Ilva, ArcelorMittal ha depositato in Tribunale l’atto di recesso: le prossime tappe

Altro che trattativa con il governo. L'azienda tira dritto e a Taranto ordina lo spegnimento dell'altoforno 2. Ecco cosa può succedere adesso.

Altro che trattativa con il governo guidato da Giuseppe Conte.

ArcelorMittal tira dritto sull’Ilva e tramite i suoi avvocati ha depositato al Tribunale di Milano l’atto con cui chiede ufficialmente il recesso dal contratto d’affitto con obbligo d’acquisto degli stabilimenti italiani, a partire da quello di Taranto.

L’atto è già sul tavolo del presidente del Tribunale, Roberto Bichi. La causa è stata iscritta a ruolo e il 13 novembre il presidente assegnerà il procedimento a una delle due sezioni specializzate in materia di imprese.

LEGGI ANCHE: Berlusconi suggerisce di nazionalizzare l’Ilva

Secondo l’azienda, il recesso è giustificato dalla revoca dello scudo penale. Spetterà ai giudici verificare se è così oppure no. Conte, intanto, ha incontrato a Palazzo Chigi i parlamentari pugliesi del M5s alla presenza di Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli e Federico D’Incà. L’incontro non è andato bene e i toni si sarebbero accesi proprio sulla questione della possibile reintroduzione dello scudo, tema su cui molti pentastellati fanno muro. Gli stabilimenti di ArcelorMittal Italia si trovano a Taranto (8.277 persone), Genova (1.016), Novi Ligure (681), Milano (123), Racconigi (134), Paderno Dugnano (39), Legnaro (29) e Marghera (52), per un totale di 10.351 dipendenti. La gran parte degli operai è divisa tra Taranto (5.642), Genova (681) e Novi Ligure (469). Oltre alle tute blu, il disimpegno di ArcelorMittal coinvolge anche 72 dirigenti, 221 quadri, 2.233 impiegati, 1.007 lavoratori intermedi e 204 marittimi.

LEGGI ANCHE: Perché ArcelorMittal vuole lasciare l’Ilva

ATTESA LA CONTROMOSSA DEGLI AMMINISTRATORI STRAORDINARI

Si attende adesso la contromossa degli amministratori straordinari dell’Ilva, che nei prossimi giorni dovrebbero presentare, sempre al Tribunale di Milano, il ricorso cautelare urgente (ex articolo 700 del Codice di procedura civile) con cui provare a fermare la ritirata della multinazionale dalla gestione del gruppo siderurgico, attraverso la progressiva fermata degli impianti e la cosiddetta “retrocessione” del personale alle società concedenti.

VERSO LO SPEGNIMENTO DELL’ALTOFORNO 2

Ma ArcelorMittal ha già consegnato ai lavoratori di Taranto il cronoprogramma per lo spegnimento dell’altoforno 2. L’impianto non è a norma ed entro il 13 dicembre dovrà essere portato a produzione zero a causa delle prescrizioni della magistratura. I giudici sono intervenuti dopo la morte dell’operaio Alessandro Morricella, 35 anni, che nel 2015 venne investito da una violenta fiammata mista a ghisa liquida mentre misurava la temperatura dell’altoforno. A partire dal 20 novembre gli addetti all’impianto dovrebbero iniziare a caricare meno ghisa, mentre il 25 novembre le operazioni di spegnimento dovrebbero procedere con la fuoriuscita del materiale. Gli amministratori straordinari dell’acciaieria, tuttavia, potrebbero chiedere una proroga per la messa in sicurezza dell’altoforno al Tribunale di Taranto.

QUATTRO POSSIBILI SCENARI PER IL FUTURO

Per il futuro dell’Ilva si aprono quattro possibili scenari.

  1. Il primo è l’amministrazione straordinaria per tutti gli stabilimenti, con un commissario ad hoc in grado di operare con pieni poteri. Al momento, però, non circolano nomi di possibili candidati.
  2. Il secondo è la nazionalizzazione, invocata da più parti ma considerata l’ultima spiaggia dal premier Conte. L’idea sarebbe quella di usare Cassa depositi e prestiti o una sua controllata per finanziare un’operazione che costerebbe almeno 1 miliardo di euro (600 milioni per una parziale copertura delle perdite, più altri 400 milioni per l’operatività degli impianti). Ma il via libera dell’Unione europea a un’iniziativa del genere, visto che gli aiuti di Stato sono vietati dalle norme comunitarie, è tutt’altro che scontato.
  3. Il terzo scenario è un’Ilva in scala ridotta. Lo Stato gestirebbe in qualche modo l’area a caldo (Taranto), ArcelorMittal quella a freddo (Genova e Novi Ligure). Una “soluzione” che passerebbe però per un drastico ridimensionamento della forza lavoro, visto che l’area a freddo secondo l’azienda potrebbe funzionare con soli 2.500 addetti.
  4. Il quarto scenario è quello peggiore: la chiusura. ArcelorMittal abbandonerebbe tutti gli impianti italiani, lo Stato tenterebbe di subentrare senza successo e finirebbe per doversi accollare i costi (rilevantissimi) delle bonifiche ambientali e degli ammortizzatori sociali.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it