho firmato nulla, tanto meno una cambiale in bianco. Già domani si entrerà nel vivo sul dossier dell’unione bancaria, io non ho nessuna intenzione di firmare in bianco».

«NIENTE RICATTI NÉ FIGURACCE»

Nessuna figuraccia per l’Italia, aggiunge Conte: «Nemmeno per sogno, ci sono 19 Paesi che stanno scrivendo una riforma, c’è una sintesi nazionale da fare e poi una europea» e «non è un ricatto», «state sicuri che non ci faremo fregare». Non esclude un rinvio sul Mes, ma osserva: «Abbiamo evitato già tante insidie, io non ho abbracciato in parlamento fideisticamente il Mes», ma bisogna evitare «la fanfara propagandistica che fa salire lo spread». Conte parla anche a Fatto Quotidiano e Stampa, e a proposito del post di Di Maio che rivendica per il M5s il ruolo di ago della bilancia, sottolinea che «la volontà del Movimento 5 stelle sarà assolutamente determinante», ma «come presidente del Consiglio aggiungo che anche le altre forze politiche di maggioranza possono dire che senza i loro voti non si fa nulla».

DI MAIO: «MAI PARLATO DI CRISI DI GOVERNO»

Lo stesso Di Maio che di lì a poco ha chiarito: «Non ho mai parlato di crisi di governo, semplicemente chiediamo un rinvio per migliorare questo meccanismo. La cosa incredibile è che noi assistiamo a una Lega che attacca su questo fondo quando tutto questo è patito dal governo Berlusconi-Lega, alla faccia dei sovranisti»

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Sanzioni Usa alla Cina per le persecuzioni sugli uiguri

Approvato dalla Camera un disegno di legge atteso ora al vaglio del Senato e alla firma di Trump. La rabbia di Pechino.

La Camera degli Stati Uniti ha approvato nella notte un disegno di legge che prevede sanzioni per le autorità cinesi responsabili di «detenzione arbitraria, tortura e molestie» ai danni dei musulmani uiguri in Cina. Il provvedimento va ora al Senato e alla firma del presidente Donald Trump, ma il ministero degli Esteri cinese, stando alla Bbc, ha già reagito all’iniziativa, giudicandola «dannosa».

CHIESTE SANZIONI MIRATE PER I MEMBRI DEL GOVERNO

La Camera Usa chiede «sanzioni mirate» per i membri del governo cinese e nomina esplicitamente il segretario del Partito comunista nella regione autonoma dello Xinjiang, Chen Quanguo. Il disegno di legge ‘Uighur Human Rights Policy Act 2019’ è stato approvato alla Camera dei rappresentanti con 407 voti a favore e uno contrario e giunge pochi giorni dopo la firma da parte di Trump di una legge a sostegno dei manifestanti pro democrazia di Hong Kong, che ha già suscitato la condanna della Cina. A votare contro è stato il repubblicano Thomas Massie, del Kentucky, che aveva votato anche contro il disegno di legge su Hong Kong.

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Per l’Unicef sono 59 milioni i bambini a rischio nel mondo

Uno su quattro vive in zone di guerra o Paesi disastrati. Per questo è stata lanciata la raccolta fondi più grande di sempre. Obiettivo: arrivare a 4,2 miliardi di dollari.

Mai l’infanzia era stata così massicciamente colpita da guerre e da disastri naturali: l’Unicef stima che nel 2020 saranno 59 milioni i bambini, di 64 Paesi, ad avere bisogno di aiuto e lancia la raccolta di fondi più grande di sempre. Obiettivo: arrivare a 4,2 miliardi di dollari, oltre il triplo di quanto richiesto ai propri donatori nel 2010. «Un numero storico di bambini costretti a lasciare le proprie case necessita urgentemente di protezione e supporto» – ha dichiarato Henrietta Fore, direttore generale dell’Unicef. – «I conflitti restano le cause principali, oltre a fame, malattie infettive ed eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico, che costringono altri milioni di persone a cercare aiuti salvavita».

