Poveri, disabili, anziani: le voci degli ultimi di Hong Kong

Mentre le proteste infuriano, lontano dallo sguardo delle telecamere un popolo di dimenticati fatica a sopravvivere, tra affitti fuori portata e sussidi insufficienti. In un contesto economico sempre più deteriotato. Il reportage.

Poveri, disabili, anziani: sono loro le voci dimenticate delle proteste di Hong Kong. Mentre il mondo intero guardava preoccupato ai disordini e al crescere della violenza nell’ex colonia, mentre lo sguardo dei media internazionali si focalizzava su ciò che stava accadendo dentro i campus universitari della città, dove i più irriducibili tra gli studenti in lotta restavano asserragliati, braccati e circondati dalle forze dell’ordine, c’era qualcuno di cui nessuna testata o televisione si preoccupava. In una metropoli che è considerata, a tutti gli effetti, la Montecarlo dell’Asia, dove l’affitto di un miniappartamento in centro può costare molte decine di migliaia di euro al mese e dove ancora oggi si immatricolano più Ferrari, Rolls Royce e Mercedes che in qualsiasi altra parte del mondo, esiste un popolo di dimenticati, che devono sopravvivere nella città più costosa del globo con quelli che qui sono poco più di una manciata di spiccioli.

Per esempio chi, nonostante il caos e il pericolo, dietro le barricate del campus ormai quasi vuoto dell’Università di Hong Kong ha continuato a lavorare. Perché, molto semplicemente, non aveva scelta. Come Mak Hon Kau, che ha proseguito diligentemente a fare il suo lavoro di giardiniera, spazzando foglie e piantando fiori sotto il sole rovente in quello che, un attimo prima, era un cortile dall’aspetto sereno e un attimo dopo era diventato un campo di battaglia, cercando riparo in qualche modo. Mak, una lavoratrice a contratto, è tra le migliaia di poveri di Hong Kong le cui vite sono state duramente colpite da sei mesi di proteste sempre più violente le quali, a loro volta, hanno innescato una crisi economica senza precedenti per la città-stato.

So che lavorare qui potrebbe essere pericoloso, ma ho bisogno di soldi e nessun altro mi assumerà a questa età, quale alternativa ho?

Mak Hon Kau, 68 anni, giardiniera

«So che lavorare qui potrebbe essere pericoloso, ma ho bisogno di soldi e nessun altro mi assumerà a questa età, quale alternativa ho?», dice a Lettera43.it Mak, 68 anni, che guadagna circa 6 mila dollari di Hong Kong (poco più di 650 euro) al mese. Uno stipendio con il quale si potrebbe anche sopravvivere in maniera dignitosa in Italia, ma non qui. «Sono un lavoratore a contratto», ripete lei, «non posso scegliere dove mi mandano a lavorare. Anche se è un posto pericoloso».

UN’ECONOMIA IN CADUTA LIBERA

In una città in cui una persona su cinque (ovvero quasi 1 milione e mezzo di persone) vive al di sotto della soglia di povertà assoluta, calcolata in 4 mila dollari di Hong Kong (meno di 500 euro) al mese per famiglia, la vita, per questo esercito di “ultimi”, di “dimenticati”, ignoti alle cronache delle proteste, sta diventando una scommessa sempre più difficile. La rivolta ha colpito duramente l’economia della città, con il turismo in caduta libera, le compagnie aeree come la Cathay Pacific costrette a tagliare stipendi e “bonus di fine anno” (la nostra 13esima), aziende che licenziano personale ogni giorno e le vendite al dettaglio che precipitano. La città è entrata in una recessione tecnica, con l’economia in calo del 3,2% nel terzo trimestre. Le cifre fanno paura: le esportazioni sono diminuite del 9,2% in ottobre, mentre gli arrivi turistici sono crollati sotto il 50% nella prima metà del mese. Gli esperti prevedono che il Pil di Hong Kong diminuirà dell’1,4% quest’anno.

