Mittal, trovato l’accordo per il pagamento dell’indotto

Nel frattempo, prende quota l'ipotesi di un rinvio dell'udienza sul ricorso dei commissari. La condizione è che la multinazionale si impegni a riprendere l'attività che aveva iniziato a sospendere.

Spunta l’ipotesi di un rinvio di qualche settimana dell’udienza fissata per il 27 novembre sul ricorso cautelare presentato dai commissari dell’ex Ilva per fermare l’addio di ArcelorMittal. Secondo quanto riferito dall’Ansa, se si troveranno le condizioni, e in particolare se il gruppo franco-indiano si impegnerà a riprendere l’attività che aveva iniziato a sospendere, i legali delle parti in via congiunta potrebbero chiedere una nuova data per dar tempo, nella trattativa a tre in cui si inserisce anche il governo, di arrivare a un accordo anche a seguito dell’incontro di venerdì 22 novembre.

L’INCONTRO DECISIVO TRA MITTAL E UNA DELEGAZIONE DI IMPRESE

Nel frattempo, all’ottavo giorno di presidio, è stato raggiunto l’accordo per il pagamento delle aziende dell’indotto. Ad annunciarlo è stato il governatore pugliese Michele Emiliano: «Abbiamo raggiunto un accordo per il quale entro domani (26 novembre, ndr) sarà pagato il 100% dello scaduto al 31 ottobre. Significa che si allineano con i pagamenti». Emiliano ha parlato a conclusione di un incontro nel siderurgico di Taranto sul pagamento delle imprese dell’indotto con il capo del personale di ArcelorMittal Arturo Ferrucci e altri dirigenti dello stabilimento, il presidente di Confindustria Taranto Antonio Marinaro, il sindaco Rinaldo Melucci e una delegazione di imprese dell’indotto.

Domani, se verrà pagato il 100% dello scaduto al 31 ottobre, il blocco verrà rimosso e si ricomincerà a lavorare normalmente

Michele Emiliano

«L’incontro», ha aggiunto Emiliano, «si è concluso positivamente. Domani ne è previsto un altro qui per verificare, davanti ai nostri occhi, l’emissione dei bonifici. Speriamo che tutto vada bene. Io non sono né ottimista né pessimista: devo però dare atto che dopo la riunione di ieri e con la presa di posizione così severa e forte di tutte le imprese che rimangono unite e compatte, ArcelorMittal ha risposto positivamente e questa sicuramente è una buona notizia. Quindi lo stabilimento rimane ancora e continua pur sotto pressione a funzionare». Il presidio, per ora, resta: «Domani, se verrà pagato il 100% dello scaduto al 31 ottobre, il blocco verrà rimosso e si ricomincerà a lavorare normalmente».

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Le cose da sapere sullo sciopero del trasporto aereo del 25 novembre

L'agitazione è stata ridotta a quattro ore (dalle 13 alle 17) dalle 24 iniziali. Ma ha costretto comunque Alitalia a cancellare 137 voli. Nelle stesse ore previsto anche lo stop dei casellanti autostradali.

Durerà quattro ore lo stop del trasporto aereo indetto per lunedì 25 novembre, ma ha già costretto Alitalia a cancellare 137 voli e causerà comunque disagi ai viaggiatori che nella stessa giornata dovranno vedersela con lo sciopero dei casellanti autostradali e, il 29, anche con quello del personale delle Ferrovie dello Stato.

L’AGITAZIONE PREVISTA DALLE 13 ALLE 17

A fermarsi dalle 13 alle 17 (dopo la riduzione dell’agitazione inizialmente di 24 ore imposta dal ministero delle Infrastrutture) saranno su scala nazionale innanzitutto i controllori di volo dell’Enav aderenti a Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ta, Assivolo Quadri, il personale Alitalia di Cub trasporti e AirCrewCommittee e il personale navigante di Air Italy per lo stop proclamato da Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ta. In polemica con l’ordinanza del Mit, l’Usb di Alitalia ha invece deciso di far slittare lo sciopero inizialmente programmato per domani al 13 dicembre, data in cui è già programmato un altro sciopero del trasporto aereo proclamato dalle categoria di Cgil, Cisl, Uil e Ugl per il perdurare della crisi della compagnia e con la richiesta di rifinanziamento del Fondo di solidarietà del trasporto aereo.

ALITALIA PREDISPONE UN PIANO PER I PASSEGGERI

Annunciando le cancellazioni, Alitalia ha predisposto un piano straordinario di riprotezione dei passeggeri su velivoli più grandi e capienti, in modo che il 60% di coloro che hanno un biglietto datato 25 novembre riescano a viaggiare comunque in giornata. Giornata di agitazione anche sulle autostrade. Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Sla Cisal e Ugl Viabilità e Logistica denunciano il blocco da parte dell’organizzazione datoriale Fise Acap del rinnovo del contratto nazionale, scaduto ormai da mesi. Lo sciopero riguarderà dunque solo le concessionarie autostradali iscritte all’associazione (tra le altre l’Autostrada dei Parchi, il Traforo del Frejus e del Gran San Bernardo, l’Autostrada del Brennero, la A7 Milano Serravalle e Milano Tangenziali e l’autostrada Pedemontana Lombarda Milano Serravalle).

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Citroën lancia il Nuovo Suv C5 Aircross

Il Suv, versione rinnovata del modello lanciato a fine 2018, punta su design, comodità e modularità. Le novità? Sospensioni di nuova generazione, tecnologia e comfort di guida.

Citroën ha deciso di proseguire la sua offensiva nel settore dei Suv lanciando anche in Europa la Nuova C5 Aircross, di cui sono già stati venduti 40mila esemplari in Cina. Lo sbarco di questo nuovo modello segue C3 Aircross, un successo da 80mila vendite.

AIRBUMP ALLE PORTIERE E AMPIA PERSONALIZZAZIONE

Il segmento dei SUV rappresenta il più del 40% delle vendite del mercato automobilistico e Citroën ha investito nel settore con l’obiettivo di offrire una risposta differente e innovativa che incarni tutti i valori del brand. Nuovo SUV C5 Aircross, lungo 4,50 m, si distingue dagli altri SUV per le ruote di grandi dimensioni, da 720 mm di diametro, per la distanza dal suolo di 230 mm e per le barre al tetto, oltre che per innovazioni esclusive Citroën come gli Airbump, che proteggono le portiere dagli urti. Al pari degli ultimi modelli della casa francese, Nuovo SUV C5 Aircross propone un’ampia offerta di personalizzazione, con 32 combinazioni per gli esterni e cinque combinazioni per gli ambienti interni. La vettura può essere personalizzata grazie a sette tinte per la carrozzeria, una colorazione bi-colore con tetto a contrasto Black e 3 Pack Color, costituiti da dettagli colorati sul paraurti anteriore, sugli Airbump nella parte inferiore delle porte anteriori e sul profilo inferiore delle barre al tetto.

