Salta la norma sulla cannabis light: l’Italia resta senza una legge chiara

L'emendamento in manovra stralciato dalla presidente del Senato Casellati. Persa l'occasione per riempire un vuoto giuridico che lascia i produttori senza certezze. Esulta il centrodestra.

La cannabis legale esce dalla manovra per ragioni apparentemente tecniche, ma con conseguenze pesantemente politiche. La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha comunicato all’Aula il giudizio di inammissiblità delle norme alla manovra che riguardano la cannabis light, scatenando le proteste in particolare del Movimento 5 stelle e la soddisfazione del centrodestra.

Due esponenti del Movimento hanno chiesto alla presidente Casellati di dimostrare che la scelta non sia stata frutto della «pressione della sua parte politica». La presidente ha replicato spiegando che è stata una «decisione meramente tecnica», aggiungendo: «Se ritenete questa misura importante per la maggioranza fatevi un disegno di legge».

LA NORMA PER FISSARE LIMITI CHIARI ALLA VENDITA

L’emendamento a firma M5s avrebbe riscritto la legge sugli stupefacenti stabilendo definitivamente le percentuali di Thc per cui è legale la vendita di canapa. «La norma definiva che una pianta con un Thc non superiore allo 0,5% non può essere considerata stupefacente», ha detto il senatore pentastellato Alberto Airola, «la canapa industriale non ha potere drogante e viene usata in tanti ambiti, tra cui il tessile. Questo è un dibattito artefatto perché chiunque sa che le varietà di cannabis con potere stupefacente contengono un Thc molto più alto, parliamo di valori che si aggirano intorno al 10%».

ESULTANO SALVINI E IL CENTRODESTRA

«Ci tengo a ringraziare tecnicamente la presidente del Senato a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze che lavorano in Italia e a nome delle famiglie italiane per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore», ha detto Matteo Salvini intervenendo in Senato.

Attualmente la cannabis light è commercializzabile in Italia con scarsissima chiarezza normativa. A maggio 2019 una sentenza della Cassazione aveva bloccato la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le infiorescenze e la resina.

IL VUOTO NORMATIVO LASCIATO DALLA CASSAZIONE

La commercializzazione di “cannabis sativa L” non rientra nell’ambito di applicazione della legge n.242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà per uso a fini medici. «Pertanto integrano reato», affermava la Cassazione nella sua sentenza, «le condotte di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della ‘cannabis sativa L.’, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». Proprio quest’ultima precisazione ha lasciato un grosso buco normativo, lasciando al singolo giudice la facoltà di valutare se un prodotto ha “efficacia drogante” o meno. La Cassazione stessa aveva manifestato al mondo della politica l’urgenza di riscrivere una legge chiara. In Italia il settore occupa circa 10 mila persone, che dovranno aspettare ancora per avere la certezza di lavorare secondo la legge.

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