Cosa sappiamo sui metodi di tortura impiegati dalla Cina

Il caso del dipendente consolare Cheng è solo l'ultimo in ordine di tempo. Le testimonianze passate hanno permesso di mettere in fila circa 100 tecniche. Dai morsi di serpente alla famigerata "Panchina della tigre".

Dominic Raab, segretario di Stato per gli Affari esteri del Regno Unito, non ha usato mezze parole: «Il trattamento della Cina nei confronti del signor Cheng equivale a tortura». Così il caso di Simon Cheng, ex dipendente del consolato britannico di Hong Kong, arrestato lo scorso agosto e riapparso dopo essere rimasto nelle mani della Polizia cinese per 15 giorni, rischia di creare un incidente diplomatico tra Pechino e Londra. In un’intervista esclusiva al Wall Street Journal, Cheng ha dichiarato che la polizia segreta cinese lo ha picchiato, privato del sonno e incatenato a bocca aperta mentre cercava di estorcergli informazioni sugli attivisti che guidano le proteste democratiche a Hong Kong. Ma il suo non è certo il primo caso che testimonia dell’uso abituale della tortura da parte del regime cinese, un sistema largamente praticato per estorcere informazioni e false confessioni.

Arrestato a Pechino all’inizio di gennaio 2016 e tenuto in cattività per 23 giorni, anche l’attivista svedese Peter Dahlin ha subito un simile calvario in Cina, quasi tre anni prima che i canadesi Michael Kovrig e Michael Spavor venissero arrestati (sono attualmente ancora detenuti dalle autorità cinesi ormai da quasi un anno). Dahlin, co-fondatore di China Action, una Ong che supporta molti avvocati per i diritti umani in Cina, sostiene che Kovrig – il quale, come lui, è stato catturato a Pechino – sia attualmente detenuto nella stessa struttura in cui avevano rinchiuso lui: una prigione segreta, con quattro piani e due ali indipendenti, nella parte meridionale della capitale cinese. Spavor invece, che viveva e operava nella Cina nordorientale, sarebbe tenuto prigioniero in una struttura diversa.

LA TESTIMONIANZA DELL’ATTIVISTA SVEDESE DAHLIN

Secondo la testimonianza di Dahlin, ai prigionieri vengono applicate diverse forme di tortura. Due poliziotti, alternandosi nel ruolo consolidato di “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, lo hanno interrogato in continuazione per giorni. Nella rare pause, due guardie nella sua cella osservavano ogni sua minima mossa, come girarsi nel letto. «Pesanti tende impediscono totalmente alla luce del giorno di penetrare nella cella, mentre le luci restano sempre accese, giorno e notte, privando il detenuto nella nozione del tempo e della possibilità di dormire», ha raccontato. Secondo quando dichiarato da Farida Deif, direttore dell’ufficio canadese di Human Rights Watch (Hrw) “tenere le luci accese con la conseguente privazione del sonno è una delle forme più pesanti di tortura fisica e mentale”.

ALCUNI DETENUTI MUOIONO PER LE TORTURE

Sempre secondo le testimonianze raccolte da Human Rights Watch, il regime cinese usa ogni mezzo a sua disposizione «per mettere a tacere chiunque non sia un cieco sostenitore del Partito comunista al potere». Ai detenuti in Cina vengono somministrate con la forza anche droghe psicotrope. Alcuni vengono stuprati, legati in posizioni dolorose per giorni, affamati, denudati ed esposti al freddo gelido per ore e anche colpiti da forti scariche con bastoni elettrici, per citare solo alcuni deli metodi utilizzati dagli aguzzini cinesi. Applicando una scarica elettrica che può raggiungere i 300 mila volt, i bastoni vengono impiegati per ottenere il massimo effetto su parti sensibili del corpo come la bocca, i genitali, il collo e la pianta dei piedi. In alcuni casi i prigionieri perdono coscienza e muoiono per le conseguenze.

Amnesty ha raccolto dirette testimonianze di quasi 100 diversi metodi di tortura

Secondo le organizzazioni per i diritti umani, l’uso della tortura e degli abusi in Cina contro i gruppi perseguitati rimane dilagante. Alcuni dei metodi di tortura possono essere fatti risalire al Medioevo, mentre altre forme di abuso, come il prelievo forzato di organi, non hanno precedenti nella storia. Il rapporto di Amnesty International intitolato No End in Sight: Torture and Forced Confessions in China ha raccolto dirette testimonianze di quasi 100 diversi metodi di tortura. Questi includono anche alimentazione forzata con urina o feci, ustioni da sigaretta, infezioni di scabbia, isolamento totale, perforatura delle unghie con bastoncini di bambù affilati e morsi di cani o serpenti.

I NOMI IN CODICE DELLE TORTURE

Molti dei metodi di tortura hanno persino dei nomi specifici, come “Piccola gabbia” (la persona viene ammanettata all’interno di una piccola gabbia in modo tale che non possa stare in piedi o sedersi); “Hell Confinement” (un dispositivo costituito da legacci e manette applicato in modo tale che le vittime non possano camminare, sedersi, usare il bagno o nutrirsi); “Covering a Shed” (soffocamento) e “Tortura del trascinamento” (le vittime vengono trascinate ripetutamente su terreni accidentati). C’è poi il metodo considerato il più terribile di tutti, la famigerata “Panchina della tigre“, dove la vittima si siede con le gambe distese e legate strette alla panchina con delle cinghie. Mattoni, o altri oggetti, vengono posti sotto i talloni della vittima, con più strati aggiunti fino a quando le cinghie si rompono, causando un dolore insopportabile.

ANCHE I CRISTIANI “NON ALLINEATI” NEL MIRINO

Il target preferito dai torturatori cinesi è rappresentato, tra gli altri, dai cristiani “non allineati” (quelli che si rifiutano di sottomettersi alla Chiesa di Stato gestita dal Partito Comunista), i buddisti tibetani, i musulmani uiguri, i seguaci del Falun Dafa e gli attivisti democratici o chiunque sospettato di «attività anti-governativa», come i due canadesi ancora detenuti in Cina. L’artista e scultore canadese di origine cinese Kunlun Zhang, che è riuscito a sopravvivere alle torture e a ritornare in Canada, ha raccontato che le guardie gli ripetevano: «Possiamo fare di te qualsiasi cosa senza essere ritenuti responsabili. Se muori, ti seppelliremo e diremo a tutti che ti sei suicidato perché avevi paura di un’accusa criminale».

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