Quella sindrome del buffone che inquina la nostra politica

Ormai a forza di promesse impossibili, battute e semplificazioni il dibattito è diventato un circo. Dove vince chi la spara più grossa o la butta in caciara. Senza nessun rispetto per la verità. Ma comportarsi come le parodie crozziane non porta fortuna.

«Non comprerei un’auto usata da nessuno dei due». È il commento di un lettore del Guardian all’indomani del primo confronto elettorale televisivo fra Jeremy Corbin e Boris Johnson, giudicato da un altro «così deprimente» da indurre un terzo lettore a definirlo «non un dibattito ma un circo».

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA POLITICA

Gli interessati però non se ne danno pena. Anzi, come un po’ tutti gli altri leader, in Europa e negli Usa, non si rendono conto di essere ai minimi storici di credibilità e fiducia. Parlano e straparlano con una leggerezza che è particolarmente penosa quando affrontano temi seri e riducono la complessità di molti problemi a battute. Non capiscono di essere ridicoli, proprio quando fanno i duri e le sparano grosse, perché sono degli orfani di partito. Vittime della scomparsa delle tradizionali strutture partitiche, che garantivano contraddittorio e confronto interni, dunque la possibilità di ricredersi, rettificare, aggiustare i pensieri, modificare le proposte. Non capiscono perché sono preda di un narcisismo che soprattutto i social hanno fatto deflagrare. Incapaci di autocritica, dunque di autovalutazione, sono invariabilmente sordi a qualsiasi osservazione, anche da parte di amici (non solo di Facebook), e incapaci di chiedere scusa o dichiararsi pentiti anche quando hanno fatto o detto una cazzata. 

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Boris Johnson.

IL CASO DEL SINDACO DI BIELLA

Naturalmente ci sono eccezioni. Ultimo, ma da sincero applauso, il sindaco di Biella, il leghista Claudio Corradino, che dopo avere negato la cittadinanza onoraria a Liliana Segre e averla offerta a Ezio Greggio, si è pubblicamente pentito della “cretinata” commessa. Ma qui più del peraltro fulminante hastag #biellaciao colpisce che a indurre alle scuse sia stato lo stesso Greggio, cioè un comico vero e non un politico in vena di battute. Ma su questa rovesciamento di ruoli tornerò. Ora volevo segnalare come le “cazzate” – traduzione letterale del saggio del 1986 del filosofo Harry G.Frankfurt e ripubblicato nel 2005 On Bullshit – e soprattutto la loro proliferazione in un ambito serio come è stato e dovrebbe essere la politica, scaturiscono dalle proprietà che hanno, appunto, le cazzate. Ovvero parole, secondo la teoria di Frankfurt applicata alla comunicazione, intese a persuadere senza riguardo per la verità. Il bugiardo, nella quotidianità, si preoccupa della verità e cerca di nasconderla; al bullshitter viceversa non importa se ciò che dice è vero o falso, ma solo se gli ascoltatori sono persuasi.

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L’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi.

LE TRISTI COMICHE E LE PROMESSE IMPOSSIBILI

In questa luce si comprende perché i leader con i testa quelli populisti e sovranisti siano i più prolifici nello sparare promesse impossibili e nel fare a gara a chi rende più facile, secondo il classico meccanismo pubblicitario, la soluzione di emergenze epocali o di vertenze economiche molto complicate. È il famoso «uomo che non deve chiedere mai (scusa)» che ispira Capitan Salvini quando dice e ridice che «la droga fa male», ignorando che non è quello il problema evocato dalle sue dichiarazioni sul caso Cucchi. Con l’ex ministra del Mezzogiorno, la grillina Barbara Lezzi che auspica, in tandem con il compagno di partito Manlio Di Stefano, la miticoltura come risposta occupazionale alla chiusura dell’Ilva, siamo invece nei film di Totò. Con le cozze al posto dell’acciaio, alle comiche di governo. Ciak si gira: Azione. Per evocare l’ultimo scherzo (a parte): il nuovo partito di Carlo Calenda. Che dimostra come anche nel centrosinistra si faccia molta fatica a fare i conti con la realtà. Ovvero a leggerla, a interpretarla e in qualche modo anticiparla. Ma soprattutto a capire bene se si sta scherzando o facendo sul serio. 