I RIFUGIATI SIRIANI NELLE CONDIZIONI PIÙ CRITICHE

La situazione più critica riguarda i rifugiati siriani e le comunità ospitanti in Egitto, Giordania, Libano, Iraq e Turchia, per i quali l’Unicef stima necessari aiuti per 864,1 milioni di dollari. Seguono lo Yemen (535 milioni di dollari), la Siria (294,8 milioni di dollari), la Repubblica Democratica del Congo (262,7 milioni di dollari) e il Sud Sudan (180,5 milioni di dollari). Con il denaro che spera di raccogliere, l’Unicef intende curare da malnutrizione acuta grave 5,1 milioni di bambini, vaccinare contro il morbillo 8,5 milioni di bambini e fornire accesso ad acqua potabile, per uso domestico e per l’igiene personale a 28,4 milioni di persone. Inoltre, potrebbe assicurare l’ accesso a servizi per la salute mentale e psicosociale a 4,5 milioni di bambini e alle persone che se ne prendono cura, e per far fronte alla violenza di genere per 1,4 milioni di bambini e donne.

ACCESSO ALL’ISTRUZIONE PER 10 MILIONI DI BAMBINI

Tra le urgenze, c’è anche quella educativa: nel programma dell’Unicef c’è l’intento di fornire accesso all’istruzione per 10,2 milioni di bambini, anche quelli più piccoli. Vorrebbe infine raggiungere e garantire la partecipazione alle rispettive società di 49 milioni di bambini e adulti a rischio.

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Lo spread e la Borsa italiana del 4 dicembre 2019

Piazza Affari in rialzo. Spread intorno a quota 162 punti. I mercati in diretta.

La Borsa italiana il 4 dicembre 2019 ha aperto piatta con l’indice Ftse Mib sulla parità per poi imboccare la strada del rialzo e guadagnare l’ 1,2% . La chiusura della vigilia aveva segnato un aumento lievissimo dello 0,04% a 22.736 punti. Nel complesso l’Europa viaggia senza una direzione unica, con Parigi e Francoforte (+1%) a guidare il gruppo, mentre Londra resta cauta e sale solo dello 0,2%.

SPREAD STABILE SOTTO AI 162 PUNTI

Lo spread tra Btp e Bund è inferiore ai 162 punti, sugli stessi valori della chiusura del 4 dicembre. Il rendimento del titolo decennale italiano è pari all’1,27%.

MERCATI ASIATICI IN PERDITA DOPO LE MINACCE DI TRUMP SUI DAZI

Mercati azionari asiatici e dell’area del Pacifico in calo dopo i nuovi timori di una dilazione dell’accordo sul commercio internazionale tra Cina e Stati Uniti come lasciato intendere del Presidente Usa, Donald Trump. Tokyo ha terminato gli scambi con l’indice Nikkei in flessione dell’1,05%, Hong Kong sta chiudendo peggio e nel finale segna un ribasso dell’1,2%. Meglio le Borse cinesi (Shanghai -0,2%, Shenzhen +0,2%), ma Seul ha chiuso in calo dello 0,7% e soprattutto Sidney, dove sono quotati diversi titoli che possono anticipare l’avvio dei loro settori in Europa, ha accusato un ribasso dell’1,5% appesantita dai gruppi delle materie prime. Incerti i futures sull’avvio dei listini europei, con Londra vista partire in lieve calo e le altre Borse in leggero rialzo.

I MERCATI IN DIRETTA

13.50 -MILANO PROSEGUE IN CRESCITA

Positiva Milano (+1,2%) con lo spread in calo sotto 162 e quasi l’intero listino principale in rialzo. In testa ci sono Juve (+2,9%) e Buzzi (+2,4%). Bene anche le banche, a partire da Banco Bpm (+2,5%), Ubi (+1,8), Intesa (+1,7%), Bper (+0,9%) e Unicredit (+0,8%) il giorno dopo il piano. Tra i migliori anche Stm (+2,3%), come il resto del comparto in Europa. Crescono anche Leonardo (+2%), Cnh (+1,8%) dopo l’alleanza con Nikola e Prysmian (+1,7%). Bene i petroliferi, con Saipem (+1,6%), Eni (+1,4%) e Tenaris (+1%), col greggio in rialzo (wti +1,7%). In rosso A2a (-0,15%) e Nexi (-0,7%). Tra gli altri titoli, corre Carraro, bloccata a un teorico +14,9%, dopo un accordo con Ineos per un nuovo fuoristrada. Fermata anche Intek Group a un teorico +10%. Prosegue in positivo Atlantia (+1,7%) senza patire il taglio del rating di Moody’s. Male invece Astaldi (-3,5%) a due giorni dall’annuncio del concretizzarsi della cessione della concessione del terzo ponte sul Bosforo.