IL COMFORT DI GUIDA, DALLE SOSPENSIONI AI SEDILI

Nuovo SUV C5 Aircross, al pari di tutta la gamma Citroën, si caratterizza per l’elevato comfort di guida, incarnando tutti i valori del riconosciuto progetto Citroën Advanced Comfort. Nuovo SUV C5 Aircross presenta infatti due esclusive tecnologie a vantaggio del comfort di tutti gli occupanti: le sospensioni Citroën con smorzatori idraulici progressivi e i sedili Advanced Comfort, capaci di filtrare le asperità della strada e garantire un comfort di guida di livello superiore. Ancora, i tre sedili posteriori individuali e scorrevoli sono ribaltabili a scomparsa e il volume del bagagliaio “Best in Class” varia da 580 a 720 litri, attestandosi come il più grande della categoria.

LE TECNOLOGIE DI ASSISTENZA ALLA GUIDA

Tutte vetture Citroën si distinguono poi per le moderne tecnologie di assistenza alla guida. Nuovo SUV C5 Aircross non fa eccezione, grazie al display digitale da 12,3 pollici, al Touch Pad da 8 pollici con schermo capacitivo, ai 20 sistemi di assistenza alla guida di ultima generazione, tra cui spicca la tecnologia Highway Driver Assist, e alle sei tecnologie di connettività all’avanguardia. Nuovo SUV C5 Aircross è offerto con efficienti motorizzazioni benzina e diesel da 130 cv e 180 cv, anche in abbinamento alla trasmissione automatica ad otto rapporti EAT8, ed è il primo modello Citroën a utilizzare la tecnologia Plug-in Hybrid PHEV per offrire nuovi ed inediti livelli di comfort, efficienza e piacere di guida. Nuovo SUV C5 Aircross, commercializzato in Italia a partire da fine 2018, è prodotto in Francia, nella fabbrica di Rennes – La Janais.

IL DG JACKSON: «È IL NUOVO MODELLO DI PUNTA CITROEN»

Linda Jackson, direttore generale di Citroën, ha presentato con orgoglio Nuovo SUV C5 Aircross, vettura commercializzata in quasi 92 paesi nel mondo: «Si tratta di un Next Generation SUV che completa la gamma recentemente rinnovata di Citroën e affronta il segmento dei SUV con tutti gli elementi identificativi della marca: design, comfort e modularità. Nuovo SUV C5 Aircross è il nuovo modello di punta di Citroën, un elemento chiave per la crescita internazionale del brand».

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Citroën lancia il Nuovo Suv C5 Aircross

Il Suv, versione rinnovata del modello lanciato a fine 2018, punta su design, comodità e modularità. Le novità? Sospensioni di nuova generazione, tecnologia e comfort di guida.

Citroën ha deciso di proseguire la sua offensiva nel settore dei Suv lanciando anche in Europa la Nuova C5 Aircross, di cui sono già stati venduti 40mila esemplari in Cina. Lo sbarco di questo nuovo modello segue C3 Aircross, un successo da 80mila vendite.

AIRBUMP ALLE PORTIERE E AMPIA PERSONALIZZAZIONE

Il segmento dei SUV rappresenta il più del 40% delle vendite del mercato automobilistico e Citroën ha investito nel settore con l’obiettivo di offrire una risposta differente e innovativa che incarni tutti i valori del brand. Nuovo SUV C5 Aircross, lungo 4,50 m, si distingue dagli altri SUV per le ruote di grandi dimensioni, da 720 mm di diametro, per la distanza dal suolo di 230 mm e per le barre al tetto, oltre che per innovazioni esclusive Citroën come gli Airbump, che proteggono le portiere dagli urti. Al pari degli ultimi modelli della casa francese, Nuovo SUV C5 Aircross propone un’ampia offerta di personalizzazione, con 32 combinazioni per gli esterni e cinque combinazioni per gli ambienti interni. La vettura può essere personalizzata grazie a sette tinte per la carrozzeria, una colorazione bi-colore con tetto a contrasto Black e 3 Pack Color, costituiti da dettagli colorati sul paraurti anteriore, sugli Airbump nella parte inferiore delle porte anteriori e sul profilo inferiore delle barre al tetto.

IL COMFORT DI GUIDA, DALLE SOSPENSIONI AI SEDILI

Nuovo SUV C5 Aircross, al pari di tutta la gamma Citroën, si caratterizza per l’elevato comfort di guida, incarnando tutti i valori del riconosciuto progetto Citroën Advanced Comfort. Nuovo SUV C5 Aircross presenta infatti due esclusive tecnologie a vantaggio del comfort di tutti gli occupanti: le sospensioni Citroën con smorzatori idraulici progressivi e i sedili Advanced Comfort, capaci di filtrare le asperità della strada e garantire un comfort di guida di livello superiore. Ancora, i tre sedili posteriori individuali e scorrevoli sono ribaltabili a scomparsa e il volume del bagagliaio “Best in Class” varia da 580 a 720 litri, attestandosi come il più grande della categoria.

LE TECNOLOGIE DI ASSISTENZA ALLA GUIDA

Tutte vetture Citroën si distinguono poi per le moderne tecnologie di assistenza alla guida. Nuovo SUV C5 Aircross non fa eccezione, grazie al display digitale da 12,3 pollici, al Touch Pad da 8 pollici con schermo capacitivo, ai 20 sistemi di assistenza alla guida di ultima generazione, tra cui spicca la tecnologia Highway Driver Assist, e alle sei tecnologie di connettività all’avanguardia. Nuovo SUV C5 Aircross è offerto con efficienti motorizzazioni benzina e diesel da 130 cv e 180 cv, anche in abbinamento alla trasmissione automatica ad otto rapporti EAT8, ed è il primo modello Citroën a utilizzare la tecnologia Plug-in Hybrid PHEV per offrire nuovi ed inediti livelli di comfort, efficienza e piacere di guida. Nuovo SUV C5 Aircross, commercializzato in Italia a partire da fine 2018, è prodotto in Francia, nella fabbrica di Rennes – La Janais.

IL DG JACKSON: «È IL NUOVO MODELLO DI PUNTA CITROEN»

Linda Jackson, direttore generale di Citroën, ha presentato con orgoglio Nuovo SUV C5 Aircross, vettura commercializzata in quasi 92 paesi nel mondo: «Si tratta di un Next Generation SUV che completa la gamma recentemente rinnovata di Citroën e affronta il segmento dei SUV con tutti gli elementi identificativi della marca: design, comfort e modularità. Nuovo SUV C5 Aircross è il nuovo modello di punta di Citroën, un elemento chiave per la crescita internazionale del brand».

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Elezioni in Romania, vince il conservatore Iohannis

Doppiata al ballottaggio la sfidante Dancila. Alla seconda sconfitta dopo la caduta del governo. Rafforzamento dei rapporti con l'Ue e lotta alla corruzione: il manifesto del presidente.

In Romania il presidente uscente, il conservatore europeista Klaus Iohannis, ha vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali, ottenendo il secondo mandato consecutivo dopo la vittoria del 2014. Stando agli exit poll, a Iohannis è andato tra il 65% e il 67% dei voti, praticamente il doppio delle preferenze ottenute dalla sfidante, la ex premier socialdemocratica Viorica Dancila, attestatasi al 33%-35%. Una vittoria schiacciante che va ben oltre le previsioni della vigilia e che appare molto più ampia del successo ottenuto da Iohannis al primo turno. «Oggi ha vinto la Romania, la Romania moderna, europea, normale», ha detto il presidente. «I romeni sono stati gli eroi di questi giorni, sono andati numerosi a votare e questa è la cosa più importante», ha aggiunto Iohannis. Iohannis ha potuto contare sul sostegno delle altre forze di centrodestra, mentre Dancila è rimasta a gareggiare da sola dopo che anche i suoi alleati di centrosinistra l’hanno abbandonata, causando la caduta del suo governo, sfiduciato il mese scorso in parlamento.