MEME E TORMENTONI AUMENTANO IL RIDICOLO

Due casi recenti lo mostrano con vivezza. Il primo è la mobilitazione delle Sardine che ha spiazzato tutti, ma in modo particolare il leader leghista preso in contropiede da un evento assolutamente imprevisto, per la velocità e dimensione assunta dalla protesta di piazza anti-Lega. Il secondo è il tormentone cucito addosso a Giorgia Meloni dopo il comizio di San Giovanni: «Sono una donna….sono cristiana…sono una madre….». Questo meme, chiaramente canzonatorio, è diventato virale. Ha fatto il botto, ha spaccato, come si dice in gergo. A quel punto l’interessata, ma anche una vasta schiera di giornalisti e comunicatori, pure non simpatizzanti, ha cominciato a pensare e dire che lo sfottò anziché mettere in ridicolo la leader di Fratelli d’italia l’ha resa più simpatica.

Giorgia Meloni in piazza San Giovanni.

La satira avrebbe funzionato al contrario. Ma davvero quella caricatura ha reso più popolare Giorgia Meloni? Meno truce e minacciosa e più glam e spiritosa? Non scherziamo. L’ho chiesto a molti giovani, universitari e liceali: tutti hanno detto che fa ridere. Ennesima conferma che quando non si vuole capire non si capisce. O meglio si capisce che a destra prevale assolutamente la convinzione che è importante che se ne parli. Bene o male, vero o falso, per tornare alla teoria delle cazzate, non fa differenza. Perché l’unica cosa che conta è che un messaggio, un volto, una situazione, una protesta, legittima o meno, si fissino nell’immaginario collettivo del momento. Siano memorizzati. Diventino, appunto, un meme, un messaggio semplificato ma per questo ben più efficace di tanti discorsi. 

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Il leader della Lega Matteo Salvini.

GATTINI PERDENTI CONTRO LE SARDINE

La comparsa del movimento autoconvocato delle Sardine segnala però alcune rilevanti novità. Anzitutto la rapidità con cui è montato e ha scalato l’attenzione dell’opinione pubblica. In secondo luogo l’efficace azione di contrasto («Abbiamo imparato a fare il tuo lavoro in sei giorni») alla Bestia leghista. Che alle Sardine ha risposto con i gattini, #gattiniconSalvini, che rappresentano però il grado zero dei social, ma anche della comunicazione. Oltre che della politica trasformata nel cartoon di Gatto Salvini. In terzo luogo, ma è la novità più significativa, la comparsa di un uso gentile dei social. Evocando “sardine slegate”, anziché paure e “uomini neri” (parliamo di Bibbiano), si dice basta all’idea e pratica populista del trolling, dell’uso disinvolto e aggressivo di fake, degli attacchi personali. Il tweet più condiviso è stato infatti un tweet umoristico: «Politico vero risponde con fatti, politico finto risponde con gatti» firmato @VujaBoskov.

LEADER TRASFORMATI IN PARODIE CROZZIANE

Ora non so se i nostri politici capiranno che è ora di smettere di dire “cazzate”. Ma soprattutto di non ridere quando vengono presi in giro, pensando che mostrarsi spiritosi renda simpatici e popolari. Luigi Di Maio ad esempio, venerdì scorso a Accordi&Disaccordi, sulla Nove, invitato a guardare Maurizio Crozza che lo imitava ha detto che per lui «è un onore» essere preso in giro. Sarebbe troppo ricordargli che, certo in altri tempi, un grande leader come Enrico Berlinguer quando fu raffigurato, in una vignetta di Forattini, in vestaglia e pantofole sulla poltrona di casa, mentre gli operai sfilavano in corteo, si infuriò e con lui tutto il popolo comunista. Ma sarà bene che consideri che due segretari del Pd, entrambi poi fuoriusciti, Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi, sono naufragati nel momento in cui hanno cominciato a comportarsi e parlare come le loro parodie crozziane. «Oh ragassi! non siamo qui a pettinare le bambole» è una frase in qualche modo storica. Nel ribadire il carattere alla lunga auto-distruttivo del politico che si traveste da comico e fa battute. Anche perché è provato, come dimostrano Beppe Grillo e Volodymyr Zelenski in Ucraina, che se la politica diventa una comica, allora è meglio affidarsi a un comico vero.


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