Il punto su Nexi tra voci di opa, cessioni e possibili cambi al vertice

Il panorama del settore non è certo tra i più rosei. In Europa, negli ultimi mesi, i titoli dei colossi dei pagamenti quotati in Borsa hanno subito una costante perdita di valore, intervallata da qualche piccolo timido rimbalzo. Ma è probabile che, dopo aver toccato il fondo, ora che anche la corsa dei tassi di interesse si è fermata, riprendano a crescere. L’olandese Adyen, quotata a 240 euro nel 2018, è ritornata sopra i 1.000 euro dopo aver sfiorato i 600 lo scorso ottobre, complice una semestrale al di sotto delle aspettative. Tuttavia è ancora lontana dal suo massimo di oltre 2.700 euro raggiunto nel novembre del 2021. Andamento identico per la francese Worldline, che ora quota intorno ai 14 euro, dopo aver toccato anche i 9 il mese scorso sull’onda del risultato dei primi nove mesi. Ma anche qui siamo ancora distanti dagli 84 del luglio 2021. Il recente tracollo borsistico di Worldline è dovuto alla revisione degli obiettivi finanziari per il 2023 e 2024. In particolare, la società ha sospeso i servizi con una parte della clientela tedesca con relativa perdita di ricavi per 130 milioni. In questo caso gli investitori si muovono con i piedi di piombo, non avendo certo scordato quanto successo a Wirecard, altra società del settore quotata in Germania, che nel 2022 era fallita sotto 3,5 miliardi di debiti dopo che era stato scoperto che un quarto dell’intero bilancio era falso. Ancora oggi a Berlino si chiedono come sia stato possibile che gli organismi di vigilanza non si siano accorti di quanto stava accadendo. Ma dietro la truffa ci sarebbe un affaire ben più scottante, così come emerso dalle indagini della magistratura riprese con grande evidenza dai media: Jan Marsalek, direttore operativo di Wirecard e latitante dal 2020, era il coordinatore di una rete di spie bulgare che lavoravano per la Russia in Inghilterra.

Il punto su Nexi tra voci di opa, cessioni e possibili cambi al vertice
La foto segnaletica di Jan Marsalek  (Getty Images).

Il caso Nexi e le voci di una possibile opa

E veniamo all’Italia che, grazie a una serie di fusioni e acquisizioni, vanta un campione europeo del settore come Nexi. Il gruppo, grazie anche alle voci di possibile opa, è risalito dai 5 euro per toccare i 7 dopo aver presentato i conti dei primi nove mesi del 2023. Anche qui siamo però lontani dai massimi, ovvero i 19 euro raggiunti nel 2021 dopo aver annunciato la fusione con l’italiana Sia e la danese Nets. Comun denominatore delle tre società, pur con diverse accentuazioni, i ricavi in crescita grazie all’ineluttabile processo di sostituzione dei pagamenti in contanti con quelli elettronici. Ma anche il forte indebitamento, per tutte sostenibile, dato il margine operativo lordo che continuano a macinare, ma nel caso Nexi un po’ più critico, visto che ha raggiunto i 5,5 miliardi di euro con un multiplo di 3,2 sull’ebitda. I destini della società guidata da Paolo Bertoluzzo negli ultimi mesi sono stati oggetto di ampia discussione tra azionisti e analisti. I primi si sono visti più volte costretti a svalutare la partecipazione nei loro bilanci, effetto del fatto che Nexi ha distrutto valore e in più non ha mai distribuito dividendi, se non prima della quotazione del 2018, quando ancora non si era fusa con Sia e Nets, a vantaggio dei soli soci internazionali Bain, Advent e dell’italiana Clessidra. Gli attuali grandi azionisti sono principalmente fondi internazionali e due società legate allo Stato italiano: Helmann & Friedman con il 19,9 per cento, Bain, Advent e Clessidra con il 9,4 per cento, Cassa Depositi e Prestiti con il 13,6 per cento, Eagle con il 6,08 per cento, Poste Italiane con il 3,5 per cento, Ab Europe con il 2,01 per cento, Neptune Bc con il 2,01 per cento, GIC con il 2,58 per cento. Il resto è in mano al mercato. Alcuni soci hanno ancora iscritto a bilancio la partecipazione a circa 12 euro (ad esempio Cassa Depositi e Prestiti), molti l’hanno già svalutata a 7. Ma per tutti il problema è lo stesso: primo come ridare valore al titolo. Secondo come procedere: vendere la partecipazione o continuare a tenerla in portafoglio?

Il punto su Nexi tra voci di opa, cessioni e possibili cambi al vertice
Il logo Nexi .