EUROPEISMO E LOTTA ALLA CORRUZIONE

Nato a Sibiu 60 anni fa, di origini sassoni e appartenente alla minoranza tedesca della Romania, Iohannis conquista un secondo mandato, che gli dà l’opportunità di continuare la sua politica fortemente europeista e la battaglia contro la corruzione, che dilaga anche nelle alte sfere politiche e amministrative. Una battaglia che, unitamente ai ripetuti appelli a recarsi alle urne, è stato il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale. All’ex premier Dancila invece non è bastato l’essersi appellata ai valori nazionali per recuperare il consistente gap di voti accumulato nel primo turno delle elezioni. In poco più di due mesi è la seconda, pesante sconfitta per la Dancila, delfina di Liviu Dragnea, il deus ex machina del partito socialdemocratico (Psd) che sta scontando una pena di tre anni e mezzo per corruzione. A metà ottobre, infatti, il governo Dancila è stato sfiduciato dal parlamento dopo aver perso l’appoggio di Alde (alleato nei tre anni di governo) e dell’altro partito di centrosinistra Pro Romania dell’ ex premier Victor Ponta.

PRESIDENZA E GOVERNO DELLO STESSO COLORE

Per il Psd, erede del vecchio partito comunista, si prospetta dunque la necessità di una profonda ristrutturazione in vista delle prossime elezioni parlamentari che si terranno nell’autunno del 2020. A traghettare il Paese fino a quella data, e a meno di altre crisi o di elezioni anticipate, sarà il nuovo governo guidato da Ludovic Orban, del partito liberale di Iohannis, che è subentrato alla Dancila. E dopo anni di scomoda coabitazione, presidenza e governo avranno lo stesso colore politico, evento piuttosto raro nella Romania del dopo Ceausescu. L’obiettivo principale per Iohannis e il centrodestra sarà verosimilmente il rafforzamento da una parte dei rapporti con Bruxelles e dall’altra del peso del Paese balcanico all’interno dell’Unione Europea.

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Elezioni in Romania, vince il conservatore Iohannis

Doppiata al ballottaggio la sfidante Dancila. Alla seconda sconfitta dopo la caduta del governo. Rafforzamento dei rapporti con l'Ue e lotta alla corruzione: il manifesto del presidente.

In Romania il presidente uscente, il conservatore europeista Klaus Iohannis, ha vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali, ottenendo il secondo mandato consecutivo dopo la vittoria del 2014. Stando agli exit poll, a Iohannis è andato tra il 65% e il 67% dei voti, praticamente il doppio delle preferenze ottenute dalla sfidante, la ex premier socialdemocratica Viorica Dancila, attestatasi al 33%-35%. Una vittoria schiacciante che va ben oltre le previsioni della vigilia e che appare molto più ampia del successo ottenuto da Iohannis al primo turno. «Oggi ha vinto la Romania, la Romania moderna, europea, normale», ha detto il presidente. «I romeni sono stati gli eroi di questi giorni, sono andati numerosi a votare e questa è la cosa più importante», ha aggiunto Iohannis. Iohannis ha potuto contare sul sostegno delle altre forze di centrodestra, mentre Dancila è rimasta a gareggiare da sola dopo che anche i suoi alleati di centrosinistra l’hanno abbandonata, causando la caduta del suo governo, sfiduciato il mese scorso in parlamento.

EUROPEISMO E LOTTA ALLA CORRUZIONE

Nato a Sibiu 60 anni fa, di origini sassoni e appartenente alla minoranza tedesca della Romania, Iohannis conquista un secondo mandato, che gli dà l’opportunità di continuare la sua politica fortemente europeista e la battaglia contro la corruzione, che dilaga anche nelle alte sfere politiche e amministrative. Una battaglia che, unitamente ai ripetuti appelli a recarsi alle urne, è stato il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale. All’ex premier Dancila invece non è bastato l’essersi appellata ai valori nazionali per recuperare il consistente gap di voti accumulato nel primo turno delle elezioni. In poco più di due mesi è la seconda, pesante sconfitta per la Dancila, delfina di Liviu Dragnea, il deus ex machina del partito socialdemocratico (Psd) che sta scontando una pena di tre anni e mezzo per corruzione. A metà ottobre, infatti, il governo Dancila è stato sfiduciato dal parlamento dopo aver perso l’appoggio di Alde (alleato nei tre anni di governo) e dell’altro partito di centrosinistra Pro Romania dell’ ex premier Victor Ponta.

PRESIDENZA E GOVERNO DELLO STESSO COLORE

Per il Psd, erede del vecchio partito comunista, si prospetta dunque la necessità di una profonda ristrutturazione in vista delle prossime elezioni parlamentari che si terranno nell’autunno del 2020. A traghettare il Paese fino a quella data, e a meno di altre crisi o di elezioni anticipate, sarà il nuovo governo guidato da Ludovic Orban, del partito liberale di Iohannis, che è subentrato alla Dancila. E dopo anni di scomoda coabitazione, presidenza e governo avranno lo stesso colore politico, evento piuttosto raro nella Romania del dopo Ceausescu. L’obiettivo principale per Iohannis e il centrodestra sarà verosimilmente il rafforzamento da una parte dei rapporti con Bruxelles e dall’altra del peso del Paese balcanico all’interno dell’Unione Europea.

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Rai: le spine di Salini sono le nomine tigì, Fiorello e Mn

L'ad di Viale Mazzini sotto pressione per il cambio dei direttori dei telegiornali. Ma a preoccupare sono anche il presunto conflitto di interessi del capo comunicazione Giannotti e il costo dell'operazione Viva RaiPlay.

Il 26 novembre Fabrizio Salini è pronto a essere ascoltato in Commissione di vigilanza Rai. Per l’amministratore delegato della tivù di Stato si annunciano giorni di passione, cosa che lui, che soffre la troppa pressione, sicuramente vorrebbe evitarsi. Ma oramai la partita Rai non è più rinviabile. Ovvero non è più procrastinabile intervenire su una situazione che è ancora figlia del Conte Uno e dell’alleanza giallo-verde.

Ora, se Giuseppe Conte (bis) e i grillini sono rimasti, sono il Pd e Matteo Renzi che, entrati nella nuova compagine di governo, reclamano a gran voce che il tormentato universo della tivù pubblica ne prenda atto. Come fatto trapelare senza troppi paludamenti, il partito di Nicola Zingaretti punta al Tg1, guidato ora da Giuseppe Carboni in quota M5s. Il suo candidato è il sempreverde (il colore non allude ovviamente a simpatie leghiste) Antonio Di Bella, attualmente alla guida di Rai News.

Di Bella è il candidato più forte, ma non l’unico: c’è il vecchio direttore della testata ammiraglia nonché ex direttore generale dell’ente Mario Orfeo che chiede di essere valorizzato. Momentaneamente parcheggiato a Rai Way, Orfeo vuole tornare a pieno titolo nell’agone delle news. Sconta però un certo ostracismo dei pentastellati, che gli preferiscono di gran lunga Franco Di Mare, da luglio vicedirettore di RaiUno con delega agli approfondimenti e alle inchieste.