UNA LOTTA QUOTIDIANA PER RESTARE A GALLA

I più colpiti sono quelli che vivono ai margini di questa società basata sull’opulenza e la ricchezza: anziani, disabili, minoranze etniche e lavoratori poveri, mentre la loro lotta quotidiana per rimanere a galla in un ambiente di estrema disuguaglianza diventa ancora più dura. E mentre i ristoranti chiudono, gli eventi vengono annullati e i cantieri sospesi, molti lavoratori a tempo parziale e a basso salario hanno subito un colpo terribile; altri sono stati colpiti dall’aumento dei costi, con le proteste che paralizzano regolarmente la città. Per i pendolari che ogni giorno devono recarsi al lavoro nelle zone centrali, dai distretti popolari dove vivono, spostarsi è diventato un affare costoso e complicato. Molti pazienti anziani non sono stati in grado di rispettare gli appuntamenti in ospedale. O sono troppo spaventati per uscire di casa.

Mio figlio è stato licenziato dal ristorante di dim sum dove lavorava come sguattero perché gli affari andavano male. Siamo disperati

Lee, 60 anni, disoccupata

La signora Lee, una ex lavapiatti di circa 60 anni, si è trasferita a Hong Kong dal Guangdong due decenni fa. Lei e il figlio ormai adulto dormono su letti adiacenti in un minuscolo monolocale di Shau Kei Wan, dove riuscire a pagare il pur minimo affitto mensile pari a 200 euro è sempre stata un’autentica lotta. «Non lavoro più», dice con la voce rotta dal pianto, «ma se qualcuno mi offrisse un posto lo prenderei al volo». «Mio figlio è stato licenziato dal ristorante di dim sum dove lavorava come sguattero perché gli affari andavano male. Siamo disperati». Lee vive ormai solo dei suoi risparmi e con i pochi aiuti pubblici che le vengono dati. Dopo aver pagato l’affitto, le restano poco più di 100 euro per vivere tutto il mese: una sfida impossibile in una città cara come Hong Kong.

GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI NON BASTANO

Samson Tse, professore nel dipartimento di assistenza sociale e amministrazione sociale dell’Università di Hong Kong, afferma che le statistiche del governo sulla povertà offrono un quadro solo parziale del fenomeno dei “nuovi poveri”. «La definizione data dal governo della soglia di povertà non descrive l’intero problema o la piena complessità delle difficoltà che queste persone affrontano», dice. «Il povero farà sempre più fatica a rimanere a galla durante questi periodi di estrema contrazione economica. Non c’è rete di sicurezza, non ci sono ammortizzatori sociali che bastino», conclude Tse.

IN FILA PER IL CIBO GRATIS FUORI DAI RISTORANTI

Proprio dietro l’angolo del fabbricato popolare dove vivono la signora Lee e il figlio, un gruppo formato da una dozzina di persone anziane è in fila fuori dal ristorante Ho Win Roasted Meat, in attesa delle scatole per il pranzo gratuite che vengono distribuite tre volte alla settimana. Una signora sulla settantina, di nome Lo, è arrivata con tre ore di anticipo per assicurarsi di ottenere almeno una delle scatole. La dividerà in due e ne rivenderà una parte per circa tre euro. Col rimanente dovrà nutrirsi per due giorni. «Certo, la mia vita è stata influenzata dalle proteste», dice Lo, che vorrebbe lasciare il suo monolocale nella vicina Chai Wan, spesso interessata dai violenti scontri tra polizia e manifestanti. «Il gas lacrimogeno mi fa stare male e i giovani si feriscono», dice, mentre sembra più preoccupata per loro che per se stessa.

DISEGUAGLIANZE SEMPRE PIÙ MARCATE

Eugene Chan, ex candidato del consiglio distrettuale di Shau Kei Wan, spiega che le interruzioni del traffico causate dalle proteste hanno reso più difficile per gli oltre 30 mila anziani nella sua zona recarsi al vicino Pamela Nethersole Eastern Hospital. «Il livello di povertà qui è significativo», afferma Chan, aggiungendo che la maggior parte dei residenti anziani nell’area guadagna meno del reddito medio della città – stimato in circa 2 mila euro al mese – e si affida all’assistenza sanitaria per anziani sovvenzionata dal governo. Il cosiddetto “Voucher Scheme” per il pagamento delle spese mediche. «Questa tragedia è reale», conclude Chan. «Sei mesi di proteste ci hanno lasciato una società devastata, dove le disuguaglianze sono diventate ancora più drammatiche e profonde. Quando tutto questo finirà, dovremo affrontarne le conseguenze».

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