Cosa c’è dietro il riavvicinamento tra governo e ArcelorMittal

L'esecutivo teme i costi politici dello stallo. L'azienda le ripercussioni giudiziarie. All'indomani del vertice a Palazzo Chigi, la multinazionale si fa più conciliante. Mentre dietro le quinte fervono i negoziati.

La schiarita ancora non c’è, ma paiono diradarsi timidamente le nubi sui rapporti tra il governo e Arcelor Mittal, all’indomani dell’incontro tra il premier Giuseppe Conte e i vertici dell’azienda. All’orizzonte, l’ipotesi di un compromesso per superare il braccio di ferro sugli impianti della ex Ilva. Da una parte, ArcelorMittal costretta dall’offensiva giudiziaria a restare a Taranto. Dall’altra, il governo che apre all’ulteriore ricorso alla cassa integrazione, a un ridimensionamento della produzione nel lungo periodo, fino a un possibile ruolo del settore pubblico nella riconversione ambientale. Il tavolo di Palazzo Chigi, dunque, potrebbe aver sbloccato lo stallo che aveva fatto fibrillare la maggioranza dopo l’annuncio del colosso siderurgico di ‘staccare la spina’ all’ex Ilva a gennaio. Anche se gli ostacoli restano.

GUALTIERI OTTIMISTA: «SIAMO SU BINARI POSITIVI»

Il negoziato si annuncia lungo, al netto di possibili, ulteriori colpi di scena che obbligano alla prudenza. Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano avverte che «non ci si deve fare illusioni, non credo che Mittal si innamorerà nuovamente dell’Ilva». Più ottimista il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: «Si sono create condizioni e la situazione si è rimessa su binari positivi». Da fonti vicine ad ArcelorMittal trapela una «quadro di normalità» nei livelli produttivi e negli ordini, con l’intenzione di pagare il 60% delle fatture scadute per l’indotto-appalto «entro lunedì 2 dicembre». Le ditte dell’indotto, che rivendicano il saldo delle fatture, sono al sesto giorno consecutivo di presidio delle portinerie dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ancora non ha ricevuto risposta la richiesta, ribadita da Conte, di garanzie dalla multinazionale a non staccare la spina agli impianti già a gennaio. I toni di ArcelorMittal, però, si sono fatti più concilianti.

Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto

ArcelorMittal

L’incontro «per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è stato costruttivo», si legge in una nota della multinazionale siderurgica. «Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto». Prevale la volontà di cercare un’intesa. ArcelorMittal teme i rischi derivanti dall’apertura di fronti giudiziari in Italia. Il governo quelli (politici) derivanti dall’attuale stallo. Per facilitare la trattativa, l’esecutivo sarebbe pronto a invitare i commissari dell’Ilva ad acconsentire a una «breve dilazione» – come spiegava il 23 novembre una nota di Palazzo Chigi – dell’udienza del 27 novembre al Tribunale di Milano da cui ci si aspetta una dichiarazione di illegittimità della decisione della multinazionale.

IN CERCA DI UN COMPROMESSO, TRA DECARBONIZZAZIONE ED ESUBERI

Si cerca insomma di guadagnare tempo, per entrare nel vivo di un negoziato che rivedrebbe il piano industriale. Meno altiforni, conversione verso sistemi produttivi innovativi e più sostenibili. Con l’ipotesi di un ingresso dello Stato in una ‘newco’ che si occuperebbe della decarbonizzazione. E quella di un decreto ad hoc per Taranto, probabilmente prima di Natale, con l’intervento di società a controllo pubblico che contribuirebbero a ridurre l’impatto degli esuberi. L’esecutivo sarebbe disposto a concedere una riduzione dei livelli produttivi (già scesi a 4,5 da 6 milioni di tonnellate) nel lungo termine. Ma una linea rossa resta: il ‘no’ all’ipotesi che i 5 mila esuberi dichiarati dall’azienda divengano licenziamenti tout court. La soluzione potrebbe essere il ricorso agli ammortizzatori sociali con cassa integrazione per non più di 2.500 dipendenti.

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