ANCORA NESSUNA CERTEZZA PER LE NOMINE DEI TELEGIORNALI

Ma che i telegiornali vengano toccati dall’ondata delle future nomine è ancora tutto da vedere. Salini sa che la materia è incandescente, e nel tentativo di limitare i danni vorrebbe offrire in pasto alla politica solo il rinnovo dei direttori di rete. I corridoi di viale Mazzini segnalano, ma con la dovuta aleatorietà di una situazione che cambia da un giorno all’altro, il seguente organigramma: Stefano Coletta a RaiUno, Marcello Ciannamea alla Seconda Rete, e l’onniprensente Di Mare, sempre non vada al Tg1, al vertice di RaiTre.

A viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale

Ma si sa, a viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale, e dunque la prudenza è d’obbligo. Un puzzle che è ulteriormente complicato dal fatto che Salini, forte dell’approvazione del suo piano industriale da parte del Mise, deve procedere alla nomina dei responsabili delle divisioni trasversali. Lo farà o tergiverserà ancora? Qualcosa forse si saprà nel cda Rai che si terrà due giorni dopo l’audizione dell’ad in Commissione di vigilanza.

Foto di Stefano Colarieti / LaPresse.

E poi c’è una ulteriore grana che non promette nulla di buono. Complice Striscia la notizia, è deflagrato il caso della società di comunicazione Mn, dove Marcello Giannotti ha lavorato dal 2015 al 2018 prima di essere chiamato da Salini a guidare la comunicazione Rai. Quasi sicuro che il cda chiederà a Salini spiegazioni su quello che alcuni giudicano un conflitto di interessi, altri come minimo una evidente caduta di stile. Mn, in trattativa per Sanremo (anche se la società smentisce), segue la comunicazione di Fiorello e della nuova serie I Medici, pagata da Lux Vide ma nell’ambito di una coproduzione Rai.

I DETTAGLI ECONOMICI SUL PROGRAMMA DI FIORELLO RIMANGONO UN MISTERO

Sempre nei corridoi di viale Mazzini si sussurra anche di un altro capitolo che chiamerebbe in causa Giannotti, ovvero una serie di contratti che la Comunicazione avrebbe sottoscritto con alcune testate online per ospitare una serie di redazionali sull’attività della Rai e del suo ad. E poi c’è il caso Fiorello, l’operazione su cui Salini ha puntato, ma i cui contorni sono ancora avvolti nel mistero. Per quello che è stato venduto come l’appuntamento televisivo dell’anno, il ritorno dello showman sulla piattaforma di Rai Play, non sono mai stati comunicati i dettagli economici.

Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione Fiorello di circa 10 milioni di euro

Sarà il prossimo cda l’occasione per fare chiarezza? Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione di circa 10 milioni di euro. Una cifra che comprende l’ingaggio di Fiorello, quello dei suoi autori, la campagna di marketing che ha accompagnato il ritorno dello showman sul piccolo schermo, e la realizzazione di tre set volanti destinati a essere smontati il prossimo dicembre alla fine del programma.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Rai: le spine di Salini sono le nomine tigì, Fiorello e Mn

L'ad di Viale Mazzini sotto pressione per il cambio dei direttori dei telegiornali. Ma a preoccupare sono anche il presunto conflitto di interessi del capo comunicazione Giannotti e il costo dell'operazione Viva RaiPlay.

Il 26 novembre Fabrizio Salini è pronto a essere ascoltato in Commissione di vigilanza Rai. Per l’amministratore delegato della tivù di Stato si annunciano giorni di passione, cosa che lui, che soffre la troppa pressione, sicuramente vorrebbe evitarsi. Ma oramai la partita Rai non è più rinviabile. Ovvero non è più procrastinabile intervenire su una situazione che è ancora figlia del Conte Uno e dell’alleanza giallo-verde.

Ora, se Giuseppe Conte (bis) e i grillini sono rimasti, sono il Pd e Matteo Renzi che, entrati nella nuova compagine di governo, reclamano a gran voce che il tormentato universo della tivù pubblica ne prenda atto. Come fatto trapelare senza troppi paludamenti, il partito di Nicola Zingaretti punta al Tg1, guidato ora da Giuseppe Carboni in quota M5s. Il suo candidato è il sempreverde (il colore non allude ovviamente a simpatie leghiste) Antonio Di Bella, attualmente alla guida di Rai News.

Di Bella è il candidato più forte, ma non l’unico: c’è il vecchio direttore della testata ammiraglia nonché ex direttore generale dell’ente Mario Orfeo che chiede di essere valorizzato. Momentaneamente parcheggiato a Rai Way, Orfeo vuole tornare a pieno titolo nell’agone delle news. Sconta però un certo ostracismo dei pentastellati, che gli preferiscono di gran lunga Franco Di Mare, da luglio vicedirettore di RaiUno con delega agli approfondimenti e alle inchieste.

ANCORA NESSUNA CERTEZZA PER LE NOMINE DEI TELEGIORNALI

Ma che i telegiornali vengano toccati dall’ondata delle future nomine è ancora tutto da vedere. Salini sa che la materia è incandescente, e nel tentativo di limitare i danni vorrebbe offrire in pasto alla politica solo il rinnovo dei direttori di rete. I corridoi di viale Mazzini segnalano, ma con la dovuta aleatorietà di una situazione che cambia da un giorno all’altro, il seguente organigramma: Stefano Coletta a RaiUno, Marcello Ciannamea alla Seconda Rete, e l’onniprensente Di Mare, sempre non vada al Tg1, al vertice di RaiTre.

A viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale

Ma si sa, a viale Mazzini quasi sempre chi entra papa rimane cardinale, e dunque la prudenza è d’obbligo. Un puzzle che è ulteriormente complicato dal fatto che Salini, forte dell’approvazione del suo piano industriale da parte del Mise, deve procedere alla nomina dei responsabili delle divisioni trasversali. Lo farà o tergiverserà ancora? Qualcosa forse si saprà nel cda Rai che si terrà due giorni dopo l’audizione dell’ad in Commissione di vigilanza.

Foto di Stefano Colarieti / LaPresse.

E poi c’è una ulteriore grana che non promette nulla di buono. Complice Striscia la notizia, è deflagrato il caso della società di comunicazione Mn, dove Marcello Giannotti ha lavorato dal 2015 al 2018 prima di essere chiamato da Salini a guidare la comunicazione Rai. Quasi sicuro che il cda chiederà a Salini spiegazioni su quello che alcuni giudicano un conflitto di interessi, altri come minimo una evidente caduta di stile. Mn, in trattativa per Sanremo (anche se la società smentisce), segue la comunicazione di Fiorello e della nuova serie I Medici, pagata da Lux Vide ma nell’ambito di una coproduzione Rai.

I DETTAGLI ECONOMICI SUL PROGRAMMA DI FIORELLO RIMANGONO UN MISTERO

Sempre nei corridoi di viale Mazzini si sussurra anche di un altro capitolo che chiamerebbe in causa Giannotti, ovvero una serie di contratti che la Comunicazione avrebbe sottoscritto con alcune testate online per ospitare una serie di redazionali sull’attività della Rai e del suo ad. E poi c’è il caso Fiorello, l’operazione su cui Salini ha puntato, ma i cui contorni sono ancora avvolti nel mistero. Per quello che è stato venduto come l’appuntamento televisivo dell’anno, il ritorno dello showman sulla piattaforma di Rai Play, non sono mai stati comunicati i dettagli economici.

Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione Fiorello di circa 10 milioni di euro

Sarà il prossimo cda l’occasione per fare chiarezza? Indiscrezioni in possesso di Lettera43 parlano di un costo complessivo dell’operazione di circa 10 milioni di euro. Una cifra che comprende l’ingaggio di Fiorello, quello dei suoi autori, la campagna di marketing che ha accompagnato il ritorno dello showman sul piccolo schermo, e la realizzazione di tre set volanti destinati a essere smontati il prossimo dicembre alla fine del programma.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Caro Pd, è il momento di prendere sul serio Grillo

Sarebbe un errore chiudere la porta al M5s. Il cofondatore cerca di salvare la propria creatura e la sua disperazione può offrire la possibilità di un dialogo difficile ma molto utile.

Beppe Grillo ancora una volta tiene in piedi Luigi Di Maio e soprattutto lo costringe a mantenere in vita l’alleanza con il Pd, anzi gli suggerisce di dar vita a un progetto comune. Gli interventi tampone del padre fondatore ormai non si contano più e a stento riescono a impedire il crollo di una baracca che, nelle mani di Di Maio e di Casaleggio junior, appare sempre più destrutturata.

LA CRISI DEL GRILLISMO

La crisi del grillismo è evidente ed è stata prevedibile (e prevista). Il successo elettorale con le responsabilità di governo ha fatto venir fuori l’amalgama mal riuscito del blocco elettorale pentastellato, la fragilità del gruppo dirigente, l’incauta alleanza con il vorace Matteo Salvini che se li è mangiati pezzo dopo pezzo durante il primo governo Conte. L’autogol estivo del capo della Lega ha dato al Movimento 5 stelle la possibilità di un nuovo inizio che è stato accolto di malagrazia da Di Maio, vedovo inconsolabile della destra e soprattutto prigioniero di Salvini. 

GLI SFORZI DI GRILLO E TRAVAGLIO

In questi mesi molti elettori di destra dei 5 stelle se ne sono andati con il capo della Lega ed è facile ipotizzare che quelli rimasti siano in gran parte “nativi” 5 stelle o elettori di sinistra giunti al grillismo per protesta verso la leadership del Pd e dei partiti affini. Questa situazione, per tanti aspetti disperata, avrebbe dovuto condurre Di Maio e gli altri a fare di necessità virtù, invece la leadership 5 stelle ha continuato ad accontentarsi della rendita di posizione, via via più ridotta, garantita dal governo e dalla guida del Movimento sperando nello “stellone”. Solo i due padri fondatori, Beppe Grillo e Marco Travaglio, hanno cercato di far quadrare il cerchio spingendo quel che resta del movimento a una solida alleanza con la sinistra e soprattutto a una riaffermata opposizione a Matteo Salvini.

GLI ERRORI DI VALUTAZIONE DELLA SINISTRA

A sinistra la discussione sui 5 stelle non è mai terminata anche se sarebbe più opportuno dire che non è mai iniziata. L’unico punto di analisi che i leader di sinistra più dialoganti hanno è la presenza nel grillismo di una base elettorale popolare con molti contatti con il vecchio popolo della sinistra. Osservazione intelligente ma culturalmente poverissima. Hanno ignorato invece l’aspetto programmatico che sorreggeva questo movimento, la sua logica antipartitica, il suo rifiuto della democrazia, la predilezione per il putinismo, l’amore per la decrescita infelice con la distruzione di fabbriche, come si è visto con l’atteggiamento tenuto sull’Ilva di Taranto. Insomma la massiccia presenza di popolo nei 5 stelle, peraltro espressione politica del potere giudiziario, non faceva sorgere una piattaforma di sinistra, ancorchè azzardata.

I GRILLINI VANNO SFIDATI SUI PROGRAMMI

Ora la situazione sta cambiando. Il popolo in gran parte se ne è andato, le posizioni più stupide nel movimento sono flebili, si fanno pressanti le richieste perché quel che resta dei 5 stelle apra un dialogo in profondità con la sinistra. Accettare o rifiutare? Sarebbe un errore rifiutare. È evidente che lasciati da soli i 5 stelle moriranno nel giro di una o due tornate elettorali. Ma nessuno di noi sa dove finiranno quei voti. Mi sembra difficile immaginare che, sic et simpliciter, tornino o vengano per la prima volta a sinistra. Perché questo “miracolo” si compia è necessario un atteggiamento con i 5 stelle che li sfidi sui programmi nel quadro di una ipotesi di alleanza non più solo anti-salviniana. È necessario che il gruppo dirigente del Pd legga meno i giornali e i post sui social dei più noti giornalisti dell’Espresso-Repubblica o di quelli, i cerchiobottisti, che da anni inseguono la chimera di una formazione destra-sinistra che non c’è mai stata né mai ci sarà.

IL PD SI COMPORTI DA PARTITO SERIO

La sinistra deve avere una propria strategia che significa chiedere un dialogo sulla base di punti irrinunciabili sia di carattere politico-istituzionale sia di carattere programmatico. Niente da inventare. Ci sono in tutti i documenti e in tutte le interviste che i leader del Pd o affini hanno fatto in questi due anni. Servirebbe solo comportarsi da partito serio e seriamente prendere in parola, per la prima volta, Beppe Grillo. La sua disperazione nel tentativo finale di salvare la propria creatura può consegnare la possibilità di un dialogo difficile ma, se serio, molto utile. Matteo Renzi non ci sta? Vada con Salvini.

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Caro Pd, è il momento di prendere sul serio Grillo

Sarebbe un errore chiudere la porta al M5s. Il cofondatore cerca di salvare la propria creatura e la sua disperazione può offrire la possibilità di un dialogo difficile ma molto utile.

Beppe Grillo ancora una volta tiene in piedi Luigi Di Maio e soprattutto lo costringe a mantenere in vita l’alleanza con il Pd, anzi gli suggerisce di dar vita a un progetto comune. Gli interventi tampone del padre fondatore ormai non si contano più e a stento riescono a impedire il crollo di una baracca che, nelle mani di Di Maio e di Casaleggio junior, appare sempre più destrutturata.

LA CRISI DEL GRILLISMO

La crisi del grillismo è evidente ed è stata prevedibile (e prevista). Il successo elettorale con le responsabilità di governo ha fatto venir fuori l’amalgama mal riuscito del blocco elettorale pentastellato, la fragilità del gruppo dirigente, l’incauta alleanza con il vorace Matteo Salvini che se li è mangiati pezzo dopo pezzo durante il primo governo Conte. L’autogol estivo del capo della Lega ha dato al Movimento 5 stelle la possibilità di un nuovo inizio che è stato accolto di malagrazia da Di Maio, vedovo inconsolabile della destra e soprattutto prigioniero di Salvini. 

