La Bolivia tra «golpe» e rischio di guerra civile dopo Morales

La neo presidente Añez promette nuove elezioni. Ma intanto giura sulla Bibbia, estromette gli indios e si circonda di falangisti come il "Bolsonaro di La Paz", Camacho. La società è spaccata, mentre c'è chi parla di colpo di Stato. Il punto.

L’autoproclamata presidente ad interim Jeanine Añez, ex vice senatrice dell’opposizione, afferma di voler essere uno «strumento di inclusione e di unità» per la Bolivia. Formalmente non è un’usurpatrice: ha assunto il ruolo in linea di successione, dopo la fuga in Messico di Evo Morales, e dopo le rinunce del vice di Morales, dei presidenti di Camera e Senato e dell’altro numero due del Senato. Ma nel gabinetto di transizione non ha incluso gli indios che sono tra il 40% e il 50% della popolazione, il 70% nelle zone rurali e più povere. Añez ha anche giurato sui Vangeli, commentando che la «Bibbia torna a Palazzo» e che il «potere è Dio». Nonostante dal 2006 al 2008 la medesima avesse fatto parte della Costituente voluta da Morales – primo presidente indigeno della Bolivia – che rese laica la Costituzione e diede più autonomia agli indigeni diseredati. Colmando così un vuoto di potere, la Bolivia si destabilizza ancora.

Bolivia Morales proteste Añez
Gli indios di Bolivia dalla parte di Morales. (Getty).

L’ÉLITE RAZZISTA DI SANTA CRUZ

Migliaia di indios protestano a La Paz in difesa dei diritti conquistati, pronti alla «guerra civile». Añez è una 52enne potente ed emancipata: avvocato, divorziata, è stata anche dirigente. Ha condotto campagne contro la violenza di genere ed ecologista, ma appartiene alla destra boliviana estrema e ultra-religiosa. Le viene attribuito un tweet razzista del 2013 (che avrebbe cancellato) dove si augurava un «Paese liberato dai riti satanici indigeni». Anche le manifestazioni esplose contro la rielezione di Morales sono cariche di tensioni sociali: su internet circolano video di manifestanti che incendiano le bandiere wiphala degli indigeni. Tra gli agitatori delle rivolte c’è il fondamentalista cristiano Luis Fernando Camacho: 40 anni, avvocato come Añez, dell’élite di Santa Cruz ostile agli indiosi, ha promesso all’opposizione che «Pachamama non tornerà al palazzo presidenziale», alludendo sprezzante alla madre terra venerata dagli andini.

La Cruz è un bastione di gruppi dichiaratamente xenofobi come la Falange socialista boliviana


Il New York Times

CAMACHO E I FALANGISTI

Come per Añez, «la Bolivia appartiene a Cristo». Camacho, milionario e massone, è emerso come il «Bolsonaro della Bolivia» leader delle proteste. Anche lui è accusato di fascismo, non a caso il Brasile è tra i primi governi con gli Usa a riconoscere la nuova presidenza, che invece ha rotto le relazioni dimplomatiche con il Venezuela. Camacho ha militato a lungo nell’Organizzazione giovanile cruceñista dell’estrema destra religiosa, un movimento falangista squadrista. Il partito di Añez, Unità democratica, è di ispirazione liberale, sulla carta più moderato. Ma ha egualmente come roccaforte Santa Cruz: il leader è il governatore locale Ruben Costas, l’elettorato è la borghesia della regione ricca di idrocarburi che nel 2008 tentò la secessione attraverso il Comitato civico di Camacho, per tornare in possesso delle risorse nazionalizzate da Morales. Il New York Times che definisce Camacho il leader delle rivolte, quegli anni descriveva Santa Cruz come «ancora un bastione di gruppi dichiaratamente xenofobi quali la Falange socialista boliviana».

Bolivia Morales proteste Añez
Jeanine Áñez giura sulla Bibbia come presidente della Bolivia. (Getty)

MORALES ATTACCATO AL POTERE

Il movimento boliviano franchista fu tra i primi in America Latina a dare rifugio a criminali nazisti come Klaus Barbie, ricollocato con l’operazione Condor della Cia per contribuire – come altri fascisti italiani – ai golpe e collaborare con le dittature sanguinarie sudamericane. Le contiguità dell’opposizione – e delle Chiese – con la Bolivia “nera” del passato sono una realtà, Morales e gli indios accusano Añez e Camacho di «golpe di polizia». Tuttavia anche l’ex presidente, in carica dal 2006, ha peccato della «tirannia» rimproverata. Nel 2016 Morales tentò – e perse – un referendum per una modifica della Costituzione che gli permettesse un quarto mandato. Ha potuto ricandidarsi alle Presidenziali del 20 ottobre 2019 grazie al via libera della Corte costituzionale a restare al potere fino al 2025. ll risultato fin troppo perfetto del primo turno (47% contro il 36,5% dello sfidante Carlos Mesa: i 10 punti in più che bastavano per evitare il ballottaggio) ha scatenato le contestazioni.

La polizia avrebbe sbarrato l’ingresso in parlamento ai socialisti di Morales

SENZA QUORUM DEL PARLAMENTO

Añez dichiara come «solo obiettivo» permettere nuove elezioni. E tra i ministri minori fatti giurare in un secondo tempo c’è una indios titolare del Turismo. Nondimeno la nuova presidente ha indossato la fascia di Morales senza aver raggiunto il quorum in parlamento né prestato il giuramento di rito. «Tutti gli sforzi per garantire la presenza dei parlamentari» sarebbero stati fatti, il Movimento socialista di Morales avrebbe «disertato l’aula». Contro Añez che, assunta la presidenza vacante del Senato, ha di conseguenza preso l’interim del presidente vacante per «pacificare il Paese e andare a nuove elezioni». La versione dei socialisti è diversa: all’ex presidente del Senato Adriana Salvatierra, fedelissima di Morales, la polizia avrebbe sbarrato l’ingresso in parlamento. Mentre Camacho e i suoi uomini, in un Sudamerica caldissimo, erano visti salire con Añez al palazzo presidenziale.

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