Ex Ilva: la mossa di ArcelorMittal riapre lo scontro nel governo

L'annuncio dell'addio del gruppo indo-francese scatena un nuovo botta e risposta tra M5s e Pd. Il premier giura di dare battaglia al colosso dell'acciaio.

Una “bomba“, che va a sovrapporsi ad un percorso sulla manovra già accidentato. L’annuncio dell’addio di ArcelorMittal all’ex Ilva aumenta ben sopra il livello di guardia le tensioni interne ad una maggioranza che mai come in questi giorni appare sfilacciata. La lettera della multinazionale dell’acciaio scatena una serie di botta e risposta tra Pd, M5s e Italia viva, che sembrano diretti più alla ricerca del colpevole che a quella di una soluzione.

CONTE PRONTO ALLA BATTAGLIA CON ARCELORMITTAL

E l’allarme arriva a Palazzo Chigi, dove il premier Giuseppe Conte passa al contrattacco, mettendo in campo una duplice strategia: una battaglia senza esclusione di colpi a ArcelorMittal e, parallelamente, la ricerca di una via alternativa per salvare lo stabilimento. «Il problema è che l’azienda vuole andarsene perché perde 2,5 milioni di euro al giorno. Vuole almeno 5 mila esuberi», sbottano fonti del governo vicine al dossier a tarda sera, inquadrando quello che, a loro parere, è il reale pomo della discordia: «ArcelorMittal non ce la fa a mantenere la produzione richiesta e, approfittando di un quadro politico incerto ha preso l’assenza dello scudo penale come alibi per andar via».

L’INCONTRO A PALAZZO CHIGI CON IL COLOSSO INDO-FRANCESE

Un ragionamento che, probabilmente, domani Conte e il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli recapiteranno all’azienda nell’incontro del pomeriggio. Sarà l’inizio di una partita a scacchi che, qualcuno, nel governo, paragona a quella appena (parzialmente) conclusasi con la Whirlpool su Napoli. Da un punto di vista strettamente giuridico il governo potrebbe sventolare ai vertici dell’azienda quell’articolo 51 del codice penale secondo il quale «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità». Di fatto, secondo il governo, l’articolo esclude che ArcelorMittal sia punibile nel momento in cui attua, come da contratto, il piano ambientale previsto fino al 2023. Il tema, si ragiona nella maggioranza, per ArcelorMittal è duplice: da un lato l’azienda non può sostenere il livello occupazionale concordato, dall’altro si pretende la bonifica necessaria di uno dei due forni o i finanziamenti necessari per realizzarla.

L’IPOTESI CASSA DEPOSITI E PRESTITI

Allo stesso tempo, nel governo si cerca già di correre ai ripari. E nelle ore più calde del dossier ex Ilva, oltre al progetto di un decreto su Ilva, torna l’idea di una nazionalizzare. A Palazzo Chigi, nel corso della giornata, sarebbe stato consultato il neo presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini. Un eventuale intervento per sostituire ArcelorMittal dovrebbe tuttavia prevedere una cordata industriale e finanziaria, nella quale la quota di Cdp sia minoritaria e marginale. Al momento si tratta solo di ipotesi. Ma Conte non vuole perdere tempo. Anche perché il caso ex Ilva potrebbe costare consenso al Pd e al M5s. La richiesta di riferire in Aula inoltrata da Italia viva ha sorpreso e non è piaciuta a più di un membro del governo.

SALVINI CERCA DI SFRUTTARE LA CRISI

Mentre, nel M5s, c’è chi punta il dito contro quella fronda, capitanata da Barbara Lezzi, che qualche settimana fa al Senato ha voluto lo stralcio dello scudo penale “a scadenza” sul quale Luigi Di Maio aveva, nei mesi scorsi, siglato una tregua con ArcelorMittal. Il tema, si sfoga una fonte del governo, è che se una cosa del genere accade in Germania la politica si unisce contro l’azienda, non ci si incolpa a vicenda. Già, ma Matteo Salvini, intanto, ha innalzato l’ennesima trincea. E la paura di perdere, a fine gennaio, EmiliaRomagna e Calabria tra i Dem e nel M5s aumenta. Tanto che, nel Movimento, c’è chi guarda allo scenario peggiore non legando il voto in Emilia-Romagna alla tenuta del governo. Anche se una sconfitta del Pd dovesse provocare le dimissioni di Nicola Zingaretti.

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