GLI SFORZI DI GRILLO E TRAVAGLIO

In questi mesi molti elettori di destra dei 5 stelle se ne sono andati con il capo della Lega ed è facile ipotizzare che quelli rimasti siano in gran parte “nativi” 5 stelle o elettori di sinistra giunti al grillismo per protesta verso la leadership del Pd e dei partiti affini. Questa situazione, per tanti aspetti disperata, avrebbe dovuto condurre Di Maio e gli altri a fare di necessità virtù, invece la leadership 5 stelle ha continuato ad accontentarsi della rendita di posizione, via via più ridotta, garantita dal governo e dalla guida del Movimento sperando nello “stellone”. Solo i due padri fondatori, Beppe Grillo e Marco Travaglio, hanno cercato di far quadrare il cerchio spingendo quel che resta del movimento a una solida alleanza con la sinistra e soprattutto a una riaffermata opposizione a Matteo Salvini.

GLI ERRORI DI VALUTAZIONE DELLA SINISTRA

A sinistra la discussione sui 5 stelle non è mai terminata anche se sarebbe più opportuno dire che non è mai iniziata. L’unico punto di analisi che i leader di sinistra più dialoganti hanno è la presenza nel grillismo di una base elettorale popolare con molti contatti con il vecchio popolo della sinistra. Osservazione intelligente ma culturalmente poverissima. Hanno ignorato invece l’aspetto programmatico che sorreggeva questo movimento, la sua logica antipartitica, il suo rifiuto della democrazia, la predilezione per il putinismo, l’amore per la decrescita infelice con la distruzione di fabbriche, come si è visto con l’atteggiamento tenuto sull’Ilva di Taranto. Insomma la massiccia presenza di popolo nei 5 stelle, peraltro espressione politica del potere giudiziario, non faceva sorgere una piattaforma di sinistra, ancorchè azzardata.

I GRILLINI VANNO SFIDATI SUI PROGRAMMI

Ora la situazione sta cambiando. Il popolo in gran parte se ne è andato, le posizioni più stupide nel movimento sono flebili, si fanno pressanti le richieste perché quel che resta dei 5 stelle apra un dialogo in profondità con la sinistra. Accettare o rifiutare? Sarebbe un errore rifiutare. È evidente che lasciati da soli i 5 stelle moriranno nel giro di una o due tornate elettorali. Ma nessuno di noi sa dove finiranno quei voti. Mi sembra difficile immaginare che, sic et simpliciter, tornino o vengano per la prima volta a sinistra. Perché questo “miracolo” si compia è necessario un atteggiamento con i 5 stelle che li sfidi sui programmi nel quadro di una ipotesi di alleanza non più solo anti-salviniana. È necessario che il gruppo dirigente del Pd legga meno i giornali e i post sui social dei più noti giornalisti dell’Espresso-Repubblica o di quelli, i cerchiobottisti, che da anni inseguono la chimera di una formazione destra-sinistra che non c’è mai stata né mai ci sarà.

IL PD SI COMPORTI DA PARTITO SERIO

La sinistra deve avere una propria strategia che significa chiedere un dialogo sulla base di punti irrinunciabili sia di carattere politico-istituzionale sia di carattere programmatico. Niente da inventare. Ci sono in tutti i documenti e in tutte le interviste che i leader del Pd o affini hanno fatto in questi due anni. Servirebbe solo comportarsi da partito serio e seriamente prendere in parola, per la prima volta, Beppe Grillo. La sua disperazione nel tentativo finale di salvare la propria creatura può consegnare la possibilità di un dialogo difficile ma, se serio, molto utile. Matteo Renzi non ci sta? Vada con Salvini.

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Lvmh si compra Tiffany per 14,7 miliardi di euro

Raggiunto l'accordo tra il gruppo francese e la gioielleria Usa al prezzo di 135 dollari per azione.

Un’altra acquisizione record per Lvmh. La società leader mondiale nel settore dei beni di lusso ha acquistato la gioielleria americana Tiffany. Lo hanno reso noto i due gruppi in una nota congiunta, confermando le indiscrezioni dei media americani su un’intesa preliminare. Nella nota delle due società si legge che è «stato raggiunto un accordo definitivo per l’acquisizione di Tiffany da parte di Lvmh al prezzo di 135 dollari per azione». La transazione vale per Tiffany circa 14,7 miliardi di euro, ovvero 16,2 miliardi di dollari», riferisce la nota.

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Lvmh si compra Tiffany per 14,7 miliardi di euro

Raggiunto l'accordo tra il gruppo francese e la gioielleria Usa al prezzo di 135 dollari per azione.

Un’altra acquisizione record per Lvmh. La società leader mondiale nel settore dei beni di lusso ha acquistato la gioielleria americana Tiffany. Lo hanno reso noto i due gruppi in una nota congiunta, confermando le indiscrezioni dei media americani su un’intesa preliminare. Nella nota delle due società si legge che è «stato raggiunto un accordo definitivo per l’acquisizione di Tiffany da parte di Lvmh al prezzo di 135 dollari per azione». La transazione vale per Tiffany circa 14,7 miliardi di euro, ovvero 16,2 miliardi di dollari», riferisce la nota.

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Il caso del Navy Seal che divide gli Stati Uniti

Edward Gallagher è accusato di crimini di guerra. Il segretario della Marina era pronto a espellerlo. Ma è stato messo all'angolo dal Pentagono, schieratosi (con Trump) a fianco del militare.

Il capo del Pentagono Mark Esper ha chiesto le dimissioni del segretario della Marina Richard Spencer per come ha gestito con la Casa Bianca il caso del Navy Seal accusato di crimini di guerra. Al centro della questione c’è il procedimento disciplinare che potrebbe far perdere lo status di Navy Seal a Edward Gallagher, condannato da una corte marziale per aver posato con il cadavere di un militante dell’Isis, anche se è stato assolto dall’accusa di averlo ucciso e di aver sparato deliberatamente su civili disarmati. Dopo la condanna è stato degradato e gli è stato decurtato lo stipendio. Rischiava anche di essere espulso dalla prestigiosa unità delle forze speciali ma ora il capo del Pentagono ha cancellato la commissione disciplinare che doveva esaminare la vicenda il 2 dicembre e ha autorizzato Gallagher ad andare in pensione come Navy Seal conservando il suo grado.

TRUMP DALLA PARTE DEL NAVY SEAL

Trump si è sempre schierato dalla parte di Gallagher. Nei giorni scorsi aveva ammonito su Twitter i vertici militari a non cacciarlo. Una mossa che aveva irritato il segretario della Marina, secondo cui «il processo conta per il buon ordine e la disciplina». Far finta di nulla, insomma, rischia di dare un messaggio sbagliato a tutti gli altri militari, legittimando azioni come quella di Gallagher. Per questo Spencer sembrava aver minacciato le dimissioni nel caso Trump avesse bloccato il procedimento, salvo poi negarle, forse dopo aver subito pressioni.

Buon ordine e disciplina sono anche obbedire agli ordini del presidente degli Stati Uniti

Richard Spencer, segretario della Marina

«Un tweet del presidente non è un ordine ma se arriva un ordine formale obbedisco», si era corretto. «Buon ordine e disciplina sono anche obbedire agli ordini del presidente degli Stati Uniti», aveva aggiunto, completando il dietrofront. Sembrava tutto risolto, tanto che la Casa Bianca aveva comunicato alla Marina che non sarebbe intervenuta per bloccare il procedimento disciplinare. Ma evidentemente al commander in chief non è andato giù l’iniziale ammutinamento di Spencer e ora ha chiesto la sua testa.