I tentativi di vendere Sianet al fondo F21: un’operazione da 600 milioni per abbattere il debito

Dalla primavera di quest’anno i grandi azionisti hanno dato una chiara indicazione al management: stop alle acquisizioni, procedere con le vendite di asset e la diminuzione dei costi. Il Corriere della Sera ha recentemente riportato la notizia, mai smentita, che all’inizio di novembre una riunione ristretta del consiglio di amministrazione ha bocciato due proposte del management: un buy back (l’acquisto di azioni proprie) al fine di far crescere il valore del titolo. E una possibile acquisizione in Francia. Il quotidiano riportava anche una postilla velenosa collegata al fatto che il management fosse stato bloccato su decisione dei grandi soci, lasciando intravvedere un forte disaccordo tra le parti che peraltro in società smentiscono. Nexi sta anche cercando di vendere Sianet al fondo infrastrutturale italiano F2i. Se l’operazione andasse in porto, entrerebbero nelle sue casse circa 600 milioni di euro buoni per abbattere il debito e 700 dipendenti lascerebbero la società per passare nella newco che sarà controllata da F2i. Il deal è sul tavolo, ma non si è ancora chiuso perché Nexi punta a incassare dalla vendita. Facile però che l’affare si concluda prima di fine anno, anche perché, trattandosi dei servizi per le banche centrali, non solo europee soggette a stretta vigilanza da parte delle autorità, difficile se non impossibile che quell’asset possa essere ceduto ad altri.

Dopo il taglio di 400 dipendenti nell’Est e Sud Europa il gruppo dovrebbe procedere con l’Italia (Cdp permettendo)

Nexi ha anche recentemente comunicato la cessione del business eID nei Paesi nordici a IN Groupe per circa 127 milioni. E da tempo sta tentando di vendere anche Ratepay, la società tedesca entrata con la fusione di Nets in Nexi, che si occupa dei servizi connessi alla modalità “acquista oggi, paga domani”, di questi tempi non molto apprezzati dai fondi di private equity. Dal lato della diminuzione dei costi, una delle promesse fatte al momento della fusione di Nexi con Sia e Nets, il gruppo è in ritardo, soprattutto nella migrazione delle transazioni dei clienti in una sola piattaforma, in modo da sfruttare così le economie di scala. Nexi sta invece procedendo a tagliare 400 dipendenti nell’Est e Sud Europa. E nel 2024 dovrebbero iniziare importanti tagli di personale anche in Italia. Sempre che Cdp, socio pesante e collegato allo Stato italiano, non si metta di traverso.

Il punto su Nexi tra voci di opa, cessioni e possibili cambi al vertice
Dario Scannapieco, ad di Cdp (Imagoeconomica).

Alcuni grandi fondi internazionali stanno studiando il dossier per acquistare in toto o subentrare ai soci che vogliono uscire

Tutti temi che le recenti voci di opa hanno finito però col mettere in secondo piano. La possibilità che il gruppo sia oggetto di una scalata ha ravvivato le cronache finanziarie dell’ultimo mese. Secondo i rumors ci sarebbero fondi internazionali stanno valutando la società pronti ad acquistarla in toto oppure subentrare a quei soci vogliono uscire. Sta di fatto che Cvc, Brooksfield e Silverlake stanno studiando il dossier per decidere se e come procedere. A oggi sono solo ipotesi. Di certo non gradite agli attuali soci di Nexi che vorrebbero prima ridare valore al titolo, per poi vendere. Ma se si arrivasse veramente all’opa, c’è da capire qualche potrebbe essere la reazione di Cassa Depositi e Prestiti: darà semaforo verde o chiederà invece al governo di applicare la golden share, cioè la normativa che salvaguardia gli assetti proprietari delle società operanti in settori strategici. Ipotesi, quest’ultima, che vede però gli analisti scettici, visto che il 50 per cento dei bonifici e pagamenti europei sono oggi processati da una società, Swift, americana come i fondi interessati all’acquisto di Nexi. Ma non si sa mai, visto come Palazzo Chigi si è recentemente comportato nel caso di Pirelli per fronteggiare le avance di un socio cinese, con la controversa motivazione che la tecnologia degli pneumatici è strategica per il Paese. Ma gli Stati Uniti non sono la Cina, e dopo aver deciso di cedere la rete delle telecomunicazioni al fondo Kkr, difficile che qualcuno possa eccepire sul fatto che siano un partner indesiderato.

Il punto su Nexi tra voci di opa, cessioni e possibili cambi al vertice
Paolo Bertoluzzo, Ceo di Nexi (Imagoeconomica).

I rumors su un possibile cambio al vertice di Nexi: da via Goito potrebbe arrivare Francesco Mele

In questo contesto si fanno strada anche le voci di un possibile cambio al vertice di Nexi, con l’uscita dell’ad Bertoluzzo e del cfo Bernardo Mingrone che guidano la società dal 2016, il cui mandato peraltro scade con la presentazione del bilancio 2024. E del possibile arrivo di un manager da Cassa Depositi Prestiti. Più precisamente si fa il nome di Francesco Mele, attuale amministratore delegato di Cdp Equity, scelto un anno e mezzo fa dall’attuale numero uno di via Goito Dario Scannapieco, anche lui in scadenza nel maggio 2024. I patti parasociali tra i grandi soci indicano la strada del cambio di vertice in modo dettagliato, specificando anche l’emolumento e i poteri del prossimo amministratore delegato. Il mercato, nel frattempo, guarda con attenzione al futuro della società e alle grandi manovre nell’azionariato, sperando che Nexi come ai bei tempi possa finalmente tornare sexy.

Il punto su Nexi tra voci di opa, cessioni e possibili cambi al vertice
Francesco Mele, ad di Cdp Private Equity (Imagoeconomica).