Il voto nel Regno Unito e le ricadute sulla Brexit

Il conservatore Johnson favorito: se vince ottenendo la maggioranza assoluta, l'uscita britannica dall'Ue è in discesa. Un (improbabile) successo del laburista Corbyn porterebbe invece a un nuovo referendum. Orari, exit poll, sondaggi e scenari: le cose da sapere.

Il Regno Unito torna al voto due anni e mezzo dopo le elezioni politiche del giugno 2017 per quello che a tutti gli effetti è un secondo referendum sulla Brexit. Il 12 dicembre 2019, a seconda delle preferenze destinate ai diversi partiti, i cittadini britannici devono decidere se e quanto velocemente uscire dall’Unione europea (addio in programma il 31 gennaio 2020 dopo l’ennesimo rinvio).

EXIT POLL E POI RISULTATI PARZIALI

Le urne sono aperte dalle 7 alle 22 locali (dalle 8 alle 23 in Italia). Alla chiusura sono previsti exit poll per le prime indicazioni e due ore dopo i primi risultati parziali. Per la prima mattinata di venerdì 13 è atteso il responso: chi ha vinto e chi ha perso.

PERCHÉ SI VOTA ORA: UNA FORZATURA DOPO LO STALLO

Dopo anni di estenuante e inconcludente battaglia in parlamento e all’interno del partito conservatore al governo, nel luglio 2019 l’ex premier Theresa May ha dovuto lasciare il testimone al compagno di partito Boris Johnson (fin dal referendum del 2016 un convinto sostenitore della Brexit). Nei mesi successivi, tuttavia, il nuovo primo ministro ha subito una rivolta interna dei Tory più europeisti fino a perdere la maggioranza a Westminster, rendendo lettera morta il nuovo accordo che era riuscito a negoziare con Bruxelles. Convinto di poter ottenere una solida maggioranza per far passare il suo accordo, a fine ottobre ha forzato la mano della Camera bassa riuscendo a far indire le elezioni anticipate il 12 dicembre.

SE JOHNSON HA LA MAGGIORANZA ASSOLUTA: USCITA IN DISCESA

Per vincere (e onorare la promessa di attuare subito la Brexit), Johnson ha bisogno di assicurarsi una maggioranza assoluta di seggi (326 su 650) nella nuova Camera dei Comuni. Se questo si dovesse verificare, il premier potrebbe far passare in parlamento l’accordo che ha già raggiunto con l’Ue e far uscire definitivamente il Regno Unito dall’Unione entro la fine di gennaio. A quel punto inizierebbe una fase di contrattazioni tra Londra e Bruxelles per stabilire i dettagli commerciali e legali del divorzio. Questa seconda fase di transizione durerebbe fino alla fine del 2020, e Johnson ha promesso che non vuole prorogarla.

SENZA MAGGIORANZA ASSOLUTA: DIMISSIONI O ALLEANZE

Se i Tory non riuscissero a ottenere la maggioranza assoluta, Johnson potrebbe dimettersi o cercare di formare un nuovo governo alleandosi con altri partiti (al momento i conservatori non hanno alleati “naturali” su cui contare). Nel caso Johnson si dovesse dimettere, il tentativo di formare un esecutivo passerebbe al leader del Labour Jeremy Corbyn, il quale potrebbe portare dalla sua i LibDem e/o il Partito scozzese. Se dovesse riuscire a entrare a Downing Street, Corbyn avvierebbe negoziati con Bruxelles per arrivare a un nuovo accordo sulla Brexit. In ogni caso, ha promesso, l’ultima parola spetterebbe ai cittadini britannici attraverso un secondo referendum sull’uscita dall’Ue. Johnson potrebbe anche tentare di rimanere al governo attraverso un’alleanza, ma per convincere un altro partito dovrebbe rinunciare alle sue pretese sulla Brexit, con l’altissimo rischio di perdere la faccia davanti ai suoi elettori.

SE IL LABOUR HA LA MAGGIORANZA ASSOLUTA: NUOVO REFERENDUM

È l’ipotesi più remota, ma nel caso Corbyn riuscisse a ottenere 326 seggi ha promesso di portare il Paese subito un secondo referendum (con la speranza che dal 2016 i britannici abbiano cambiato idea). Da quel che risulta dagli ultimi sondaggi, tuttavia, questo è lo scenario più improbabile.

GLI ULTIMI SONDAGGI: BORIS A +9 PUNTI

Secondo l’ultimo sondaggio di YouGov pubblicato l’11 dicembre, Johnson avrebbe un vantaggio di 9 punti percentuali su Corbyn, con i Tory al 43% delle preferenze e il Labour al 34%. Seguono i LibDem con il 12%, il Brexit Party di Nigel Farage con il 3% e i Verdi con il 3%. L’istituto di rilevazioni calcola che, con questa percentuale, i conservatori otterrebbero 339 seggi. Si precisa, tuttavia, che la forchetta in cui si muove il partito di Johnson va dai 311 ai 367 seggi. La possibilità di avere un hung parliament (senza maggioranza) il 13 dicembre è tutt’altro che esclusa.

SI PUÒ AVERE 326 SEGGI SENZA LA MAGGIORANZA ASSOLUTA DEI VOTI

L’elezione dei deputati avviene con un voto diretto, a turno unico e maggioritario, a cui partecipano tutti i cittadini maggiorenni del Regno Unito e del Commonwealth, risiedenti in Gran Bretagna e Nord Irlanda e iscritti nel registro elettorale. Questo sistema elettorale (maggioritario puro e uninonimanale secco) favorisce il Partito laburista e il Partito conservatore, penalizzando le formazioni minori. Inoltre, permette a un partito di arrivare a 326 seggi alla Camera senza aver ottenuto la maggioranza assoluta dei voti. È sufficiente, infatti, che i candidati di un partito vincano in 326 circoscrizioni. Come avviene negli Stati Uniti, si può verificare la situazione in cui un partito ottiene la maggioranza dei voti in assoluto, senza però riuscire a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi.

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