12.28 – LE BORSE EUROPEE ACCELERANO

Le Borse europee e i futures sull’avvio di Wall Street hanno accelerato con la schiarita sulla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina annunciata da Bloomberg: tutti i listini del Vecchio continente confermano aumenti attorno al punto percentuale, con Parigi e Francoforte (+1%) a guidare il gruppo, mentre Londra resta cauta e sale solo dello 0,2%. In attesa di segnali dall’Eurogruppo, in Piazza Affari (Ftse Mib +0,9%) sempre bene Atlantia, Banco Bpm e Azimut, che crescono di oltre due punti percentuali, con la controllante di Autostrade per l’Italia che beneficia di un report positivo di Jp Morgan che indica un prezzo obiettivo di 25 euro mentre ora il titolo si trova a quota 20. Positiva Mediaset sia in Italia sia in Spagna mentre proseguono le trattative con Vivendi in vista dell’udienza al tribunale di Milano. Piatta Mps, in calo dello 0,7% Nexi.

9.33 – PIAZZA AFFARI GUADAGNA LO 0,3%

I primi scambi in Piazza Affari, dopo un avvio piatto, mostrano una tendenza positiva: l’indice Ftse Mib sale dello 0,3%.

9.19 – EUROPA IN ORDINE SPARSO: PARIGI GIÙ, SU FRANCOFORTE

Apertura senza una direzione precisa per i mercati azionari del Vecchio continente: Londra nei primissimi scambi cede lo 0,1%, Parigi segna un avvio in calo dello 0,02% e Francoforte un rialzo dello 0,07%.

9.10 – AVVIO POSITIVO PER PIAZZA AFFARI

Avvio marginalmente positivo per Piazza Affari: il primo indice Ftse Mib è invariato rispetto alla chiusura della vigilia, mentre l’Ftse It All-Share segna un aumento dello 0,1%.

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Elezioni nel Regno Unito, l’assalto finale di Corbyn a Johnson

Il leader laburista tenta di rimontare nei sondaggi negli ultimi giorni di campagna. Mentre il premier Tory si sforza di tenere le distanze da Trump, a Londra per il vertice Nato. Lo scenario.

Al summit della Nato che si è aperto a Londra il 3 dicembre, Boris Johnson non ha in programma bilaterali ufficiali con Donald Trump.

Foto e strette di mano saranno inevitabili nella due giorni. Anche qualche scambio di battute, e un incontro alla fine probabilmente si farà: Trump pressa, il premier britannico deve fare gli onori di casa per il compleanno dei 70 anni dell’Alleanza atlantica.

Ma nella settimana che precede il voto anticipato del 12 dicembre non vuole accostarsi troppo al presidente americano. Il rivale laburista Jeremy Corbyn è in rimonta, martella da mesi l’opinione pubblica con la storia del «Trump britannico» e Oltremanica non c’è nessuno di più inviso di lui. Dicono che anche la regina Elisabetta lo odi. Troppo sbracato, il tycoon, anche per una certa destra inglese che mal digerisce gli atteggiamenti esagitati così simili di BoJo.

LA FORTEZZA BRITANNICA CHE SOGNA JOHNSON

A questo proposito, il leader dei Tories è sotto attacco anche per aver cavalcato maldestramente l’attentato sul London Bridge. Ha annunciato frontiere blindate e lo screening dei passaporti per tutti. Ma non potrebbe fare altrimenti: da tempo non si vedeva una campagna così mediatica nel Regno Unito, ognuno si gioca il tutto per tutto. Johnson, ancora davanti di 10 punti ai laburisti, fomenta l’elettorato euroscettico. L’ultima mossa è il programma di visti d’ingresso simili a quelli degli Usa, anche per cittadini dell’Ue che una volta compiuta la Brexit entro il 31 gennaio 2020 (e trascorso il periodo di transizione entro il 31 dicembre 2020) dovranno pagare per un weekend a Londra. Naturalmente, esibendo un passaporto biometrico, perché la carta d’identità facilmente falsificabile non basterà più. Schedati, nella fortezza britannica potranno restare al massimo tre mesi. «Tolleranza zero» per gli irregolari.

Regno Unito elezioni Johnson Corbyn Brexit
Il leader del Labour, Jeremy Corbyn in corsa per le Legislative anticipate del 2019. GETTY.