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Il caso del Navy Seal che divide gli Stati Uniti

Edward Gallagher è accusato di crimini di guerra. Il segretario della Marina era pronto a espellerlo. Ma è stato messo all'angolo dal Pentagono, schieratosi (con Trump) a fianco del militare.

Il capo del Pentagono Mark Esper ha chiesto le dimissioni del segretario della Marina Richard Spencer per come ha gestito con la Casa Bianca il caso del Navy Seal accusato di crimini di guerra. Al centro della questione c’è il procedimento disciplinare che potrebbe far perdere lo status di Navy Seal a Edward Gallagher, condannato da una corte marziale per aver posato con il cadavere di un militante dell’Isis, anche se è stato assolto dall’accusa di averlo ucciso e di aver sparato deliberatamente su civili disarmati. Dopo la condanna è stato degradato e gli è stato decurtato lo stipendio. Rischiava anche di essere espulso dalla prestigiosa unità delle forze speciali ma ora il capo del Pentagono ha cancellato la commissione disciplinare che doveva esaminare la vicenda il 2 dicembre e ha autorizzato Gallagher ad andare in pensione come Navy Seal conservando il suo grado.

TRUMP DALLA PARTE DEL NAVY SEAL

Trump si è sempre schierato dalla parte di Gallagher. Nei giorni scorsi aveva ammonito su Twitter i vertici militari a non cacciarlo. Una mossa che aveva irritato il segretario della Marina, secondo cui «il processo conta per il buon ordine e la disciplina». Far finta di nulla, insomma, rischia di dare un messaggio sbagliato a tutti gli altri militari, legittimando azioni come quella di Gallagher. Per questo Spencer sembrava aver minacciato le dimissioni nel caso Trump avesse bloccato il procedimento, salvo poi negarle, forse dopo aver subito pressioni.

Buon ordine e disciplina sono anche obbedire agli ordini del presidente degli Stati Uniti

Richard Spencer, segretario della Marina

«Un tweet del presidente non è un ordine ma se arriva un ordine formale obbedisco», si era corretto. «Buon ordine e disciplina sono anche obbedire agli ordini del presidente degli Stati Uniti», aveva aggiunto, completando il dietrofront. Sembrava tutto risolto, tanto che la Casa Bianca aveva comunicato alla Marina che non sarebbe intervenuta per bloccare il procedimento disciplinare. Ma evidentemente al commander in chief non è andato giù l’iniziale ammutinamento di Spencer e ora ha chiesto la sua testa.

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L’appello di oltre 60 medici per “salvare” Assange

In una lettera aperta al governo britannico dottori di diverse nazionalità affermano che senza cure «urgenti» il fondatore di Wikileaks potrebbe morire in prigione.

«Salvate l’attivista Julian Assange». Oltre 60 medici di diverse nazionalità hanno scritto una lettera aperta al governo britannico e al ministro dell’interno Priti Patel in cui affermano che il fondatore di Wikileaks potrebbe morire in prigione senza cure «urgenti». Secondo i firmatari della missiva Assange soffre di problemi fisici e psicologici, e deve essere curato in un ospedale «attrezzato e con personale esperto». Assange, 48 anni, è detenuto in un carcere britannico dallo scorso maggio, dopo che l’Ecuador gli ha revocato il diritto di asilo. A febbraio inizieranno le udienze sulla richiesta di estradizione degli Usa. Mentre è caduta anche l’ultima indagine per stupro che era in corso in Svezia.

«VALUTAZIONE MEDICA URGENTE»

I medici britannici, europei, australiani e dello Sri Lanka, nella lettera diffusa da WikiLeaks affermano che «da un punto di vista medico, sulle indagini attualmente disponibili, nutriamo serie preoccupazioni riguardo all’idoneità del signor Assange ad essere processato nel febbraio 2020» E «soprattutto è nostra opinione che necessiti di una valutazione medica urgente da parte di esperti sul suo stato fisico e psicologico». Altrimenti, avvertono, «nutriamo serie preoccupazioni che possa morire in prigione». Assange è detenuto in Gran Bretagna per aver violato i termini della libertà vigilata, dopo essersi nascosto all’ambasciata ecuadoriana a Londra per sette anni. La scorsa settimana i magistrati svedesi hanno rinunciato all’indagine per stupro nei confronti del cyber-attivista australiano, che però dovrebbe rispondere alle accuse di spionaggio negli Stati Uniti.

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Gli indici della Borsa italiana e lo spread del 25 novembre 2019

Piazza Affari pronta ad aprire la seduta odierna. Hong Kong corre dopo le elezioni distrettuali. I mercati in diretta.

Borsa italiana pronta ad aprire la seduta del 25 novembre 2019.

LO SPREAD BTP BUND A 154 PUNTI

Lo spread tra Btp decennale e Bund tedesco riparte da 154 punti base.

GLI AGGIORNAMENTI DEI MERCATI IN DIRETTA

7.30 – TOKYO CHIUDE IN POSITIVO

La Borsa di Tokyo termina la prima seduta della settimana in positivo, con gli investitori che spostano la loro attenzione sulle trattative del commercio tra Cina e Stati Uniti, in seguito al risultato elettorale ad Hong Kong, che ha visto il trionfo dei democratici anti-Pechino. L’indice Nikkei avanza dello 0,78%, a quota 23.292,81, aggiungendo 179 punti. Sui mercati valutari lo yen arresta la fase di apprezzamento sul dollaro, trattando a 108,70, e sull’euro poco sopra a 120.

3.00 – HONG KONG APRE IN RIALZO

La Borsa di Hong Kong balza in avvio di seduta, in scia al risultato delle elezioni distrettuali che hanno visto l’ondata pro-democrazia che ha spazzato via il fronte pro-Pechino: l’indice Hang Seng guadagna nelle primissime battute 278,77 punti, salendo a quota 26.873,35, con un guadagno dell’1,05%.

1.30 – APERTURA POSITIVA PER TOKYO

La Borsa di Tokyo apre la prima seduta della settimana col segno più, con gli investitori che guardano agli sviluppi delle elezioni a Hong Kong dopo il trionfo dei democratici anti-Cina. L’indice Nikkei fa segnare un progresso dello 0,77%, a quota 23.291,69, aggiungendo 178 punti. Sul mercato dei cambi prevale ancora l’incertezza sui negoziati del commercio tra Cina e Usa, con lo yen che prosegue la fase di rafforzamento sul dollaro a 108,70 e sull’euro a 119,80.

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Maltempo in tutta Italia, allerta rossa in Emilia Romagna

Allarme arancione in altre sette regioni: Abruzzo, Calabria, Piemonte, Veneto, Marche, Lombardia e Puglia.

Fa sempre più paura il maltempo che sta attraversando l’Italia.
In Liguria un tratto di viadotto lungo l’A6 è crollato per una
frana
, mentre in Piemonte una voragine si è aperta sull’A21. Il
corpo di una donna travolta dal fiume Bormida è stato recuperato nell’Alessandrino.

LEGGI ANCHE: Lo spettro di un nuovo ponte Morandi

Il 25 novembre allerta rossa in Emilia Romagna; arancione in Abruzzo, Calabria, Piemonte, Veneto, Marche, Lombardia e Puglia; gialla in Val d’Aosta, Trentino Alto Adige, Campania, Molise, Basilicata, Umbria, Sicilia e Sardegna.

