Frank Zappa, un genio che se n’è andato senza lasciare eredi

«Il compositore Frank Zappa è partito attorno alle 18 di domenica scorsa per il suo ultimo tour». Così, il 6 dicembre 1993, la famiglia dava la notizia della morte del musicista americano, avvenuta due giorni prima, il 4 dicembre (esattamente 30 anni fa), a causa di un tumore alla prostata diagnosticato troppo tardi. La comunicazione, come immaginabile, colpì gli appassionati di tutto il mondo, anche se non giunse, come si dice, come un fulmine a ciel sereno. I fan sapevano della malattia: nel 1991, per esempio, proprio per problemi di salute, il compositore non poté partecipare allo Zappa’s Universe, un grande evento organizzato come tributo per i 25 anni della sua musica (il suo primo album, Freak Out!, venne appunto pubblicato nel 1966), con al centro l’orchestra Of Our Time, diretta da Joel Thome, e, nel 1992,  poté dirigere solo in un paio di brani l’Ensemble Modern, che a Francoforte (poi anche a Berlino e Vienna) eseguì The Yellow Shark, una versione orchestrale/contemporanea di celebri brani dello stesso Zappa, divenuto, l’anno successivo, un disco di culto per i fan del Genio di Baltimora.

Zappa, un genio che sfugge a ogni etichetta

Orfani di Zappa non sono solo gli amanti del rock: tutta la critica, unanimemente, concorda sul fatto che definire rock la sua musica sia piuttosto riduttivo: certamente ne è la componente principale, magari in larga parte predominante, ma sempre in un continuo gioco di contaminazioni con moltissimi altri generi, da quelli più “prossimi”, per esempio il blues, il rhythm and blues o addirittura forme di “proto” rock, come il doo-wop degli Anni 40 e 50, al jazz, alla musica “colta” (contemporanea, sinfonica, dodecafonica, e così via.). «Per Frank Zappa verrà il tempo in cui gli sarà riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi compositori del Novecento». Così ha detto di lui il maestro Pierre Boulez – che commissionò a Zappa una composizione (The Perfect Stranger) per poi dirigerla nel 1984 col suo Ensemble InterContemporain. E a Boulez fa eco un altro grande direttore d’orchestra, Kent Nagano: «Frank è un genio. Questa è una parola che non uso spesso. Ma nel suo caso non è eccessiva. È estremamente istruito musicalmente. Non sono sicuro che il grande pubblico lo sappia… Non è proprio pop, ma è una pop star, non ha fatto proprio rock, ma è pur sempre una rock star, non è nemmeno proprio jazz, ma si è comunque circondato di musicisti jazz. Alla fine non era proprio un ‘compositore serio’, ma ha studiato le opere di Nicolas Slonimsky, Edgard Varèse, e così via. Non si può proprio inserire in alcuna categoria».

Cosa resta del Genio di Baltimora: i 170 album, la “cassaforte” e l’ultimo regalo Funky Nothingness

Se parliamo in termini di produzione, per fortuna l’eredità lasciataci da Frank Zappa è davvero cospicua: non solo possiamo contare ormai su poco meno di 170 album, di cui più della metà usciti postumi, ma possiamo guardare fiduciosi al patrimonio ancora inedito e contenuto nella sua famosa “cassaforte” (the vault) in cui Zappa stesso aveva stivato ogni sorta di registrazione o video, dai concerti a ogni singola performance casalinga o prova. Zappa definiva questa sua vena archivistica compulsiva “project/object”: prima o poi, ogni singolo frammento avrebbe trovato una armonica collocazione e una realizzazione formale e ufficiale. Gli zappiani ne hanno appena avuto una prova con la pubblicazione (lo scorso giugno) di Funky Nothingness, che presenta una serie di inediti e non solo, registrati nel 1969, nelle stesse sessioni da cui nacque Hot Rats, e appunto mai pubblicate prima d’ora. Se per eredità si intende invece la ideale prosecuzione del suo stile, le cose si complicano un po’. Esistono ottimi epigoni, a cominciare da Dweezil Zappa, secondogenito di Frank, che, dal 2006, porta sulle scene, con grande bravura, la musica paterna, o diversi altri ex-alumni zappiani in varie band. E non mancano ottimi musicisti che hanno creato tribute band di grande qualità (non lo dico per mero spirito patriottico, ma, a livello internazionale, tra i migliori citerei la band torinese Ossi Duri, i chitarristi Sandro Oliva e Dan Martinazzi, i Fast & Bulbous e il pianista-tastierista-compositore Riccardo Fassi con la sua Tankio Band). Se parliamo di eredi in senso compositivo, creativo, musicale non saprei fare nomi.

Frank Zappa, un genio che se n'è andato senza lasciare eredi
Frank Zappa nel 1978 (Getty Images).

L’attrazione per il politicamente scorretto e l’attualità dei testi

Si potrebbe rispondere in molti modi alla domanda perché ascoltare Zappa oggi. La risposta più banale è che la musica di Frank Zappa è bellissima. Ma è anche assolutamente contemporanea: Zappa ha, di fatto, sperimentato e quindi anticipato di decenni, moltissime forme musicali che oggi ascoltiamo. Compreso il rap. Se ascoltate qualunque disco del Genio di Baltimora, vi sembrerà appena realizzato. Per non parlare dei suoi testi: la sua ironia sferzante, il suo continuo fustigare ogni potere costituito (politico – repubblicano o democratico che fosse – economico, religioso – anche qui, senza distinzione di credo), denunciandone i vizi, ma anche la prepotenza e la tracotanza, il sarcasmo nel colpire i luoghi comuni, i tic e i tabù della media borghesia (statunitense) sono di una attualità quasi sconcertante. Anzi, chissà quali argomenti avrebbero offerto oggi a Zappa personaggi come Trump o Biden, ma anche Putin e tanti altri. Certo, oggi avrebbe qualche problema, ancor più che in passato, per la sua incontenibile attrazione per il politicamente scorretto. La discografia zappiana straripa di testi ironici, qualche volte anche “pesanti” – ma sempre per pura finzione – nei confronti, per esempio, delle donne (non furono in pochi a additarlo come misogino), degli omosessuali, o dei predicatori religiosi o, ancora, di una classe media americana continuamente lacerata dal dissidio interiore tra puritanesimo e pulsioni – a volte perversioni – sessuali. A chi gli chiedeva, per esempio, perché mai avesse intitolato un suo brano Titties and beer (Tette e birra), rispose che la canzone era stata scritta per diventare un classico, perché conteneva esattamente tutto ciò che piace all’americano medio: le tette e la birra. Senza contare le decine e decine di testi dedicati alle varie tipologie di “stupidi”, a qualunque livello: sociale, economico, politico, religioso, artistico, ecc. Del resto, Zappa si è sempre detto convinto del fatto che, nell’universo, l’elemento più abbondante non sia l’idrogeno, bensì proprio la stupidità.