LA STRUMENTALIZZAZIONE DELLA TRAGEDIA DEL LONDON BRIDGE

A chi, nel Labour e tra i LibDem, gli rinfaccia che il terrorismo viene più dall’interno che da fuori confine, BoJo risponde contestando le misure troppo blande sui detenuti come nel caso dell’attentatore ucciso il 29 novembre. Un attacco allo Stato poco opportuno che, nella composta Londra capace di essere eroica oggi come ieri – contro i nazifascisti come contro l’Isis -, gli è costato l’accusa di strumentalizzare una tragedia nazionale a fini politici. Nella «totale mancanza di rispetto per le vittime e i loro famigliari», rimproverano i LibDem. Sui fatti di Londra anche lo scatenato Corbyn ha mantenuto i toni bassi, lasciando parlare il padre del 25enne Jack Merritt morto nell’attacco, e che era impegnato nella riabilitazione dei detenuti come attentatore Usman Khan. «Jack sarebbe livido nel vedere la sua morte, e la sua vita, usate per perpetuare l’agenda di odio che ha sempre combattuto», ha scritto in una lettera al Guardian che ha fatto molto scalpore. Boris Johnson

Il premier britannico Boris Johnson.

PAROLA D’ORDINE: TOLLERANZA ZERO

Per Johnson vale il detto di Oscar Wilde: «Bene o male, basta che se ne parli». In un’intervista alla Bbc aveva scaricato sul Labour la responsabilità del rilascio del 28enne Khan, condannato per terrorismo nel 2012 e in libertà vigilata dal 2018 con il braccialetto elettronico. Su detenuti pericolosi come lui, britannico di origini pakistane legato gruppi jihadisti, il premier si è impegnato ad abbandonare «il sistema di rilascio automatico a breve». «Bisogna essere realisti», ha tuonato. E quindi tolleranza zero anche sul suolo britannico per chi commette reati gravi, è il messaggio che BoJo vuol far passare nel rush elettorale per i cittadini affamati di sicurezza. Guai però a toccare il tasto della sanità pubblica, un pilastro del Regno Unito che porta o toglie milioni di voti. Proprio lì Corbyn semina il panico, sventolando ai comizi 451 pagine di dossier su presunte trattative dei premier May e Johnson per svendere il servizio sanitario agli Usa, dopo la Brexit.

IL TOTEM DELLA SANITÀ PUBBLICA

Nominato premier, per prima cosa quest’estate Johnson ha promesso quasi 2 miliardi per risanare una ventina di strutture sanitarie. E in autunno ha rincarato la dose annunciando 15 miliardi di euro di investimenti in 40 nuovi ospedali. Uno specchietto per le allodole anche per il think tank britannico Nuffield Trust specializzato in sanità, che se da un lato non rileva piani del governo per cedere degli asset alle corporation americane, dall’altro con la Brexit stima un mercato allargato per le case farmaceutiche di Oltreoceano. Per Johnson c’è un altro buon motivo per non farsi riprendere troppo accanto a Trump: anche sulla difesa del clima, diventato un trend di massa, i due leader hanno posizioni diverse. Il paradosso è che Trump, accanito fan della Brexit, non smette di cercare il premier britannico e di sbilanciarsi sul voto inglese. Un assist perfetto al Labour.

Il premier britannico Boris Johnson con il leader del Labour, Jeremy Corbyn ai funerali delle vittime dell’attentato di Londra.

L’ULTIMA DI CORBYN? RINAZIONALIZZARE BRITISH TELECOM

Il rosso Corbyn nero sondaggi veleggia tra il 33 e il 34% mentre i Tory di Johnson sul 42-43%. Ma lo «stalinista», come lo addita BoJo, è un mago delle rimonte. In campagna Corbyn, Johnson e Trump sono più simili di quanto non si creda e l’elettorato è molto fluido: nulla è ancora detto, frenano gli analisti. Sono chiaramente fuochi d’artificio da campi opposti: l’ultimo di Corbyn è il piano per «rinazionalizzare British Telecom, assicurare la banda larga gratis a tutti, tassare giganti della Rete come Google, Amazon e Facebook». Uno choc per i mercati: all’annuncio le azioni di Bt, privatizzata da Margaret Thatcher, sono crollate al 3,7%, per mezzo miliardo di valore bruciato. Ma le telecomunicazioni sono il «core business del 21esimo secolo, guai a lasciarlo alle multinazionali», ammetterebbe anche BoJo.

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