Il viadotto crollato. ANSA/ US VIGILI DEL FUOCO +++ NO SALES – EDITORIAL USE ONLY +++

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A Hong Kong i candidati democratici conquistano il 90% dei voti

Affluenza al 71,2%. La governatrice Lam ha assicurato di ascoltare «con umiltà le opinioni dei cittadini». Ma da Pechino ricordano che l'ex colonia è parte della Cina «a prescindere dal risultato elettorale».

I candidati democratici in corsa alle elezioni distrettuali di Hong Kong hanno conquistato quasi il 90% dei seggi. L’affluenza è stata del 71,2%. Ascolteremo «certamente con umiltà le opinioni dei cittadini» ha assicurato la governatrice Lam. «Hong Kong è parte integrante della Cina, a prescindere dal risultato elettorale», si appresta a commentare Pechino tramite il ministro degli Esteri cinese Wang Yi.

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Pizzarotti apre le porte alle Sardine

Il 25 novembre il movimento si riunisce a Parma, l'ex Stalingrado M5s. Incassando il sostegno del sindaco leader di Italia in Comune. Che agli organizzatori liceali dà un consiglio: «Dopo la mobilitazione per cambiare le cose è necessario entrare nelle istituzioni e mettersi in gioco».

Bologna e l’Emilia-Romagna si confermano laboratori politici. Lo dimostra il neo-nato movimento delle Sardine che proprio da Piazza Maggiore ha lanciato la sua sfida a Matteo Salvini in occasione delle Regionali del 26 gennaio.

Lunedì 25 novembre l’appuntamento è a Parma, l’ex Stalingrado grillina, dal 2012 governata da Federico Pizzarotti, ex M5s e ora leader di Italia in Comune.

GLI ORGANIZZATORI PIÙ GIOVANI D’ITALIA

Se i sondaggi danno in vantaggio il governatore uscente dem Stefano Bonaccini sulla sfidante leghista Lucia Borgonzoni (40% contro il 29,2% secondo i sondaggi Ixè del 20 novembre), bisogna pur tener conto che il Carroccio alle ultime Europee è stato il partito più votato in provincia (38,3%) e in città (31,6%). Detto questo, l’evento delle Sardine dovrebbe bissare il successo di Bologna e Modena: quasi 4 mila le adesioni su Facebook e oltre 10 mila le dimostrazioni di interesse.

LEGGI ANCHE: Le Sardine hanno registrato il marchio

Anche se gli organizzatori, la 18enne Joy Temiloluwa Olayanju e i 17enni Martino Bernuzzi e Francesco Martino, preferiscono essere cauti. «La risposta per ora sembra molto positiva ma basandosi solo su un clic è impossibile dire come andrà davvero», dicono a Lettera43.it. Il giorno scelto per la “chiamata del banco” è il 25 novembre e non è un caso visto che coincide con la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. «Volendo mandare un messaggio chiaro contro ogni tipo di odio crediamo che questa data possa dare un valore aggiunto alla nostra iniziativa», spiegano i tre organizzatori, i più giovani d’Italia.

Joy a Piazzapulita

Posted by Sardine Parma on Thursday, November 21, 2019

PIAZZA SENZA BANDIERE. E SENZA SALVINI IN CITTÀ

Il fatto che lunedì non sia previsto alcun intervento di Matteo Salvini a Parma non affievolisce la voglia di «contrapporsi al populismo e reagire a una campagna fondata sull’odio, sulla violenza perpetuata con ogni forma e sulla discriminazione», affermano con decisione le Sardine parmigiane. L’evento, ribadiscono i tre, non deve essere divisivo. Come a Bologna, non ci saranno bandiere di partito. «Siamo ancora molto giovani e non abbiamo rapporti diretti con i partiti», spiegano, «ma alle prossime elezioni regionali voteremo tutti (Martino e Francesco compiranno 18 anni a gennaio, ndr) e la politica ci interessa».

PIZZAROTTI SUPPORTER DELLE SARDINE

Un interesse reciproco visto che le Sardine non potevano non attirare l’attenzione della politica, a partire dal Pd (con il segretario dem Nicola Zingaretti e lo stesso Bonaccini) per arrivare al Movimento 5 stelle. Tra i loro supporter c’è anche il sindaco di Parma Pizzarotti, che lunedì a causa di un impegno all’estero sarà in piazza solo idealmente. «Ho incontrato i ragazzi e mi piace molto quello che stanno facendo», ha detto a Lettera43.it. «Il movimento che hanno fondato sta dando diversi insegnamenti alla politica, primo tra tutti che le mobilitazioni di massa per funzionare debbano essere eventi spontanei ai quali le persone sentano di voler aderire liberamente per manifestare a favore o contro un’idea», continua il primo cittadino.

LEGGI ANCHE: Mattia Santori sulle sfide e il futuro delle Sardine

Ma il sindaco mette in guardia i ragazzi. «Una mobilitazione di piazza senza un successivo sfogo nella politica concreta rischi di limitarsi solo a slogan sterili privi di futuro, come avvenuto in passato con altri movimenti simili», dice. «Il consiglio che do ai ragazzi, quindi, è quello di mantenere la propria identità ma allo stesso tempo pensare, magari in futuro, a un dialogo con la politica. Riuscire a portare in piazza le persone è un ottimo punto di partenza ma non significa conquistare un vero e duraturo consenso. Dopo la mobilitazione è necessario capire che per cambiare davvero le cose è essenziale avere la voglia di entrare nelle istituzioni è mettersi in gioco a livello pratico».

I RISCHIO DI STRUMENTALIZZAZIONE

Il rischio di strumentalizzazione, però, è dietro l’angolo. «La possibilità di essere usati c’è sempre», ammettono dal canto loro i tre organizzatori, «soprattutto in questi casi e vista la nostra età. Però vogliamo sperare e credere che questo non accada». Dubbi più che leciti soprattutto in un terreno fluido come la Rete. Un esempio? Tre esponenti pugliesi di Italia in Comune (Michele Abbaticchio, vice coordinatore nazionale; Grazia Desario, segretaria di Barletta e Davide Carlucci, presidente provinciale) hanno aperto (insieme con altri) la pagina Facebook L’Arcipelago delle Sardine, generando entusiasmo ma anche parecchia confusione, tanto che è stato necessario spiegare che il gruppo non è una «alternativa della pagina ufficiale delle 6000 Sardine, bensì un gruppo di promozione e condivisione di idee antifasciste e contro il becero populismo» che dialoga con la pagina ufficiale.

LEGGI ANCHE: Sardine nuotate a Sud e liberate la sinistra

Dell’iniziativa Pizzarotti, presidente del partito, non sapeva nulla. «L’ho appreso anch’io dalla Rete ma si tratta solo di un tentativo di coinvolgere anche il Sud Italia, in questo caso la Puglia, in un’iniziativa nata al Nord», chiarisce. «Non c’è la minima volontà di mettere il cappello su un successo i cui meriti non sono di alcun partito, tanto meno il nostro. Nessuna manovra dall’alto anzi, va riconosciuta la bravura di un gruppo di studenti capaci che stanno organizzando un grande evento che spero abbia il successo che merita».


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